Summa Teologica - III

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Articolo 3 - Se la passione di Cristo abbia affrancato l'uomo dai castighi del peccato

Supra, q. 48, a. 6, ad 3; In 3 Sent., d. 19, q. 1, a. 3; Expos. in Symb., a. 4

Pare che la passione di Cristo non abbia affrancato l'uomo dai castighi del peccato.

Infatti:

1. La pena principale del peccato è la dannazione eterna.

Ma quelli che per i loro peccati erano stati condannati all'inferno non ne sono stati liberati dalla passione di Cristo, poiché « nell'inferno non c'è alcuna redenzione » [ Ufficio dei defunti ].

Quindi la passione di Cristo non ha liberato gli uomini dalla pena.

2. A coloro che sono affrancati dal gravame della pena non si deve imporre alcuna penitenza.

Invece ai penitenti viene imposta una penitenza soddisfattoria.

Quindi gli uomini per la passione di Cristo non sono affrancati dal gravame della pena.

3. La morte è la pena del peccato, come dice S. Paolo [ Rm 6,23 ]: « Il salario del peccato è la morte ».

Ma gli uomini dopo la passione di Cristo continuano a morire.

Quindi la passione di Cristo non ci ha liberati dal reato della pena.

In contrario:

Sta scritto [ Is 53,4 ]: « Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori ».

Dimostrazione:

La passione di Cristo ci ha affrancati dal reato della pena in due modi.

Primo, direttamente: cioè per il fatto che essa fu una soddisfazione proporzionata e sovrabbondante per i peccati di tutto il genere umano.

Ora, una volta data l'adeguata soddisfazione viene a cessare l'esigenza del castigo.

- Secondo, indirettamente: cioè per il fatto che la passione di Cristo causa la remissione del peccato, su cui si fonda il reato o debito della pena.

Analisi delle obiezioni:

1. La passione di Cristo produce il suo effetto in coloro a cui viene applicata mediante la fede e la carità, e mediante i sacramenti della fede.

Perciò i dannati dell'inferno, non avendo un simile contatto con la passione di Cristo, non possono conseguirne gli effetti.

2. Per conseguire gli effetti della passione di Cristo è necessario che ci conformiamo o configuriamo a lui, come si è notato sopra [ a. 1, ad 4,5; I-II, q. 85, a. 5, ad 2 ].

Ora, la configurazione sacramentale con lui avviene attraverso il battesimo, secondo le parole di S. Paolo [ Rm 6,4 ]: « Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme con lui nella morte ».

Per questo ai battezzati non si impone alcuna penitenza soddisfattoria: poiché essi sono stati totalmente affrancati dalla soddisfazione di Cristo.

Ma poiché, come dice S. Pietro [ 1 Pt 3,18 ], « Cristo è morto una volta per sempre per i peccati », il cristiano non può essere configurato una seconda volta alla morte di Cristo con il sacramento del battesimo.

Perciò coloro che peccano dopo il battesimo devono conformarsi a Cristo sofferente mediante alcune penalità o sofferenze che essi devono sopportare.

In misura però molto minore di quanto sarebbe richiesto dal peccato, poiché vi coopera la soddisfazione di Cristo.

3. La soddisfazione di Cristo ha effetto in noi in quanto siamo incorporati a lui come le membra al capo, come si è visto sopra [ a. 1; q. 48, a. 1; a. 2, ad 1 ].

Ma è necessario che le membra siano conformi al capo.

Come quindi Cristo in un primo tempo ebbe la grazia nell'anima unita alla passibilità del corpo, e giunse alla gloria dell'immortalità mediante la passione, così anche noi che ne siamo le membra siamo liberati mediante la passione dal reato di qualsiasi pena, in modo però che prima riceviamo nell'anima « lo spirito da figli adottivi » [ Rm 8,15 ], che ci assicura l'eredità della gloria immortale, pur avendo noi ancora un corpo passibile e mortale, e in seguito, « configurati alle sofferenze e alla morte di Cristo » [ Fil 3,10 ], siamo condotti alla gloria immortale, secondo le parole dell'Apostolo [ Rm 8,17 ]: « Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria ».

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