Summa Teologica - III

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Articolo 2 - Se « Questo è il mio corpo » sia la forma conveniente per la consacrazione del pane

Supra, q. 75, a. 2; In 4 Sent., d. 8, q. 2, a. 1, sol. 3, 4; In Matth., c. 26; In 1 Cor., c. 11, lect. 5

Pare che « Questo è il mio corpo » non sia la forma conveniente per la consacrazione del pane.

Infatti:

1. La forma del sacramento deve esprimere l'effetto del sacramento.

Ma l'effetto che si ottiene nella consacrazione del pane è la conversione della sostanza del pane nel corpo di Cristo, conversione che viene espressa meglio col termine diviene che col termine è.

Quindi nella forma della consacrazione si dovrebbe dire: « Questo diviene il mio corpo ».

2. S. Ambrogio [ De sacram. 4,4 ] scrive: « La parola di Cristo compie questo sacramento.

Quale parola di Cristo?

Quella che ha fatto ogni cosa: il Signore comandò e furono fatti i cieli e la terra ».

Quindi anche la forma di questo sacramento sarebbe stata più conveniente col verbo all'imperativo, dicendo: « Questo sia il mio corpo ».

3. Il soggetto della proposizione in esame indica ciò che si converte, come il predicato indica il termine della conversione.

Ora, come è determinato ciò in cui la cosa si converte, ossia il corpo di Cristo, così è determinato anche ciò che si converte: infatti esso non è altro che il pane.

Di conseguenza, come il predicato è espresso con un sostantivo, così si doveva indicare con un sostantivo anche il soggetto, dicendo: « Questo pane è il mio corpo ».

4. Ciò in cui termina la conversione, come appartiene a una determinata natura, essendo un corpo, così appartiene anche a una determinata persona.

Quindi per indicare anche la persona si doveva dire: « Questo è il corpo di Cristo ».

5. Nelle parole della forma non va posto nulla che non sia essenziale.

Perciò non è conveniente che in certi libri si trovi la congiunzione « infatti » [ enim ], che non appartiene all'essenza della forma.

In contrario:

Il Signore usò questa forma nel consacrare, come risulta dal vangelo di S. Matteo [ Mt 26,26 ].

Dimostrazione:

Questa è la forma conveniente della consacrazione del pane.

Sopra [ a. 1 ] infatti abbiamo visto che tale consacrazione consiste nella conversione della sostanza del pane nel corpo di Cristo.

Ora, è necessario che la forma del sacramento significhi ciò che il sacramento produce.

Quindi anche la forma della consacrazione del pane deve significare la conversione del pane nel corpo di Cristo, nella quale si riscontrano tre elementi: la conversione, il termine di partenza e il termine di arrivo.

Ora, la conversione può essere considerata in due modi: nel suo compiersi e nella sua attuazione già avvenuta.

Ora, nella forma della consacrazione del pane la conversione non doveva essere indicata nel suo compiersi, ma come attuata.

Primo, poiché questa conversione non è successiva, ma istantanea, come si disse sopra [ q. 75, a. 7 ], e nelle mutazioni istantanee il compiersi si identifica con l'essere compiuto.

- Secondo, poiché le forme sacramentali indicano l'effetto del sacramento, come le forme artificiali servono a indicare l'effetto dell'arte.

Ma la forma che guida l'arte è l'immagine del prodotto ultimato, a cui l'artista mira con la sua intenzione: come la forma dell'arte nella mente di un architetto è principalmente la forma della casa costruita, e solo secondariamente la forma della sua costruzione.

Perciò anche nella forma della consacrazione del pane si deve esprimere la conversione come attuata, poiché ad essa mira l'intenzione.

Ora, poiché la conversione stessa viene espressa in questa forma come compiuta, necessariamente gli estremi della conversione vanno indicati come sono al momento in cui la conversione si è già realizzata.

Ma allora il termine di arrivo ha la natura propria della sua sostanza, mentre il termine di partenza non conserva la sua sostanza, ma solo i suoi accidenti, con i quali si presenta ai sensi e secondo i quali è determinabile dai sensi.

È giusto quindi che il termine di partenza venga indicato con il pronome dimostrativo riferito agli accidenti sensibili che rimangono.

Invece il termine di arrivo viene espresso con un sostantivo che indica la natura di ciò in cui la cosa si converte, e che come abbiamo notato [ q. 76, a. 1, ad 2 ] è il corpo di Cristo nella sua integrità, e non la sola carne.

Perciò la forma più conveniente è: « Questo è il mio corpo ».

Analisi delle obiezioni:

1. L'effetto ultimo di questa consacrazione non è il divenire, ma l'essere, come si è detto [ nel corpo ].

2. Nella creazione agì la stessa parola di Dio che opera anche in questo sacramento, ma in modo diverso.

Infatti qui essa opera sacramentalmente, cioè secondo la sua forza di significazione.

Perciò è necessario indicare in questa forma l'ultimo effetto della consacrazione mediante un verbo di modo indicativo e di tempo presente.

Nella creazione delle cose invece la parola di Dio operò soltanto come causa efficiente: e l'efficienza deriva dal comando della sua sapienza.

Per cui nella creazione delle cose la parola di Dio viene espressa con un verbo all'imperativo, come [ Gen 1,3 ]: « Sia la luce. E la luce fu ».

3. A conversione avvenuta il termine di partenza non conserva la natura della sua sostanza, come la conserva invece il termine di arrivo.

Quindi non c'è parità.

4. Con il pronome « mio », che implica l'indicazione della prima persona, cioè di quella che parla, è sufficientemente espressa la persona di Cristo, in nome della quale si proferiscono le parole, come si è detto [ a. 1 ].

5. La congiunzione enim viene posta in questa forma secondo l'uso della Chiesa Romana, che deriva dall'Apostolo Pietro.

E ciò per ricollegarsi alle parole precedenti.

Essa quindi non appartiene alla forma, come non vi appartengono le parole che precedono la forma stessa.

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