Supplemento alla III parte

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Articolo 2 - Se il potere di giudicare sia il premio corrispondente alla povertà volontaria

Pare che il potere di giudicare non sia il premio corrispondente alla povertà volontaria.

Infatti:

1. Ciò fu promesso solo ai dodici apostoli [ Mt 19,28 ]: « Siederete su dodici troni per giudicare », ecc.

Ora, non essendo i poveri volontari tutti apostoli, sembra che la facoltà di giudicare non corrisponda alla loro povertà.

2. È un sacrificio più grande quello del proprio corpo che quello dei beni esterni.

Ora, i martiri e anche i vergini fanno a Dio il sacrificio del proprio corpo, mentre i poveri volontari sacrificano solo i beni esterni.

Quindi la sublimità del potere giudiziario si addice più ai martiri e ai vergini che non ai poveri volontari.

3. La Glossa [ interlin. ], commentando le parole evangeliche [ Gv 5,45 ]: « Chi vi accusa è Mosè, nel quale voi sperate », aggiunge: « perché non credete al suo insegnamento ».

Inoltre il Signore [ Gv 12,48 ] afferma: « La parola che ho annunziato lo giudicherà nell'ultimo giorno ».

Quindi per il fatto che uno propone la legge o una parola di esortazione per l'edificazione dei costumi, acquista la facoltà di giudicare chi disprezza tali cose.

Ma questo è il compito dei dottori.

Quindi la facoltà suddetta spetta più ai dottori che ai poveri.

4. Cristo, per il fatto che fu giudicato ingiustamente in quanto uomo, meritò di essere il giudice di tutto il genere umano, secondo le parole evangeliche [ Gv 5,27 ]: « Gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell'uomo ».

Ora, coloro che soffrono persecuzione a causa della giustizia sono giudicati ingiustamente.

Quindi tale facoltà si addice più a loro che ai poveri.

5. Un superiore non può essere giudicato dall'inferiore.

Ora, saranno molti coloro che, usando bene delle ricchezze, saranno più meritevoli di tanti poveri volontari.

Perciò i poveri volontari non giudicheranno dove gli altri saranno giudicati.

In contrario:

1. In Giobbe [ Gb 36,6 ] si legge: « Egli non salva gli empi, e ai poveri attribuirà il giudizio ».

Quindi giudicare spetta ai poveri.

2. Nel commentare quel testo evangelico [ Mt 19,28 ]: « Voi che avete abbandonato ogni cosa », ecc., la Glossa [ ord. ] afferma: « Coloro che avranno abbandonato ogni cosa e avranno seguito Dio, saranno giudici; coloro che avranno usato bene delle ricchezze lecite, saranno giudicati ».

Da cui l'identica conclusione.

Dimostrazione:

La facoltà di giudicare va attribuita specialmente alla povertà per tre motivi.

Primo, in ragione della congruenza.

Poiché la povertà volontaria è propria di coloro che, disprezzando tutte le cose del mondo, si dedicano esclusivamente a Cristo.

Perciò in essi non si riscontra nulla che possa farli deflettere dalla giustizia.

Quindi essi sono resi idonei a giudicare, in quanto amano più di tutte le cose la verità della giustizia.

Secondo, a motivo del merito.

Poiché all'umiltà corrisponde il merito dell'esaltazione.

Ora, tra le cose che in questo mondo rendono un uomo disprezzato, la prima è la povertà.

E così ai poveri è promessa la preminenza della potestà giudiziaria, in modo che « chi si umilia per Cristo, venga esaltato » [ Mt 23,12; Lc 14,11; Lc 18,14 ].

Terzo, poiché la povertà dispone al modo di giudicare di cui abbiamo parlato.

Infatti da quanto si è detto [ a. 1 ] risulta che a un santo viene riconosciuta la funzione di giudice perché il suo cuore sarà compenetrato di tutta la verità divina, così da poterla manifestare agli altri.

Ora, nel progresso verso la perfezione la prima rinunzia che si incontra è quella delle ricchezze esterne: poiché queste sono le ultime a essere acquisite; e « ciò che è ultimo nella produzione è primo nella distruzione » [ Ethic. 3,5 ].

E così tra le beatitudini, che segnano la via della perfezione, al primo posto troviamo la povertà.

Perciò alla povertà corrisponde come premio il potere di giudicare, in quanto essa è la prima disposizione all'esercizio di tale potere.

- Ed è per questo che il potere suddetto non è promesso a tutti i poveri, anche se volontari, ma solo a quelli che « abbandonata ogni cosa seguono Cristo » [ Mt 19,27s ] nella via della perfezione.

Analisi delle obiezioni:

1. Giustamente scrive S. Agostino [ De civ. Dei 20,5 ]: « Per il fatto che il Signore ha parlato di dodici troni non dobbiamo pensare che solo i dodici saranno chiamati a giudicare con lui: altrimenti, essendoci stata la sostituzione del traditore Giuda con l'Apostolo Mattia, S. Paolo, il quale ha lavorato più degli altri, non otterrebbe un posto dove sedersi per giudicare ».

Perciò « col numero dodici è stata indicata tutta la moltitudine dei giudicanti, poiché esso abbraccia i due addendi del sette, cioè il tre e il quattro, che moltiplicati fanno dodici »; e d'altra parte il dodici è un numero di perfezione.

Oppure per il fatto che esso è composto di una coppia di sei, che è un numero perfetto.

O anche perché, stando al senso letterale, il Signore parlava ai dodici Apostoli, nella persona dei quali faceva tale promessa a tutti i suoi seguaci.

2. La verginità e il martirio non predispongono come la povertà a ritenere nel cuore i decreti della giustizia di Dio.

Come al contrario le ricchezze per la loro sollecitudine « soffocano la parola di Dio », secondo l'espressione evangelica [ Lc 8,14 ].

Oppure si deve rispondere che la povertà non basta da sola ad acquistare il merito del potere giudiziario, ma ad essa corrisponde tale merito poiché è il primo passo verso la perfezione.

Perciò tra i passi successivi alla povertà, quali elementi della perfezione, si possono computare e la verginità e il martirio e tutte le altre opere di perfezione.

Queste cose però non sono così principali come la povertà: poiché in ogni cosa la parte più importante è quella iniziale.

3. Colui che ha promulgato la legge, o che ha esortato al bene, eserciterà la funzione di giudice causalmente: poiché altri giudicheranno riferendosi alle sue parole.

Perciò propriamente la facoltà di giudicare non corrisponderà quale merito alla predicazione o all'insegnamento.

Oppure si può notare, secondo alcuni, che per la facoltà di giudicare si richiedono tre cose:

primo, la rinunzia ai beni temporali, perché l'animo non sia impedito nel tendere alla perfezione della sapienza;

secondo, la conoscenza e l'osservanza abituale della divina giustizia;

terzo, l'insegnamento di tale giustizia impartito ad altri.

E così l'insegnamento sarebbe il coronamento di quanto serve ad acquistare il merito del potere giudiziario.

4. Cristo per il fatto di essere stato giudicato ingiustamente « umiliò se stesso » [ Fil 2,8 ] ( egli infatti «f u immolato perché lo volle » [ Is 53,7 ] ); e il merito corrispondente alla sua umiltà è l'esaltazione implicita nel potere di giudicare, per cui, come dice S. Paolo [ Fil 3,21 ], tutte le cose sono a lui soggette.

Perciò il potere giudiziario è dovuto più a coloro che volontariamente si umiliano rinunziando ai beni temporali per i quali gli uomini vengono onorati dai mondani, che non a quanti vengono umiliati dagli altri.

5. L'inferiore non può giudicare chi gli è superiore con l'autorità propria; egli però può farlo con l'autorità del superiore, come è evidente nel caso dei giudici delegati.

Perciò nulla impedisce che ai poveri [ volontari ] venga concesso come premio accidentale di giudicare gli altri, anche se questi hanno dei meriti superiori quanto al premio essenziale.

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