La città di Dio

Indice

Teorie sui tempi della creazione dell'uomo

10.1 - Opinioni sulle antichissime condizioni dell'uomo

Omettiamo dunque le ipotesi di individui che non hanno scienza delle proprie affermazioni sulla condizione e sull'origine del genere umano.

Alcuni infatti, come hanno supposto per il mondo, sono d'opinione che gli uomini siano sempre esistiti.

Per questo anche Apuleio nel trattare questo genere di viventi ha detto: Individualmente sono mortali ma nell'insieme di tutta la specie vivono da sempre.4

E qualora loro si chiedesse, nell'ipotesi che da sempre sia esistito il genere umano, a che titolo la loro storia dice la verità, quando narra degli inventori dei vari utensili, dei pionieri delle discipline liberali e delle altre arti, dei primi abitanti di quella o di un'altra regione e parte della terra, di quella o di un'altra isola, rispondono che a causa di diluvi e cataclismi per un certo tempo non tutti i territori ma molti si spopolarono.5

Così gli uomini si ridurrebbero ad un esiguo numero, dalla cui discendenza viene ristabilito il ripopolamento.

Quindi certi dati, che a causa dei cataclismi erano interrotti o scomparsi, si presenterebbero e si formerebbero come originari, mentre sono soltanto riemersi.

Del resto, aggiungono, l'uomo soltanto dall'uomo può venire all'esistenza.

Ma dichiarano una loro ipotesi e non una conoscenza scientifica.

10.2 - Confronto fra cronologia greca ed egiziana

Li inducono in errore anche alcuni scritti menzogneri che, secondo la loro tradizione, riportano nella cronologia molte migliaia di anni, sebbene secondo le sacre Scritture dall'origine dell'uomo si calcolano seimila anni non ancora compiuti.

Per non discutere a lungo nel ribattere la infondatezza di quei libri, in cui si riporta un numero ben maggiore di migliaia di anni e nel dimostrare che in essi non è reperibile l'autorevolezza richiesta dall'argomento, adduco la lettera di Alessandro il Grande alla madre Olimpiade.

La scrisse per comunicare la narrazione di un sacerdote egiziano che egli aveva allegato dalle scritture considerate sacre presso di loro.

Contiene fra l'altro i regni che anche la storia greca conosce.

Fra di essi il regno degli Assiri nella medesima lettera di Alessandro supera i cinquemila anni, mentre nella storia greca ha mille e trecento anni a partire dal regno di Belo, che anche il sacerdote egiziano pone all'inizio del regno assiro.6

Inoltre ha calcolato più di ottomila anni le monarchie dei Persiani e dei Macedoni fino allo stesso Alessandro, al quale si rivolgeva, mentre negli scrittori greci per il regno dei Macedoni si hanno fino alla morte di Alessandro quattrocentoottantacinque anni e per quello dei Persiani fino a che ebbe tempo termine, con la vittoria di Alessandro, se ne calcolano duecentotrentatré.

Dunque in questa cronologia gli anni sono molti di meno che in quella egiziana e non li raggiungerebbero anche se fossero moltiplicati per tre.

Si dice appunto che gli Egiziani nei tempi antichi avessero degli anni tanto brevi che si compivano ogni quattro mesi; quindi l'anno intero e vero, che ora abbiamo noi ed essi, ne abbracciava tre dei loro di una volta.

Ma neanche così, come ho detto, è concorde la cronologia greca con quella egiziana.

Quindi è più attendibile quella greca perché non va al di là della veridicità cronologica, indicata dalla nostra Scrittura che è veramente sacra.

Inoltre se la lettera di Alessandro, largamente conosciuta, per quanto riguarda i periodi, è molto lontana da una plausibile veridicità storica, quanto meno si deve credere a quelle scritture che, sebbene zeppe di leggendari fatti antichi, i nostri avversari hanno voluto produrre contro l'autorità dei nostri conosciutissimi Libri divini.

Tale autorità ha preannunziato che tutto il mondo le avrebbe creduto e il mondo, come aveva preannunziato, ( Mc 14,9 ) le ha creduto.

E dai fatti che ha previsto come futuri, quando essi si avverano tanto fedelmente, ha la conferma di avere descritto veridicamente i passati.

11 - Ipotesi dei fautori della generazione spontanea

Altri, i quali non ritengono eterno il mondo, sia che non ne pongano uno solo ma infiniti, sia che ne pongano uno solo ma destinato a nascere e morire infinite volte, sono costretti ad ammettere che il genere umano all'inizio ha cominciato ad esistere senza la generazione umana.

Costoro infatti non sostengono che a causa di alluvioni o fenomeni vulcanici i quali, secondo loro, non si verificherebbero in tutta la terra, sopravvivano pochi individui, da cui si abbia il ripopolamento.

È impossibile per loro supporre che alla fine del mondo rimanga un certo numero di uomini.

Ma come sostengono che il mondo sorge di nuovo dalla propria materia, così in esso dai suoi elementi si propaga il genere umano e in seguito dai genitori la discendenza degli uomini al pari degli altri viventi.7

12 - Confronto in termini di cronologia fra tempo ed eternità

Ho già risposto, quando si trattò il problema dell'origine del mondo, a coloro i quali si rifiutano di ammettere che non è sempre esistito ma che ha cominciato ad esistere, come ammette apertamente lo stesso Platone, quantunque da taluni è interpretato in senso contrario a quanto dice.

La medesima cosa vorrei rispondere sulla prima apparizione dell'uomo per coloro che allo stesso modo si domandano perché l'uomo non sia stato creato durante gli incalcolabili e infiniti tempi passati e sia stato creato tanto tardi che sono meno di seimila anni da quando, come dice la Scrittura, cominciò ad esistere.

Se li offende la brevità del tempo, perché sembrano loro tanto pochi gli anni da che si dice che ha avuto inizio l'uomo nei nostri testi autorevoli, considerino che non si ha lunga durata se si ha un termine e che tutte le limitate estensioni dei tempi, se si confrontano con l'eternità infinita, non si devono considerare piccole ma inesistenti.

E per questo se non fossero cinque o seimila ma sessantamila o seicentomila anni ed essi si avessero per sessanta, per seicento, per seicentomila volte e questa somma si moltiplicasse per tante volte fino a non avere più un numero concepibile, da che Dio ha creato l'uomo, si potrebbe ancora chiedere perché non l'ha creato prima.

Lo stato di riposo in cui Dio non creò l'uomo, che risalendo all'indietro è eterno per mancanza d'inizio, è così immenso che se gli si raffronta una serie numerica di tempi, per quanto grande e incalcolabile, la quale abbia tuttavia un termine perché chiusa nel limite di una determinata estensione, non dovrebbe esser considerata più grande che se si confronti la più minuta stilla di umidità con tutti i mari, anche quanti ne abbraccia l'oceano.

Infatti delle due quantità una è piccolissima, l'altra incomparabilmente grande, ma l'una e l'altra limitate.

Invece l'estensione di tempo che parte da un inizio ed è limitata da una fine, per quanto si estenda in quantità, confrontata con l'essere che non ha inizio, non so se si deve considerare piccolissima o piuttosto inesistente.

Pertanto se a partire dal termine si eliminano a uno a uno attimi anche brevissimi man mano che il numero, anche tanto grande che non abbia un nome, decresce e si risale indietro, come se si eliminassero i giorni di vita di un individuo, dall'attuale fino a quello della nascita, a un certo punto la eliminazione sarà ricondotta all'inizio.

Supponiamo invece che si eliminassero risalendo indietro attraverso una estensione di tempo che non ha avuto inizio, non dico a uno a uno spazi limitati di ore, di giorni, di mesi, di anni, ma anche estensioni così grandi, quante ne racchiude una somma di anni che diviene incalcolabile per qualsiasi matematico, la quale tuttavia si raccorci con l'eliminazione attimo per attimo di porzioni di tempo e si eliminino quelle enormi estensioni non una volta o due o più ma sempre.

Non si fa nulla, non si ottiene nulla, perché mai si giunge all'inizio che non esiste assolutamente.

Pertanto il problema che ci poniamo noi oggi dopo cinquemila anni e rotti, con la medesima curiosità se lo potrebbero porre i posteri anche fra seicentomila volte quegli anni, se per tanto tempo continuassero la soggezione degli uomini al nascere e al morire e la debolezza della nostra esperienza.

Anche quelli che vissero prima di noi, nei tempi più vicini alla creazione dell'uomo, potevano porsi questo problema.

Alfine anche il primo uomo l'indomani o il giorno stesso della sua creazione poteva chiedersi perché non fosse stato creato prima.

Comunque in qualsiasi tempo fosse stato creato, questa controversia sull'origine delle cose temporali non avrebbe trovato allora argomenti validi diversi da quelli di oggi o anche dell'avvenire.

13.1 - Falsa teoria dei cicli e delle palingenesi

I filosofi naturalisti ritennero di poter o dovere risolvere la suddetta controversia introducendo dei cicli di tempo.

Affermarono che con essi tornavano a ripetersi in natura sempre i medesimi eventi e che allo stesso modo per il futuro si sarebbero avuti senza fine i ritorni degli avvenimenti che vengono e vanno, sia che i cicli si verifichino in un mondo senza tramonto, sia che il mondo sorgendo e tramontando a determinate distanze di tempo offrisse come nuovi sempre gli stessi avvenimenti sia passati che futuri.

Così questi filosofi non riescono a considerar libera da questa beffa del destino l'anima immortale, anche se ha acquisito la sapienza, poiché va senza sosta verso una falsa felicità e senza sosta ritorna a una vera infelicità.

Non può infatti essere vera felicità perché non si ha sicurezza della sua eternità e perché in quello stato l'anima o per radicale inesperienza non conosce nella realtà l'infelicità del mondo o la teme con angoscia pur essendo nella felicità.

Ma se essa non dovrà più tornare all'infelicità terrena, passa da questa alla felicità.

Avviene dunque nel tempo qualcosa che prima non era avvenuto e che non ha il limite del tempo.

Questo si può dire dunque anche del mondo ed anche dell'uomo creato nel mondo.

Quanto dire che con la sana dottrina attraverso una via dritta si devono evitare gli assurdi ritorni ciclici inventati da filosofi assurdi e impostori.

13.2 - Il Qoèlet non è a favore dei cicli

Alcuni ritengono che si debba interpretare nel senso dei suddetti cicli che ritornano al medesimo e fanno tornare tutto al medesimo anche quel che si legge nel libro di Salomone, intitolato L'Ecclesiaste: Che cos'è ciò che è stato? Quello stesso che sarà.

E che cos'è ciò che è avvenuto? Quello stesso che avverrà.

Non v'è nulla di nuovo sotto il sole.

Non si potrà dire: Guardate che questo evento è nuovo, perché è avvenuto nei secoli che furono prima di noi. ( Sir 1,9-10 )

Ma egli ha detto quelle parole riferendosi agli eventi di cui parlava in precedenza, cioè alle generazioni che vanno e vengono, ai giri del sole, al fluire dei corsi d'acqua e infine a tutte le cose che hanno un inizio e una fine.

Vi furono infatti uomini prima di noi, vi sono assieme a noi, vi saranno dopo di noi.

Altrettanto si dica degli altri animali e delle piante.

Perfino i fenomeni straordinari, che si verificano fuori dell'aspettativa, sebbene siano diversi fra di loro e di alcuni si dica che siano avvenuti una sola volta, nel senso che sono in genere fatti meravigliosi e straordinari, tuttavia vi sono stati e vi saranno e non è un fatto nuovo che si verifichino eventi straordinari sotto il sole.

Però alcuni interpretano quelle parole nel senso che quel grande sapiente voleva far intendere che tutto è stabilito nell'ordinamento divino e che quindi niente v'è di nuovo sotto il sole.

Comunque secondo le norme della retta fede non dobbiamo credere che con le parole di Salomone furono indicati i cicli con cui si hanno, come pensano costoro, i medesimi ritorni di tempi e di avvenimenti nel tempo; ad esempio, come il filosofo Platone in quel tempo ha insegnato agli allievi nella città di Atene, nella scuola detta l'Accademia, così il medesimo Platone, la medesima città, la medesima scuola, i medesimi alunni sarebbero tornati attraverso le infinite successioni di tempo nel passato a fasi molto lunghe ma determinate e tornerebbero nelle infinite successioni che verranno.

Non dobbiamo, dico, credere a queste fandonie.

Infatti Cristo è morto una sola volta per i nostri peccati, ( Rm 6,10 ) ma risorgendo dai morti non muore più e la morte non l'assoggetterà più nell'avvenire, ( Rm 6,9 ) e noi dopo la risurrezione saremo sempre col Signore, ( 1 Ts 4,17 ) al quale nel tempo presente diciamo quel che ci suggerisce il sacro Salmo: Tu, o Signore, ci custodirai e ci difenderai dalla generazione presente, fino nell'eternità.

Penso infine che a questi filosofi si adatti molto bene il versetto seguente: Gli empi si muoveranno in giro, ( Sal 12,8-9 ) non nel senso che la loro vita ritornerà ai cicli da loro immaginati, ma perché nel tempo presente la via del loro errore è un circolo vizioso, cioè una falsa dottrina.

Indice

4 Apuleio, De deo Socr. IV
5 Alcuni stoici in Diogene Laerzio (7. 141-142)
6 Eusebio Chronic. 1, 12: PL 27, 42
7 Eraclito in Diogene Laerzio (9, 1, 8);
Plutarco, De Ei Delph. 8, 389a;
Empedocle, fr. 17 (Diels, 31)