Verbum Domini

Indice

Prima parte

Verbum Dei

« In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio … e il Verbo si fece carne » ( Gv 1,1.14 )

Il Dio che parla

Dio in dialogo

6. La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi.14

La Costituzione dogmatica Dei Verbum aveva esposto questa realtà riconoscendo che « Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé ».15

Ma non avremmo ancora compreso a sufficienza il messaggio del Prologo di san Giovanni se ci fermassimo alla constatazione che Dio si comunica amorevolmente a noi.

In realtà il Verbo di Dio, mediante il quale « tutto è stato fatto » ( Gv 1,3 ) e che si « fece carne » ( Gv 1,14 ), è il medesimo che sta « in principio » ( Gv 1,1 ).

Se qui avvertiamo un'allusione all'inizio del libro della Genesi ( cfr Gen 1,1 ), in realtà siamo posti di fronte ad un principio di carattere assoluto e che ci narra la vita intima di Dio.

Il Prologo giovanneo ci pone di fronte al fatto che il Logos è realmente da sempre, e da sempre egli stesso è Dio.

Dunque, non c'è mai stato in Dio un tempo in cui non ci fosse il Logos.

Il Verbo preesiste alla creazione.

Pertanto, nel cuore della vita divina c'è la comunione, c'è il dono assoluto.

« Dio è amore » ( 1 Gv 4,16 ), dirà altrove lo stesso Apostolo, indicando con ciò « l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino ».16

Dio si fa conoscere a noi come mistero di amore infinito in cui il Padre dall'eternità esprime la sua Parola nello Spirito Santo.

Perciò il Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso.

Pertanto, fatti ad immagine e somiglianza di Dio amore, possiamo comprendere noi stessi solo nell'accoglienza del Verbo e nella docilità all'opera dello Spirito Santo.

È alla luce della Rivelazione operata dal Verbo divino che si chiarisce definitivamente l'enigma della condizione umana.

Analogia della Parola di Dio

7. Da queste considerazioni che scaturiscono dalla meditazione sul mistero cristiano espresso nel Prologo di Giovanni è necessario ora rilevare quanto è stato affermato dai Padri sinodali in relazione alle diverse modalità con cui noi utilizziamo l'espressione « Parola di Dio ».

Si è giustamente parlato di una sinfonia della Parola, di una Parola unica che si esprime in diversi modi: « un canto a più voci ».17

I Padri sinodali hanno parlato a questo proposito di un uso analogico del linguaggio umano in riferimento alla Parola di Dio.

In effetti, questa espressione, se da una parte riguarda la comunicazione che Dio fa di se stesso, dall'altra assume significati diversi che vanno attentamente considerati e relazionati fra loro, sia dal punto di vista della riflessione teologica che dell'uso pastorale.

Come ci mostra in modo chiaro il Prologo di Giovanni, il Logos indica originariamente il Verbo eterno, ossia il Figlio unigenito, generato dal Padre prima di tutti i secoli e a Lui consustanziale: il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

Ma questo stesso Verbo, afferma san Giovanni, si « fece carne » ( Gv 1,14 ); pertanto Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, è realmente il Verbo di Dio fattosi consustanziale a noi.

Dunque l'espressione « Parola di Dio » viene qui ad indicare la persona di Gesù Cristo, eterno Figlio del Padre, fatto uomo.

Inoltre, se al centro della Rivelazione divina c'è l'evento di Cristo, occorre anche riconoscere che la stessa creazione, il liber naturae, è anche essenzialmente parte di questa sinfonia a più voci in cui l'unico Verbo si esprime.

Allo stesso modo confessiamo che Dio ha comunicato la sua Parola nella storia della salvezza, ha fatto udire la sua voce; con la potenza del suo Spirito « ha parlato per mezzo dei profeti ».18

La divina Parola, pertanto, si esprime lungo tutta la storia della salvezza ed ha la sua pienezza nel mistero dell'incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio.

E ancora, Parola di Dio è quella predicata dagli Apostoli, in obbedienza al comando di Gesù Risorto: « Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura » ( Mc 16,15 ).

Pertanto, la Parola di Dio è trasmessa nella Tradizione viva della Chiesa.

Infine, la Parola di Dio attestata e divinamente ispirata è la sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento.

Tutto questo ci fa comprendere perché nella Chiesa veneriamo grandemente le sacre Scritture, pur non essendo la fede cristiana una « religione del Libro »: il cristianesimo è la « religione della Parola di Dio », non di « una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente ».19

Pertanto la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile.20

Come hanno affermato i Padri sinodali, realmente ci troviamo di fronte ad un uso analogico dell'espressione « Parola di Dio », di cui dobbiamo essere consapevoli.

Occorre pertanto che i fedeli vengano maggiormente educati a cogliere i suoi diversi significati e a comprenderne il senso unitario.

Anche dal punto di vista teologico è necessario che si approfondisca l'articolazione dei differenti significati di questa espressione perché risplenda meglio l'unità del piano divino e la centralità in esso della persona di Cristo.21

Dimensione cosmica della Parola

8. Consapevoli del significato fondamentale della Parola di Dio in riferimento all'eterno Verbo di Dio fatto carne, unico salvatore e mediatore tra Dio e l'uomo,22 ed in ascolto di questa Parola, siamo condotti dalla rivelazione biblica a riconoscere che essa è il fondamento di tutta la realtà.

Il Prologo di san Giovanni afferma, in riferimento al Logos divino, che « tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste » ( Gv 1,3 ); anche nella Lettera ai Colossesi si afferma in riferimento a Cristo, « primogenito di tutta la creazione » ( Col 1,15 ), che « tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui » ( Col 1,16 ).

E l'autore della Lettera agli Ebrei ricorda che « per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall'invisibile ha preso origine il mondo visibile » ( Eb 11,3 ).

Questo annuncio è per noi una parola liberante.

Infatti, le affermazioni scritturistiche indicano che tutto ciò che esiste non è frutto di un caso irrazionale, ma è voluto da Dio, è dentro il suo disegno, al cui centro sta l'offerta di partecipare alla vita divina in Cristo.

Il creato nasce dal Logos e porta in modo indelebile la traccia della Ragione creatrice che ordina e guida.

Di questa certezza gioiosa cantano i salmi: « Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera » ( Sal 33,6 ); ed ancora: « egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto » ( Sal 33,9 ).

L'intera realtà esprime questo mistero: « I cieli narrano la gloria di Dio, l'opera delle sue mani annuncia il firmamento » ( Sal 19,2 ).

Per questo è la stessa sacra Scrittura che ci invita a conoscere il Creatore osservando il creato ( cfr Sap 13,5; Rm 1,19-20 ).

La tradizione del pensiero cristiano ha saputo approfondire questo elemento-chiave della sinfonia della Parola, quando, ad esempio, san Bonaventura, che insieme alla grande tradizione dei Padri greci vede tutte le possibilità della creazione nel Logos,23 afferma che « ogni creatura è parola di Dio, poiché proclama Dio ».24

La Costituzione dogmatica Dei Verbum aveva sintetizzato questo dato dichiarando che « Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo ( cfr Gv 1,3 ), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé ».25

La creazione dell'uomo

9. La realtà, dunque, nasce dalla Parola come creatura Verbi e tutto è chiamato a servire la Parola.

La creazione è luogo in cui si sviluppa tutta la storia dell'amore tra Dio e la sua creatura; pertanto la salvezza dell'uomo è il movente di tutto.

Contemplando il cosmo nella prospettiva della storia della salvezza siamo portati a scoprire la posizione unica e singolare occupata dall'uomo nella creazione: « Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò » ( Gen 1,27 ).

Questo ci consente di riconoscere pienamente i doni preziosi ricevuti dal Creatore: il valore del proprio corpo, il dono della ragione, della libertà e della coscienza.

In ciò troviamo anche quanto la tradizione filosofica chiama « legge naturale ».26

In effetti, « ogni essere umano che accede alla coscienza e alla responsabilità fa l'esperienza di una chiamata interiore a compiere il bene »27 e, dunque, ad evitare il male.

Come ricorda san Tommaso d'Aquino, su questo principio si fondano anche tutti gli altri precetti della legge naturale.28

L'ascolto della Parola di Dio ci porta innanzitutto a stimare l'esigenza di vivere secondo questa legge « scritta nel cuore » ( cfr Rm 2,15; Rm 7,23 ).29

Gesù Cristo, poi, dà agli uomini la Legge nuova, la Legge del Vangelo, la quale assume e realizza in modo eminente la legge naturale, liberandoci dalla legge del peccato, a causa del quale, come dice san Paolo, « in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo » ( Rm 7,18 ), e dona agli uomini, mediante la grazia, la partecipazione alla vita divina e la capacità di superare l'egoismo.30

Il realismo della Parola

10. Chi conosce la divina Parola conosce pienamente anche il significato di ogni creatura.

Se tutte le cose, infatti, « sussistono » in Colui che è « prima di tutte le cose » ( cfr Col 1,17 ), allora chi costruisce la propria vita sulla sua Parola edifica veramente in modo solido e duraturo.

La Parola di Dio ci spinge a cambiare il nostro concetto di realismo: realista è chi riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto.31

Di ciò abbiamo particolarmente bisogno nel nostro tempo, in cui molte cose su cui si fa affidamento per costruire la vita, su cui si è tentati di riporre la propria speranza, rivelano il loro carattere effimero.

L'avere, il piacere e il potere si manifestano prima o poi incapaci di compiere le aspirazioni più profonde del cuore dell'uomo.

Egli, infatti, per edificare la propria vita ha bisogno di fondamenta solide, che rimangano anche quando le certezze umane vengono meno.

In realtà, poiché « per sempre, o Signore, la tua parola è stabile nei cieli » e la fedeltà del Signore dura « di generazione in generazione » ( Sal 119,89-90 ), chi costruisce su questa Parola edifica la casa della propria vita sulla roccia ( cfr Mt 7,24 ).

Che il nostro cuore possa dire ogni giorno a Dio: « Tu sei mio rifugio e mio scudo: spero nella Tua parola » ( Sal 119,114 ) e come san Pietro possiamo agire ogni giorno affidandoci al Signore Gesù: « sulla Tua parola getterò le reti » ( Lc 5,5 ).

Cristologia della Parola

11. Da questo sguardo alla realtà come opera della santissima Trinità, mediante il Verbo divino, possiamo comprendere le parole dell'autore della Lettera agli Ebrei: « Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo » ( Eb 1,1-2 ).

È molto bello osservare come già tutto l'Antico Testamento si presenti a noi come storia nella quale Dio comunica la sua Parola: infatti, « mediante l'alleanza stretta con Abramo ( cfr Gen 15,18 ), e per mezzo di Mosè col popolo d'Israele ( cfr Es 24,8 ), egli si rivelò, in parole e in atti, al popolo che così s'era acquistato, come l'unico Dio vivo e vero, in modo tale che Israele sperimentasse quale fosse il piano di Dio con gli uomini e, parlando Dio stesso per bocca dei profeti, lo comprendesse con sempre maggiore profondità e chiarezza e lo facesse conoscere con maggiore ampiezza alle genti ( cfr Sal 22,28-29; Sal 95,1-3; Is 2,1-4; Ger 3,17 ) ».32

Questa condiscendenza di Dio si compie in modo insuperabile nell'incarnazione del Verbo.

La Parola eterna che si esprime nella creazione e che si comunica nella storia della salvezza è diventata in Cristo un uomo, « nato da donna » ( Gal 4,4 ).

La Parola qui non si esprime innanzitutto in un discorso, in concetti o regole.

Qui siamo posti di fronte alla persona stessa di Gesù.

La sua storia unica e singolare è la Parola definitiva che Dio dice all'umanità.

Da qui si capisce perché « all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva ».33

Il rinnovarsi di questo incontro e di questa consapevolezza genera nel cuore dei credenti lo stupore per l'iniziativa divina che l'uomo con le proprie capacità razionali e la propria immaginazione non avrebbe mai potuto escogitare.

Si tratta di una novità inaudita e umanamente inconcepibile: « il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi » ( Gv 1,14a ).

Queste espressioni non indicano una figura retorica, ma un'esperienza vissuta!

A riferirla è san Giovanni, testimone oculare: « noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità » ( Gv 1,14b ).

La fede apostolica testimonia che la Parola eterna si è fatta Uno di noi.

La Parola divina si esprime davvero in parole umane.

12. La tradizione patristica e medievale, nel contemplare questa « Cristologia della Parola », ha utilizzato un'espressione suggestiva: il Verbo si è abbreviato.34

« I Padri della Chiesa, nella loro traduzione greca dell'Antico Testamento, trovavano una parola del profeta Isaia, che anche san Paolo cita per mostrare come le vie nuove di Dio fossero già preannunciate nell'Antico Testamento.

Lì si leggeva: "Dio ha reso breve la sua Parola, l'ha abbreviata" ( Is 10,23; Rm 9,28 ) …

Il Figlio stesso è la Parola, è il Logos: la Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia.

Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile ».35

Adesso, la Parola non solo è udibile, non solo possiede una voce, ora la Parola ha un volto, che dunque possiamo vedere: Gesù di Nazareth.36

Seguendo il racconto dei Vangeli, notiamo come la stessa umanità di Gesù si mostri in tutta la sua singolarità proprio in riferimento alla Parola di Dio.

Egli, infatti, realizza nella sua perfetta umanità la volontà del Padre istante per istante; Gesù ascolta la sua voce e vi obbedisce con tutto se stesso; egli conosce il Padre e osserva la sua parola ( cfr Gv 8,55 ); racconta a noi le cose del Padre ( cfr Gv 12,50 ); « le parole che hai dato a me io le ho date a loro » ( Gv 17,8 ).

Pertanto Gesù mostra di essere il Logos divino che si dona a noi, ma anche il nuovo Adamo, l'uomo vero, colui che compie in ogni istante non la propria volontà ma quella del Padre.

Egli « cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini » ( Lc 2,52 ).

In modo perfetto, ascolta, realizza in sé e comunica a noi la Parola divina ( cfr Lc 5,1 ).

La missione di Gesù trova infine il suo compimento nel Mistero Pasquale: qui siamo posti di fronte alla « Parola della croce » ( 1 Cor 1,18 ).

Il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale, poiché si è « detto » fino a tacere, non trattenendo nulla di ciò che ci doveva comunicare.

Suggestivamente i Padri della Chiesa, contemplando questo mistero, mettono sulle labbra della Madre di Dio questa espressione: « È senza parola la Parola del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita ».37

Qui ci è davvero comunicato l'amore « più grande », quello che dà la vita per i propri amici ( cfr Gv 15,13 ).

In questo grande mistero Gesù si manifesta come la Parola della Nuova ed Eterna Alleanza: la libertà di Dio e la libertà dell'uomo si sono definitivamente incontrate nella sua carne crocifissa, in un patto indissolubile, valido per sempre.

Gesù stesso nell'Ultima Cena, nell'istituzione dell'Eucaristia, aveva parlato di « Nuova ed Eterna Alleanza », stipulata nel suo sangue versato ( cfr Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22,20 ), mostrandosi come il vero Agnello immolato, nel quale si compie la definitiva liberazione dalla schiavitù.38

Nel mistero luminosissimo della risurrezione questo silenzio della Parola si manifesta nel suo significato autentico e definitivo.

Cristo, Parola di Dio incarnata, crocifissa e risorta, è Signore di tutte le cose; egli è il Vincitore, il Pantocrator, e tutte le cose sono così ricapitolate per sempre in Lui ( cfr Ef 1,10 ).

Cristo, dunque, è « la luce del mondo » ( Gv 8,12 ), quella luce che « splende nelle tenebre » ( Gv 1,5 ) e che le tenebre non hanno vinto ( cfr Gv 1,5 ).

Qui comprendiamo pienamente il significato del Salmo 119: « lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino » ( Sal 119,105 ); la Parola che risorge è questa luce definitiva sulla nostra strada.

I cristiani fin dall'inizio hanno avuto coscienza che in Cristo la Parola di Dio è presente come Persona.

La Parola di Dio è la vera luce di cui l'uomo ha bisogno.

Sì, nella risurrezione il Figlio di Dio è sorto come Luce del mondo.

Adesso, vivendo con Lui e per Lui, possiamo vivere nella luce.

13. Giunti, per così dire, al cuore della « Cristologia della Parola », è importante sottolineare l'unità del disegno divino nel Verbo incarnato: per questo il Nuovo Testamento ci presenta il Mistero Pasquale in accordo con le sacre Scritture, come loro intimo compimento.

San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, afferma che Gesù Cristo morì per i nostri peccati « secondo le Scritture » ( 1 Cor 15,3 ) e che è risorto il terzo giorno « secondo le Scritture » ( 1 Cor 15,4 ).

Con ciò l'Apostolo pone l'evento della morte e risurrezione del Signore in relazione alla storia dell'Antica Alleanza di Dio con il suo popolo.

Anzi, ci fa capire che tale storia riceve da esso la sua logica ed il suo vero significato.

Nel Mistero Pasquale si compiono « le parole della Scrittura, cioè, questa morte realizzata "secondo le Scritture" è un avvenimento che porta in sé un logos, una logica: la morte di Cristo testimonia che la Parola di Dio si è fatta sino in fondo "carne", "storia" umana ».39

Anche la risurrezione di Gesù avviene « il terzo giorno secondo le Scritture »: poiché secondo l'interpretazione giudaica la corruzione cominciava dopo il terzo giorno, la parola della Scrittura si adempie in Gesù che risorge prima che cominci la corruzione.

In tal modo san Paolo, tramandando fedelmente l'insegnamento degli Apostoli ( cfr 1 Cor 15,3 ), sottolinea che la vittoria di Cristo sulla morte avviene attraverso la potenza creatrice della Parola di Dio.

Questa potenza divina reca speranza e gioia: è questo in definitiva il contenuto liberatore della rivelazione pasquale.

Nella Pasqua, Dio rivela se stesso e la potenza dell'Amore trinitario che annienta le forze distruttrici del male e della morte.

Richiamando questi elementi essenziali della nostra fede, possiamo così contemplare la profonda unità tra creazione e nuova creazione e di tutta la storia della salvezza in Cristo.

Esprimendoci con un'immagine, possiamo paragonare il cosmo ad un « libro » – così diceva anche Galileo Galilei –, considerandolo come « l'opera di un Autore che si esprime mediante la "sinfonia" del creato.

All'interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un "assolo", un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che da esso dipende il significato dell'intera opera.

Questo "assolo" è Gesù …

Il Figlio dell'uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito.

È il centro del cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l'Autore e la sua opera ».40

Dimensione escatologica della Parola di Dio

14. Con tutto ciò la Chiesa esprime la consapevolezza di trovarsi con Gesù Cristo di fronte alla Parola definitiva di Dio; egli è « il Primo e l'Ultimo » ( Ap 1,17 ).

Egli ha dato alla creazione e alla storia il suo senso definitivo; per questo siamo chiamati a vivere il tempo, ad abitare la creazione di Dio dentro questo ritmo escatologico della Parola; « l'economia cristiana dunque, in quanto è l'Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun'altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr 1 Tm 6,14 e Tt 2,13 ) ».41

Infatti, come hanno ricordato i Padri durante il Sinodo, la « specificità del cristianesimo si manifesta nell'evento Gesù Cristo, culmine della Rivelazione, compimento delle promesse di Dio e mediatore dell'incontro tra l'uomo e Dio.

Egli "che ci ha rivelato Dio" ( Gv 1,18 ) è la Parola unica e definitiva consegnata all'umanità ».42

San Giovanni della Croce ha espresso questa verità in modo mirabile: « Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola e non ha più nulla da dire …

Infatti quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, l'ha detto tutto nel suo Figlio, donandoci questo tutto che è il suo Figlio.

Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e novità ».43

Di conseguenza, il Sinodo ha raccomandato di « aiutare i fedeli a distinguere bene la Parola di Dio dalle rivelazioni private »,44 il cui ruolo « non è quello … di "completare" la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica ».45

Il valore delle rivelazioni private è essenzialmente diverso dall'unica rivelazione pubblica: questa esige la nostra fede; in essa infatti per mezzo di parole umane e della mediazione della comunità vivente della Chiesa, Dio stesso parla a noi.

Il criterio per la verità di una rivelazione privata è il suo orientamento a Cristo stesso.

Quando essa ci allontana da Lui, allora essa non viene certamente dallo Spirito Santo, che ci guida all'interno del Vangelo e non fuori di esso.

La rivelazione privata è un aiuto per questa fede, e si manifesta come credibile proprio perché rimanda all'unica rivelazione pubblica.

Per questo l'approvazione ecclesiastica di una rivelazione privata indica essenzialmente che il relativo messaggio non contiene nulla che contrasti la fede ed i buoni costumi; è lecito renderlo pubblico, ed i fedeli sono autorizzati a dare ad esso in forma prudente la loro adesione.

Una rivelazione privata può introdurre nuovi accenti, fare emergere nuove forme di pietà o approfondirne di antiche.

Essa può avere un certo carattere profetico ( cfr 1 Ts 5,19-21 ) e può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell'ora attuale; perciò non lo si deve trascurare.

È un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso.

In ogni caso, deve trattarsi di un nutrimento della fede, della speranza e della carità, che sono per tutti la via permanente della salvezza.46

La Parola di Dio e lo Spirito Santo

15. Dopo esserci soffermati sulla Parola ultima e definitiva di Dio al mondo, è necessario richiamare ora la missione dello Spirito Santo in relazione alla divina Parola.

Infatti, non v'è alcuna comprensione autentica della Rivelazione cristiana al di fuori dell'azione del Paraclito.

Ciò dipende dal fatto che la comunicazione che Dio fa di se stesso implica sempre la relazione tra il Figlio e lo Spirito Santo, che Ireneo di Lione, infatti, chiama « le due mani del Padre ».47

Del resto, è la sacra Scrittura a indicarci la presenza dello Spirito Santo nella storia della salvezza ed in particolare nella vita di Gesù, il quale è concepito dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo ( cfr Mt 1,18; Lc 1,35 ); all'inizio della sua missione pubblica, sulle rive del Giordano, lo vede scendere su di sé in forma di colomba ( cfr Mt 3,16 ); in questo stesso Spirito Gesù agisce, parla ed esulta ( cfr Lc 10,21 ); ed è nello Spirito che egli offre se stesso ( cfr Eb 9,14 ).

Sul finire della sua missione, secondo il racconto dell'Evangelista Giovanni, è Gesù stesso a mettere in chiara relazione il dono della sua vita con l'invio dello Spirito ai suoi ( cfr Gv 16,7 ).

Gesù risorto, poi, portando nella sua carne i segni della passione, effonde lo Spirito ( cfr Gv 20,22 ), rendendo i suoi partecipi della sua stessa missione ( cfr Gv 20,21 ).

Lo Spirito Santo insegnerà ai discepoli ogni cosa e ricorderà loro tutto ciò che Cristo ha detto ( cfr Gv 14,26 ), poiché sarà Lui, lo Spirito di Verità ( cfr Gv 15,26 ), a condurre i discepoli alla Verità tutta intera ( cfr Gv 16,13 ).

Infine, come si legge negli Atti degli Apostoli, lo Spirito discende sui Dodici radunati in preghiera con Maria nel giorno di Pentecoste ( cfr At 2,1-4 ), e li anima alla missione di annunciare a tutti i popoli la Buona Novella.48

La Parola di Dio, dunque, si esprime in parole umane grazie all'opera dello Spirito Santo.

La missione del Figlio e quella dello Spirito Santo sono inseparabili e costituiscono un'unica economia della salvezza.

Lo stesso Spirito che agisce nell'incarnazione del Verbo nel seno della Vergine Maria, è il medesimo che guida Gesù lungo tutta la sua missione e che viene promesso ai discepoli.

Lo stesso Spirito, che ha parlato per mezzo dei profeti, sostiene e ispira la Chiesa nel compito di annunciare la Parola di Dio e nella predicazione degli Apostoli; è questo Spirito, infine, che ispira gli autori delle sacre Scritture.

16. Consapevoli di quest'orizzonte pneumatologico, i Padri sinodali hanno voluto richiamare l'importanza dell'azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa e nel cuore dei credenti in relazione alla sacra Scrittura:49 senza l'azione efficace dello « Spirito della Verità » ( Gv 14,16 ) non è dato di comprendere le parole del Signore.

Come ricorda ancora sant'Ireneo: « Quelli che non partecipano dello Spirito non attingono nel petto della loro madre ( la Chiesa ) il nutrimento della vita, essi non ricevono nulla dalla sorgente più pura che sgorga dal corpo di Cristo ».50

Come la Parola di Dio viene a noi nel corpo di Cristo, nel corpo eucaristico e nel corpo delle Scritture mediante l'azione dello Spirito Santo, così essa può essere accolta e compresa veramente solo grazie al medesimo Spirito.

I grandi scrittori della tradizione cristiana sono unanimi nel considerare il ruolo dello Spirito Santo nel rapporto che i credenti devono avere con le Scritture.

San Giovanni Crisostomo afferma che la Scrittura « ha bisogno della rivelazione dello Spirito, affinché scoprendo il vero senso delle cose che vi si trovano racchiuse, ne ricaviamo un abbondante profitto ».51

Anche san Girolamo è fermamente convinto che « non possiamo arrivare a comprendere la Scrittura senza l'aiuto dello Spirito Santo che l'ha ispirata ».52

San Gregorio Magno, poi, sottolinea suggestivamente l'opera del medesimo Spirito nella formazione e nell'interpretazione della Bibbia: « Egli stesso ha creato le parole dei santi testamenti, egli stesso le dischiuse ».53

Riccardo di san Vittore ricorda che occorrono « occhi di colomba », illuminati ed istruiti dallo Spirito, per comprendere il testo sacro.54

Vorrei sottolineare ancora quanto sia significativa la testimonianza che troviamo riguardo alla relazione tra lo Spirito Santo e la Scrittura nei testi liturgici, dove la Parola di Dio viene proclamata, ascoltata e spiegata ai fedeli.

È il caso di antiche preghiere che in forma di epiclesi invocano lo Spirito prima della proclamazione delle letture: « Manda il tuo Santo Spirito Paraclito nelle nostre anime e facci comprendere le Scritture da lui ispirate; e concedi a me di interpretarle in maniera degna, perché i fedeli qui radunati ne traggano profitto ».

Allo stesso modo, troviamo preghiere che, al termine dell'omelia, di nuovo invocano Dio per il dono dello Spirito sui fedeli: « Dio salvatore … t'imploriamo per questo popolo: manda su di esso lo Spirito Santo; il Signore Gesù venga a visitarlo, parli alle menti di tutti e disponga i cuori alla fede e conduca a te le nostre anime, Dio delle Misericordie ».55

Da tutto ciò possiamo ben capire perché non si possa arrivare a comprendere il senso della Parola se non si accoglie l'azione del Paraclito nella Chiesa e nei cuori dei credenti.

Tradizione e Scrittura

17. Riaffermando il profondo legame tra lo Spirito Santo e la Parola di Dio, abbiamo anche posto le basi per comprendere il senso ed il valore decisivo della viva Tradizione e delle sacre Scritture nella Chiesa.

Infatti, poiché Dio « ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito » ( Gv 3,16 ), la Parola divina, pronunciata nel tempo, si è donata e « consegnata » alla Chiesa in modo definitivo, cosicché l'annuncio della salvezza possa essere comunicato efficacemente in tutti i tempi e in tutti i luoghi.

Come ci ricorda la Costituzione dogmatica Dei Verbum, Gesù Cristo stesso « ordinò agli Apostoli che l'Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da Lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, comunicando ad essi i doni divini.

Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con Lui e guardandoLo agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello Spirito Santo, quanto da quegli Apostoli e da uomini della loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero per scritto il messaggio della salvezza ».56

Il Concilio Vaticano II ricorda, inoltre, come questa Tradizione di origine apostolica sia realtà viva e dinamica: essa « progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo »; non nel senso che essa muti nella sua verità, che è perenne.

Piuttosto « cresce … la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse », con la contemplazione e lo studio, con l'intelligenza data da una più profonda esperienza spirituale, e per mezzo della « predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità ».57

La viva Tradizione è essenziale affinché la Chiesa possa crescere nel tempo nella comprensione della verità rivelata nelle Scritture; infatti, « è questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture ».58

In definitiva, è la viva Tradizione della Chiesa a farci comprendere in modo adeguato la sacra Scrittura come Parola di Dio.

Sebbene il Verbo di Dio preceda ed ecceda la sacra Scrittura, tuttavia, in quanto ispirata da Dio, essa contiene la Parola divina ( cfr 2 Tm 3,16 ) « in modo del tutto singolare ».59

18. Da questo si evince come sia importante che il Popolo di Dio sia educato e formato in modo chiaro ad accostarsi alle sacre Scritture in relazione alla viva Tradizione della Chiesa, riconoscendo in esse la Parola stessa di Dio.

Far crescere questo atteggiamento nei fedeli è molto importante dal punto di vista della vita spirituale.

Può aiutare a questo proposito ricordare un'analogia sviluppata dai Padri della Chiesa tra il Verbo di Dio che si fa « carne » e la Parola che si fa « libro ».60

La Costituzione dogmatica Dei Verbum, raccogliendo quest'antica tradizione secondo la quale « il corpo del Figlio è la Scrittura a noi trasmessa » – come afferma sant'Ambrogio61 –, dichiara: « Le parole di Dio, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell'eterno Padre, avendo assunto le debolezze della natura umana, si fece simile agli uomini ».62

Così compresa, la sacra Scrittura si presenta a noi, pur nella molteplicità delle sue forme e dei suoi contenuti, come realtà unitaria.

Infatti, « Dio, attraverso tutte le parole della sacra Scrittura, non dice che una sola Parola, il suo unico Verbo, nel quale dice se stesso interamente ( cfr Eb 1,1-3 ) »,63 come già sant'Agostino affermava con chiarezza: « Ricordatevi che uno solo è il discorso di Dio che si sviluppa in tutta la sacra Scrittura ed uno solo è il Verbo che risuona sulla bocca di tutti gli scrittori santi ».64

In definitiva, mediante l'opera dello Spirito Santo e sotto la guida del Magistero, la Chiesa trasmette a tutte le generazioni quanto è stato rivelato in Cristo.

La Chiesa vive nella certezza che il suo Signore, il Quale ha parlato nel passato, non cessa di comunicare oggi la sua Parola nella Tradizione viva della Chiesa e nella sacra Scrittura.

Infatti, la Parola di Dio si dona a noi nella sacra Scrittura, quale testimonianza ispirata della Rivelazione, che con la viva Tradizione della Chiesa costituisce la regola suprema della fede.65

Sacra Scrittura, ispirazione e verità

19. Un concetto chiave per cogliere il testo sacro come Parola di Dio in parole umane è certamente quello dell'ispirazione.

Anche qui ci è possibile suggerire un'analogia: come il Verbo di Dio si è fatto carne per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, così la sacra Scrittura nasce dal grembo della Chiesa per opera del medesimo Spirito.

La sacra Scrittura è « Parola di Dio in quanto scritta per ispirazione dello Spirito di Dio ».66

In tal modo si riconosce tutta l'importanza dell'autore umano che ha scritto i testi ispirati e, al medesimo tempo, Dio stesso come vero autore.

Come hanno affermato i Padri sinodali, appare in tutta evidenza quanto il tema dell'ispirazione sia decisivo per l'adeguato accostamento alle Scritture e per la loro corretta ermeneutica,67 la quale a sua volta deve essere fatta nello stesso Spirito in cui è stata scritta.68

Quando si affievolisce in noi la consapevolezza dell'ispirazione, si rischia di leggere la Scrittura come oggetto di curiosità storica e non come opera dello Spirito Santo, nella quale possiamo sentire la stessa voce del Signore e conoscere la sua presenza nella storia.

Inoltre, i Padri sinodali hanno messo in evidenza come al tema dell'ispirazione sia connesso anche il tema della verità delle Scritture.69

Per questo, un approfondimento della dinamica dell'ispirazione porterà indubbiamente anche ad una maggior comprensione della verità contenuta nei libri sacri.

Come afferma la dottrina conciliare sul tema, i libri ispirati insegnano la verità: « Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità, che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre Lettere.

Infatti, "tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona" ( 2 Tm 3,16-17gr. ) ».70

Certamente la riflessione teologica ha sempre considerato ispirazione e verità come due concetti chiave per un'ermeneutica ecclesiale delle sacre Scritture.

Tuttavia, si deve riconoscere l'odierna necessità di un approfondimento adeguato di queste realtà, così da poter rispondere meglio alle esigenze riguardanti l'interpretazione dei testi sacri secondo la loro natura.

In tale prospettiva formulo il vivo auspicio che la ricerca in questo campo possa progredire e porti frutto per la scienza biblica e per la vita spirituale dei fedeli.

Dio Padre, fonte e origine della Parola

20. L'economia della Rivelazione ha il suo inizio e la sua origine in Dio Padre.

Dalla sua parola « furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera » ( Sal 33,6 ).

È Lui che fa « risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo » ( 2 Cor 4,6; cfr Mt 16,17; Lc 9,29 ).

Nel Figlio, « Logos fatto carne » ( cfr Gv 1,14 ), venuto a compiere la volontà di Colui che l'ha mandato ( cfr Gv 4,34 ), Dio fonte della Rivelazione si manifesta come Padre e porta a compimento l'educazione divina dell'uomo, già in precedenza animata dalle parole dei profeti e dalle meraviglie operate nella creazione e nella storia del suo popolo e di tutti gli uomini.

Il culmine della Rivelazione di Dio Padre è offerto dal Figlio con il dono del Paraclito ( cfr Gv 14,16 ), Spirito del Padre e del Figlio, che ci « guida a tutta la verità » ( Gv 16,13 ).

È così che tutte le promesse di Dio diventano « sì » in Gesù Cristo ( cfr 2 Cor 1,20 ).

In tale modo si apre per l'uomo la possibilità di percorrere la via che lo conduce al Padre ( cfr Gv 14,6 ), perché alla fine « Dio sia tutto in tutti » ( 1 Cor 15,28 ).

21. Come mostra la croce di Cristo, Dio parla anche per mezzo del suo silenzio.

Il silenzio di Dio, l'esperienza della lontananza dell'Onnipotente e Padre è tappa decisiva nel cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata.

Appeso al legno della croce, ha lamentato il dolore causatoGli da tale silenzio: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » ( Mc 15,34; Mt 27,46 ).

Procedendo nell'obbedienza fino all'estremo alito di vita, nell'oscurità della morte, Gesù ha invocato il Padre.

A Lui si è affidato nel momento del passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna: « Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito » ( Lc 23,46 ).

Questa esperienza di Gesù è indicativa della situazione dell'uomo che, dopo aver ascoltato e riconosciuto la Parola di Dio, deve misurarsi anche con il suo silenzio.

È un'esperienza vissuta da tanti santi e mistici, e che pure oggi entra nel cammino di molti credenti.

Il silenzio di Dio prolunga le sue precedenti parole.

In questi momenti oscuri Egli parla nel mistero del suo silenzio.

Pertanto, nella dinamica della Rivelazione cristiana, il silenzio appare come un'espressione importante della Parola di Dio.

La risposta dell'uomo al Dio che parla

Chiamati ad entrare nell'Alleanza con Dio

22. Sottolineando la pluriformità della Parola, abbiamo potuto contemplare attraverso quante modalità Dio parli e venga incontro all'uomo, facendosi conoscere nel dialogo.

Certo, come hanno affermato i Padri sinodali, « il dialogo quando è riferito alla Rivelazione comporta il primato della Parola di Dio rivolta all'uomo ».71

Il mistero dell'Alleanza esprime questa relazione tra Dio che chiama con la sua Parola e l'uomo che risponde, nella chiara consapevolezza che non si tratta di un incontro tra due contraenti alla pari; ciò che noi chiamiamo Antica e Nuova Alleanza non è un atto di intesa tra due parti uguali, ma puro dono di Dio.

Mediante questo dono del suo amore Egli, superando ogni distanza, ci rende veramente suoi « partner », così da realizzare il mistero nuziale dell'amore tra Cristo e la Chiesa.

In questa visione ogni uomo appare come il destinatario della Parola, interpellato e chiamato ad entrare in tale dialogo d'amore con una risposta libera.

Ciascuno di noi è reso così da Dio capace di ascoltare e rispondere alla divina Parola.

L'uomo è creato nella Parola e vive in essa; egli non può capire se stesso se non si apre a questo dialogo.

La Parola di Dio rivela la natura filiale e relazionale della nostra vita.

Siamo davvero chiamati per grazia a conformarci a Cristo, il Figlio del Padre, ed essere trasformati in Lui.

Dio ascolta l'uomo e risponde alle sue domande

23. In questo dialogo con Dio comprendiamo noi stessi e troviamo risposta alle domande più profonde che albergano nel nostro cuore.

La Parola di Dio, infatti, non si contrappone all'uomo, non mortifica i suoi desideri autentici, anzi li illumina, purificandoli e portandoli a compimento.

Come è importante per il nostro tempo scoprire che solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo!

Nella nostra epoca purtroppo si è diffusa, soprattutto in Occidente, l'idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi dell'uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere una minaccia alla sua autonomia.

In realtà, tutta l'economia della salvezza ci mostra che Dio parla ed interviene nella storia a favore dell'uomo e della sua salvezza integrale.

Quindi è decisivo, dal punto di vista pastorale, presentare la Parola di Dio nella sua capacità di dialogare con i problemi che l'uomo deve affrontare nella vita quotidiana.

Proprio Gesù si presenta a noi come colui che è venuto perché possiamo avere la vita in abbondanza ( cfr Gv 10,10 ).

Per questo, dobbiamo impiegare ogni sforzo per mostrare la Parola di Dio come apertura ai propri problemi, come risposta alle proprie domande, un allargamento dei propri valori ed insieme come una soddisfazione alle proprie aspirazioni.

La pastorale della Chiesa deve illustrare bene come Dio ascolti il bisogno dell'uomo ed il suo grido.

San Bonaventura afferma nel Breviloquium: « Il frutto della sacra Scrittura non è uno qualsiasi, ma addirittura la pienezza della felicità eterna.

Infatti la sacra Scrittura è appunto il libro nel quale sono scritte parole di vita eterna perché, non solo crediamo, ma anche possediamo la vita eterna, in cui vedremo, ameremo e saranno realizzati tutti i nostri desideri ».72

Dialogare con Dio mediante le sue parole

24. La divina Parola introduce ciascuno di noi al colloquio con il Signore: il Dio che parla ci insegna come noi possiamo parlare con Lui.

Il pensiero va spontaneamente al Libro dei Salmi, nel quale Egli ci dà le parole con cui possiamo rivolgerci a Lui, portare la nostra vita nel colloquio davanti a Lui, trasformando così la vita stessa in un movimento verso Dio.73

Nei Salmi infatti troviamo tutta la gamma articolata di sentimenti che l'uomo può provare nella propria esistenza e che vengono posti con sapienza davanti a Dio; gioia e dolore, angoscia e speranza, timore e trepidazione trovano qui espressione.

Insieme ai Salmi pensiamo anche ai numerosi altri testi della sacra Scrittura che esprimono il rivolgersi dell'uomo a Dio nella forma della preghiera di intercessione ( cfr Es 33,12-16 ), del canto di giubilo per la vittoria ( cfr Es 15 ), o di lamento nello svolgimento della propria missione ( cfr Ger 20,7-18 ).

In tal modo la parola che l'uomo rivolge a Dio diventa anch'essa Parola di Dio, a conferma del carattere dialogico di tutta la Rivelazione cristiana,74 e l'intera esistenza dell'uomo diviene un dialogo con Dio che parla ed ascolta, che chiama e mobilita la nostra vita.

La Parola di Dio rivela qui che tutta l'esistenza dell'uomo è sotto la chiamata divina.75

La Parola di Dio e la fede

25. « A Dio che si rivela è dovuta "l'obbedienza della fede" ( Rm 16,26; cfr Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6 ), con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestando "il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà a Dio che rivela" e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa ».76

Con queste parole la Costituzione dogmatica Dei Verbum ha espresso in modo preciso l'atteggiamento dell'uomo nei confronti di Dio.

La risposta propria dell'uomo al Dio che parla è la fede.

In ciò si evidenzia che « per accogliere la Rivelazione, l'uomo deve aprire la mente e il cuore all'azione dello Spirito Santo che gli fa capire la Parola di Dio presente nelle sacre Scritture ».77

In effetti è proprio la predicazione della divina Parola a far sorgere la fede, con la quale aderiamo di cuore alla verità rivelataci e affidiamo tutto noi stessi a Cristo: « la fede viene dall'ascolto e l'ascolto riguarda la parola di Cristo » ( Rm 10,17 ).

È tutta la storia della salvezza che in modo progressivo ci mostra questo intimo legame tra la Parola di Dio e la fede che si compie nell'incontro con Cristo.

Con Lui, infatti, la fede prende la forma dell'incontro con una Persona alla quale si affida la propria vita.

Cristo Gesù rimane presente oggi nella storia, nel suo corpo che è la Chiesa, per questo l'atto della nostra fede è un atto nello stesso tempo personale ed ecclesiale.

Il peccato come non ascolto della Parola di Dio

26. La Parola di Dio rivela inevitabilmente anche la possibilità drammatica da parte della libertà dell'uomo di sottrarsi a questo dialogo di alleanza con Dio per il quale siamo stati creati.

La divina Parola, infatti, svela anche il peccato che alberga nel cuore dell'uomo.

Molto spesso troviamo sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento la descrizione del peccato come non ascolto della Parola, come rottura dell'Alleanza e dunque come chiusura nei confronti di Dio che chiama alla comunione con Lui.78

In effetti, la sacra Scrittura ci mostra come il peccato dell'uomo sia essenzialmente disobbedienza e « non ascolto ».

Proprio l'obbedienza radicale di Gesù fino alla morte di Croce ( cfr Fil 2,8 ) smaschera fino in fondo questo peccato.

Nella sua obbedienza si compie la Nuova Alleanza tra Dio e l'uomo e viene donata a noi la possibilità della riconciliazione.

Gesù, infatti, è stato mandato dal Padre come vittima di espiazione per i nostri peccati e per quelli di tutto il mondo ( cfr 1 Gv 2,2; 1 Gv 4,10; Eb 7,27 ).

Così, ci viene offerta la possibilità misericordiosa della redenzione e l'inizio di una vita nuova in Cristo.

Per questo è importante che i fedeli siano educati a riconoscere la radice del peccato nel non ascolto della Parola del Signore e ad accogliere in Gesù, Verbo di Dio, il perdono che ci apre alla salvezza.

Maria « Mater Verbi Dei » e « Mater fidei »

27. I Padri sinodali hanno dichiarato che scopo fondamentale della XII Assemblea è stato di « rinnovare la fede della Chiesa nella Parola di Dio »; per questo è necessario guardare là dove la reciprocità tra Parola di Dio e fede si è compiuta perfettamente, ossia a Maria Vergine, « che con il suo sì alla Parola d'Alleanza e alla sua missione, compie perfettamente la vocazione divina dell'umanità ».79

La realtà umana, creata per mezzo del Verbo, trova la sua figura compiuta proprio nella fede obbediente di Maria.

Ella dall'Annunciazione alla Pentecoste si presenta a noi come donna totalmente disponibile alla volontà di Dio.

È l'Immacolata Concezione, colei che è « colmata di grazia » da Dio ( cfr Lc 1,28 ), docile in modo incondizionato alla Parola divina ( cfr Lc 1,38 ).

La sua fede obbediente plasma la sua esistenza in ogni istante di fronte all'iniziativa di Dio.

Vergine in ascolto, ella vive in piena sintonia con la divina Parola; serba nel suo cuore gli eventi del suo Figlio, componendoli come in un unico mosaico ( cfr Lc 2,19.51 ).80

È necessario nel nostro tempo che i fedeli vengano introdotti a scoprire meglio il legame tra Maria di Nazareth e l'ascolto credente della divina Parola.

Esorto anche gli studiosi ad approfondire maggiormente il rapporto tra mariologia e teologia della Parola.

Da ciò potrà venire grande beneficio sia per la vita spirituale che per gli studi teologici e biblici.

Infatti, quanto l'intelligenza della fede ha tematizzato in relazione a Maria si colloca nel centro più intimo della verità cristiana.

In realtà, l'incarnazione del Verbo non può essere pensata a prescindere dalla libertà di questa giovane donna che con il suo assenso coopera in modo decisivo all'ingresso dell'Eterno nel tempo.

Ella è la figura della Chiesa in ascolto della Parola di Dio che in lei si fa carne.

Maria è anche simbolo dell'apertura per Dio e per gli altri; ascolto attivo, che interiorizza, assimila, in cui la Parola diviene forma della vita.

28. In questa circostanza desidero richiamare l'attenzione sulla familiarità di Maria con la Parola di Dio.

Ciò risplende con particolare efficacia nel Magnificat.

Qui, in un certo senso, si vede come Ella si identifichi con la Parola, entri in essa; in questo meraviglioso cantico di fede la Vergine esalta il Signore con la sua stessa Parola: « Il Magnificat - un ritratto, per così dire, della sua anima - è interamente tessuto di fili della sacra Scrittura, di fili tratti dalla Parola di Dio.

Così si rivela che lei nella Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza.

Ella parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di Dio.

Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio.

Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata ».81

Inoltre, il riferimento alla Madre di Dio ci mostra come l'agire di Dio nel mondo coinvolga sempre la nostra libertà perché nella fede la Parola divina ci trasforma.

Anche la nostra azione apostolica e pastorale non potrà mai essere efficace se non impariamo da Maria a lasciarci plasmare dall'opera di Dio in noi: « L'attenzione devota e amorosa alla figura di Maria come modello e archetipo della fede della Chiesa, è di importanza capitale per operare anche oggi un concreto cambiamento di paradigma nel rapporto della Chiesa con la Parola, tanto nell'atteggiamento di ascolto orante quanto nella generosità dell'impegno per la missione e l'annuncio ».82

Contemplando nella Madre di Dio un'esistenza totalmente modellata dalla Parola, ci scopriamo anche noi chiamati ad entrare nel mistero della fede, mediante la quale Cristo viene a dimorare nella nostra vita.

Ogni cristiano che crede, ci ricorda sant'Ambrogio, in un certo senso, concepisce e genera il Verbo di Dio in se stesso: se c'è una sola Madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede, invece, Cristo è il frutto di tutti.83

Dunque, quanto è accaduto a Maria può riaccadere in ciascuno di noi ogni giorno nell'ascolto della Parola e nella celebrazione dei Sacramenti.

L'ermeneutica della sacra Scrittura nella Chiesa

La Chiesa luogo originario dell'ermeneutica della Bibbia

29. Un altro grande tema emerso durante il Sinodo, sul quale intendo ora richiamare l'attenzione, è l'interpretazione della sacra Scrittura nella Chiesa.

Proprio il legame intrinseco tra Parola e fede mette in evidenza che l'autentica ermeneutica della Bibbia non può che essere nella fede ecclesiale, che ha nel sì di Maria il suo paradigma.

San Bonaventura afferma a questo proposito che senza la fede non c'è chiave di accesso al testo sacro: « Questa è la conoscenza di Gesù Cristo, da cui hanno origine, come da una fonte, la sicurezza e l'intelligenza di tutta la sacra Scrittura.

Perciò è impossibile che uno possa addentrarsi a conoscerla, se prima non abbia la fede infusa di Cristo, che è lucerna, porta e anche fondamento di tutta la Scrittura ».84

E san Tommaso d'Aquino, menzionando sant'Agostino, insiste con forza: « Anche la lettera del vangelo uccide se manca l'interiore grazia della fede che sana ».85

Questo ci permette di richiamare un criterio fondamentale dell'ermeneutica biblica: il luogo originario dell'interpretazione scritturistica è la vita della Chiesa.

Questa affermazione non indica il riferimento ecclesiale come un criterio estrinseco cui gli esegeti devono piegarsi, ma è richiesta dalla realtà stessa delle Scritture e da come esse si sono formate nel tempo.

Infatti, « le tradizioni di fede formavano l'ambiente vitale in cui si è inserita l'attività letteraria degli autori della sacra Scrittura.

Questo inserimento comprendeva anche la partecipazione alla vita liturgica e all'attività esterna delle comunità, al loro mondo spirituale, alla loro cultura e alle peripezie del loro destino storico.

L'interpretazione della sacra Scrittura esige perciò, in modo simile, la partecipazione degli esegeti a tutta la vita e a tutta la fede della comunità credente del loro tempo ».86

Di conseguenza, « dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta »,87 occorre che gli esegeti, i teologi e tutto il Popolo di Dio si accostino ad essa per ciò che realmente è, quale Parola di Dio che si comunica a noi attraverso parole umane ( cfr 1 Tes 2,13 ).

Questo è un dato costante ed implicito nella Bibbia stessa: « nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio » ( 2 Pt 1,20-21 ).

Del resto, è proprio la fede della Chiesa che riconosce nella Bibbia la Parola di Dio; come dice mirabilmente sant'Agostino, « non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l'autorità della Chiesa cattolica ».88

È lo Spirito Santo, che anima la vita della Chiesa, a rendere capaci di interpretare autenticamente le Scritture.

La Bibbia è il libro della Chiesa e dalla sua immanenza nella vita ecclesiale scaturisce anche la sua vera ermeneutica.

30. San Girolamo ricorda che non possiamo mai da soli leggere la Scrittura.

Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell'errore.

La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo.

Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il « noi » nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire.89

Il grande studioso, per il quale « l'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo »,90 afferma che l'ecclesialità dell'interpretazione biblica non è un'esigenza imposta dall'esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la sacra Scrittura.

Un'autentica interpretazione della Bibbia deve essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica.

Così san Girolamo si rivolgeva ad un sacerdote: « Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono ».91

Approcci al testo sacro che prescindano dalla fede possono suggerire elementi interessanti, soffermandosi sulla struttura del testo e le sue forme; tuttavia, un tale tentativo sarebbe inevitabilmente solo preliminare e strutturalmente incompiuto.

Infatti, come è stato affermato dalla Pontificia Commissione Biblica, facendo eco ad un principio condiviso nell'ermeneutica moderna, « la giusta conoscenza del testo biblico è accessibile solo a colui che ha un'affinità vissuta con ciò di cui parla il testo ».92

Tutto questo mette in rilievo la relazione tra la vita spirituale e l'ermeneutica della Scrittura.

Infatti, « con la crescita della vita nello Spirito cresce anche, nel lettore, la comprensione delle realtà di cui parla il testo biblico ».93

L'intensità di un'autentica esperienza ecclesiale non può che incrementare un'intelligenza della fede autentica riguardo alla Parola di Dio; reciprocamente si deve dire che leggere nella fede le Scritture fa crescere la stessa vita ecclesiale.

Da qui possiamo cogliere in modo nuovo la nota affermazione di san Gregorio Magno: « le parole divine crescono insieme con chi le legge ».94

In questo modo l'ascolto della Parola di Dio introduce ed incrementa la comunione ecclesiale con quanti camminano nella fede.

« L'anima della sacra Teologia »

31. « Sia dunque lo studio delle Sacre Pagine come l'anima della Sacra Teologia »:95 questa espressione della Costituzione dogmatica Dei Verbum ci è diventata in questi anni sempre più familiare.

Possiamo dire che l'epoca successiva al Concilio Vaticano II, per quanto riguarda gli studi teologici ed esegetici, ha fatto frequente riferimento a quest'espressione come simbolo del rinnovato interesse per la sacra Scrittura.

Anche la XII Assemblea del Sinodo dei Vescovi si è spesso riferita a questa nota affermazione per indicare la relazione tra ricerca storica ed ermeneutica della fede in riferimento al testo sacro.

In questa prospettiva, i Padri hanno riconosciuto con gioia l'accresciuto studio della Parola di Dio nella Chiesa lungo gli ultimi decenni ed hanno espresso un vivo ringraziamento ai numerosi esegeti e teologi che con la loro dedizione, impegno e competenza hanno dato e danno un contributo essenziale all'approfondimento del senso delle Scritture, affrontando i problemi complessi che il nostro tempo pone alla ricerca biblica.96

Sentimenti di sincera gratitudine anche per i membri della Pontificia Commissione Biblica che si sono succeduti in questi anni e che, in stretto rapporto con la Congregazione per la Dottrina della Fede, continuano a dare il loro qualificato apporto nell'affrontare questioni peculiari inerenti allo studio della sacra Scrittura.

Il Sinodo ha sentito, inoltre, il bisogno di interrogarsi sullo stato degli attuali studi biblici e sul loro rilievo nell'ambito teologico.

Infatti, dal fecondo rapporto tra esegesi e teologia dipende gran parte dell'efficacia pastorale dell'azione della Chiesa e della vita spirituale dei fedeli.

Per questo ritengo importante riprendere talune riflessioni emerse nel confronto avuto su questo tema nei lavori del Sinodo.

Sviluppo della ricerca biblica e Magistero ecclesiale

32. Innanzitutto è necessario riconoscere il beneficio derivato nella vita della Chiesa dall'esegesi storico-critica e dagli altri metodi di analisi del testo sviluppati nei tempi recenti.97

Per la visione cattolica della sacra Scrittura l'attenzione a questi metodi è imprescindibile ed è legata al realismo dell'incarnazione: « Questa necessità è la conseguenza del principio cristiano formulato nel Vangelo secondo Giovanni 1,14: Verbum caro factum est.

Il fatto storico è una dimensione costitutiva della fede cristiana.

La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica ».98

Pertanto, lo studio della Bibbia esige la conoscenza e l'uso appropriato di questi metodi di indagine.

Se è vero che questa sensibilità nell'ambito degli studi si è sviluppata più intensamente nell'epoca moderna, benché non dappertutto in modo uguale, tuttavia, nella sana tradizione ecclesiale, vi è sempre stato amore per lo studio della « lettera ».

Basti qui ricordare la cultura monastica, cui dobbiamo ultimamente il fondamento della cultura europea, alla cui radice sta l'interesse per la parola.

Il desiderio di Dio include l'amore per la parola in tutte le sue dimensioni: « poiché nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di esprimersi.

Così, proprio a causa della ricerca di Dio, diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua ».99

33. Il Magistero vivo della Chiesa, al quale spetta « d'interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta o trasmessa »,100 è intervenuto con sapiente equilibro in relazione alla giusta posizione da avere di fronte all'introduzione dei nuovi metodi di analisi storica.

Mi riferisco in particolare alle encicliche Providentissimus Deus di Papa Leone XIII e Divino afflante Spiritu di Papa Pio XII.

Fu il mio venerabile predecessore Giovanni Paolo II a ricordare l'importanza di questi documenti per l'esegesi e la teologia in occasione della celebrazione rispettivamente del centenario e cinquantenario della loro promulgazione.101

L'intervento di Papa Leone XIII ebbe il merito di proteggere l'interpretazione cattolica della Bibbia dagli attacchi del razionalismo, senza però rifugiarsi in un senso spirituale staccato dalla storia.

Non rifuggendo la critica scientifica, si diffidava solamente « dalle opinioni preconcette che pretendono di fondarsi sulla scienza ma che in realtà fanno uscire subdolamente la scienza dal suo campo ».102

Il Papa Pio XII, invece, si trovava di fronte agli attacchi dei sostenitori di un'esegesi cosiddetta mistica che rifiutava qualsiasi approccio scientifico.

L'Enciclica Divino afflante Spiritu, con grande sensibilità, ha evitato di ingenerare l'idea di una dicotomia tra l'« esegesi scientifica » per l'uso apologetico e l'« interpretazione spirituale riservata all'uso interno », affermando invece sia la « portata teologica del senso letterale metodicamente definito », sia l'appartenenza della « determinazione del senso spirituale … al campo della scienza esegetica ».103

In tal modo entrambi i documenti rifiutano « la rottura tra l'umano e il divino, tra la ricerca scientifica e lo sguardo della fede, fra il senso letterale e il senso spirituale ».104

Questo equilibrio è stato poi espresso successivamente nel documento della Pontificia Commissione Biblica del 1993: « Nel loro lavoro di interpretazione, gli esegeti cattolici non devono mai dimenticare che ciò che interpretano è la parola di Dio.

Il loro compito non finisce una volta che hanno distinto le fonti, definito le forme o spiegato i procedimenti letterari.

Lo scopo del loro lavoro è raggiunto solo quando hanno chiarito il significato del testo biblico come Parola attuale di Dio ».105

L'ermeneutica biblica conciliare: un'indicazione da recepire

34. Dato questo orizzonte, si possono apprezzare maggiormente i grandi principi dell'interpretazione propri dell'esegesi cattolica espressi dal Concilio Vaticano II, particolarmente nella Costituzione dogmatica Dei Verbum: « Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che Egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole ».106

Da una parte il Concilio sottolinea come elementi fondamentali per cogliere il significato inteso dall'agiografo lo studio dei generi letterari e la contestualizzazione.

Dall'altra, dovendo la Scrittura essere interpretata nello stesso Spirito nel quale è stata scritta, la Costituzione dogmatica indica tre criteri di base per tenere conto della dimensione divina della Bibbia:

1) interpretare il testo considerando l'unità di tutta la Scrittura; questo oggi si chiama esegesi canonica;

2) tenere presente la Tradizione viva di tutta la Chiesa; e, infine,

3) osservare l'analogia della fede.

« Solo dove i due livelli metodologici, quello storico-critico e quello teologico, sono osservati, si può parlare di una esegesi teologica – di una esegesi adeguata a questo Libro ».107

I Padri sinodali hanno affermato giustamente che il frutto positivo apportato dall'uso della ricerca storico-critica moderna è innegabile.

Tuttavia, mentre l'attuale esegesi accademica, anche cattolica, lavora ad alto livello per quanto riguarda la metodologia storico-critica, anche con le sue più recenti integrazioni, è doveroso esigere un analogo studio della dimensione teologica dei testi biblici, affinché progredisca l'approfondimento secondo i tre elementi indicati dalla Costituzione dogmatica Dei Verbum.108

Il pericolo del dualismo e l'ermeneutica secolarizzata

35. A questo proposito, occorre segnalare il grave rischio oggi di un dualismo che si ingenera nell'accostare le sacre Scritture.

Infatti, distinguendo i due livelli dell'approccio biblico non si intende affatto separarli, né contrapporli, né meramente giustapporli.

Essi si danno solo in reciprocità.

Purtroppo, non di rado un'improduttiva separazione tra essi ingenera un'estraneità tra esegesi e teologia, che « avviene anche ai livelli accademici più alti ».109

Vorrei qui richiamare le conseguenze più preoccupanti che vanno evitate.

a) Innanzitutto, se l'attività esegetica si riduce solo al primo livello, allora la stessa Scrittura diviene un testo solo del passato: « Si possono trarre da esso conseguenze morali, si può imparare la storia, ma il Libro come tale parla solo del passato e l'esegesi non è più realmente teologica, ma diventa pura storiografia, storia della letteratura ».110

È chiaro che in una tale riduzione non si può in alcun modo comprendere l'evento della Rivelazione di Dio mediante la sua Parola che si trasmette a noi nella viva Tradizione e nella Scrittura.

b) La mancanza di un'ermeneutica della fede nei confronti della Scrittura non si configura poi unicamente nei termini di un'assenza; al suo posto inevitabilmente subentra un'altra ermeneutica, un'ermeneutica secolarizzata, positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che il Divino non appare nella storia umana.

Secondo questa ermeneutica, quando sembra che vi sia un elemento divino, lo si deve spiegare in altro modo e ridurre tutto all'elemento umano.

Di conseguenza, si propongono interpretazioni che negano la storicità degli elementi divini.111

c) Una tale posizione non può che produrre danno alla vita della Chiesa, stendendo un dubbio su misteri fondamentali del cristianesimo e sul loro valore storico, come ad esempio l'istituzione dell'Eucaristia e la risurrezione di Cristo.

Così, infatti, si impone un'ermeneutica filosofica che nega la possibilità dell'ingresso e della presenza del Divino nella storia.

L'assunzione di tale ermeneutica all'interno degli studi teologici introduce inevitabilmente un pesante dualismo tra l'esegesi, che si attesta unicamente sul primo livello, e la teologia, che si apre alla deriva di una spiritualizzazione del senso delle Scritture non rispettosa del carattere storico della Rivelazione.

Tutto ciò non può che risultare negativo anche per la vita spirituale e l'attività pastorale; « la conseguenza dell'assenza del secondo livello metodologico è che si è creato un profondo fossato tra esegesi scientifica e lectio divina.

Proprio di qui scaturisce a volte una forma di perplessità anche nella preparazione delle omelie ».112

Si deve inoltre segnalare che tale dualismo produce a volte incertezza e poca solidità nel cammino formativo intellettuale anche di alcuni candidati ai ministeri ecclesiali.113

In definitiva, « dove l'esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere l'anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento ».114

Pertanto è necessario tornare risolutamente a considerare con più attenzione le indicazioni date dalla Costituzione dogmatica Dei Verbum a questo proposito.

Fede e ragione nell'approccio alla Scrittura

36. Credo possa costituire un contributo ad una più completa comprensione dell'esegesi e, dunque, del suo rapporto con l'intera teologia quanto scritto dal Papa Giovanni Paolo II nell'Enciclica Fides et ratio a questo riguardo.

Infatti egli affermava che non è da sottovalutare « il pericolo insito nel voler derivare la verità della sacra Scrittura dall'applicazione di una sola metodologia, dimenticando la necessità di una esegesi più ampia che consenta di accedere, insieme con tutta la Chiesa, al senso pieno dei testi.

Quanti si dedicano allo studio delle sacre Scritture devono sempre tener presente che le diverse metodologie ermeneutiche hanno anch'esse alla base una concezione filosofica: occorre vagliarla con discernimento prima di applicarla ai testi sacri ».115

Questa riflessione lungimirante ci permette di osservare come nell'approccio ermeneutico alla sacra Scrittura si giochi inevitabilmente il corretto rapporto tra fede e ragione.

Infatti, l'ermeneutica secolarizzata della sacra Scrittura è posta in atto da una ragione che strutturalmente vuole precludersi la possibilità che Dio entri nella vita degli uomini e che parli agli uomini in parole umane.

Anche in questo caso, pertanto, è necessario invitare ad allargare gli spazi della propria razionalità.116

Per questo nell'utilizzazione dei metodi di analisi storica si dovrà evitare di assumere, là dove si presentano, criteri che pregiudizialmente si chiudono alla rivelazione di Dio nella vita degli uomini.

L'unità dei due livelli del lavoro interpretativo della sacra Scrittura presuppone, in definitiva, un'armonia tra la fede e la ragione.

Da una parte, occorre una fede che mantenendo un adeguato rapporto con la retta ragione non degeneri mai in fideismo, il quale nei confronti della Scrittura diverrebbe fautore di letture fondamentaliste.

Dall'altra parte, è necessaria una ragione che indagando gli elementi storici presenti nella Bibbia si mostri aperta e non rifiuti aprioristicamente tutto ciò che eccede la propria misura.

D'altronde, la religione del Logos incarnato non potrà che mostrarsi profondamente ragionevole all'uomo che sinceramente cerca la verità e il senso ultimo della propria vita e della storia.

Senso letterale e senso spirituale

37. Un significativo contributo al recupero di un'adeguata ermeneutica della Scrittura, come è stato affermato nell'Assemblea sinodale, proviene anche da un rinnovato ascolto dei Padri della Chiesa e del loro approccio esegetico.117

In effetti, i Padri della Chiesa ci mostrano ancora oggi una teologia di grande valore perché nel suo centro sta lo studio della sacra Scrittura nella sua integralità.

Infatti, i Padri sono in primo luogo ed essenzialmente dei « commentatori della sacra Scrittura ».118

Il loro esempio può « insegnare agli esegeti moderni un approccio veramente religioso della sacra Scrittura, come anche un'interpretazione che s'attiene costantemente al criterio di comunione con l'esperienza della Chiesa, la quale cammina attraverso la storia sotto la guida dello Spirito Santo ».119

Pur non conoscendo, ovviamente, le risorse di ordine filologico e storico che sono a disposizione dell'esegesi moderna, la tradizione patristica e medioevale sapeva riconoscere i diversi sensi della Scrittura ad iniziare da quello letterale, quello, cioè, « significato dalle parole della Scrittura e trovato attraverso l'esegesi che segue le regole della retta interpretazione ».120

Ad esempio, san Tommaso d'Aquino afferma: « tutti i sensi della sacra Scrittura si basano su quello letterale ».121

Bisogna, però, ricordare che al tempo patristico e medioevale ogni forma di esegesi, anche quella letterale, veniva fatta sulla base della fede e non vi era necessariamente distinzione tra senso letterale e senso spirituale.

Si ricordi a questo proposito il classico distico che rappresenta la relazione tra i diversi sensi della Scrittura:

« Littera gesta docet, quid credas allegoria, Moralis quid agas, quo tendas anagogia.

La lettera insegna i fatti, l'allegoria che cosa credere, Il senso morale che cosa fare, e l'anagogia dove tendere ».122

Qui notiamo l'unità e l'articolazione tra senso letterale e senso spirituale, il quale a sua volta si suddivide in tre sensi, con cui vengono descritti i contenuti della fede, della morale e della tensione escatologica.

In definitiva, riconoscendo il valore e la necessità, pur con i suoi limiti, del metodo storico-critico, dall'esegesi patristica impariamo che « si è fedeli all'intenzionalità dei testi biblici solo nella misura in cui si cerca di ritrovare, nel cuore della loro formulazione, la realtà di fede che essi esprimono e se si collega questa realtà con l'esperienza credente del nostro mondo ».123

Solo in questa prospettiva si può riconoscere che la Parola di Dio è viva e si rivolge a ciascuno nel presente della nostra vita.

In tal senso rimane pienamente valida l'affermazione della Pontificia Commissione Biblica che definisce il senso spirituale secondo la fede cristiana, come « il senso espresso dai testi biblici quando vengono letti sotto l'influsso dello Spirito Santo nel contesto del mistero pasquale di Cristo e della vita nuova che ne risulta.

Questo contesto esiste effettivamente.

Il Nuovo Testamento riconosce in esso il compimento delle Scritture.

È perciò normale rileggere le Scritture alla luce di questo nuovo contesto, quello della vita nello Spirito ».124

Il necessario trascendimento della « lettera »

38. Nel recupero dell'articolazione tra i diversi sensi scritturistici diventa allora decisivo cogliere il passaggio tra lettera e spirito.

Non si tratta di un passaggio automatico e spontaneo; occorre piuttosto un trascendimento della lettera: « la Parola di Dio stesso, infatti, non è mai presente già nella semplice letteralità del testo.

Per raggiungerla occorre un trascendimento e un processo di comprensione, che si lascia guidare dal movimento interiore dell'insieme e perciò deve diventare anche un processo di vita ».125

Scopriamo così perché un processo interpretativo autentico non è mai solo intellettuale, ma anche vitale, in cui è richiesto il pieno coinvolgimento nella vita ecclesiale, quale vita « secondo lo Spirito » ( Gal 5,16 ).

In tal modo diventano più chiari i criteri messi in evidenza dal numero 12 della Costituzione dogmatica Dei Verbum: un tale trascendimento non può avvenire nel singolo frammento letterario se non in rapporto con la totalità della Scrittura.

Infatti è un'unica Parola quella verso la quale siamo chiamati a trascendere.

Tale processo possiede un'intima drammaticità, poiché, nel processo di trascendimento, il passaggio che avviene in forza dello Spirito ha inevitabilmente a che fare anche con la libertà di ciascuno.

San Paolo ha vissuto pienamente nella propria esistenza questo passaggio.

Che cosa significhi il trascendimento della lettera e la sua comprensione unicamente a partire dall'insieme, egli l'ha espresso in modo radicale nella frase: « la lettera uccide, lo Spirito invece dà vita » ( 2 Cor 3,6 ).

San Paolo scopre che lo « Spirito liberatore ha un nome e che la libertà ha quindi una misura interiore: "Il Signore è lo Spirito, e dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà" ( 2 Cor 3,17 ).

Lo Spirito liberatore non è semplicemente la propria idea, la visione personale di chi interpreta.

Lo Spirito è Cristo, e Cristo è il Signore che ci indica la strada ».126

Sappiamo come anche per sant'Agostino questo passaggio fu nello stesso tempo drammatico e liberante; egli credette alle Scritture, che gli apparivano in un primo tempo così differenziate in se stesse ed a volte piene di grossolanità, proprio per questo trascendimento che egli imparò da sant'Ambrogio mediante l'interpretazione tipologica, per cui tutto l'Antico Testamento è un cammino verso Gesù Cristo.

Per sant'Agostino il trascendimento dalla lettera ha reso credibile la lettera stessa e gli ha permesso di trovare finalmente la risposta alle profonde inquietudini del proprio animo, assetato della verità.127

L'unità intrinseca della Bibbia

39. Alla scuola della grande tradizione della Chiesa impariamo a cogliere nel passaggio dalla lettera allo spirito anche l'unità di tutta la Scrittura, poiché unica è la Parola di Dio che interpella la nostra vita chiamandola costantemente alla conversione.128

Rimangono per noi una guida sicura le espressioni di Ugo di San Vittore: « Tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e quest'unico libro è Cristo, parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento ».129

Certamente, la Bibbia, vista sotto l'aspetto puramente storico o letterario, non è semplicemente un libro, ma una raccolta di testi letterari, la cui composizione si estende lungo più di un millennio e i cui singoli libri non sono facilmente riconoscibili come appartenenti ad un'unità interiore; esistono invece tensioni visibili tra di essi.

Ciò vale già all'interno della Bibbia di Israele, che noi cristiani chiamiamo l'Antico Testamento.

Vale tanto più quando noi, come cristiani, colleghiamo il Nuovo Testamento e i suoi scritti, quasi come chiave ermeneutica, con la Bibbia di Israele, interpretandola così come via verso Cristo.

Nel Nuovo Testamento, generalmente non si usa il termine « la Scrittura » ( cfr Rm 4,3; 1 Pt 2,6 ), ma « le Scritture » ( cfr Mt 21,43; Gv 5,39; Rm 1,2; 2 Pt 3,16 ), che, tuttavia, nel loro insieme vengono poi considerate come l'unica Parola di Dio rivolta a noi.130

Con ciò appare chiaramente come sia la persona di Cristo a dare unità a tutte le « Scritture » in relazione all'unica « Parola ».

In tal modo si comprende quanto affermato nel numero 12 della Costituzione dogmatica Dei Verbum, indicando l'unità interna di tutta la Bibbia come criterio decisivo per una corretta ermeneutica della fede.

Il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento

40. Nella prospettiva dell'unità delle Scritture in Cristo, è necessario sia per i teologi che per i Pastori essere consapevoli delle relazioni tra l'Antico e il Nuovo Testamento.

Innanzitutto è evidente che il Nuovo Testamento stesso riconosce l'Antico Testamento come Parola di Dio e pertanto accoglie l'autorità delle sacre Scritture del popolo ebraico.131

Le riconosce implicitamente adoperando lo stesso linguaggio e accennando spesso a brani di queste Scritture.

Le riconosce esplicitamente, perché ne cita molte parti e se ne serve per argomentare.

Un'argomentazione basata sui testi dell'Antico Testamento costituisce così, nel Nuovo Testamento, un valore decisivo, superiore a quello di ragionamenti semplicemente umani.

Nel quarto Vangelo Gesù dichiara in proposito che « la Scrittura non può essere annullata » ( Gv 10,35 ) e san Paolo precisa in particolare che la rivelazione dell'Antico Testamento continua a valere per noi cristiani ( cfr Rm 15,4; 1 Cor 10,11 ).132

Inoltre affermiamo che « Gesù di Nazareth è stato un ebreo e la Terra Santa è terra madre della Chiesa »;133 la radice del Cristianesimo si trova nell'Antico Testamento e il Cristianesimo si nutre sempre a questa radice.

Pertanto, la sana dottrina cristiana ha sempre rifiutato ogni forma di marcionismo ricorrente, che tende, in modi diversi, a contrapporre l'Antico e il Nuovo Testamento.134

Inoltre, il Nuovo Testamento stesso si afferma conforme all'Antico e proclama che nel mistero della vita, morte e risurrezione di Cristo le sacre Scritture del popolo ebraico hanno trovato il loro perfetto adempimento.

Bisogna però osservare che il concetto di adempimento delle Scritture è complesso, perché comporta una triplice dimensione: un aspetto fondamentale di continuità con la rivelazione dell'Antico Testamento, un aspetto di rottura e un aspetto di compimento e superamento.

Il mistero di Cristo sta in continuità d'intenzione con il culto sacrificale dell'Antico Testamento; si è attuato però in modo molto differente, che corrisponde a parecchi oracoli dei profeti, e ha raggiunto così una perfezione mai ottenuta prima.

L'Antico Testamento, infatti, è pieno di tensioni tra i suoi aspetti istituzionali e i suoi aspetti profetici.

Il mistero pasquale di Cristo è pienamente conforme – in un modo però che era imprevedibile – alle profezie e all'aspetto prefigurativo delle Scritture; tuttavia, presenta evidenti aspetti di discontinuità rispetto alle istituzioni dell'Antico Testamento.

41. Queste considerazioni mostrano così l'importanza insostituibile dell'Antico Testamento per i cristiani, ma nello stesso tempo evidenziano l'originalità della lettura cristologica.

Fin dai tempi apostolici e poi nella Tradizione viva, la Chiesa ha messo in luce l'unità del piano divino nei due Testamenti grazie alla tipologia, che non ha carattere arbitrario ma è intrinseca agli eventi narrati dal testo sacro e pertanto riguarda tutta la Scrittura.

La tipologia « nelle opere di Dio dell'Antico Testamento ravvisa delle prefigurazioni di ciò che Dio, nella pienezza dei tempi, ha compiuto nella Persona del suo Figlio incarnato ».135

I cristiani, quindi, leggono l'Antico Testamento alla luce di Cristo morto e risorto.

Se la lettura tipologica rivela l'inesauribile contenuto dell'Antico Testamento in relazione al Nuovo, non deve tuttavia indurre a dimenticare che esso stesso conserva il valore suo proprio di Rivelazione che lo stesso nostro Signore ha riaffermato ( cfr Mc 12,29-31 ).

Pertanto, « anche il Nuovo Testamento esige d'essere letto alla luce dell'Antico.

La primitiva catechesi cristiana vi farà costantemente ricorso ( cfr 1 Cor 5,6-8; 1 Cor 10,1-11 ) ».136

Per questo motivo i Padri sinodali hanno affermato che « la comprensione ebraica della Bibbia può aiutare l'intelligenza e lo studio delle Scritture da parte dei cristiani ».137

« Il Nuovo Testamento è nascosto nell'Antico e l'Antico è manifesto nel Nuovo »,138 così si esprimeva con acuta saggezza sant'Agostino su questo tema.

È importante, dunque, che sia nella pastorale che nell'ambito accademico venga messa bene in evidenza la relazione intima tra i due Testamenti, ricordando con san Gregorio Magno che quanto « l'Antico Testamento ha promesso, il Nuovo Testamento l'ha fatto vedere; ciò che quello annunzia in maniera occulta, questo proclama apertamente come presente.

Perciò l'Antico Testamento è profezia del Nuovo Testamento; e il miglior commento dell'Antico Testamento è il Nuovo Testamento ».139

Le pagine « oscure » della Bibbia

42. Nel contesto della relazione tra Antico e Nuovo Testamento, il Sinodo ha affrontato anche il tema delle pagine della Bibbia, che risultano oscure e difficili per la violenza e le immoralità in esse talvolta contenute.

In relazione a ciò si deve tenere presente innanzitutto che la rivelazione biblica è profondamente radicata nella storia.

Il disegno di Dio vi si manifesta progressivamente e si attua lentamente attraverso tappe successive, malgrado la resistenza degli uomini.

Dio sceglie un popolo e ne opera pazientemente l'educazione.

La rivelazione si adatta al livello culturale e morale di epoche lontane e riferisce quindi fatti e usanze, ad esempio manovre fraudolente, interventi violenti, sterminio di popolazioni, senza denunciarne esplicitamente l'immoralità; il che si spiega dal contesto storico, ma può sorprendere il lettore moderno, soprattutto quando si dimenticano i tanti comportamenti « oscuri » che gli uomini hanno avuto sempre lungo i secoli, anche ai nostri giorni.

Nell'Antico Testamento, la predicazione dei profeti si erge vigorosamente contro ogni tipo d'ingiustizia e di violenza, collettiva o individuale, ed è così lo strumento dell'educazione data da Dio al suo popolo in preparazione al Vangelo.

Pertanto, sarebbe sbagliato non considerare quei brani della Scrittura che ci appaiono problematici.

Piuttosto, si deve essere consapevoli che la lettura di queste pagine richiede l'acquisizione di un'adeguata competenza, mediante una formazione che legga i testi nel loro contesto storico-letterario e nella prospettiva cristiana, che ha come chiave ermeneutica ultima « il Vangelo e il comandamento nuovo di Gesù Cristo compiuto nel mistero pasquale ».140

Perciò esorto gli studiosi e i Pastori ad aiutare tutti i fedeli ad accostarsi anche a queste pagine mediante una lettura che faccia scoprire il loro significato alla luce del mistero di Cristo.

Cristiani ed ebrei in riferimento alle sacre Scritture

43. Considerando le strette relazioni che legano il Nuovo Testamento all'Antico, viene spontaneo volgere ora l'attenzione al legame peculiare che ne deriva tra cristiani ed ebrei, un legame che non dovrebbe mai essere dimenticato.

Agli ebrei, il Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato: siete i « nostri "fratelli prediletti" nella fede di Abramo, nostro patriarca ».141

Certo, queste affermazioni non significano misconoscimento delle rotture affermate nel Nuovo Testamento nei confronti delle istituzioni dell'Antico Testamento e meno ancora dell'adempimento delle Scritture nel mistero di Gesù Cristo, riconosciuto Messia e Figlio di Dio.

Tuttavia, questa differenza profonda e radicale non implica affatto ostilità reciproca.

L'esempio di san Paolo ( cfr. Rm 9-11 ) dimostra, al contrario, che « un atteggiamento di rispetto, di stima e di amore per il popolo ebraico è il solo atteggiamento veramente cristiano in questa situazione che fa misteriosamente parte del disegno, totalmente positivo, di Dio ».142

San Paolo, infatti, afferma che gli Ebrei « quanto alla scelta di Dio, essi sono amati, a causa dei padri, infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! » ( Rm 11,28-29 ).

Inoltre, san Paolo usa la bella immagine dell'albero di olivo per descrivere le relazioni molto strette tra cristiani ed ebrei: la Chiesa dei Gentili è come un germoglio di olivo selvatico, innestato nell'albero di olivo buono che è il popolo dell'Alleanza ( cfr Rm 11,17-24 ).

Traiamo, quindi, il nostro nutrimento dalle medesime radici spirituali.

Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti della loro storia hanno avuto un rapporto teso, ma che adesso sono fermamente impegnati nella costruzione di ponti di amicizia duratura.143

Ebbe a dire ancora il Papa Giovanni Paolo II: « Abbiamo molto in comune.

Insieme possiamo fare molto per la pace, per la giustizia e per un mondo più fraterno e più umano ».144

Desidero riaffermare ancora una volta quanto prezioso sia per la Chiesa il dialogo con gli ebrei.

È bene che dove se ne veda l'opportunità si creino possibilità anche pubbliche di incontro e confronto che favoriscano l'incremento della conoscenza reciproca, della stima vicendevole e della collaborazione anche nello studio stesso delle sacre Scritture.

L'interpretazione fondamentalista della sacra Scrittura

44. L'attenzione che abbiamo voluto dare finora al tema dell'ermeneutica biblica nei suoi diversi aspetti ci permette di affrontare l'argomento, più volte emerso nel dibattito sinodale, dell'interpretazione fondamentalista della sacra Scrittura.145

Su questo tema la Pontificia Commissione Biblica nel documento L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa ha formulato indicazioni importanti.

In questo contesto vorrei richiamare l'attenzione soprattutto su quelle letture che non rispettano il testo sacro nella sua autentica natura, promovendo interpretazioni soggettivistiche ed arbitrarie.

Infatti, il « letteralismo » propugnato dalla lettura fondamentalista in realtà rappresenta un tradimento sia del senso letterale che spirituale, aprendo la strada a strumentalizzazioni di varia natura, diffondendo, ad esempio, interpretazioni antiecclesiali delle Scritture stesse.

L'aspetto problematico della « lettura fondamentalista è che, rifiutando di tener conto del carattere storico della rivelazione biblica, si rende incapace di accettare pienamente la verità della stessa Incarnazione.

Il fondamentalismo evita la stretta relazione del divino e dell'umano nei rapporti con Dio.

… Per questa ragione, tende a trattare il testo biblico come se fosse stato dettato parola per parola dallo Spirito e non arriva a riconoscere che la Parola di Dio è stata formulata in un linguaggio e una fraseologia condizionati da una data epoca ».146

Al contrario, il cristianesimo percepisce nelle parole la Parola, il Logos stesso, che estende il suo mistero attraverso tale molteplicità e la realtà di una storia umana.147

La vera risposta ad una lettura fondamentalista è: « la lettura credente della Sacra Scrittura ».

Questa lettura, « praticata fin dall'antichità nella Tradizione della Chiesa cerca la verità che salva per la vita del singolo fedele e per la Chiesa.

Questa lettura riconosce il valore storico della tradizione biblica.

È proprio per questo valore di testimonianza storica che essa vuole riscoprire il significato vivo delle Sacre Scritture destinate anche alla vita del credente di oggi »,148 senza ignorare, quindi, la mediazione umana del testo ispirato e i suoi generi letterari.

Dialogo tra Pastori, teologi ed esegeti

45. L'autentica ermeneutica della fede porta con sé alcune conseguenze importanti nell'ambito dell'attività pastorale della Chiesa.

Proprio i Padri sinodali a questo proposito hanno raccomandato, ad esempio, un rapporto più assiduo tra Pastori, esegeti e teologi.

È bene che le Conferenze Episcopali favoriscano questi incontri allo « scopo di promuovere una maggiore comunione nel servizio alla Parola di Dio ».149

Una tale cooperazione aiuterà tutti a svolgere meglio il proprio lavoro a beneficio di tutta la Chiesa.

Infatti, porsi nell'orizzonte del lavoro pastorale vuol dire, anche per gli studiosi, stare di fronte al testo sacro nella sua natura di comunicazione che il Signore fa agli uomini per la salvezza.

Pertanto, come ha affermato la Costituzione dogmatica Dei Verbum, si raccomanda che « gli esegeti cattolici poi, e gli altri cultori di Sacra Teologia, collaborando insieme con zelo, si adoperino affinché, sotto la vigilanza del Sacro Magistero, studino e spieghino con gli opportuni sussidi le divine Lettere, in modo che il più gran numero possibile di ministri della divina parola siano in grado di offrire con frutto al popolo di Dio l'alimento delle Scritture, che illumina la mente, corrobora le volontà e accende i cuori degli uomini all'amore di Dio ».150

Bibbia ed ecumenismo

46. Nella consapevolezza che la Chiesa ha il suo fondamento in Cristo, Verbo di Dio fatto carne, il Sinodo ha voluto sottolineare la centralità degli studi biblici nel dialogo ecumenico in vista della piena espressione dell'unità di tutti i credenti in Cristo.151

Nella Scrittura stessa, infatti, troviamo la preghiera vibrante di Gesù al Padre che i suoi discepoli siano una sola cosa affinché il mondo creda ( cfr Gv 17,21 ).

Tutto questo ci rafforza nel convincimento che ascoltare e meditare insieme le Scritture ci fa vivere una comunione reale, anche se non ancora piena;152 « l'ascolto comune delle Scritture spinge perciò al dialogo della carità e fa crescere quello della verità ».153

Infatti, ascoltare insieme la Parola di Dio, praticare la lectio divina della Bibbia, lasciarsi sorprendere dalla novità, che mai invecchia e mai si esaurisce, della Parola di Dio, superare la nostra sordità per quelle parole che non si accordano con le nostre opinioni o pregiudizi, ascoltare e studiare nella comunione dei credenti di tutti i tempi: tutto ciò costituisce un cammino da percorrere per raggiungere l'unità della fede, come risposta all'ascolto della Parola.154

Erano davvero illuminanti le parole del Concilio Vaticano II: « La sacra Scrittura nello stesso dialogo [ ecumenico ] costituisce l'eccellente strumento nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella unità, che il Salvatore offre a tutti gli uomini ».155

Pertanto è bene incrementare lo studio, il confronto e le celebrazioni ecumeniche della Parola di Dio, nel rispetto delle regole vigenti e delle diverse tradizioni.156

Queste celebrazioni giovano alla causa ecumenica e, quando vengono vissute nel loro vero significato, costituiscono momenti intensi di autentica preghiera in cui chiedere a Dio di affrettare il giorno sospirato in cui potremo tutti accostarci alla stessa mensa e bere all'unico calice.

Nella giusta e lodevole promozione di questi momenti, tuttavia, si faccia in modo che essi non vengano proposti ai fedeli in sostituzione della partecipazione alla Santa Messa per il precetto festivo.

In questo lavoro di studio e di preghiera riconosciamo con serenità anche quegli aspetti che chiedono di essere approfonditi e che ci vedono ancora distanti, come ad esempio la comprensione del soggetto autorevole dell'interpretazione nella Chiesa ed il ruolo decisivo del Magistero.157

Vorrei sottolineare, inoltre, quanto detto dai Padri sinodali circa l'importanza, in questo lavoro ecumenico, delle traduzioni della Bibbia nelle diverse lingue.

Sappiamo infatti che tradurre un testo non è mero lavoro meccanico, ma è in un certo senso parte del lavoro interpretativo.

A questo proposito, il Venerabile Giovanni Paolo II ha affermato: « Chi ricorda quanto abbiano influito sulle divisioni, specie in Occidente, i dibattiti attorno alla Scrittura, può comprendere quale notevole passo avanti rappresentino tali traduzioni comuni ».158

Perciò la promozione delle traduzioni comuni della Bibbia è parte del lavoro ecumenico.

Desidero qui ringraziare tutti coloro che sono impegnati in questo importante compito e incoraggiarli a proseguire nella loro opera.

Conseguenze sull'impostazione degli studi teologici

47. Un'altra conseguenza derivante da un'adeguata ermeneutica della fede riguarda la necessità di mostrarne le implicazioni circa la formazione esegetica e teologica, in particolare per coloro che sono candidati al sacerdozio.

Si deve fare in modo che lo studio della sacra Scrittura sia davvero l'anima della teologia in quanto in essa si riconosce la Parola di Dio, che si rivolge oggi al mondo, alla Chiesa e a ciascuno personalmente.

È importante che i criteri indicati dal numero 12 della Costituzione dogmatica Dei Verbum siano effettivamente presi in considerazione e fatti oggetto di approfondimento.

Si eviti di coltivare un concetto di ricerca scientifica che si ritenga neutrale nei confronti della Scrittura.

Perciò insieme allo studio delle lingue proprie in cui è stata scritta la Bibbia e dei metodi interpretativi adeguati, è necessario che gli studenti abbiano una profonda vita spirituale, così da capire che si può comprendere la Scrittura solo se la si vive.

In questa prospettiva raccomando che lo studio della Parola di Dio, trasmessa e scritta, avvenga sempre in profondo spirito ecclesiale, tenendo in debito conto, nella formazione accademica, gli interventi su queste tematiche da parte del Magistero, il quale « non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola ».159

Pertanto, si abbia cura che gli studi si svolgano nel riconoscimento che « la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre ».160

Auspico, pertanto, che, secondo l'insegnamento del Concilio Vaticano II, lo studio della Sacra Scrittura, letta nella comunione della Chiesa universale, sia realmente come l'anima dello studio teologico.161

I Santi e l'interpretazione della Scrittura

48. L'interpretazione della sacra Scrittura rimarrebbe incompiuta se non si mettesse in ascolto anche di chi ha vissuto veramente la Parola di Dio, ossia i Santi.162

Infatti, « viva lectio est vita bonorum ».163

L'interpretazione più profonda della Scrittura in effetti viene proprio da coloro che si sono lasciati plasmare dalla Parola di Dio, attraverso l'ascolto, la lettura e la meditazione assidua.

Non è certamente un caso che le grandi spiritualità che hanno segnato la storia della Chiesa siano sorte da un esplicito riferimento alla Scrittura.

Penso ad esempio a sant'Antonio Abate, mosso dall'ascolto delle parole di Cristo: « Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi! » ( Mt 19,21 ).164

Non meno suggestivo è san Basilio Magno che nell'opera Moralia si domanda: « Che cosa è proprio della fede?

Piena e indubbia certezza della verità delle parole ispirate da Dio … che cosa è proprio del fedele?

Il conformarsi con tale piena certezza al significato delle parole della Scrittura, e non osare togliere o aggiungere alcunché ».165

San Benedetto, nella sua Regola, rimanda alla Scrittura quale « norma rettissima per la vita dell'uomo ».166

San Francesco d'Assisi – scrive Tommaso da Celano – « udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tuniche … subito, esultante di Spirito Santo, esclamò: Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore! ».167

Santa Chiara d'Assisi ricalca appieno l'esperienza di san Francesco: « La forma di vita dell'Ordine delle Sorelle povere … è questo: osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo ».168

San Domenico di Guzman, poi, « dovunque si manifestava come un uomo evangelico, nelle parole come nelle opere »169 e tali voleva che fossero anche i suoi frati predicatori, « uomini evangelici ».170

Santa Teresa di Gesù, carmelitana, che nei suoi scritti continuamente ricorre ad immagini bibliche per spiegare la sua esperienza mistica, ricorda che Gesù stesso le rivela che « tutto il male del mondo deriva dal non conoscere chiaramente le verità della sacra Scrittura ».171

Santa Teresa di Gesù Bambino trova l'Amore come sua vocazione personale nello scrutare le Scritture, in particolare i capitoli 12 e 13 della Prima Lettera ai Corinti;172 è la stessa Santa a descrivere il fascino delle Scritture: « Appena getto lo sguardo sul Vangelo, subito respiro i profumi della vita di Gesù e so da che parte correre ».173

Ogni santo costituisce come un raggio di luce che scaturisce dalla Parola di Dio: così pensiamo inoltre a san Ignazio di Loyola nella sua ricerca della verità e nel discernimento spirituale; san Giovanni Bosco nella sua passione per l'educazione dei giovani; san Giovanni Maria Vianney nella sua coscienza della grandezza del sacerdozio come dono e compito; san Pio da Pietrelcina nel suo essere strumento della misericordia divina; san Josemaría Escrivá nella sua predicazione sulla chiamata universale alla santità; la beata Teresa di Calcutta, missionaria della Carità di Dio per gli ultimi; fino ai martiri del nazismo e del comunismo, rappresentati, da una parte, da santa Teresa Benedetta della Croce ( Edith Stein ), monaca carmelitana, e, dall'altra, dal beato Luigi Stepinac, cardinale arcivescovo di Zagabria.

49. La santità in rapporto alla Parola di Dio si iscrive così, in un certo modo, nella tradizione profetica, in cui la Parola di Dio prende a servizio la vita stessa del profeta.

In questo senso la santità nella Chiesa rappresenta un'ermeneutica della Scrittura dalla quale nessuno può prescindere.

Lo Spirito Santo che ha ispirato gli autori sacri è lo stesso che anima i Santi a dare la vita per il Vangelo.

Mettersi alla loro scuola costituisce una via sicura per intraprendere un'ermeneutica viva ed efficace della Parola di Dio.

Di questo legame tra Parola di Dio e santità abbiamo avuto testimonianza diretta durante la XII Assemblea del Sinodo, quando il 12 ottobre in piazza san Pietro si è svolta la canonizzazione di quattro nuovi Santi: il sacerdote Gaetano Errico, fondatore della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria; Madre Maria Bernarda Bütler, nata in Svizzera e missionaria in Ecuador e in Colombia; suor Alfonsa dell'Immacolata Concezione, prima santa canonizzata nata in India; la giovane laica ecuadoriana Narcisa di Gesù Martillo Morán.

Con la loro vita essi hanno dato testimonianza al mondo e alla Chiesa della perenne fecondità del Vangelo di Cristo.

Chiediamo al Signore che per l'intercessione di questi Santi, canonizzati proprio nei giorni dell'Assemblea sinodale sulla Parola di Dio, la nostra vita sia quel « terreno buono » in cui il divino Seminatore possa seminare la Parola perché porti in noi frutti di santità, « il trenta, il sessanta, il cento per uno » ( Mc 4,20 ).

Indice

14 Cfr Relatio ante disceptationem, I
15 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 2
16 Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est, 1 ( 25 dicembre 2005 )
17 Instrumentum laboris, 9
18 Credo Nicenocostantinopolitano
19 San Bernardo di Chiaravalle, Homilia super Missus est, IV, 11: PL 183, 86 B
20 Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 10
21 Cfr Propositio 3
22 Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa Dominus Iesus ( 6 agosto 2000 ), 13-15: AAS 92 ( 2000 ), 754-756
23 Cfr In Hexaemeron, XX,5: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 425-426; Breviloquium, I, 8: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 216-217
24 Itinerarium mentis in Deum, II, 12: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 302-303;
cfr Commentarius in librum Ecclesiastes, Cap. 1, vers. 11, Quaestiones II, 3: Opera Omnia, VI, Quaracchi 1891, p. 16
25 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 3;
cfr Conc. Ecum. Vat. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 2, De revelatione
26 Cfr Propositio 13
27 Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un'etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, Città del Vaticano 2009, n. 39
28 Cfr Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2
29 Cfr Pontificia Commissione Biblica, Bibbia e morale. Radici bibliche dell'agire cristiano (11 maggio 2008), Città del Vaticano 2008, n. 13, 32, 109
30 Cfr Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un'etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, Città del Vaticano 2009, n. 102
31 Cfr Benedetto XVI, Omelia durante l'Ora Terza all'inizio della I Congregazione Generale del Sinodo dei Vescovi ( 6 ottobre 2008 ): AAS 100 ( 2008 ), 758-761
32 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 14
33 Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est, 1 ( 25 dicembre 2005 )
34 « Ho Logos pachynetai ( o brachyne tai ) ». Cfr Origene, Peri Archon, I, 2, 8: SC 252, pp. 127-129
35 Benedetto XVI, Omelia nella solennità della Natività del Signore ( 24 dicembre 2006 ): AAS 99 ( 2007 ), 12
36 Cfr Messaggio finale, II, 4-6
37 Massimo il Confessore, La vita di Maria, n. 89: Testi mariani del primo millennio, 2, Roma 1989, p. 253
38 Cfr Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis, 9-10 ( 22 febbraio 2007 )
39 Benedetto XVI, Udienza Generale ( 15 aprile 2009 ): L'Osservatore Romano, 16 aprile 2009, p. 1
40 Id., Omelia nella solennità dell'Epifania ( 6 gennaio 2009 ): L'Osservatore Romano, 7-8 gennaio 2009, p. 8
41 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 4
42 Propositio 4
43 S. Giovanni della Croce, Salita al Monte Carmelo, II, 22
44 Propositio 47
45 Cat. Chiesa Cat. 67
46 Cfr Congregazione per la dottrina della fede, Il messaggio di Fatima ( 26 giugno 2000 ): Ench. Vat. 19, n. 974-1021
47 Adversus haereses, IV, 7, 4: PG 7, 992-993; V, 1, 3: PG 7, 1123; V, 6, 1: PG 7, 1137; V, 28, 4: PG 7, 1200
48 Cfr Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis, 12 ( 22 febbraio 2007 )
49 Cfr Propositio 5
50 Adversus haereses, III, 24, 1: PG 7, 966
51 Homiliae in Genesim, XXII, 1: PG 53, 175
52 Epistula 120, 10: CSEL 55, pp. 500-506
53 Homiliae in Ezechielem, I, VII, 17: CC 142, p. 94
54 « Oculi ergo devotae animae sunt columbarum quia sensus eius per Spiritum sanctum sunt illuminati et edocti, spiritualia sapientes …
Nunc quidem aperitur animae talis sensus, ut intellegat Scripturas »: Riccardo di San Vittore, Explicatio in Cantica canticorum, 15: PL 196, 450 B. D
55 Sacramentarium Serapionis II ( XX ): Didascalia et Constitutiones apostolorum, ed. F.X. Funk, II, Paderborn 1906, p. 161
56 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 7
57 Dei Verbum, 8
58 Dei Verbum, 8
59 Cfr Propositio 3
60 Cfr Messaggio finale, II, 5
61 Expositio Evangelii secundum Lucam 6, 33: PL 15, 1677
62 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 13
63 Cat. Chiesa Cat. 102.
Cfr anche Ruperto di Deutz, De operibus Spiritus Sancti, I, 6: SC 131, pp. 72-74
64 Enarrationes in Psalmos, 103, IV, 1: PL 37, 1378. Analoghe affermazioni in Origene, In Iohannem V, 5-6: SC 120, pp. 380-384
65 Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 21
66 Dei Verbum, 9
67 Cfr Propositiones 5.12
68 Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 12
69 Cfr Propositio 12
70 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 11
71 Propositio 4
72 Prol.: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 201-202
73 Cfr Benedetto XVI, Discorso agli uomini di cultura al « Collège des Bernardins » di Parigi ( 12 settembre 2008 ): AAS 100 ( 2008 ), 721-730
74 Cfr Propositio 4
75 Cfr Relatio post disceptationem, 12
76 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 5
77 Propositio 4
78 Ad esempio Dt 28,1-2.15.45; Dt 32,1; tra i profeti cfr Ger 7,22-28; Ez 2,8; Ez 3,10; Ez 6,3; Ez 13,2; fino agli ultimi: cfr Zac 3,8. Per san Paolo cfr Rm 10,14-18; 1 Tes 2,13
79 Propositio 55
80 Cfr Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis, 33 ( 22 febbraio 2007 )
81 Id., Lett. enc. Deus caritas est, 41 ( 25 dicembre 2005 )
82 Propositio 55
83 Cfr Expositio Evangelii secundum Lucam 2, 19: PL 15, 1559-1560
84 Breviloquium, Prol.: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 201-202
85 Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 106, art.2
86 Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa ( 15 aprile 1993 ), III, A, 3: Ench. Vat. 13, n. 3035
87 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 12
88 Contra epistolam Manichaei quam vocant fundamenti, V, 6
89 Cfr Benedetto XVI, Udienza Generale ( 14 novembre 2007 )
90 Commentariorum in Isaiam libri, Prol.: PL 24, 17
91 Epistula 52, 7: CSEL 54, p. 426
92 Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2988
93 bidem, II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2991
94 Homiliae in Ezechielem, I, VII, 8: PL 76, 843 D
95 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 24;
cfr Leone XIII, Lett. enc. Providentissimus Deus ( 18 novembre 1893 ), Pars II, sub fine;
Benedetto XV, Lett. enc. Spiritus Paraclitus ( 15 settembre 1920 ), Pars III
96 Cfr Propositio 26
97 Cfr Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa ( 15 aprile 1993 ), A-B: Ench. Vat. 13, n. 2846-3150
98 Benedetto XVI, Intervento nella XIV Congregazione Generale del Sinodo ( 14 ottobre 2008 ): Insegnamenti IV, 2 ( 2008 ), 492;
cfr Propositio 25
99 Id., Discorso agli uomini di cultura al « Collège des Bernardins » di Parigi ( 12 settembre 2008 ): AAS 100 ( 2008 ), 722-723
100 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 10
101 Cfr Giovanni Paolo II, Discorso in occasione del 100º anniversario della Providentissimus Deus e del 50º anniversario della Divino afflante Spiritu ( 23 aprile 1993 ): AAS 86 ( 1994 ), 232-243
102 Ibidem, n. 4: AAS 86 ( 1994 ), 235
103 Ibidem, n. 5: AAS 86 ( 1994 ), 235
104 bidem, n. 5: AAS 86 ( 1994 ), 236
105 Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), III, C, 1: Ench. Vat. 13, n. 3065
106 N. 12
107 Benedetto XVI, Intervento nella XIV Congregazione Generale del Sinodo ( 14 ottobre 2008 ): Insegnamenti IV, 2 (2008), 493;
cfr Propositio 25
108 Cfr Propositio 26
109 Propositio 27
110 Benedetto XVI, Intervento nella XIV Congregazione Generale del Sinodo ( 14 ottobre 2008 ): Insegnamenti IV, 2 (2008), 493;
cfr Propositio 26
111 Cfr ibidem
112 Ibidem
113 Cfr Propositio 27
114 Benedetto XVI, Intervento nella XIV Congregazione Generale del Sinodo ( 14 ottobre 2008 ): Insegnamenti IV, 2 (2008), 493-494
115 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Fides et ratio, 55 ( 14 settembre 1998 )
116 Cfr Benedetto XVI, Discorso al IV Convegno nazionale ecclesiale in Italia ( 19 ottobre 2006 ): AAS 98 (2006), 804-815
117 Cfr Propositio 6
118 Cfr S. Agostino, De libero arbitrio, III, XXI, 59;
De Trinitate, II, I, 2
119 Congregazione per l'Educazione Cattolica, Istr. Inspectis dierum ( 10 novembre 1989 ), 26: AAS 82 (1990), 618
120 Cat. Chiesa Cat. 116
121 Summa Theologiae, I, q. 1, art. 10, ad 1
122 Cat. Chiesa Cat. 118
123 Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa ( 15 aprile 1993 ), II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2987
124 Ibidem, II, B 2: Ench. Vat. 13, n. 3003
125 Benedetto XVI, Discorso agli uomini di cultura al « Collège des Bernardins » di Parigi ( 12 settembre 2008 ): AAS 100 (2008), 726
126 Ibidem.
127 Cfr Id., Udienza Generale ( 9 gennaio 2008 )
128 Cfr Propositio 29
129 De arca Noe, 2, 8: PL 176, 642 C-D
130 Cfr Benedetto XVI, Discorso agli uomini di cultura al « Collège des Bernardins » di Parigi ( 12 settembre 2008 ): AAS 100 (2008), 725
131 Cfr Propositio 10;
Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e Le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana ( 24 maggio 2001 ), 3-5: Ench. Vat. 20, n. 748-755
132 Cfr Cat. Chiesa Cat. 121-122
133 Propositio 52
134 Cfr Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana ( 24 maggio 2001 ), 19: Ench. Vat. 20, n. 799-801; Origene, Omelia sui Numeri 9, 4: SC 415, pp. 238-242
135 Cat. Chiesa Cat. 128
136 Cat. Chiesa Cat. 129
137 Propositio 52
138 Quaestiones in Heptateuchum, 2, 73: PL 34, 623
139 Homiliae in Ezechielem, I, VI, 15: PL 76, 836 B
140 Propositio 29
141 Giovanni Paolo II, Messaggio al Rabbino Capo di Roma ( 22 maggio 2004 ): Insegnamenti, XXVII, 1 (2004), 655
142 Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana ( 24 maggio 2001 ), 87: Ench. Vat. 20, n. 1150
143 Cfr Benedetto XVI, Discorso di congedo all'Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv ( 15 maggio 2009 ): Insegnamenti V, 1 (2009), 847-849
144 Giovanni Paolo II, Discorso ai Rabbini Capi di Israele ( 23 marzo 2000 ): Insegnamenti XXIII, 1 (2000), 434
145 Cfr Propositiones 46.47
146 Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa ( 15 aprile 1993 ), I, F: Ench. Vat. 13, n. 2974
147 Cfr Benedetto XVI, Discorso agli uomini di cultura al « Collège des Bernardins » di Parigi ( 12 settembre 2008 ): AAS 100 (2008), 726
148 Propositio 46
149 Propositio 28
150 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 23
151 Si ricorda, comunque, che, per quanto riguarda i cosiddetti Libri Deuterocanonici dell'Antico Testamento e la loro ispirazione, Cattolici e Ortodossi non hanno esattamente lo stesso canone biblico di Anglicani e Protestanti
152 Cfr Relatio post disceptationem, 36
153 Propositio 36
154 Cfr Benedetto XVI, Discorso all'XI Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi ( 25 gennaio 2007 ): AAS 99 (2007), 85-86
155 Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'Ecumenismo Unitatis redintegratio, 21
156 Cfr Propositio 36
157 Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 10
158 Lett. enc. Ut unum sint, 44 ( 25 maggio 1995 )
159 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 10
160 Dei Verbum, 10
161 Dei Verbum, 24
162 Cfr Propositio 22
163 S. Gregorio Magno, Moralia in Job XXIV, VIII, 16: PL 76, 295
164 Cfr S. Atanasio, Vita Antonii, II: PL 73, 127
165 Moralia, Regula LXXX, XXII: PG 31, 867
166 Regola, 73, 3: SC 182, p. 672
167 Tommaso da Celano, La vita prima di S. Francesco, IX, 22: FF 356
168 Regola, I, 1-2: FF 2750
169 B. Giordano da Sassonia, Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum, 104: Monumenta Fratrum Praedicatorum Historica, Roma 1935, 16, p. 75
170 Ordine dei Frati Predicatori, Prime Costituzioni o Consuetudines, II, XXXI
171 Vita 40, 1
172 Cfr Storia di una anima, Ms B 3r°
173 Ibidem, Ms C 35v°