Politica

IndiceA

Sommario

I. Aspetti teoretici:
1. Fede e politica:
a. Un rapporto dialettico,
b. Il contesto secolarizzato,
c. La "teologia politica";
2. Prospettive di una spiritualità politica:
a. Tensione escatologica,
b. Attenzione alla persona,
c. Impegno e contemplazione.
II. Aspetti operativi:
1. Soggetto dell'attività politica;
2. Natura e caratteri dell'attività politica;
3. Finalità dell'attività politica;
4. Struttura dell'attività politica;
5. Campo d'iniziativa dell'attività politica;
6. La spiritualità politica come problema cristiano.

I - Aspetti teoretici

L'attenzione della spiritualità cristiana alla dimensione "politica" dell'esistenza umana è venuta sviluppandosi attraverso una serie di stadi successivi, connessi sia con l'evolversi del significato antropologico e socio-culturale della politica, sia con il progresso della metodologia teologica.

Il fatto politico ha sempre occupato nella storia del cristianesimo una posizione rilevante, ma più nella prospettiva istituzionale, in quanto la chiesa era in passato considerata come una potenza politica autonoma e spesso in concorrenza con le altre potenze, che non nella prospettiva di un'analisi e di un'interpretazione del senso che la politica ha come luogo di autorealizzazione umana, e perciò di attuazione del disegno di salvezza cristiana.

Per questo il discorso politico veniva relegato, nel quadro della riflessione teologica, all'ambito dell'ecclesiologia e del diritto pubblico ecclesiastico, dove il problema di fondo era quello dei rapporti chiesa-stato; mentre si lasciava alla teologia morale il compito di delineare alcuni modelli di comportamento individuale da trasferire dentro l'attività politica, intesa come partecipazione alla costruzione della città terrestre.

La spiritualità che emergeva da questo modo di accostarsi alla problematica politica non poteva essere caratterizzata che da un accento individualistico e da un taglio prevalentemente negativo, perciò moralistico.

Si trattava, in altre parole, di una spiritualità dell'uomo politico, nella quale era dominante l'aspetto soggettivo ( opus operantis ) e veniva, di conseguenza, messo in ombra l'aspetto oggettivo ( opus operatum ), cioè il contenuto e il fine della politica.

A determinare questo tipo di approccio hanno senza dubbio contribuito la visione spiritualistica della salvezza ( salvezza dell'anima ), che nasceva da un'interpretazione negativa del mondo e della storia, e la concezione intimistica e privatizzata della vita cristiana, che si è sviluppata a partire dall'inizio dell'epoca moderna.

In questo contesto si spiega l'accentuazione dell'ideale monastico come modello quasi esclusivo di spiritualità cristiana: modello da riprodurre in tutti gli stati di vita, senza badare alle caratteristiche peculiari di ciascuna situazione, e perciò alle modalità diverse di incarnazione del messaggio evangelico.

1. Fede epolitica

Solo attorno agli anni '50 del nostro secolo inizia a farsi strada una riflessione tematica e positiva sulla realtà politica come uno degli ambiti entro i quali può e deve essere vissuta l'esistenza cristiana.

Le ragioni di tale svolta vanno ricercate, da una parte, nella presa di coscienza dell'essenziale "politicizzazione" della realtà, determinata dal progresso tecnologico e dal complessificarsi delle istituzioni, e, dall'altra, nell'acquisizione di una concezione comunitaria e storica dell'evento cristiano.

a. Un rapporto dialettico

Affiora così la necessità di una mediazione della fede nella politica considerata come luogo di autentica promozione umana.

Si intuisce cioè che, se fede e politica fossero tra loro estranee, si destoricizzerebbe il cristianesimo.

La verità cristiana infatti concerne gli uomini che vivono nella storia reale e che in essa e attraverso di essa maturano le loro scelte di liberazione.

Certo la fede ci assicura che il regno di Dio, cioè la liberazione integrale dell'uomo, verrà come dono del Padre in Cristo alla fine dei tempi.

Ma nello stesso tempo ci fa riconoscere che la storia ha un legame con tale regno; anzi in essa il regno si va già edificando.

In questo senso la fede, intervenendo al centro stesso della realtà politica, agisce come un potere critico e una sporgenza utopica.

« Nell'attesa di un regno nel quale l'umanità sia radicalmente rinnovata, la fede distingue, in ogni situazione umana interna alla storia, l'anticipazione prefigurativa di quella città del futuro assoluto, ma riconosce anche tutta la pesantezza che è ancora in essa.

Anzi la fede contesta decisamente la sufficienza della politica.

Indubbiamente la politica è totalizzante: in essa tutte le attività umane, anche quelle che talvolta vengono dette private, vengono riprese dal punto di vista della società che si sta facendo.

Ma il suo punto di vista non è unico.

Non è nemmeno ultimo, almeno rispetto alla fede che attende il regno dei cieli.

In ogni tappa della storia, anche in quella tappa ultima nella quale, ipoteticamente, l'umanità potrebbe aver raggiunto umanamente il proprio coronamento, la fede, se può rallegrarsi di vedere un qualche abbozzo, più o meno riuscito, di ciò che deve accadere, proclama anche che l'abbozzo non è la compiutezza.

Non soltanto perché in esso, eventualmente, potrebbe trovarsi dell'ingiustizia, della violenza o dell'odio - ciò che insomma nel linguaggio religioso si chiama peccato -; ma anche perché, più profondamente, la stessa giustizia umana, la pace e la fratellanza non sono ancora la fine, non sono ancora l'ultima tappa non storica della storia degli uomini, ma soltanto la penultima ».1

Si stabilisce in tal modo un rapporto dialettico tra fede e politica, che non possono identificarsi.

La fede interroga instancabilmente l'azione politica e l'azione politica interroga la fede, la risveglia e le fornisce, in un certo senso, la materia di cui deve nutrirsi.

b. Il contesto secolarizzato

L'esigenza di mediazione fede-politica avviene, d'altronde, in un momento storico nel quale, grazie al processo di secolarizzazione in atto,2 l'uomo pensa ormai che il campo della politica sia di sua competenza esclusiva e di suo dominio; che spetti soltanto a lui fare in modo che la società possa esistere umanamente.

Così mentre va affermandosi, da una parte, la non-neutralità del vangelo in ordine alla promozione umana globale, e perciò anche all'impegno politico, si afferma, dall'altra - e giustamente - la convinzione che l'analisi razionale, la quale consente di cogliere la situazione storica dell'umanità, non è una semplice deduzione operata sulla base del vangelo e delle sue esigenze.

La fede non fornisce al credente indicazioni precise: dovrà scoprirle e sceglierle da solo.

Al contrario, la fede gli ricorda la sua responsabilità di uomo adulto che, come tale, deve essere capace di fare delle scelte e di prendere delle decisioni.

La politica esige allora, per essere efficace, l'analisi delle forme esistenti di potere e delle forze economiche e sociali che operano in una determinata situazione, ma soprattutto l'intervento di un'istanza critica e l'elaborazione di un progetto alternativo che, per evitare il rischio dell'episodicità e della confusione, deve fare ricorso all'ideologia.

La presa di coscienza dell'autonomia e della laicità del fatto politico concorre in tal modo a liberare la presenza dei credenti e della chiesa nella politica dalla tentazione dell'integrismo e a far sì che si affermi, anche nell'ambito della comunità cristiana, un pluralismo di opzioni; anche se questo non significa che tutte si equivalgano o che siano tutte efficaci e significative.

D'altra parte « la garanzia dall'integrismo non è fuori della fede ma all'interno dell'esperienza stessa della fede.

Ciò che ha fatto assumere alla chiesa posizioni integriste non è l'aver impegnato la fede nella concretezza delle varie situazioni, ma nell'aver impegnato altre cose che la propria fede.

Per questo la prima condizione per il superamento dell'integrismo ci sembra essere quella di una ristrutturazione della vita della comunità nel senso di un'effettiva conversione alla logica della fede ».3

L'integrismo e il conseguente non rispetto della diversità delle scelte politiche dei credenti sono, infatti, il risultato della tentazione di ridurre il messaggio cristiano a un'ideologia sociale o ad un progetto politico concreto, o addirittura di fare della comunità cristiana una comunità sociologica che, come tale, si impegna direttamente nella storia ad elaborare soluzioni tecniche per la liberazione umana, ponendosi in alternativa con altri gruppi o movimenti storici.

È, in definitiva, l'espressione più radicale del rifiuto della irrinunciabile lezione della secolarizzazione, che postula il rispetto della "mondanità", nella sua originaria e strutturale autonomia.

c. La "teologia politica"

Un'ulteriore chiarificazione del rapporto fede-politica è venuta facendosi strada, nel periodo post-conciliare, in seguito all'esplosione della cosiddetta "teologia politica".4

Essa ha prodotto una svolta decisiva nell'ambito della ricerca teologica cristiana.

Si è, infatti, passati decisamente da una riflessione tematica e categoriale attorno al fatto politico, considerato come uno dei momenti dell'esistenza cristiana, ad un'assunzione trascendentale della politicizzazione della realtà come "luogo teologico", cioè come punto di partenza per una reinterpretazione globale del messaggio cristiano.

La teologia politica non è, infatti, soltanto « una disciplina teologica aggiuntiva che si occupa per principio di questioni della politica o della responsabilità etico-sociale dei credenti »,5 ma una vera e propria "ermeneutica politica".

Ciò non significa che « la teologia debba ora scambiare il suo oggetto materiale con quello della politologia; precisamente con lo stesso torto la passata generazione ha voluto falsamente attribuire alla teologia esistenziale un cambio di tema, sostenendo che essa parlerebbe "soltanto ancora" dell'uomo.

Non si tratta neanche di un programma politico concreto sviluppantesi dalla fede o di un'altra sorta di "vangelo sociale", nel quale la prassi fagocitava semplicemente la teoria.

Non esiste alcuna soluzione specificamente cristiana dei problemi mondiali, per la quale una teologia politica dovrebbe sviluppare la teoria.

La teologia politica è invece ermeneutica teologica, che, nella delimitazione rispetto ad una teologia ontologica, tiene aperto un orizzonte di interpretazione in cui la politica viene intesa come l'ambito comprensivo e decisivo, nel quale la verità cristiana debba diventare prassi ».6

La precomprensione da cui essa parte è la preoccupazione per la vita autentica di tutti gli uomini in termini di libertà, e dunque di liberazione.

Questo non significa che debba essere passata sotto silenzio la questione dell'esistenza singola oppure che essa venga messa da parte come non essenziale.

Ma soltanto che tale questione può ottenere una risposta sotto le condizioni sociali e nel contesto delle speranze politiche.

La soggettività entra come elemento di una più ampia comprensione sociale mediata politicamente, in quanto quest'ultima costituisce l'orizzonte fondamentale del discorso teologico, anche se tale precomprensione deve poi essere criticata e modificata nell'impatto con il messaggio della rivelazione.

Il presupposto di questa precomprensione "politica", in un contesto di mutazione e di mutabilità sociale come il nostro, è la critica dell'ideologia, non intesa come unico valido criterio della teologia, ma certamente come un correttivo necessario delle affermazioni teologiche, che vengono interrogate sulle loro implicazioni sociali per la maggior parte inconsce.

Se la critica dell'ideologia divenisse istanza, di fronte alla quale la teologia si dovesse giustificare, allora la società si trasformerebbe in criterio assoluto e la teologia dimostrerebbe la sua inutilità.

Ma la teologia politica si limita ad usare la critica dell'ideologia come un sussidio per liberare la sostanza dell'evangelo dalle sue deformazioni.

Essa diviene uno strumento dell'autocritica della teologia, con l'aiuto del quale il kerygma può liberarsi dalle fissazioni e dagli irrigidimenti sistematici distruttivi.

Così la teologia politica supera la teologia esistenziale, la quale applica il metodo storico-critico ai testi della rivelazione per determinare il Sitz im Leben, ma non lo utilizza per sottoporre a critiche le condizioni della propria precomprensione e le condizioni dell'autocomprensione che si determina dall'incontro con il vangelo.

Tale demitizzazione deve perciò essere integrata con la deideologicizzazione della storia della tradizione, della precomprensione e dell'auto comprensione.

Il problema ermeneutico fondamentale della teologia è allora quello del rapporto tra teoria e prassi, tra concezione della fede e azione sociale.

La comprensione della verità esige infatti l'attenzione alla prassi come suo luogo fondamentale.

« L'unità tra teoria e prassi contrassegna la verità, che è da produrre, e nel medesimo tempo il supremo criterio della ragione, in quanto nell'ambito dell'alienazione già dovrebbero essere chiamati razionali tutti gli sforzi che tendono a produrre la verità - la ragione è l'accesso alla verità futura ».7

In definitiva, quindi, le funzioni della teologia politica sono: critica dell'ideologia o progettazione di modelli di innovazione alla luce dello schema teoria-prassi apparso nel messaggio di Cristo, nel suo comportamento e soprattutto nella sua morte e risurrezione.

2. Prospettive di una spiritualità politica

Nel quadro delle riflessioni fatte, la spiritualità cristiana assume un'essenziale connotazione politica che la qualifica profondamente: diviene cioè essenzialmente "spiritualità politica".

Nel senso che l'impegno storico di liberazione umana, a tutti i livelli, è una dimensione fondamentale dell'esistenza spirituale del cristiano in qualsiasi stato di vita.

Come uomo infatti il cristiano deve prender parte allo sforzo di tutta l'umanità volto all'umanizzazione del mondo, senza pretendere di avere alcuna terapia definitiva o soluzioni da offrire, ma lottando in solidarietà con gli altri uomini.

Questo tanto più oggi, quanto più, crescendo le possibilità concrete di dominare il mondo e le sue inesauribili energie, la responsabilità umana raggiunge un livello più alto, perché le decisioni, positive o negative, si ripercuotono, in modo più esteso, sulla comunità umana attuale e futura.

Evidentemente ciò esige un grande sforzo d'immaginazione prospettica, che non deve essere tuttavia mai disgiunta da una sana razionalità.

« In nessuna altra epoca - ha scritto Paolo VI - l'appello all'immaginazione sociale è stato così esplicito come nella nostra.

Occorre dedicarvi sforzi di inventiva e capitali altrettanto ingenti come quelli impiegati negli armamenti o nelle imprese tecnologiche.

Se l'uomo si lascia superare e non prevede in tempo l'emergere delle nuove questioni sociali, queste diventeranno troppo gravi perché si possa sperare in una soluzione pacifica ».8

Ora la questione che rimane aperta è la seguente: è possibile rintracciare nel contesto dell'impegno politico, che riguarda tutti gli uomini, alcune linee o prospettive specifiche che qualificano la presenza del cristiano e che perciò connotano profondamente la sua esistenza spirituale?

E, se è possibile, quali ne sono i caratteri essenziali?

a. Tensione escatologica

È anzitutto importante sottolineare la funzione di sporgenza utopica [ v. Utopia ] che la dimensione escatologica della fede esercita nei confronti del fatto politico.

Senza dubbio la politica comporta l'utilizzazione dell'ideologia come strumento di analisi della realtà e di intervento su di essa.

Ma perché l'ideologia non diventi totalizzante e, in ultima analisi, totalitaria, è necessario che essa rimanga costantemente aperta ad un orizzonte utopico, al quale l'uomo debba potersi costantemente riferire.

L'escatologia ha appunto questo irrinunciabile compito, che essa assolve in nome del "non-ancora" della promessa di Dio, mai del tutto esauribile dentro la vicenda terrestre.

Questo significa che, per il cristiano, la politica non risolve in sé tutto l'umano, ne costituisce per, l'uomo la regola suprema.

Se è vero che tutto passa attraverso la mediazione politica - gli stessi rapporti interpersonali non ne sono esenti -, è anche vero che la politica non è tutto.

Il cristiano deve allora ritrovare un ruolo squisitamente profetico [ v. Contestazione profetica; Profeti ] nel senso d'una lettura della realtà secondo l'apertura di essa alla verità annunciata nella croce e nella risurrezione di Cristo.

In un certo senso, è proprio ciò che trascende la dimensione del politico comunemente inteso che costituisce per il credente la specificità della sua presenza storica: la gratuità, il perdono, la povertà di chi si dona radicalmente sull'esempio di Cristo.

I cristiani non hanno null'altro da dire e da testimoniare in proprio che questi valori, partecipando con gli altri uomini alla costruzione di un mondo diverso.

« Il vero profeta è, infatti, un povero e un impotente in senso evangelico, libero e spoglio, che non ha nulla da perdere, che mette al servizio degli altri la forza della sua energia morale, che annuncia una liberazione radicale, difende gli oppressi, critica ogni sistema e pronuncia parole che vengono fatte proprie da chi cerca la vera giustizia e fratellanza ».9

Come tale egli deve essere consapevole che il vangelo non è una metodica di emancipazione e che la povertà e la sofferenza non sono soltanto un oggetto da eliminare, bensì una realtà di cui farsi carico come il Servo sofferente.

In questo senso la testimonianza politica del cristiano deve diventare vita con i poveri, per un cammino di redenzione radicale che vive la fatica della liberazione nel possesso di una speranza che è già salvezza, anche se attraversata dalla lacerazione e dal gemito della creatura che attende e lotta.

b. Attenzione alla persona

In secondo luogo, il credente deve assumere l'analisi e la prassi storica in una sensibilità e in un gusto più profondo della persona: gusto e sensibilità che derivano dalla percezione di un "mistero" che è la storia di una Presenza che ha dato inizio alla storia della redenzione, la quale non è soltanto liberazione intesa come eliminazione di una schiavitù oggettiva e fuori di noi.

« La finalità trascendente del mondo verso Dio passa attraverso l'uomo.

Il mondo riceve dall'uomo il suo fine; per l'uomo, chiamato al dialogo di comunione personale con Dio, la creazione è ordinata al rapporto dell'uomo con Dio e resta integrata in esso…

La creazione tende a partecipare alla spiritualità dell'uomo, ad attuarla e ad esprimerla.

Nel più profondo di se stessa, aspira a passare da un "mondo-per-l'uomo" a un "mondo-dell'uomo", umanizzato e spiritualizzato dall'azione dell'uomo, elevato a compimento ed espressione del suo spirito ».10

Questa passione per l'uomo come persona, che non riduce la politica ad un processo strutturale anonimo, è, anzitutto, la conseguenza della dimensione escatologica della fede.

« Di fronte ai diversi sistemi politici - ha scritto J. B. Metz - oggi la chiesa deve incessantemente ripetere, in un modo critico e liberatore, che la storia, nel suo insieme, è soggetta alla "promessa escatologica" di Dio…

Con la sua "promessa escatologica", di fronte ad ogni concezione astratta del progresso e ad ogni ideale umanitario astratto, la chiesa fa crollare i tentativi di considerare l'individuo vivente nel momento attuale come un materiale o un mezzo nella costruzione di un avvenire tecnologico interamente pianificato.

Essa si erge contro il tentativo di non considerare l'individuo se non in funzione di un'evoluzione sociale diretta dalla tecnica ».11

Ma la radice ultima di questo atteggiamento e il modello di riferimento permanente è l'amore personale e universale di Dio, che si è definitivamente rivelato in Cristo come donazione totale di sé, e perciò come l'espressione più profonda del mistero trinitario.

Allora « l'amore come comunione cristiana non è più un principio astratto, ma la partecipazione ad un atto personale di Dio che ha il suo punto culminante in Cristo; di più nella sua profondità ha la stessa società trinitaria e nella sua ampiezza l'amore di Dio per il mondo intero ».12

c. Impegno e contemplazione

Infine, l'azione politica non ha senso per il cristiano se non è costantemente sorretta e mediata dalla contemplazione.

Il fondamento dell'impegno nel mondo è per il credente la contemplazione del mistero di Dio, cioè dell'impegno assoluto e dell'azione assoluta di Dio per il mondo.

In questa azione totale anche noi siamo già coinvolti, e quindi ad essa associati.

La prassi di Dio "urge" il cristiano alla prassi: dato che Egli ha offerto la sua vita per noi, anche noi dobbiamo offrire la nostra vita per i fratelli ( 1 Gv 3,16 ).

L'incontro-servizio con l'uomo, quando è autentico, è contemplativo, e fa del cristiano un contemplativo nell'azione [ v. Contemplazione ].

Ciò suppone evidentemente l'incontro con il Cristo nella preghiera come punto di partenza per una corretta impostazione del proprio essere nella storia; suppone l'accettazione del ( v. ) mistero pasquale come logica di vita; suppone soprattutto il confronto nella chiesa delle proprie posizioni politiche dinanzi alla ( v. ) parola di Dio e all' ( v. ) eucaristia, per alimentare, nella fede [ v. Credente ], il proprio sforzo di servizio all'uomo e alle sue più vere esigenze.

Tensione escatologica, passione per l'uomo come persona concreta e storica, dimensione contemplativa della vita sono i tre elementi irrinunciabili che devono qualificare l'impegno politico del cristiano e che costituiscono pertanto la struttura portante di un'autentica "spiritualità politica".

Nella misura in cui i credenti sapranno concretamente testimoniare questi valori, in fedeltà all'uomo e in comunione con quanti cercano la giustizia, la loro presenza nella storia non potrà non diventare un invito e una provocazione per rendere il mondo più fraterno e più umano.

II - Aspetti operativi

Spiritualità della politica è quell'attività interiore dello spirito umano che da un senso, quindi ne individua un fine, all'azione politica; è l'elevazione dell'attività politica, da pura esigenza di dare ordine e organizzazione alla vita associata mediante funzioni direttive o attraverso contributi spontanei, ad un livello di attività cui sono dati scopi che riguardano la qualità della vita, la fraternità, il servizio verso il prossimo, la strutturazione della società secondo criteri e forme che rendano facilmente risolvibili tutti i problemi esistenziali dei singoli e la loro promozione umana, intesa quest'ultima come aumento della capacità di intendere la propria vita, di individuare il proprio ruolo, di mettere a disposizione degli altri le proprie capacità, disponibilità e risorse e di migliorare la vita in generale.

La spiritualità politica ha un suo primo fondamento nella distinzione tra ideali politici e mezzi.

Questa distinzione è necessaria per evitare che una tensione spirituale sia di per se stessa ritenuta idonea ad esprimere azione efficiente anche se non accompagnata da competenza operativa; per non far assurgere a dignità di fine ciò che è solo mezzo; nello stesso tempo per integrare sul piano della spiritualità anche l'indispensabile dimensione strumentale di cui si compone una completa ed efficace attività politica.

Il carattere della spiritualità politica si definisce inoltre attraverso l'analisi e l'individuazione:

1. del soggetto dell'attività politica;

2. della natura e dei caratteri dell'attività stessa;

3. della sua finalità;

4. della sua struttura;

5. dei campi di iniziativa in cui si svolge;

6. dei problemi che hanno risvolti di carattere morale.

1. Soggetto dell'attività politica

Il concetto di attività politica, che ha dominato nel tempo la ricerca storica e filosofica ed è presente in certa misura ancora ai nostri giorni, tende a restringere il campo entro cui questa si attua, e merita il titolo, di attività di governo.

Secondo questo concetto il soggetto dell'attività politica sarebbe soltanto chi attende ad attività governativa e si interessa direttamente dello Stato, considerato come un ente che provvede ma che contemporaneamente sovrasta alla comunità che governa.

Durante il rinascimento l'indagine filosofica sull'attività politica cominciò a considerare tale quell'attività che consiste nel sapere vivere nella comunità degli uomini e che perciò fuoriesce dai limiti dell'impegno dei "politici" in senso stretto.

Ma tale ampliamento del campo dell'attività politica rimase limitato alla ricerca filosofica, per cui soggetto politico continuò ad essere considerato esclusivamente colui che si dedica alla pratica che riguarda lo Stato come ente e alla pratica di governo.

Furono le grandi rivoluzioni democratiche dei sec. XVIII e XIX e in particolare il fermento cristiano manifestatesi nei nostri tempi a richiedere una distinzione tra attività politica specifica - oggetto della scienza politica -, e politica come attività dello spirito, che è materia di ricerca della filosofia della politica e che, comprendendo l'attività politica nella sua interezza e verità e determinando la forma e il momento universale del fare dell'uomo, ha come soggetto tutti gli esseri umani in quanto membri della comunità.

Secondo la scienza politica sono fatti politici solo quelli che presentano i tratti dominanti dell'autorità, della sovranità e del potere, e sono soggetti della politica gli enti forniti di questi caratteri, cioè gli Stati, e gli individui che esplicano attività verso questi enti o in relazione ad essi.

Ma la filosofia della politica, sviluppando e completando tale concetto, dimostra che autorità, sovranità e potere - e lo Stato stesso in quanto definito e costituito da tali prerogative - sono presenti sempre in ogni individuo in quanto "socius", in quanto cioè concorrente con gli altri individui a intessere la vita di relazione in cui egli vive e si attua.

Lo Stato è un'istituzione creata dagli uomini e la stessa sua realtà è la realtà dei voleri degli individui che la rendono operativa ed effettiva.

Lo Stato è un processo di azioni individuali e storicamente condizionate.

Lo Stato, in altri termini, si risolve in azione politica.

Ma, da un punto di vista generale, "politica" è ogni azione individuale, perché politico, per sua natura, come ha spiegato Aristotele, è l'uomo, che nasce, vive e si sviluppa sempre in una comunità ( famiglia, tribù, città, Stato, ecc. ) e che da solo non può sussistere, e che perciò in ogni azione ed atto si determina con riferimento alla situazione storica che è appunto sociale e politica.

Carattere essenziale dell'azione umana è pertanto la politicità.

Che politico sia il carattere di ogni azione individuale umana è un fatto obiettivo che opera anche se l'individuo non assume il principio a livello di consapevolezza.

Il valore della politicità dell'azione umana assume però tutto il suo risalto quando è vissuto in interiore homine, quando è svelato alla coscienza, quando diventa un patrimonio dello spirito e quando la spiritualità dei singoli soggetti che operano politicamente riesce a permeare l'attività della comunità nel suo complesso.

Nelle società di oggi la spiritualità dell'attività umana come attività politica è in forte sviluppo per la crescita di consapevolezza della politicità dell'uomo, per lo sviluppo della partecipazione, per l'esigenza di dare al ruolo personale tutto il peso che gli tocca, per la sensibilità verso i problemi comunitari.

Per questo sono state messe in crisi le concezioni idealistiche e aristocratiche della società e le interpretazioni autoritarie e dittatoriali ( figlie e derivazioni di quelle ), anche se, nonostante questo progresso concettuale e pratico, molte delle società moderne sono ancora strutturate sulla base della distinzione tra chi è responsabile diretto dell'attività politica e chi riceve dai governanti i benefici ( veri o presunti ) di questa attività.

2. Natura e caratteri dell'attività politica

La natura e i caratteri dell'attività politica sono oggetto di un'indagine filosofica che abbraccia tutto l'arco della storia ed ha avuto come oggetto il rapporto fra politica e morale.

Le risposte sono state diverse, ma riguardano quasi esclusivamente, anche in questo caso, quell'attività politica che ha come protagonista l'uomo di Stato.

L'individuazione della natura e del carattere della politica, indispensabile per fondare la spiritualità dell'operatore politico, riguarda invece, in questa sede, quell'attività politica di cui è soggetto chi fa parte della comunità, a prescindere dalla qualità, dal livello e dalla presenza stessa di responsabilità ufficiali.

L'affermazione che la politica ha una peculiarità sua propria ha spesso portato l'indagine speculativa ad affermare che la politica è distinta dalla morale.

La strada aperta dal Machiavelli, che affermò il "proprio" della politica senza tuttavia negare che essa
debba essere sottoposta anche a regola morale, fu così percorsa malamente da interpreti successivi e prosecutori del suo pensiero, i quali giunsero ad affermare che il fine della politica deve essere perseguito secondo le regole della politica cui è estraneo il rapporto con la morale.

Il nodo del problema, tuttavia, oggi non sta più nell'affermare o meno la separazione della politica dalla morale.

Ormai, pur costatando che esiste una peculiarità dell'azione politica che ha sue regole e norme - corrispondenti in un certo modo all'aspetto tecnico e scientifico che è proprio anche di ogni attività umana - , nessuno oggi in sede speculativa oserebbe più negare che i fini della politica devono rispondere a regole morali, a quello che viene abitualmente definito bene comune.

Il vero nodo del problema è l'individuazione della regola morale che, dando il fine alla politica, rappresenti autenticamente il bene comune.

Su questa individuazione si scontrano le filosofie politiche e si determinano le deviazioni pericolose della separazione tra politica e morale e dell'identificazione tra politica e morale, errori che portano inesorabilmente agli Stati assolutisti che si autocostituiscono come fonte di morale sociale e spesso anche privata.

Una soluzione corretta del problema si ha affermando il "proprio" della politica, ma insieme affermando il suo collegamento con la morale e individuando il "momento umano" in cui deve intervenire la mediazione tra politica e morale.

Il punto nodale quindi è quello della mediazione, che non può essere lasciato allo Stato come espressione massima dell'attività politica organizzata ( per non cadere nella deviazione dello Stato etico ); ne a forze ideologiche, filosofiche e religiose estranee allo Stato ( per non dar vita a interferenze deformanti ); ne disorganicamente solo all'iniziativa dei singoli ( per non sfociare nell'anarchia ); ma deve essere il risultato di un armonico convergere di responsabilità personale degli individui, di stimoli e di impegni provenienti da movimenti religiosi, culturali, ideologici, di una funzione di salvaguardia delle libertà e di sintesi di tutti gli apporti esercitata dallo Stato e controllata democraticamente dalla società.

La mediazione tra politica e morale è la funzione spirituale svolta dall'operatore politico nell'armonia delle distinte responsabilità suddette.

Essa rappresenta da un lato la vera sorgente di spiritualità per l'attività politica, e dall'altra l'unica maniera corretta e costruttiva di risolvere nella pratica il ritornante conflitto tra politica e morale che ha trovato sinora soluzioni facili soltanto in sede teorica.

3. Finalità dell'attività politica

L'individuazione della finalità dell'attività politica passa attraverso la definizione degli ambiti della società politica e della società civile.

Il costituirsi dello Stato moderno, prima sotto la spinta democratica e egualitaria della rivoluzione francese, ma successivamente attraverso le realizzazioni operate da élites illuministiche o intellettualistiche di ispirazione hegeliana, è avvenuto attraverso un processo che ha creato lo Stato come un'entità astratta dalla società civile o addirittura come una proprietà appartenente a gruppi assolutistici-corporativi.

Questo fenomeno, che in forma diversa ha riprodotto il classismo feudale, ha costruito uno Stato come espressione astratta della società civile perché era espressione concreta, quindi politica, solo di quella parte minoritaria della società che, per censo o per "sapere", si era impossessata della struttura, ne aveva formato l'ossatura e la burocrazia e la regolava attraverso le leggi e i fini propri.

Si aveva cosi la distinzione o addirittura la separazione tra società politica e società civile.

Questo Stato amministrava di fatto un "cittadino astratto", in quanto ogni componente della società veniva valutato come oggetto sopra cui era posto lo Stato con i suoi poteri assolutistici ( re, burocrazia, apparati di potere ), e quindi considerato solo come fonte di doveri e non nei suoi problemi personali, concreti ed esistenziali, vale a dire come soggetto attivo e costitutivo al cui servizio lo Stato doveva invece essere posto.

Essenza dello Stato dell'800 è quindi la persona privata, mentre essenza dello Stato democratico, appoggiato sulla consapevole partecipazione di tutti i cittadini, sono appunto diventati i problemi singolari e concreti di ogni persona, alla cui soluzione deve tendere la struttura dello Stato.

Per questa ragione nello Stato democratico e partecipativo società civile e società politica coincidono.

Gli elementi formali che danno vita a questa coincidenza sono il suffragio universale, la valorizzazione ufficiale di tutti gli apporti spontanei, il moltiplicarsi di strutture organizzative autonome e periferiche che consentono la partecipazione responsabilizzata e attiva al "governo"; l'elemento sostanziale che anima questa coincidenza è l'interesse, che sempre più occupa il centro della pubblica attività, rappresentato dal bene comune, inteso come bene che riguarda in modo diretto e applicato ogni singola persona come soggetto di diritti oltre che di doveri.

4. Struttura dell'attività politica

L'attività politica si attua mediante l'affermazione di una volontà che, per realizzarsi, deve avere il potere di tradursi in fatto.

Il potere di realizzare o, più semplicemente, il "potere", rappresenta la struttura attraverso la quale acquista forma l'attività politica e con la quale essa si dà un significato, definendo la qualità del rapporto con il fine che vuole raggiungere.

L'atto politico è sempre un atto di potere, a qualunque livello venga compiuto.

È un potere quello del cittadino che compartecipa votando alle scelte della sua comunità, alla formazione delle istituzioni statuali ( parlamenti, governi ), e per questo si dice che il potere risiede nel popolo.

È un potere quello del cittadino che si autodisciplina nei costumi, negli atteggiamenti, nei rapporti, nei consumi, contribuendo a dare una fisionomia morale, un assetto economico, un orientamento politico alla comunità.

È un potere quello dei gruppi spontanei che esprimono una volontà e, manifestandosi attraverso una pressione di idee, coinvolgono i concittadini nella loro proposta, costringendo a ripensamenti e spesso a decisioni.

Dove però il potere più si rivela come struttura fondamentale dell'atto politico è in quelle istituzioni e in quelle fasi organizzative che, per funzione e per rappresentatività, concentrano in sé le maggiori possibilità di intervenire nel compiere le scelte che interessano la comunità e spesso nel modificare la
qualità delle regole e dell'organizzazione.

Lo Stato, con tutti i suoi apparati, è sempre stato considerato per antonomasia il momento più alto del potere, spesso addirittura l'unico momento, a seconda delle concezioni su cui la società è stata di tempo in tempo organizzata.

Il modo di concepire il potere pertanto caratterizza l'attività politica e rappresenta l'humus su cui la spiritualità di chi questa attività compie si qualifica e si definisce.

Le ragioni del potere affondano nello spirito dell'uomo con radici che alimentano la personalità stessa, e pertanto il rapporto con il potere, nascendo dall'atteggiamento personale di ogni individuo, è l'elemento che dà una qualificazione positiva o negativa all'attività politica.

Gli effetti dell'esercizio del potere, come strumento dell'attività politica, sono conseguentemente essi stessi positivi o negativi a seconda del significato che al potere assegnano gli operatori politici.

Effetti positivi si hanno quando l'attività politica è affrontata non soltanto con la necessaria competenza, ma anche con una visione del potere come strumento per cambiare l'ambiente, per modificare la qualità della vita umana, per creare premesse e condizioni di rapporti interpersonali che consentano a tutti gli individui la realizzazione della personalità.

Il potere e il suo esercizio in questo caso sono considerati una maniera di prestare servizio al prossimo in quanto sono l'unico mezzo che gli uomini hanno per sistemare la propria convivenza, per risolvere con una formula di mediazione i loro fondamentali contrasti, per ordinare l'attività a uno sviluppo costante e umano.

È questa l'unica interpretazione concettuale ed operativa che qualifichi l'esercizio del potere in senso umano, perché solo in questo modo sono possibili, per un verso, la dedizione altruistica e la tensione missionaria richieste dal potere, e per altro verso il contemporaneo e continuo distacco che deriva dalla consapevolezza che l'autorità con cui si esercita il potere risiede nel popolo delegante, dal quale non nasce solo il mandato di usare i mezzi, ma anche quello di interpretare i fini come vengono ricercati, elaborati ed indicati dal basso.

Solo con questa interpretazione del potere si possono dare anche risposte risolutive e soddisfacenti al problema del rapporto autorità-comunità, eliminando il rischio che l'autorità, che si accompagna all'esercizio del potere, venga concepita come una prerogativa personale ed esclusiva, ma venga invece esercitata e vissuta come un potere la cui origine e gestione risiedono nella comunità e nei singoli individui.

In questa prospettiva, inoltre, trovano possibilità di soluzione, o almeno possibili mediazioni, i ricorrenti conflitti storici che inevitabilmente esistono tra esigenza di libertà e necessità di autorità.

Vi è però un modo di esercitare il potere che, nascendo da distorte interpretazioni del rapporto società-autorità e da deviazioni psicologiche di singoli o collettive, è fuorviante per chi lo gestisce e produce effetti negativi per tutta la comunità sulla quale è esercitato.

Le deviazioni personali nascono dall'occulta capacità che il potere possiede di alimentare l'orgoglio e gli istinti di sopraffazione, spesso non umani, fino a condurre al tradimento della delega fiduciaria da cui nasce, alla ricerca violenta dell'autorità anche contro la volontà dei cittadini, all'esercizio della pubblica magistratura per interessi privati contro gli interessi generali e contro il bene comune.

La deformazione ideologica dell'esercizio del potere coinvolge spesso catastroficamente la società ed è fonte di contrasti storici.

Il potere, infatti, crea facilmente e per sua natura - qualora non siano forti le difese dello spirito - un'illusione di assolutezza e si difende con giustificazioni che assumono abito dottrinario e filosofico, che tendono a interpretare l'uomo globalmente e pretendono di risolvere il problema della sua felicità sostituendosi ai messaggi liberatori che non possono essere riassunti in uno strumento politico nemmeno indirettamente.

Una simile deviazione ideologica si verifica nelle società teocratiche, dove la religione è anche regola e strumento di governo; e ancor più gravemente si concreta in quella società e in quegli Stati dove, realizzatasi l'emancipazione della politica dalla religione, si è caduti poi nell'aberrazione di volere sostituire alla religione la politica, attribuendo in assoluto a questa il compito di assegnare i fini dell'uomo e della società, con la pretesa di consentire in esclusiva traguardi di felicità e di completa realizzazione umana.

5. Campo d'iniziativa dell'attività politica

Il campo peculiare in cui l'attività politica si svolge è in senso lato la società, con lo scopo di ottenere un'organizzazione idonea alla finalità e idealità che la società stessa si assegna; e, in modo particolare, sono le strutture o istituzioni di una tale organizzazione.

Le istituzioni rappresentano gli strumenti indispensabili per sostenere, nella società, un modello di convivenza, e nel contempo sono parte integrante del modello di società ed elementi fondamentali per la realizzazione dei valori ispiratori nel concreto dei rapporti interpersonali, interclassisti e intercomunitari.

Il modo di risolvere il rapporto tra valori e istituzioni, che più appropriatamente può indicarsi come il rapporto tra valori ideali e valori storici - dove i valori storici coincidono con le istituzioni -, sta alla base della attività politica e della sua assunzione a momento spirituale, che è significativo solo se corretta ed equilibrata è l'interpretazione di tale rapporto.

Gli errori in cui sono incorsi nel tempo, e ancora incorrono facilmente, gli operatori politici nell'interpretare e nel vivere questo rapporto - anche perché una meditazione speculativa su di esso è recente e quindi recente una sua assunzione a livello di coscienza -, sono due e di segno opposto.

L'uno è rappresentato dalla tendenza a fondare i valori che danno i connotati ad una società sulla preferenza del singolo, considerando questa preferenza come l'unica base concreta capace di dare un significato al valore.

In questo caso i valori sono relativizzati alle istituzioni storiche concrete che a volta a volta si costituiscono, e come valori storici vengono assunti a livello di indice assoluto ( od assorbente ) di riferimento dell'attività politica.

L'altro errore deriva dalla possibilità che l'affermazione di trascendenza dei valori ideali rispetto all'uomo determini delle deviazioni, qualora induca a porre il valore ideale in un sopramondo diviso dal nostro e sussistente per conto suo.

In realtà i valori ideali sono dentro l'uomo; lavorano profondamente nella sua intimità onde renderlo degno della loro importanza e onde renderlo determinante nella vita e nella storia.

Il valore ideale è valido nella misura in cui diventa un valore storico, realizzantesi in istituzioni, comportamenti e modi di essere conformi al grado di sviluppo della coscienza collettiva.

I valori "ideali", quali la giustizia, la libertà, la carità, la verità si disperdono e si distruggono sia nel caso che rimangano momenti trascendenti non concretati nella storia, sia nel caso che vengano considerati esclusivamente e quindi assolutisticamente in un modo d'essere storico, con tendenza alla loro fissazione piuttosto che alla loro evoluzione.

In entrambi i casi esiste un'identificazione tra valori ideali e valori storici, in altri termini tra valori e istituzioni, che apre la porta all'immobilismo, alla conservazione e spesso al fanatismo, ma in conclusione chiude l'attività politica alla comprensione stessa di quella particolare relazione che è il valore.

L'attività politica che si svolge al di fuori di questa problematica non può assurgere ad impegno spirituale, perché rimane un semplice muoversi meccanico capace al massimo di soddisfare ambizioni egoistiche od esibizioni senza scopo.

6. La spiritualità politica come problema del cristiano

Si può affermare che una spiritualità pervade l'attività di ogni individuo, che onestamente e vocazionalmente operi nel campo politico, a prescindere dalle motivazioni filosofiche o dalla presenza o meno di motivazioni religiose.

Lo "specifico" politico è, in quanto tale, eminentemente spirituale e creatore di spiritualità.

Anzi, se vissuto come umanesimo, cioè come attività che ha per destinazione l'uomo ( ogni uomo ) e la sua felicità, può creare una tensione religiosa anche in chi rifiuta la formale adesione a una religione.

Una fede religiosa ha certo il potere di aggiungere a questa base "umana e laica" di spiritualità un "più" significativo, che è tanto maggiore quanto più il messaggio religioso che muove e ispira è fondato sull'amore e chiede una realizzazione piena dell'essere attraverso la donazione agli altri ( cioè attraverso un atto sublimemente "politico" o, meglio, attraverso l'atto che più di ogni altro è compiutamente politico, essendo la "polis" l'associazione di quegli "altri" a cui si destina la propria attività e dedizione ).

Il messaggio cristiano rappresenta in questo senso un culmine spirituale anche per l'attività politica; anzi, considerando da un versante diverso il problema, diventa una vetta di spiritualità quando trasforma in atto "politico" tutte le varie forme in cui può essere vissuta la fede.

L'oggetto della fede religiosa e dell'attività politica coincidono, avendo entrambi come proprio scopo ed effetto la liberazione dell'uomo da ogni legame che limiti il compimento della destinazione terrena intrinseca ad ogni singola persona.

Una fede metapolitica, in più, offre all'operatore politico i lumi necessari a proiettare la sua azione in una prospettiva di evoluzione della realtà terrena ( ma non necessariamente solo tale ) in cui la vicenda umana sfocia e si compie.

Una "fede", che nasce e si appoggia su un messaggio che supera la limitazione del tempo e dello spazio, offre quindi suggerimenti e stimoli importanti per aumentare l' ( v. ) utopia quale impegno dell'immaginazione a superare l'esistente e a inventare mezzi e modelli idonei a portarsi fuori dalle condizioni sociali in cui l'uomo trova difficoltà e ostacoli alla propria realizzazione.

Il discorso sull'utopia non va inteso come espediente intellettuale o psicologico per consentire una conciliazione del momento religioso e del momento politico - talora artificiosamente contrapposti quando viene immaginato un contrasto tra impegno di fede ( rapporto con Dio ) e impegno politico ( rapporto col prossimo ) -, ma va accolto come l'unico campo che nelle tensioni moderne si rivela paradossalmente realistico per la mediazione che opera tra fede e realtà storica, e va meditato nel valore autentico che assume per chi fonda la propria fede e la propria attività sul messaggio cristiano.

Infatti il punto di massima tensione spirituale nell'attività politica - sia quando è responsabilità ufficiale nelle istituzioni, sia quando è ruolo spontaneo nelle iniziative extra-istituzionali - viene raggiunto con la consapevolezza che gli uomini sono investiti del compito di individuare e realizzare il proprio destino e con la certezza che questo compito consiste nel continuare la creazione incompleta: con la consapevolezza che gli uomini vengono assunti - in ogni attività umana, ma in quella politica precipuamente - al livello di collaboratori del Creatore.

Per il cristiano questo compito di continuatore della creazione si fonda su due impegni indispensabili a che l'attività politica sia spiritualmente vissuta nell'ambito umano e religioso dello svolgimento del disegno creativo.

Il primo impegno è quello di cambiare il mondo in senso strutturale, perché la creazione è invenzione di cose nuove e non esiste nessuna possibilità di partecipare ad essa stando fermi e immobili.

Un'attività politica che spiritualmente si elevi a collaborazione creativa non può quindi essere che una ricerca appassionata e, per così dire, scientifica di quanto manca all'attuale assetto sociale perché ogni essere umano trovi le condizioni idonee al realizzarsi compiuto del personale disegno creativo che è stato collocato come seme nell'esistenza dell'uomo.

Il secondo impegno si fonda sulla convinzione che la creazione ha una sua origine sacra e che, pertanto, colui che vi si sente associato è impegnato anche a rendere sacro il mondo, è associato cioè anche alla consacrazione del mondo.

Il mondo, sacro nella sua origine, ma libero nel suo sviluppo, che deve essere consacrato dall'opera dell'uomo, è rappresentato « dall'intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; mondo che è teatro della storia del genere umano e [ che ] reca i segni dei suoi sforzi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; mondo che i cristiani credono creato e conservato in esistenza dall'amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma dal Cristo crocifisso e risorto… liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento » ( GS 2).

All'attività politica in quanto specificamente tale, e ad ogni altra umana attività che abbia dimensione politica, quando sia compiuta alla luce della fede cristiana, è affidata quest'opera di consacrazione dell'ordine temporale.

Ordine temporale con « Valore proprio riposto in esso da Dio » sono « i beni della vita, della famiglia, la cultura, l'economia, le arti e le professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali, come pure il loro evolversi e progredire » ( AA 7 ).

In questo ordine temporale i cristiani dediti all'attività pubblica debbono essere presenti per « informare dello spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità » ( AA 13 ).

Questo impegno, se da una parte è inscindibile da una professione di fede e dalla volontà di sostanziare di forte spiritualità l'azione, può per altra parte prestarsi al rischio di deformarsi in pericolosi assolutismi e integralismi.

La struttura dell'attività politica, infatti, richiede rigorose condizioni e attenzioni perché la spiritualità si sviluppi con caratteri autentici ed obiettivi, rispettosi e umani, e non cada in possibili confusioni che inducono a credere la propria verità come la verità da "imporre" a tutti.

La politica cioè, per la sua peculiare natura, può offrire strumenti per la liberazione dell'uomo e contribuire validamente a ricercare i fini e i modelli della società, ma non può offrire, anche se l'attività è svolta da operatori che si ispirano a princìpi religiosi, la liberazione intera, che può venire solo dal messaggio religioso, il quale però ha il suo campo per manifestarsi e deve godere di libertà sufficiente per esprimersi senza pretendere di rientrare nella iniziativa diretta dell'operatore politico.

Il Vaticano II, quando afferma che il cristiano deve dedicarsi alla consacrazione del mondo per mezzo della coerenza della vita con la fede, per mezzo della carità fraterna che partecipi della condizione di vita degli altri, per mezzo della piena coscienza della propria parte nell'edificazione della società cristiana ( AA 13 ), implicitamente riconosce che il messaggio religioso deve trasmettersi alle istituzioni e ai costumi, senza però costituire aspetto peculiare e specifico dell'attività politica, bensì rendendo chiare e trasparenti, nell'attività del politico cristiano, le fonti della sua ispirazione, del suo comportamento, del suo programma di azione.

In una delle ultime lettere scritte, nell'agosto del 1954, quando era già colpito da quella malattia che lo avrebbe condotto alla morte, Alcide De Gasperi scriveva queste parole: « Quello che ci dobbiamo soprattutto trasmettere l'uno all'altro è il senso del servizio del prossimo, come ce lo ha indicato il Signore, tradotto e attuato nelle forme più larghe della solidarietà umana, senza menar vanto all'ispirazione profonda che ci muove e in modo che l'eloquenza dei fatti "tradisca" la sorgente del nostro umanitarismo e della nostra socialità ».

In questo pensiero degasperia no, oltre la difesa della peculiarità della sfera politica e l'esaltazione dell'ispirazione cristiana come fonte della spiritualità politica, è chiaramente presente l'invito ai cristiani ad entrare nella storia protagonisti, della società umana plasmatori, e nel senso della giustizia e della libertà innovatori.

Vi è presente anche un invito a cogliere della religione il contenuto profetico e innovativo delle origini, invece che quei contenuti che appesantiscono la religione allorché essa, allontanandosi dal momento del sorgere, si lega alla struttura politico-sociale della società in cui si svolge e si perpetua.

I fondatori dell'umanesimo ateo hanno creduto di vedere in ogni forma religiosa una rinuncia ad agire nella storia.

Pertanto un impegno fortemente caratterizzato dei cristiani nella storia per qualificarne l'evolversi nella costruzione di una società in cui il modello dell'organizzazione è misurato sull'uomo come persona concreta, con bisogni e problemi esistenzialmente singolari, ha il potere di ricollocare per tutti la religione tra le fonti più vere e più umane di un'evoluzione della storia in senso umanitario.

All'attività politica dei cristiani, in particolare alla qualità spirituale di questa attività, spetta pertanto il compito storico, non in modo esclusivo ma prevalente, di ricongiungere nelle coscienze degli uomini le due città, quella divina e quella umana, che, se giustamente vanno distinte per la diversa peculiarità del momento operativo e del fine immediato, sono state innaturalmente lacerate da eventi storici nella vita interiore degli uomini, o almeno di una buona parte di essi.

… e chiesa Chiesa I
… e carità Itinerario IV,3
… e virtù Apostolato III
… e spiritualità laicale Famiglia IV
Crisi d'impegno politico Crisi IV
… e donna Femminismo I
… e giovani Crisi III,3
… e tempo libero Tempo IV,1

1 F. Biot, Teologia del fatto politico, Roma 1974, 288
2 A. Milano, Secolarizzazione in Nuovo dizionario di teologia (a cura di G. Barbaglio e S. Dianich), Alba, Edizioni Paoline 1977, 1438-1466
3 G. Ruggieri, Teologia politica in Italia in Chiamati alla verità.
Saggi sulla responsabilità della fede e della teologia, Milano 1975, 79
4 B. Monditi, Politica in Nuovo dizionario di teologia, cit., 1166-1186
5 E. Hoflich, Heiisverkiindigung als politische Gewissensbildung. Eine Antwort auf Hans Maire Polemik gegen die politische Theologie, in « Frankfurter Hefte », die. 1969, 851
6 D. Sólle, Teologia politica, Brescia 1973, 80
7 J. Habermas, Theorie una Praxis in Politica, II, Francoforte 1963, 316
8 Paolo VI, Octogesima adveniens 19
9 S. Galilea, Spiritualità della liberazione, Brescia 1974, 69
10 J. Alfaro, Teologia del progresso umano, Assisi 1969, 42-43
11 J. B. Metz, I rapporti tra la chiesa e il mondo alla luce di una teologia politica in Teologia del rinnovamento, Assisi 1969, 277
12 H. U. von Balthasar, L'impegno del cristiano nel mondo, Milano 1971, 43