Haerent animo

Indice

I. Motivi e intenti

1 Scopo dell'esortazione – L'avvenire della Chiesa dipende dalla qualità degli Ecclesiastici

Abbiamo scolpite nella mente e ci riempiono di salutare timore le parole dell'Apostolo agli Ebrei ( Eb 13,17 ), che, inculcando loro il dovere dell'ubbidienza verso i superiori, affermava con tutta la sua autorità: "Essi vegliano come responsabili che dovranno render conto delle anime vostre".

Se questa sentenza riguarda tutti quelli, che hanno nella Chiesa una qualunque preminenza, principalmente riguarda noi, che, benché impari a tanto officio, abbiamo nella Chiesa la suprema autorità.

Quindi notte e giorno senza posa non ci stanchiamo di meditare e di tentare tutto quanto interessa l'incolumità e la prosperità del gregge affidatoci da Dio.

Fra queste preoccupazioni una più delle altre ci sta a cuore, ed è che i sacerdoti siano tali, quali li esige la dignità del loro ministero, poiché a nostro avviso, per questa via principalmente, possiamo nutrire liete speranze dell'avvenire della religione.

Così, non appena saliti al soglio pontificio, benché, volgendo uno sguardo all'universalità del clero, scorgessimo in esso molteplici titoli di lode, tuttavia non potemmo non esortare con ogni studio i nostri venerandi fratelli, i vescovi dell'orbe cattolico, che in nulla ponessero tanta perseveranza e tanta cura, quanto nel formar Cristo in quelli che a formar Cristo negli altri sono destinati.

Né ci sfugge lo zelo e l'attività, che dispiegano nell'educare il clero alla virtù, del che ci torna dolce non tanto di render loro una pubblica lode, quanto di esprimere i sensi della più viva riconoscenza.

2 Stimolo ai ferventi ed ai meno ferventi

Se non che, mentre per una parte ci allieta il vedere che, per tali cure dei vescovi, già molti ecclesiastici si mostrano accesi di un sacro fuoco, che risuscita o ravviva in essi la grazia di Dio ricevuta nell'imposizione delle mani nella sacra ordinazione, per l'altra ci resta ancora a lamentare che alcuni altri, in diverse regioni, non sono così esemplari, che i fedeli cristiani, volgendo gli occhi in loro, quasi in uno specchio, siccome a guida, possono conformare se stessi al loro esempio.

A questi vogliamo aprire il nostro cuore con questa lettera, come il cuore di un padre palpitante di ansiosa carità nel cospetto del figlio infermo.

Per un tale veemente amore, aggiungiamo a quelli dei vescovi i nostri ammonimenti; i quali, benché indirizzati specialmente a ridurre a miglior consiglio i fuorviati e giacenti in letargo, tuttavia possono, come è nostro vivo desiderio, essere anche agli altri di stimolo.

Noi additiamo la via, seguendo la quale, ciascuno deve sforzarsi ogni giorno più di riuscire, secondo la chiara espressione dell'Apostolo, "uomo di Dio" ( 1 Tm 6,11 ), e di corrispondere alla giusta aspettazione della Chiesa.

Nulla diremo di non mai udito da Voi, o di nuovo per chicchessia, ma cose, le quali conviene che ognuno si rammenti: e Dio ci infonde la speranza che la nostra voce sia per produrre notevole buon frutto.

Questo è il nostro desiderio: "che vi rinnovelliate… nello spirito della vostra mente, e vi rivestiate dell'uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità" ( Ef 4,23-24 ): e sarà questo il più bello e il più gradito dono, che Ci possiate offrire nel cinquantesimo del nostro sacerdozio.

E mentre noi, "contriti di anima e umiliati di spirito" ( Dn 3,39 ), ripenseremo in Dio i passati anni del nostro sacerdozio; espieremo in certo qual modo i nostri umani mancamenti, dei quali Ci abbiamo a pentire, ammonendovi con paterna cura, "onde camminiate in maniera degna di Dio, piacendo a Lui in tutte le cose" ( Col 1,10 ).

Ed in una simile esortazione non miriamo semplicemente alla vostra utilità, ma al vantaggio generale dei fedeli cattolici, che da quella non si può separare.

Poiché tale non è il sacerdote che possa essere buono o cattivo semplicemente per sé, ma l'esempio della sua vita non è a dire di quali conseguenze sia fecondo sull'indirizzo della vita dei fedeli.

Ove è un sacerdote veramente buono, qual tesoro è veramente largito dal cielo!

II. La santità del sacerdote

3 La santità, dote prima della vita sacerdotale

L'esempio deve precederela parola

Diamo principio, diletti figli, alla nostra esortazione, con l'incitarvi a quella santità, che è richiesta dalla dignità del vostro grado.

Poiché chi è insignito del sacerdozio, non per sé soltanto, ma per gli altri ancora ne è insignito: "Ogni pontefice scelto tra gli uomini, è preposto a pro degli uomini a tutte quelle cose che riguardano Dio" ( Eb 5,1 ).

Il medesimo pensiero volle esprimere Cristo, quando, a significare quale sia il fine dell'azione sacerdotale, li paragonò al sole ed alla luce del mondo, sale della terra.

Ognuno sa che sale e luce Egli è principalmente per l'ufficio che ha di distribuire il pane della verità cristiana; ma chi è che ignori che un tale ammaestramento non approda a nulla, se il sacerdote non consacri con l'esempio le cose insegnate con la parola.

Gli uditori con irriverenza sì, ma non a torto obietteranno: "Professano di conoscere Dio e lo rinnegano coi fatti" ( Tt 1,16 ); e respingeranno la dottrina, né fruiranno della luce del sacerdozio.

Ond'è che Cristo, forma viva del sacerdote, insegnò prima con l'esempio e poi con le parole: "Principiò Gesù a fare, e poi ad insegnare" ( At 1,1 ).

Parimenti se gli si levi la santità a nessun titolo il sacerdote sarà più sale della terra: poiché ciò che è corrotto e contaminato non può servire a conferire la purezza; e, donde esula la santità, conviene che abiti la contaminazione.

Perciò Gesù, continuando la medesima figura, chiama tali sacerdoti sale insipido, "che non è più buono a nulla se non ad esser gettato via e calpestato dalle genti" ( Mt 5,13 ).

III. La santità dei sacri uffici

4 L'altezza della vocazione e i Sacri Uffici per se medesimi esigono la santità

Quanto si è fin qui detto riceve nuova luce, quando si pensa che noi esercitiamo l'ufficio sacerdotale non già a nostro nome, ma nel nome di Gesù.

"Così", dice l'Apostolo, "ognuno consideri noi come ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio" ( 1 Cor 4,1 ); "siamo davvero adunque ambasciatori di Cristo" ( 2 Cor 5,20 ).

Proprio per questo motivo Cristo ci ascrisse non al numero dei suoi servi, ma degli amici: "Non vi chiamerò già più servi…

Ma vi ho chiamati amici, perché tutto quello che intesi dal Padre mio, l'ho fatto sapere a voi…

Io ho eletto voi, e vi ho destinati, che andiate e facciate frutto" ( Gv 15,16 ).

È quindi nostro ufficio di rappresentare la persona di Cristo e di condurre la missione da lui affidataci in maniera che ci sia dato di raggiungere il fine, che Egli ha di mira.

E poiché "il bramare e schivare le cose medesime, questo è il pegno più fermo d'amicizia" , siamo tenuti, come amici, a nutrire i medesimi sentimenti, che sono in Cristo Gesù, che è "santo, innocente, immacolato, impolluto" ( Eb 7,26 ): come suoi ambasciatori, dobbiamo conciliare gli uomini alla sua dottrina ed alla sua legge, non senza osservarle prima noi stessi: come partecipi della sua autorità nell'alleggerire le anime dalle catene della colpa, conviene che poniamo ogni studio nell'evitare di caricarci noi di tali catene.

Ma più come suoi ministri nell'augusto sacrificio che, con perenne prodigio, si rinnova per la vita del mondo, dobbiamo avere la medesima disposizione di animo, con la quale Egli sull'ara della croce si offrì ostia immacolata a Dio.

Poiché, se in antico, quando non esisteva che un'ombra e figura del vero sacrificio, si esigeva nei sacri ministri tanta santità, quale non è giusto che si esiga, ora che la vittima è Cristo?

5 Due splendidi moniti di san Giovanni Crisostomo e di san Carlo Borromeo

"Quanto dunque non conviene che sia più puro chi fruisce di un tal sacrificio? di quale raggio solare non deve essere più splendida la mano, che divide questa carne, la bocca che è saziata dal fuoco spirituale, la lingua che rosseggia di questo sacramentissimo sangue?" .

Assai opportunamente san Carlo Borromeo nei discorsi al Clero così inculcava: "Se ci ricordassimo, dilettissimi fratelli, quante e quanto preziose cose abbia poste Dio nelle nostre mani, quale stimolo non sarebbe per noi questa considerazione a farci condurre una vita degna di ecclesiastici!

Che cosa non pose Iddio nelle mani, quando vi pose il proprio suo Figlio unigenito, come Lui eterno ed a Lui eguale?

Nella mano mia pose i tesori suoi, tutti i sacramenti e le grazie: pose le anime che gli sono care come la pupilla e che nell'amore preferì a se stesso, che redense con il suo sangue; nelle mie mani pose il cielo che io posso aprire e chiudere agli altri…

Come mai dunque potrò io essere così ingrato a tanta degnazione ed amore da peccare contro di Lui, da offenderlo nell'onore, da inquinare questo corpo che è suo, da macchiare questa dignità e questa vita al suo ossequio consacrata?".

IV. Avvertimenti della Chiesa

6 Avvertimenti della Chiesa nel conferire gli Ordini ai suoi Chierici

Ad ottenere nei suoi sacerdoti questa santità di vita, la Chiesa mira con assidue e non mai interrotte cure.

A tal fine furono istituiti i Seminari: dove, se coloro che costituiscono le speranze della Chiesa devono essere educati nelle lettere e nelle scienze, nello stesso tempo, tuttavia, e più ancora lo devono essere sino dai più teneri anni ad una sincera pietà verso Dio.

Inoltre, nel mentre promuove i candidati ai gradi sacri con non brevi intervalli, non pone fine mai, come madre amorosa, alle esortazioni, che impartisce intorno al conseguimento della santità.

Richiamiamoci queste tappe gioconde.

Non appena ci ascrisse nella sacra milizia, volle che dichiarassimo secondo il rito: "Il Signore è la porzione della mia eredità e del mio calice; tu sei quegli che a me restituirà la mia eredità" ( Sal 16,5 ).

Con le quali parole, commenta san Girolamo, si ammonisce "il chierico, affinché egli, che è parte del Signore o ha per sua parte il Signore, si diporti così che Egli possegga il Signore e sia dal Signore posseduto" .

Quanto gravi parole rivolge poi la Chiesa ai novelli suddiaconi!

Dovete considerare attentamente quale obbligo oggi di vostra spontanea volontà assumete…; quando avrete ricevuto quest'Ordine, non vi sarà più possibile di volgere indietro i passi; ma dovrete servire in perpetuo a Dio, e mantenere, con la sua grazia, la castità.

E infine: se finora foste tardi alla Chiesa, d'ora innanzi dovete essere assidui; se finora foste sonnolenti, d'ora innanzi vigilanti…; se finora disonesti, d'ora innanzi casti…

Riflettete di chi vi si affida il servizio!

E per i promuovendi al diaconato così prega la Chiesa per mezzo del Vescovo: "Abbondi in essi la bellezza di ogni virtù, l'autorità modesta, la pudicizia costante, la ferma purità dell'innocenza e l'osservanza della spirituale disciplina.

I suoi precetti risplendano nella loro vita, affinché dall'esempio della loro castità il popolo si ecciti a imitarli santamente".

Ma più commovente ancora è l'ammonizione rivolta a coloro che devono essere iniziati al sacerdozio: "Con grande timore a così alto grado si deve salire, ed allora bisogna accertarsi che una celeste sapienza, illibati costumi e lunga osservanza della legge di Dio distinguano gli eletti a tale dignità…

Sia il profumo della vostra vita diletto della Chiesa di Cristo, affinché con la parola e con l'esempio edifichiate la casa della famiglia di Dio".

E più di ogni cosa ci stimola la grave sentenza, che si aggiunge: "Siate all'altezza di ciò che amministrate ( imitamini quod tractatis )"; il che concorda col precetto di san Paolo: "Affine di rendere perfetto ogni uomo in Cristo Gesù" ( Col 1,28 ).

7 Padri e Dottori confermano che il Sacerdote deve essere un cielo tersissimo

Poiché questa dunque è la mente della Chiesa riguardo alla vita sacerdotale, non potrebbe riuscire ad alcuno di meraviglia, che tale sia la consonanza delle voci dei Padri e dei Dottori intorno a questo punto così che sembrino peccare di ridondanza.

Ma, se con retto giudizio li osserviamo, ci apparirà evidente come altro non dicano che il vero e il giusto.

Il loro giudizio si può brevemente esporre così: tanta differenza è tra il cielo e la terra; e quindi guardi bene il sacerdote che la sua virtù non solo non sia tocca neppure dall'ombra delle più gravi colpe, ma neppure delle più lievi.

A tal riguardo il Concilio di Trento fece suo il pensiero di quegli uomini venerandi, quando ammonì i chierici di fuggire anche i leggeri mancamenti, che in loro sarebbero massimi: massimi non già in sé, ma per ragione di chi li commette, al quale più ancora che all'edificio sacro, conviene quel detto: "Alla casa tua, ( o Signore ), si conviene la santità" ( Sal 93,5 ).

V. Natura della santità sacerdotale

8 In che consiste la santità

Il fondamento voluto da Cristo sta proprio nelle virtù "passive"

Ed ora è da vedere in che cosa consista una tale santità, della quale il sacerdote non può esser privo senza grave vergogna; poiché se alcuno ne ignora o male ne intende l'essenza, si trova in grande pericolo.

C'è chi crede, anzi chiaramente professa, che il merito del sacerdote consista semplicemente nel sacrificarsi tutto al bene degli altri; per cui neglette quasi del tutto quelle virtù, che mirano al perfezionamento individuale ( le così dette virtù passive ), dicono che si deve porre ogni studio per conseguire ed esercitare quelle virtù che chiamano attive.

Questa è dottrina indubbiamente fallace e rovinosa.

Intorno ad essa così si esprime, con la consueta sapienza, il nostro predecessore di felice memoria: "Che le cristiane virtù non siano opportune a tutti i tempi non può cadere in mente se non a chi si sia scordato delle parole dell'Apostolo: "Coloro che Egli previde, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figliol suo". ( Rm 8,29 )

Cristo è maestro ed esemplare di ogni forma di santità, al cui esempio è necessario che si modellino tutti quanti vogliono essere accolti nel regno dei cieli.

Ora Cristo non muta col passare dei secoli; ma è il medesimo "ieri, e oggi; ed è sempre Lui anche nei secoli" ( Eb 13,8 ).

Quindi agli uomini di tutti i tempi è rivolta quella parola: "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore" ( Mt 11,29 ); in ogni tempo Cristo ci si presenta "ubbidiente sino alla morte" ( Fil 2,8 ); e vale per tutte le età la sentenza dell'Apostolo: "Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne coi vizi e con le concupiscenze" ( Gal 5,24 ).

9 La "conditio sine qua non" è l'abnegazione di sé

Condanna dei metodi propri nel mondo

I quali documenti sono rivolti a ciascheduno dei fedeli, in modo tutto speciale riguardano i sacerdoti: essi, più che gli altri, devono prendere come a sé rivolte le parole, che il medesimo nostro predecessore con apostolico zelo aggiunge: "Ed oh! fossero più numerosi i cultori di tali virtù, a imitazione dei santi delle passate età: i quali con l'umiltà, l'ubbidienza, la mortificazione di sé, furono potenti in opere e in parole, con indicibile vantaggio non solo della religione, ma dello stato e della civiltà".

Dove cade opportuno osservare come il sapientissimo Pontefice fa menzione speciale della mortificazione che con evangelica parola diciamo: abnegazione di sé.

Poiché, di qui specialmente, dipende, o diletti figli, la forza e la virtù e il frutto del ministero sacerdotale; al contrario dalla negligenza di questa virtù, nasce tutto quanto nei costumi e nella vita del sacerdote può offendere gli occhi e sconcertare gli animi dei fedeli.

Poiché l'agire a solo scopo di turpe lucro, l'ingolfarsi negli affari mondani, l'aspirare ai primi gradi e sprezzare i più modesti, il condiscendere alla carne e al sangue col troppo affetto ai parenti, il soverchio studio di piacere agli uomini, il porre la fiducia del proprio successo nell'umana destrezza della parola: tutte queste cose derivano dalla negligenza del precetto di Cristo e dal respingere la condizione, che egli ci pose: "Chi vuol venir dietro a me rinneghi se stesso" ( Mt 16,24 ).

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