Lavoratore

IndiceA

Sommario

I. Orizzonte socio-culturale contemporaneo in tema di lavoro:
1. Condizioni, aspetti, problemi della condizione operaia oggi:
a. Nuove stratificazioni sociali,
b. Nuove alienazioni;
2. Coscienza operaia e movimento operaio.
II. Tipologia di una spiritualità dei lavoratori:
1. La spiritualità nel lavoro industriale:
a. Atteggiamenti spirituali del lavoratore in fabbrica,
b. Spiritualità del lavoratore alle catene di montaggio,
c. La spiritualità laica dei lavoratori impegnati nel movimento operaio a ispirazione marxista,
d. La spiritualità dei lavoratori cristianamente ispirati;
2. Spiritualità dei lavoratori rurali:
a. I comportamenti dominanti della civiltà contadina,
b. I valori presenti,
c. La visione del mondo;
3. Spiritualità dei lavoratori addetti ai servizi e dei lavoratori autonomi.
III. Linee teologiche di una spiritualità del lavoro oggi:
1. L'apporto della tradizione;
2. Teologia e spiritualità del lavoro alla luce del Vat II;
3. Verso una nuova deontologia e spiritualità della professione:
a. Dalla spiritualità dell'intenzione alla spiritualità dell'impegno,
b. Spiritualità incarnata nell'esigenza di vivere sino in fondo la professione,
c. Spiritualità dell'impegno di umanizzare il lavoro e le strutture produttive.
IV. La spiritualità cristiana del lavoro come nuova sintesi:
1. Conflitti, oscurità e tentazioni nell'impatto col processo storico conflittuale:
a. Difficoltà dei lavoratori cristiani nell'armonizzare spiritualità e impegni sociali storici,
b. Tensioni peculiari nei preti operai;
2. Impegni ecclesiali di acculturazione cristiana e azione pastorale nel mondo dei lavoratori.

I - Orizzonte socio-culturale contemporaneo in tema di lavoro

Ai fini di una più attenta e concreta presentazione della spiritualità, esplicitamente o implicitamente cristiana del lavoratore dipendente, al quale intendiamo riferirci in questa voce, sembra più che opportuno tener presente l'orizzonte culturale nel cui ambito oggi il lavoro viene precompreso, sperimentato e vissuto.

La nostra area occidentale manifesta un notevole pluralismo culturale: benché la cultura marxista non sia l'unica, ne sempre egemone o prevalente, appare tuttavia inutile, se non risibile e controproducente, lo sforzo teso ad ignorarla, condannarla in blocco o sottovalutarne l'incidenza nell'attuale contesto di pensiero e di azione, soprattutto a livello di movimento operaio.

Del pari però non vanno sottotaciuti il volume e la qualità dell'apporto culturale che il movimento cristiano, in modo autonomo e originale, ha dato e continua ad offrire alla promozione globale - e quindi anche spirituale - del lavoratore.

Al deprezzamento dell'attività umana e particolarmente di quella manuale esecutiva o "servile" ( cioè dipendente da terzi ), svalutazione che attraversa quasi tutta la storia del lavoro, si è venuta sostituendo, ad opera di questi vari fermenti culturali maturati in clima cristiano ( anche se talora in opposizione a Dio e alla chiesa ), un'accentuata valorizzazione del lavoro e della personalità dei lavoratori che, non infrequentemente, è sfociata in una vera e propria mistica del lavoro.

A prescindere dalle condizioni oggettive, strutturali che lo degradano, per K. Marx il lavoro riveste un'indole creativa caratterizzando e qualificando così la specificità dell'essere umano; ancorché tutta l'umanità dell'uomo non si esaurisca nel lavoro rivolto alla trasformazione e razionalizzazione del mondo, esso tuttavia appare anche al pensiero cristiano più maturo come una dimensione essenziale della presenza umana nel mondo ( Teilhard de Chardin ), in continuità armonica con l'opera - e il riposo - di Dio creatore e redentore ( GS 34 ).

Pur nella diversità ( talora profonda ) delle ispirazioni ideologiche, gli atteggiamenti culturali oggi prevalenti appaiono concordi nella critica del sistema capitalistico, donde proviene la degradazione del lavoro umano a livello di merce sfruttata, non solo per quanto concerne l'attività prevalentemente esecutiva, ma anche in riferimento all'attività specializzata, impiegatizia e tecnica, considerate, fino a non molto tempo fa, professioni privilegiate rispetto al lavoro operaio.

In positivo la concordia culturale permane nella vigorosa affermazione dei diritti dei lavoratori: le divergenze però si aprono in tema di ribaltamento del sistema capitalistico o di una sua revisione riformistica, di socializzazione dei mezzi di produzione e riforme strutturali dell'assetto produttivo, di strategia e tattica nella conduzione del movimento operaio.

1. Condizioni, aspetti, problemi della condizione operaia oggi

Per non cadere in una deontologia professionale e in una mistica della spiritualità del lavoro del tutto avulse dai concreti contesti entro i quali oggi si svolge l'umana attività la quale assume contorni e funzioni profondamente diversi da quelli del passato, sembra imprescindibile soffermarsi alquanto sulla condizione lavorativa tipica delle aree industrializzate.

Senza una tale disamina, infatti, ogni prospettiva etica e ogni indicazione di spiritualità risulterebbero talmente lontane dal "vissuto" operaio da apparire a non pochi non solo astratte, ma anche mistificatorie e funzionali, in ultima analisi, alle classi dominanti.

Di qui la necessità di un'attenta lettura dei ( v. ) segni dei tempi, quali si manifestano nelle condizioni oggettive del lavoro contemporaneo, e di un'acculturazione del sistema di valori e delle indicazioni normative ad ispirazione cristiana, affinché risultino non solo vere, ma anche comprensibili e credibili per i lavoratori.

Riteniamo perciò utile fornire alcuni dati relativi alla situazione operaia nel nostro Paese che consentano di avviare un discorso organico e aderente alla concretezza sociologica del lavoro oggi.

Di fronte all'incremento della popolazione si riscontra innanzitutto una accentuata diminuzione della popolazione attiva: questa, infatti, nel 1951 era del 41,7% su una popolazione totale di 47 milioni e 200 mila abitanti, mentre nel 1971 scende al 35,5% su una popolazione di 54 milioni di abitanti.

Inoltre il passaggio - quasi sempre troppo rapido, imprevisto e incontrollato - a stadi produttivi più complessi e razionalizzati, si accompagna a profondi mutamenti socioculturali: mentre antichi ruoli tendono a scomparire, come ad es. la manovalanza in qualificata, o a diminuire fortemente ( ad es. i salariati agricoli passano dai 2 milioni e 700 mila del 1951 a 1 milione e 200 mila del 1971; i coltivatori diretti, nelle stesse date, da 4 milioni e 800 mila a 2 milioni e 400 mila ), altre professioni si incrementano ( attività industriali ed edilizie ) o si specializzano, ne sorgono di nuove ( programmatori dei calcolatori ), mentre altre prolificano in forma patologica e parassitaria ( piccola borghesia impiegatizia ).1

a. Nuove stratificazioni sociali

Assumendo come parametro la professione che sembra riassumere altri criteri, le principali stratificazioni sociali tipiche delle società altoindustriali sono riconducibili alle seguenti: i managers, dirigenti di alto rango, o tecnocrati ( che costituiscono il ceto alto-borghese ); i colletti bianchi ( ceto medio ) che comprendono lavoratori autonomi, professionisti, pubblicisti, dirigenti di medio e basso rango, operatori dei servizi, burocrati, insegnanti e clero; la classe operaia, comprendente tutti i lavoratori dipendenti dell'industria e delle campagne, industrializzate o meno; il lavoro non professionale ( casalinghe e studenti ); il sottoproletariato urbano e rurale, caratterizzato dalla sottoccupazione ( lavoro avventizio, stagionale, marginale o "nero" ) e dalla disoccupazione, congiunturale e/o strutturale.

Recenti analisi sociologiche tendono a suffragare l'ipotesi secondo cui nelle società industrializzate, a seguito del processo di automazione, vengono scomparendo i lavori puramente esecutivi degli operai e, di conseguenza, viene ad indebolirsi la stessa categoria operaia, intesa come classe a sé stante.

La distinzione tradizionale tra operai addetti ai lavori manuali e impiegati, addetti a lavori di concetto, tende, anche sul piano contrattuale e retributivo, ad essere cancellata.

Però, nel contempo, mentre ha sempre meno senso parlare di ceti medi elitari, si nota una crescente proletarizzazione di tali ceti, non tanto sotto il profilo dello sfruttamento economico, quanto per ragioni sociali e psicologiche.2

b. Nuove alienazioni

Nell'attuale condizione operaia il fenomeno dell'alienazione, su cui dovremo tornare, riguarda in primo luogo i giovani in cerca di prima occupazione.

Dopo il lungo parcheggio scolastico con le frustrazioni che ne conseguono per l'emarginazione caratteristica dell'attesa dello status di adulto troppo a lungo differito, i giovani, ad onta della laurea o del diploma, urtano con difficoltà strutturali, politiche ed economiche, che non consentono il loro assorbimento nel mercato del lavoro o, al più, danno adito alla sottoccupazione.

È abbastanza ovvio come tale situazione, che tende a farsi ogni giorno più pesante, incida sul grado di autosoddisfazione giovanile nell'espletamento della professione e sulle concrete possibilità da parte della massa di interiorizzare valori spirituali che la illuminino e diano ad essa significato e valenza etico-religiosa.

Per quanto concerne i lavoratori adulti è la disoccupazione effettiva o la sua possibilità - ravvicinata dai frequenti rinvii al meccanismo sempre più fragile della cassa integrazione - a costituire una grossa fonte di alienazioni e frustrazioni.

Per il nostro ed altri Paesi la disoccupazione, non solo stagionale o frizionale, ma legata allo stesso sistema o modello economico perseguito, rappresenta una fatalità incombente su percentuali fortissime di lavoratori impegnati in strutture produttive che non riescono più a mantenere i ritmi di produzione e di profitti a livelli tollerabili.

Altre grandi matrici di alienazioni sono da ravvisare nella sottoccupazione, nel cosiddetto lavoro nero ( lavoro in appalto, a domicilio, lavoro minorile, delle donne… ), nelle emigrazioni esterne e nei forti movimenti emigratori interni, coi noti fenomeni di sradicamento e anemia che questi comportano, nel pendolarismo, aggravato dal caos dei trasporti urbani, nell'urbanesimo gigante, nella fame di case decenti e a prezzo sopportabile…

Ma tali alienazioni, per quanto gravi, rimangono ancora periferiche al lavoro industrializzato.

Restano infatti da elencare quelle che la razionalizzazione tecnologica, dominata dalla mistica del profitto e dell'efficienza produttiva, non ha saputo eliminare ( ad es. infortuni e morti sul lavoro: i cosiddetti omicidi bianchi, di cui il nostro Paese mantiene un triste primato nella comunità europea ), oppure ha acuito ed enfatizzato: conflittualità, lavoro "in briciole", dipendenza gerarchica nell'impresa.

Le radici del conflitto industriale ( tra lavoratori e dirigenti ) sono molteplici: oltre che da ragioni economiche o di classe, esso sembra derivare dal divario valutativo del lavoro esistente a livello imprenditoriale e operaio: mentre cioè per i gestori dell'impresa il lavoro rappresenta uno dei fattori della produzione, per il lavoratore la propria prestazione d'opera costituisce qualcosa di essenzialmente legato al valore transeconomico della sua persona.3

La divisione del lavoro poi e la struttura gerarchica dell'impresa vengono ancora considerati come i due pilastri dell'apparato produttivo moderno.

La taylorizzazione del lavoro ha ridotto lo sforzo fisico ad alcuni movimenti elementari consentendo, attraverso il lavoro in catena, ulteriormente potenziato dall'automazione, un volume produttivo sempre più intenso, la riduzione dei costi e la conquista dei mercati.

Il tutto all'insegna di una filosofia fondata sull'efficienza, la produttività e il primato del profitto considerato come molla esclusiva dell'economia e prevalente metro valutativo dell'uomo.

Il lavoro frantumato e banalizzato ha finito col banalizzare anche il lavoratore.

Diminuito in termini di fatica fisica e muscolare, il costo umano del lavoro è aumentato sotto il profilo psicologico e spirituale.

Sempre più determinato nel suo lavoro, nei suoi movimenti, l'uomo è in ogni istante mortificato nella sua dignità di produttore, frustrato nella sua esigenza di rapporti interpersonali umani e nei suoi interessi più profondi.

È ridotto, infatti, ad essere l'appendice di una macchina in un'atmosfera maleodorante e rumorosa.

La fatica industriale nasce dalla camicia di forza ambientale che limita lo sviluppo delle capacità del lavoratore, minacciandone salute fisica e psichica.

Nelle fabbriche più razionalizzate aumentano le angosce e le nevrosi, le possibilità di incidenti e le manifestazioni conflittuali abnormi e selvagge ( assenteismi e sabotaggi ).

Infine il progresso tecnico incessante costringe tutti ad un continuo sforzo di adattamento a situazioni nuove, che si modificano nell'arco di pochi anni con un ritmo vertiginoso che non trova riscontro nel passato.

Così all'emarginazione dei giovani, già ricordata, si accompagna la precoce esclusione dal lavoro di chi non riesce a stare al passo e ad aggiornarsi senza posa.4

2. Coscienza operaia e movimento operaio

Alle situazioni alienanti di cui sopra il mondo operaio ha reagito con un complesso movimento che è espressione di una coscienza, prima proletaria e poi operaia e di classe.

Agli atteggiamenti di passivo adattamento e di conformismo, dettati più che altro dal timore del licenziamento, fino a quelli evasivi o di riluttanza ad accettare la propria condizione, per tacere dell'estremismo ribelle, distruttore e sabotatore, la coscienza operaia ha sostituito un triplice principio che appunto la definisce: il principio d'identità che sta a fondamento delle rivendicazioni del movimento operaio; il principio di opposizione che determina il gruppo antagonista; il principio di totalità che precisa il campo sociale entro cui si colloca la duplice relazione precedente.5

Nella grande varietà delle sue manifestazioni e tappe storiche il movimento operaio presenta diverse ispirazioni ideologiche.

Oltre alta matrice marxista che lo ha profondamente segnato, è ravvisabile il notevole apporto dell'ispirazione cristiana, peraltro mai del tutto assente anche nelle componenti socialiste.

Alla storia del movimento operaio cristiano, spesso a torto trascurata, conviene rifarsi per identificare nella concretezza del vissuto operaio, da parte dei lavoratori cristiani, i tratti emergenti di una spiritualità del lavoro, chiaramente ed espressamente cristiana.

II - Tipologia di una spiritualità dei lavoratori

Nel quadro della condizione operaia brevemente delineato, come si configura una spiritualità del lavoro e della professione?

Per chi non voglia procedere aprioristicamente, dettando in maniera estrinseca progetti e norme, ma si prefigge un procedimento induttivo che prenda le mosse appunto dal "vissuto" operaio, cristiano o meno, la risposta si presenta quanto mai ardua.

Infatti l'eterogeneità e complessità della stratificazione sociale, sottesa alla miriade di mestieri e professioni tipiche delle nostre società alto-industriali, unitamente alla carenze; di adeguate indagini in campo, rendono problematiche e provvisorie le prospettive e le interpretazioni in materia.

Avvalendoci tuttavia dei risultati delle analisi a carattere socioreligioso compiute in questi ultimi anni in settori particolari del mondo industriale e rurale, forse non è del tutto azzardato formulare alcune generalizzazioni che, se private di ogni carattere definitorio e assunte come "spezzoni" interpretativi, da verificare o falsificare alla luce di nuovi apporti scientifici, risultano utile premessa ad un discorso teologico sulla spiritualità del lavoro.

1. La spiritualità nel lavoro industriale

Nel mondo eterogeneo e complesso dell'odierna situazione altoindustriale è necessario affrontare in esame distinto l'ambiente e le modalità di lavoro, quale si svolge entro i grandi complessi industriali, e le attività che hanno luogo fuori di tale perimetro ( lavoro agricolo, commerci, servizi e informatica ).

Molto interessante ai fini teologici e pastorali sarebbe lo studio di quel lavoro "nero" cui si è fatto cenno, nel quale gran parte del sottoproletariato urbano e rurale trova l'unica fonte del proprio reddito.

Esso però sfugge pressoché totalmente alle possibilità dell'indagine scientifica: all'infuori di talune inchieste sul lavoro dei minori e degli apprendisti, solo le "storie di vita" e ricerche a carattere antropologico-culturale, relative al mondo dei poveri, aprono qualche spiraglio sul vissuto degli emarginati dall'attività produttiva industriale.

La cultura di questi poveri rivela atteggiamenti di fatalismo ( sotto-proletariato meridionale ) o di rivolta ( sottoproletariato rurale, disoccupati organizzati urbani ) che ovviamente coinvolgono il loro orizzonte spirituale.6

a. Atteggiamenti spirituali del lavoratore in fabbrica

Il lavoro entro le grandi strutture produttive caratterizzate, come si è visto, da situazioni di conflittualità permanente, divisione parcellare del lavoro e natura gerarchico-vertici sta, presenta, sotto il profilo spirituale, denominatori comuni e notevoli varianti.

Gli atteggiamenti spirituali di un addetto alla catena, di un tecnico intermedio, di un addetto ai simboli, infatti, risultano abbastanza diversi.

Prima di esaminare tali varianti, aggravate dalle differenti posizioni ideologiche e religiose, sarà opportuno soffermarci brevemente su alcune caratteristiche comuni della cosiddetta "cultura operaia".

Anche se ad alcuni studiosi la classe operaia appare un gruppo socialmente in declino che avrebbe perduto in larga misura la capacità profetica di esprimere valori guida e alternative valide per l'intero corpo sociale,7 è sempre possibile e molto pertinente ai nostri fini individuare i connotati della cosiddetta cultura operaia e le costellazioni di valori in essa emergenti.

Secondo analisi abbastanza dettagliate, ancorché non sempre rapportabili a tutte le situazioni, sono da ravvisare come contrassegni di tale cultura: la volontà di emancipazione materiale ( casa, sanità, trasporti, condizioni di lavoro e sua retribuzione adeguata ) e spirituale ( l'uomo come soggetto e non semplicemente oggetto di decisioni che lo coinvolgono ); ricerca di un'umanizzazione del lavoro ( ritmi di lavoro, cointeressamento alla vita dell'impresa e alla contrattazione collettiva ); ricerca di un'integrazione nella società attraverso il riconoscimento del mondo operaio come tale; ricerca di un modello di convivenza veramente umano.

Da queste tensioni operative emergono alcuni valori positivi che, se effettivamente perseguiti, rappresentano la base di una spiritualità del lavoro autenticamente umana e perciò stesso suscettibile di animazione e sublimazione cristiana.

Detti valori sembrano così identificabili: la persona in sé, superiore al dato materiale economico, libera, eguale, solidale; la persona da liberare, il senso dell'umano da salvaguardare nei confronti della stessa tecnica, il lavoro come rivendicazione e luogo di creatività; la salvaguardia del retaggio culturale passato del quale, tramite l'educazione permanente, ci si vuole appropriare per farsi riconoscere come eguali dagli altri gruppi sociali; il valore della politica, intesa prevalentemente come efficacia in ordine all'assolvimento degli impegni di giustizia e di solidarietà; la solidarietà coi compagni di lavoro e la loro lotta intesa come fatto liberatore; la partecipazione alla gestione e alla promozione dell'intera comunità, attraverso una "lotta di classe" che oltrepassi il corporativismo chiuso.

In sintesi, rapportandoli alle note specifiche della cultura borghese, caratteri e valori della cultura operaia si possono racchiudere in questi termini: rifiuto esistenziale di un ordine ingiusto; volontà di risalire alle cause della povertà e delle alienazioni per superarle; coscienza della necessità e del valore etico della lotta protesa a tale fine; volontà di partecipazione, purché questa non rappresenti integrazione nel sistema, ma spinta innovativa verso un tipo di convivenza diverso, giusto ed umano.8

È opportuno tuttavia rilevare che i valori emergenti nella cultura operaia - e che ci sembrano rappresentare, come dicevamo, la base naturalmente cristiana della sua spiritualità - non si riscontrano in eguale misura presenti e interiorizzati a tutti i livelli del mondo lavoratore.

Neppure si traducono immediatamente in atteggiamenti e scelte coerenti, in quanto la loro realizzazione dipende sia dal grado di maturazione della coscienza individuale, sia dall'efficienza del movimento operaio.

Con questa premessa, che evidenzia i comuni profili di fondo, vediamo ora di precisare alcune tipologie di spiritualità di lavoratori in fabbrica, partendo dai livelli più bassi per giungere a quei lavoratori che, non arrestandosi ad una spiritualità implicitamente cristiana, ma anche offuscata da superstrutture ideologiche in larga misura contrastanti col messaggio cristiano, riescono ad esplicitarne una autenticamente evangelica e ad attuarla attraverso l'impegno individuale e comunitario.

b. Spiritualità del lavoratore alle catene di montaggio

È soprattutto a questo livello di lavoro che si riscontrano gli operai più refrattari alle istanze di coscientizzazione portate avanti dal movimento operaio e meno capaci di interiorizzare i valori della cultura operaia.

Una gran parte di essi, infatti, continua a vedere nella propria attività ripetitiva, priva di ogni possibilità creativa, avulsa da ogni comprensione dell'insieme di cui appare insignificante frammento, soltanto una dura e ineliminabile necessità vitale.

Effettivamente lo spazio per una spiritualità del lavoro sembra assai ridotto per tali lavoratori.

Alcuni però ritengono che proprio la ripetizione meccanica, automatica dei gesti del lavoro presenti « belle chances quanto alla sintesi "attività permeata dall'esperienza religiosa", che più facilmente si realizza nei casi in cui l'agire dell'uomo non richiede un'attenzione multiforme e intensa ».9

Tuttavia le analisi sociologiche di cui disponiamo, senza escludere che la sintesi tra attività meccanica ed esperienza religiosa possa realizzarsi in qualche soggetto, rivelano nella massa dei lavoratori addetti alle catene aziendali una pressoché totale assenza di slanci ed aperture, che li stimolino ad affrontare la loro fatica giornaliera entro dimensioni diverse da quelle dell'accettazione passiva, della sopportazione insoddisfatta o della frustrazione cocente.10

Atteggiamenti più duttili ed aperti si vengono riscontrando invece man mano che si sale nelle qualifiche di lavoro.

Irrigidimenti e chiusure, sotto il profilo etico e religioso, tornano a presentarsi ai vertici dell'impresa, a livello cioè manageriale, dove l'attività operativa viene, in linea di massima, vissuta senza frustrazioni ed eretta a scopo supremo dell'esistenza.11

c. La spiritualità laica dei lavoratori impegnati nel movimento operaio ad ispirazione marxista

È un fatto incontestabile che una notevole aliquota di lavoratori dell'industria, nel nostro Paese e in molti altri, hanno acquisito una coscienza di classe in acculturazione marxista.

Non sempre - anzi, in una percentuale abbastanza alta di lavoratori, almeno per quanto concerne l'Italia, non lo comporta - questo schieramento ideologico e pratico comporta, a loro avviso, una rinunzia a Dio, a Cristo e, talora, nemmeno all'appartenenza ecclesiale.

Come è noto, anche nel mondo operaio - dietro la suggestione di numerosi intellettuali cattolici militanti in partiti operai della sinistra - non mancano lavoratori convinti di dover associare, dialetticamente o meno, la propria vocazione cristiana alla professione marxista.

Senza dubbio, come già si è potuto rilevare, l'interiorizzazione del valore etico del proprio lavoro e degli impegni professionali, le tensioni derivanti dall'aggregazione sindacale e partitica ( in ordine all'umanizzazione del lavoro, alla conquista di uno statuto o condizione generale di vita dei lavoratori in sintonia con la loro dignità umana, alla loro partecipazione non strumentalizzata al potere aziendale e alla pianificazione economica generale ), rappresentano un modo positivo di vivere la spiritualità del lavoro e una lievitazione etica della professione tutt'altro che trascurabili.

Generalmente però questi lavoratori, impegnati nel movimento operaio ad ispirazione marxista, non trascendono l'orizzonte della storia e dell'economia e non vivono i loro impegni nel quadro della risposta alla eccelsa vocazione cristiana e quale traduzione concreta del supremo e qualificante imperativo dell'amore, che spinge il cristiano a portare frutti per la vita del mondo.

In particolare il principio e la metodologia della lotta di classe si muovono entro coordinate ideologiche a carattere materialistico-dialettico che inducono a giustificare l'odio e la violenza - anche
contro le persone; le rivendicazioni economiche e lo sforzo collettivo - in sé legittimo - per l'acquisizione di un potere reale da parte del mondo operaio, oltre ad essere ancora troppo spesso ( anche per incapacità educativa delle organizzazioni sindacali ) perseguiti entro angusti limiti corporativi, vengono disgiunti dall'impegno di un radicale cambiamento di mentalità.

Di conseguenza non pochi lavoratori si rivelano prigionieri della stessa mentalità economicista e individualista di tipo padronale.

Ora - e gli elementi più maturi del mondo operaio lo avvertono espressamente - senza questa profonda rivoluzione interiore e culturale ( in termini cristiani: senza incessante metanoia ) il cambiamento diviene illusorio, perché si limita ad essere soltanto un "cambiamento di padroni".

d. La spiritualità dei lavoratori cristianamente ispirati

Anche tra i lavoratori che si professano credenti e che, per coerenza alla propria fede e all'appartenenza ecclesiale, ritengono di non dover accedere all'ideologia e alle organizzazioni marxiste, non abbiamo univocità di atteggiamenti che consenta di parlare di un solo tipo di spiritualità.

Le indagini a carattere socioreligioso, infatti, rivelano l'esistenza di frange di lavoratori cristiani praticanti, che si mantengono estranei al sindacato e alle lotte collettive per l'umanizzazione del lavoro.

La loro dinamica spirituale rimane ancora fedele al tipo di una spiritualità che si potrebbe definire di fuga dal mondo, assai diffusa in passato.

Fortemente impressionati dall'ambiente del proprio lavoro, dal materialismo esteriore, incapaci forse di leggere più in profondo i valori della cultura operaia, essi ritengono che una vita spirituale non sia proponibile ne vivibile entro tale perimetro disumano, ateo, pesantemente anticlericale.

Anziché santificarsi attraverso il lavoro, vivendo sino in fondo la propria professione e sviluppando tutti gli aspetti positivi che la condizione culturale del lavoro comporta, a livello individuale e sociale, essi preferiscono ricercare l'elevazione spirituale fuori del mondo del lavoro, nell'ambito della famiglia, della comunità parrocchiale e nelle occasioni fornite dall'accresciuta dimensione del tempo libero.

Proprio le modalità con cui tale spazio viene vissuto dal lavoratore costituiscono un indice significativo della sua mentalità e spiritualità.

Cristiani e non, infatti, spesso, nel tempo cosiddetto libero, ricercano una rivalsa, quasi sempre insoddisfacente a causa delle continue manipolazioni che di esso compie l'apparato tecnocratico, un'occasione di creatività e libertà che riscatti le frustrazioni del lavoro quotidiano e, in particolare, la diuturna soggezione alle strutture verticistiche dell'impresa e al ritmo ossessivamente ripetitivo delle ore passate in fabbrica [ v. Tempo libero ].

Fortunatamente però la consistenza di questo tipo di cristiani tende a diminuire: il movimento operaio ad ispirazione cristiana, le ACLI in particolare, per riferirci alla situazione italiana, e settori specializzati dell'Azione cattolica, hanno espresso lavoratori di mentalità e spiritualità assai diverse.

Fedeli alla legge dell'incarnazione e ai principi della spiritualità laicale, enunciati nel Vat II [ v. Laico ], essi, mentre partecipano appassionatamente a tutti gli obiettivi, buoni o riducibili al bene, delle lotte perseguite dal mondo operaio, vivono il proprio lavoro entro le coordinate di una visione cristiana del valore intrinseco e autonomo dell'attività umana: entro questa, e non fuori di essa, cercano l'incontro con Dio, la propria elevazione integrale e il servizio dei fratelli.12

2. Spiritualità dei lavoratori rurali

Attraversato da una profonda crisi nella complessità delle sue componenti, che vanno dai braccianti, salariati e mezzadri fino ai proprietari, piccoli e grandi, il mondo dei lavoratori dei campi merita un'attenta considerazione.

È intatti fuori dubbio l'esistenza di una società rurale e di una correlativa civiltà o cultura rurale, per quanto essa appaia in via di transizione sotto la spinta di nuovi fattori culturali che la vengono progressivamente modificando.

I drammatici problemi di tale società, richiamati recentemente in documenti episcopali,13 sono espressi, anche numericamente, dalle proporzioni dell'esodo massiccio e tumultuoso verso gli aggregati urbani da parte delle forze di lavoro indispensabili allo sviluppo della civiltà rurale.

Tale esodo infatti ha superato ogni previsione e sconvolto ogni calcolo: mentre il programma economico nazionale ipotizzava nel quinquennio '65-'70 una riduzione complessiva di 600 mila unità agricole, in realtà oltre 1 milione e 273 mila addetti all'agricoltura hanno in quello stesso quinquennio abbandonato i campi.14

Per quanto concerne le dimensioni degli occupati nel settore agricolo è da rimarcare che, complessivamente, nel nostro Paese siamo passati da 6 milioni e 567 mila lavoratori rurali del 1960 ( pari al 32,6% dell'intera popolazione attiva ) ai 3 milioni e 684 mila del 1970 ( pari al 19,4% ).

Degno altresì di attenzione il fatto che la gran parte del proletariato agricolo, soprattutto braccianti, rimane nel mezzogiorno in condizione di grande precarietà e disoccupazione latente.

È appena necessario notare che la densità dei problemi incombenti sulla condizione agricola non può non incidere sulla spiritualità rurale tradizionalmente esaltata.

La qualità e forza dei comportamenti dei lavoratori dei campi e i valori emergenti nella cultura rurale sono tali, infatti, da renderla, almeno a prima vista, quanto mai disponibile alla fermentazione cristiana.

Ci sembra utile a questo punto premettere alcuni tratti della cultura contadina, rilevandone comportamenti, valori e visione generale del mondo.

a. I comportamenti dominanti nella civiltà contadina

Secondo il Demarle15 tali comportamenti sarebbero così identificabili:

un'onestà di fondo assai solida associata ad una certa qual avidità;

un senso accentuato di dipendenza, dovuto all'insicurezza;

un forte individualismo, dettato dalla combinazione di senso di inferiorità e di amor proprio;

un certo spirito di aiuto reciproco, ma tra vicini;

lo scarso spirito rivendicativo, di cui è segno la carenza di organizzazione sindacale;

il sospetto radicato per la burocrazia e le "scartoffie";

il senso e il gusto del lavoro autoorganizzato;

il senso profondo della famiglia tradizionale;

il rispetto del notabile tradizionale ( prete, maestro, padrone ) o nuovo ( il tecnico agrario );

la rassegnazione, subita o voluta, di fronte al proprio stato di emarginazione.

b. I valori presenti

Onestà, congiunta al desiderio di farsi giustizia da sé;

sospetto dell'altro come concorrente;

gusto del rischio, apprezzato come valore, ma affrontato con paura;

solidarietà, anche con i compagni di lavoro, non tanto spontanea quanto costruita sulla convergenza di interessi immediati;

solidarietà abbastanza spontanea, come obbligo di buon vicinato, congiunta però ad un certo rifiuto del vicino che emerge;

senso di indipendenza, individualismo, reticenza verso il collettivo; passività di fronte al mondo esterno e volontà di riuscire attraverso il lavoro autoorganizzato;

attaccamento al gruppo familiare e sociale;

visione piuttosto individuale della società; senso dell'ordine inteso in senso prevalentemente statico, come garanzia di stabilità;

senso del religioso con coloriture magiche, oggi in attenuazione;

ecco taluni valori non esenti da ambiguità che, in misura diversa, sembrano caratterizzare la civiltà contadina.

c. La visione del mondo

Tale cultura sembra essere contrassegnata da una coscienza fortemente dualistica della società: il grande/il piccolo; il ricco/il povero; noi/loro.

C'è nel rurale la coscienza di essere il parente povero della società, l'emarginato.

Nel contempo, però, c'è la consapevolezza dell'essenzialità di quel che si produce per la stessa società.

Inoltre nella coscienza contadina è molto viva l'attenzione alle norme e alle gerarchie sociali da rispettare, il senso della dipendenza dell'uomo dalla natura, congiunto alla consapevolezza del valore della creatività umana che trasforma la natura.

Invece appare piuttosto limitata la coscienza dell'importanza della politica, del potere politico e della dimensione politica della vita e della religione.

Di fronte al potere prevale un atteggiamento di sottomissione e di attesa.

Infine, per quando concerne la fede, questa è vissuta con spontaneità, ma con accentuato senso di passività nei confronti di Dio creatore e strettamente legata ai riti: le indagini di sociologia religiosa rivelano tuttavia importanti modificazioni nella fede dei rurali.16

Proprio tali inchieste riserbano grosse sorprese e demitizzano, almeno in parte, molti luoghi comuni, secondo i quali le campagne sono più religiose della città, gli analfabeti più religiosi degli uomini colti, e così via.

Le difficoltà in cui il mondo rurale si dibatte, dai braccianti - assimilabili ai sottoproletari urbani - ai coltivatori diretti e piccoli proprietari; i più frequenti contatti con la cultura urbana; la graduale trasformazione della società rurale in società industrializzata; la presenza di grossi complessi industriali anche nelle campagne; la diffusione dei ( v. ) mass media ed altri fenomeni similari comportano forti mutamenti culturali che incidono sulla religiosità e spiritualità dei lavoratori della terra.

Anche qui, unitamente a denominatori comuni, si rilevano profonde differenziazioni di atteggiamenti spirituali: quelli dei braccianti e salariati agricoli sono analoghi a quelli dei lavoratori dell'industria, in quanto spesso crescono in acculturazione marxista; più in sintonia con i tratti della civiltà contadina, che abbiamo evidenziato, appaiono quelli dei piccoli proprietari e dei coltivatori diretti, con notevoli varianti tra rurali del Nord e rurali del Mezzogiorno e delle Isole.17

3. Spiritualità dei lavoratori addetti ai servizi e dei lavoratori autonomi

Per completare questo sommario quadro tipologico è necessario, a questo punto, spostare l'attenzione a quelle categorie di lavoratori impegnati in settori sempre più vasti che occupano una larga parte delle forze di lavoro attive, benché non sempre direttamente produttive, e cioè commercianti, addetti ai trasporti, ai computers, per passare poi al ceto impiegatizio e a tutta la fascia del lavoro autonomo e delle cosiddette "libere professioni".

Mentre in un passato non lontano la morale si è soffermata anche a lungo sulla deontologia di tali libere professioni con notazioni interessanti sulla spiritualità del medico, dell'avvocato, del banchiere e simili, non altrettanto è avvenuto per gli altri settori oggi in fase di prima espansione.

Abbiamo già rilevato come i ceti impiegatizi - costituenti i ceti medi, detti anche ceti emergenti - siano proliferati nel nostro Paese, al di là della misura sopportabile.

È da rimarcare ancora il fatto che, per quanto permangano differenze di mentalità e di cultura tra gli impiegati e gli operai, tuttavia lo iato tradizionale è in gran parte caduto.

Le nuove alienazioni tendono ad investire anche il mondo impiegatizio, spesso accomunato ai lavoratori dell'industria nelle rivendicazioni sindacali e nelle opzioni politiche.

Questa situazione non è certo senza influenze sia sulla cultura borghese, di cui i ceti medi rappresentano pur sempre una fascia, sia sulla loro spiritualità.

I valori borghesi tradizionali - difesa e sviluppo dell'individualità:

gli studi come selezione, l'attaccamento alla tradizione, la ricerca di una mistica soprannaturale ( Dio ) o civile ( patria ), la ricerca del bello e del gratuito;

lo sforzo inteso a mantenere situazioni di privilegio e di rango sociale;

la volontà di servire individualmente la società;

l'affermazione dello spirito di iniziativa visto come diritto formale per tutti, ma reale per pochi;

il rispetto delle gerarchie;

la religiosità per tradizione e consuetudine;

la riservatezza e la discrezione nei sentimenti;

il senso sociale indirizzato verso l'ordine, l'unità, la difesa delle potenzialità innate dell'individuo

- sono in via di rapido cambiamento.

Per quanto riguarda spiritualità e religiosità, le statistiche dimostrano che proprio a livello di ceti medi impiegatizi alligna quella religiosità "culturale" tipica degli indifferenti che costituiscono la maggioranza dei battezzati italiani.18

Per quanto attiene gli addetti ai servizi - data l'enorme varietà di professioni esistenti: si pensi ai netturbini, camionisti, garagisti, commercianti, ecc. - è ovvia l'impossibilità di un discorso, univoco, relativo al vissuto spirituale di questi lavoratori.

Di per sé, ove le condizioni di lavoro sono più facili e gratificanti di quelle dell'industria, sembrerebbe esistere un humus che facilita l'interiorizzazione della spiritualità cristiana della professione.

Però, ancora una volta, le statistiche di sociologia religiosa ci attestano che la religiosità italiana si distingue per una situazione abnorme, in quanto le principali carenze riguardano proprio la popolazione attiva.19

Ciò comporta per gli operatori pastorali un grave compito di evangelizzazione e di acculturazione delle prospettive di spiritualità cristiana del lavoro e della professione che, dopo questa ampia scorsa sul vissuto dei lavoratori, possiamo passare ad illustrare.

III - Linee teologiche per una spiritualità del lavoro oggi

In sede di riflessione teologica, più che su norme etiche, attualmente l'accento viene posto sulla spiritualità del lavoro.

Questa, se pur trova notevoli spunti nella storia della spiritualità cristiana delle epoche passate, ha tuttavia bisogno di essere rielaborata ed espressa in un nuovo universo semantico, che la renda capace di rispondere alle attese e alle precomprensioni dell'uomo contemporaneo soprattutto in tema di rapporto uomo-natura, lavoro e strutture sociali, lavoro e istituzioni politiche.

Alla teologia del lavoro quindi, come parte rilevante della "teologia politica", spetta il difficile compito di acculturare le indicazioni bibliche di base e quelle magisteriali entro quel contesto di civiltà del lavoro e della tecnica, di cui si è in precedenza parlato.

1. L'apporto della tradizione

L'analisi attenta delle migliori opere esistenti sulla storia della spiritualità cristiana rivela notevoli lacune e insufficienti approfondimenti appunto in tema di spiritualità del lavoro.20

Manca infatti in tali opere l'accurato studio del doppio binario delta spiritualità attivistica e contemplativa, di quella monastica e laicale che pure attraversa tutta la storia del mondo cristiano e del suo confronto col lavoro.

Egualmente sono carenti le notazioni relative alle differenze che intercorrono, sempre in tema di spiritualità del lavoro, tra l'Occidente e l'Oriente, le chiese riformate e la chiesa romana.

In tale complessa e differenziata tradizione sono tuttavia identificabili dei denominatori comuni, tra i quali emerge, in primo luogo, l'ambivalenza del lavoro.

Esso, infatti, viene inteso ora come servizio reso a Dio e autopromozione dell'uomo che lo compie - non tanto in sé quanto per la sua valenza ascetica e le possibilità che apre all'azione caritativa nei confronti degli indigenti -, ora come sabbia mobile in cui l'uomo sprofonda.

Tale prospettiva teologica si alimenta alla rappresentazione biblica - oggi esegeticamente assai approfondita - del Dio che lavora, sia nell'opera creativa che redentiva, e dell'uomo, imago Dei, cui fin da principio, antecedentemente ad ogni deviazione colpevole, viene affidato l'esaltante compito di portare a termine la creazione, in sintonia col piano divino di salvezza ( anche cosmica ).

Particolare rilievo è stato dato dalla tradizione alla penosità del lavoro che, in seguito al peccato, risulta dall'alterato rapporto uomo-natura, alterazione a sua volta conseguente alla più profonda rottura della relazione uomo-Dio e uomo-uomo.

Nelle acculturazioni cristiane, influenzate dal platonismo, l'aspetto penoso del lavoro, etimologicamente espresso nelle stesse parole che lo significano anche nelle lingue moderne, ha subito forti accentuazioni.

Le prime comunità cristiane, se pur vengono sollecitate alla laboriosità, non dimostrano di apprezzare il lavoro all'infuori dell'ottica che in esso ravvisa il mezzo necessario per guadagnarsi la vita, raggiungere la autosufficienza e, in particolare, mettersi in grado di aiutare il prossimo bisognoso.

Troppo noti, per dover essere qui ricordati, gli atteggiamenti dei padri della chiesa in tema di rapporti economici e la loro ferma condanna di attività perseguite solo per avidità di profitti individualistici e in vista di un'appropriazione dei beni "in filo spinato", ignara delle altrui necessità, decisamente contrastante a quella comunanza dei beni, rispondente al primitivo disegno di Dio, che vuole tutti i beni comuni, e all'esempio della prima comunità apostolica.

Ad onta dei forti residui culturali a carattere dualistico d'ispirazione platonica, anche le tradizioni monastiche ravvisano nel lavoro, unito - con una dialettica dell'ex et - alla preghiera, un mezzo di perfezionamento e di santificazione personale, oltre che la via regia per restare nella autosufficienza del povero che vive esclusivamente dei frutti del suo lavoro.

In conclusione, nonostante talune importanti riflessioni a carattere teologico, elaborate nel periodo medievale, la spiritualità cristiana tradizionale, sia essa monastica o laicale, non è riuscita, specialmente nel momento di crisi ( quando, rompendosi l'unità del mondo feudale, si passava dall'economia statica e curtense alla dinamica moderna ), a comprendere adeguatamente il carattere rivoluzionario di tale transizione, a percepire la logica interna del nuovo sistema che si veniva instaurando e ad acculturare, modificandole, le prospettive del passato nel nuovo clima, al fine di stimolare una positiva critica dei nuovi rapporti uomo-natura, uomo-strutture sociali.21

2. Teologia e spiritualità del lavoro alla luce del Vat. II

Le premesse di un più aderente, articolato e aperto discorso teologico, fondante una diversa spiritualità del lavoro, soprattutto per il laicato che è direttamente operante nei più svariati campi dell'attività professionale, sono da rintracciare, a partire dal secolo scorso, nella vigorosa ripresa della teologia biblica e nell'insegnamento sociale dei papi, frutto e stimolo di nuovi fermenti teorico-pratici presenti nel mondo cristiano.

Tuttavia l'interesse teologico per il lavoro, inteso come fattore essenziale nella formazione della nostra civiltà e componente fondamentale della cultura, è relativamente recente.

Matura, infatti, attorno agli anni' '50 nelle opere teologiche di autori prestigiosi, prevalentemente di lingua francese ( come ad es. Chenu, Teilhard de Chardin, Congar ), che hanno fatto sentire il loro peso influente nei documenti del Vat II, relativi alla spiritualità laicale e alla valutazione positiva dell'attività umana e cristiana nel mondo.22

La riflessione conciliare sul lavoro, infatti, appare inserita entro una nuova ecclesiologia che comporta nuovi rapporti tra chiesa e mondo, uomo e natura.

Alla tradizionale e dominante "spiritualità di fuga" si sostituisce una spiritualità "incarnata", fondata cioè sull'impegno nel mondo ( AA 4 e AA 7 ); ad un'etica a carattere fortemente individualistico e privatizzato succede un orientamento morale che privilegia gli impegni sociali del cristiano ( GS 30 ).

Il valore dell'attività umana e le legittime autonomie dell'agire economico e politico trovano ampi e significativi riconoscimenti ( GS 34 e GS 36 ).

Il lavoro umano, anche più umile, in suggestiva prospettiva cosmica - ad ispirazione teilhardiana e con forti venature ottimistiche - viene collegato all'opera creativa e redentiva e pienamente reintegrato nell'orizzonte della salvezza individuale e storica ( GS 76 ).

Cadono così, almeno in linea concettuale e programmatica, le antiche contrapposizioni dualistiche tra vita contemplativa e attiva e la possibilità di una nuova visione dei rapporti uomo-natura, uomo-tecnica e uomo-uomo rimane aperta.

Nella prospettiva conciliare la persona che lavora - e lavora tecnicamente sfruttando tutti gli apporti della scienza applicata all'industria - tende a configurarsi come demiurgo della natura di cui Dio non è affatto geloso: rientra infatti nel volere di Dio che l'uomo, con la sua molteplice attività, porti a termine il suo disegno salvifico, creativo e redentivo insieme, autorealizzandosi nel lavoro e simultaneamente socializzandosi, scoprendo cioè il valore dell'altro e l'impegno dell'amore e della giustizia nei confronti della comunità, al cui servizio il lavoro è anche orientato.

In questo triplice profilo teologico del lavoro - compimento del piano salvifico e quindi servizio di Dio e del suo regno, autorealizzazione della persona e servizio della comunità nella riscoperta dell'unità e della solidarietà attraverso il rapporto di lavoro - trova il suo fondamento una nuova etica del lavoro che esaltando la giustizia e l'amore "politico", apre la via ad una nuova spiritualità professionale.

3. Verso una nuova deontologia e spiritualità della professione

In seguito a queste profonde suggestioni dei documenti conciliari e ad una più attenta disamina delle situazioni che contrassegnano la condizione odierna dei lavoratori, si sono venute articolando molteplici prospettive teologiche le quali, muovendosi nell'ambito della teologia delle realtà terrestri, hanno vivacemente sottolineato la dimensione politica della fede e la necessità di una teologia che parta dall'impegno di liberazione e trovi in esso il suo banco di prova e di verifica: si tratta in particolare delle teologie della prassi e della liberazione.

Esse, in verità, pur non presentando contributi specifici alla teologia spirituale del lavoro, consentono tuttavia di correggere le tonalità, talvolta eccessivamente ottimistiche, delle mistiche del lavoro elaborate nella scia esaltante della GS, e favoriscono una spiritualità della professione sintonizzata alle ispirazioni conciliari ma più attenta alle istanze emergenti dalle analisi psicosociologiche della condizione odierna dei lavoratori.

Mentre negli anni '60 le teologie del progresso asserivano che, indipendentemente dalle intenzioni soggettive e dalle condizioni ambientali, ogni atto rivolto all'umanizzazione della natura e alla sua razionalizzazione, rientrava per ciò stesso nella costruzione del regno di Dio ed era, quindi, da ritenersi soteriologico, le teologie della prassi si dimostrano molto più caute nell'esaltazione della linearità del progresso e nella sua assimilazione alla dinamica del regno di Dio.

Pur non dimenticando gli aspetti positivi del lavoro, questi nuovi orientamenti teologici sottolineano le influenze negative delle condizioni generali, entro cui l'attività lavorativa si svolge, le quali non consentono ne autoperfezionamento del lavoratore, ne reale servizio alla comunità: nella critica al sistema neocapitalistico le teologie della prassi trovano un denominatore comune.23

Un'autentica spiritualità del lavoro sembra quindi non possa prescindere da un atteggiamento di fondo che metta in questione quei sistemi sociali che determinano o favoriscono asservimenti e alienazioni crescenti nel mondo del lavoro dipendente ( sia operaio che impiegatizio ), squilibri e sperequazioni economico-sociali nelle aree nazionali e internazionali ( sottosviluppi funzionali alle zone privilegiate ), imperialismi delle superpotenze nazionali ed economiche ( imprese multinazionali ), paurosi deterioramenti ecologici a tutti i livelli.

La progressiva presa di coscienza del sistema e della sua forza potrebbe tuttavia determinare - e di fatto determina - tentazioni analoghe alla spiritualità di fuga, che caratterizzava la spiritualità preconciliare.

Come si è visto, non mancano credenti che, dichiarandosi apolitici, rifuggono da ogni impegno di lotta, ricercando spazi liberatori fuori del lavoro, nel familismo e nella dimensione del tempo libero.

Altri, invece, potrebbero nuovamente fare appello alla spiritualità dell'intenzione, come faceva la deontologia professionale di qualche anno fa, affermando che l'elemento decisivo è l'intenzione di servire Dio e il prossimo e l'unione amorosa con lui, qualunque sia il tipo di lavoro che si compie e le condizioni di "sistema" socio-economico-politico, entro cui si svolge.

a. Dalla spiritualità dell'intenzione alla spiritualità dell'impegno

Le nuove prospettive teologiche, di cui si è fatto cenno, si rivelano molto critiche nei confronti di una spiritualità che cerca di ricuperare tutto sul piano della purezza intenzionale, accettando senza contestazione le condizioni di lavoro, la gerarchia delle professioni e l'assetto economico sociale nel cui ambito esse si articolano.

Una spiritualità dell'intenzione non può cambiare in oro ciò che è piombo; la morale di ogni tempo ha sempre riconosciuto che certi tipi di "lavoro" o "professioni", oggettivamente immorali, non possono essere riscattati da nessun processo o alchimia soggettiva: in quanto incompatibili con la dignità umana e una pacifica e ordinata convivenza vanno decisamente rifiutati.

Ma anche per altre attività lavorative, che non si prefiggono fini immorali, il problema si ripropone allorché queste presentano gravi aspetti alienanti.

È il caso delle situazioni di lavoro dipendente esaminate nei precedenti paragrafi, delle professioni che risultano strettamente funzionali ad un sistema oppressivo che tali alienazioni favorisce e incrementa, e cioè attività tecniche ad alto livello ( tecnocrati, ricercatori scientifici, managers ).

Una spiritualità dell'intenzione soggettiva pura non appare più sufficiente, sotto il profilo umano e cristiano, quando sia disgiunta dall'impegno effettivo, individuale e comunitario, di umanizzazione dell'ambiente di lavoro e di superamento delle matrici cui l'alienazione ingiusta si alimenta.

Al di là, infatti, di ogni buona intenzione soggettiva, i compiti professionali sempre più difficilmente appaiono un momento di autopromozione del lavoratore e di servizio ai fratelli.

Rappresentano al contrario una corvée funzionale alle centrali del potere, che ne usufruiscono per conservare profitti e privilegi.24

Una spiritualità autentica appare quindi chiamata ad interiorizzare quei valori di fondo e quegli orientamenti morali che, mentre corrispondono alle esigenze della propria vocazione cristiana, al servizio di Dio negli altri, consentono di portare sino in fondo, in sintonia con la logica dell'incarnazione, tutte le possibilità positive del lavoro che si svolge e di liberarlo progressivamente dalle alienazioni che lo condizionano negativamente.

b. Spiritualità incarnata nell'esigenza di vivere sino in fondo la professione

L'esigenza più avvertita oggi dalla deontologia professionale e da una spiritualità non evasiva del lavoro è innanzitutto quella di non uscire fuori, di non fuggire dall'ambiente del proprio impegno operativo, ma di viverlo sino in fondo per quello che è, sviluppando al massimo le potenzialità di autoperfezionamento e di servizio ( di Dio e degli altri ) che esso contiene.

Ciò comporta innanzitutto esigenza di impegno, serietà, competenza; in secondo luogo postula una visione chiara della dimensione sociale e politica della propria professione; un approfondimento delle implicazioni tra le scelte operate nell'ambito della propria professione e il bene generale della società; un attento confronto tra diverse scale di valore e cioè confronti tra etica professionale ed etica familiare, aspirazione al guadagno e impegno di vivere con gli altri e per gli altri entro l'ottica delle beatitudini e della croce.25

c. Spiritualità dell'impegno di umanizzare il lavoro e le strutture produttive

Chi entra nella logica di vivere sino in fondo il proprio lavoro non può non interiorizzare l'esigenza di fare di questo una realtà personale e personalizzante, superando le angustie di un'attività spesso banalizzata e avvilente.

Ma, nel perseguimento di questa finalità, il lavoratore non tarda a rendersi conto che la sua attività non potrà diventare fattore di umanizzazione, promozione e liberazione del singolo e della comunità, se non si realizzano profondi cambiamenti a livello di struttura produttiva e di società.

Ogni buona intenzione di scoprire nel proprio lavoro una sorgente di autorealizzazione e di servizio per i fratelli è destinata a rimanere velleitaria, nella più parte dei casi, se non trova la sua epifania in una serie di concreti impegni sindacali e politici, rivolti alla modifica delle strutture produttive in senso umano e comunitario: la spiritualità del lavoro dipendente, per essere autentica, deve sfociare nel comune sforzo che mira ad aprire canali partecipativi al mondo operaio e impiegatizio, innervandolo di alta ispirazione etica;26 inoltre, sfuggendo alla tentazione ( così frequente nella ( v. ) storia della spiritualità cristiana ) di dissociare vita spirituale e vita sociale reale,27 stimola ad assumere lo spessore conflittuale del mondo reale e ad affrontare anche i problemi più generali della convivenza civile, ivi compresi quelli delle riforme strutturali e istituzionali, senza delle quali le condizioni di lavoro resterebbero sempre gravi e precarie.

Vivere le dimensioni sociali e politiche del proprio lavoro significa partecipare all'impegno socio-politico che mira alla realizzazione del diritto-dovere di lavorare, in modo da consentire a ciascuno il compimento del lavoro come vocazione.

Oltre a creare, attraverso le spinte del movimento operaio e delle organizzazioni politiche, condizioni sociali più idonee al superamento della disoccupazione e della sottoccupazione, si tratta, infatti, di consentire a tutti, mediante la cultura e l'orientamento professionale, una libera scelta di attività conformi alla propria vocazione e quindi in grado di soddisfare e promuovere il lavoratore.

Una particolare espressione poi di questa spiritualità dell'impegno professionale cristiano consiste nel dare il proprio contributo acciocché il momento del lavoro sia contemperato al momento del riposo.

In questa linea rientrano gli impegni indirizzati alla liberazione del cosiddetto tempo libero dai pesanti condizionamenti che lo assimilano ai ritmi spesso ossessivi e asserventi del tempo lavorativo per farne una dimensione realmente diversa al servizio della cultura, del turismo, del rapporto interpersonale, del culto e della preghiera [ v. Tempo libero ].

IV - La spiritualità cristiana del lavoro come nuova sintesi

Gli orientamenti teologici, ispirati al Vat II, la deontologia professionale e la spiritualità che ne derivano, rappresentano un netto superamento delle dissociazioni tra interiorità e storia, tra contemplazione e azione sociale ( di cui la separazione tra chiesa e mondo dei lavoratori è significativo indice ), ereditate da una lunga tradizione spirituale precedente.

Ci troviamo, infatti, di fronte ad un tipo di spiritualità che, pur restando fedele alla trascendenza, segue la legge dell'incarnazione, assumendo come banco di prova lo spessore conflittuale del mondo del lavoro e della società.

Questo nuovo atteggiamento di fronte alla storia, mentre rinuncia alle dissociazioni del passato e alle identificazioni anche larvate della chiesa coi potenti del mondo, si concretizza nella presenza impegnata nel mondo dei poveri e nello sforzo rivolto alla loro liberazione integrale.

La sintesi però tra interiorità e impegno sociale nella storia è tutt'altro che agevole.

1. Conflitti, oscurità e tentazioni bell'impatto col progresso storico conflittuale

Il passaggio dal modello dualistico del passato alla forma unitaria e sintetica non avviene senza dolore e "notti oscure".

Entrando nel vivo del processo storico conflittuale, infatti, la spiritualità esce dalla sua sfera protetta e isolata, perde chiarezza e unità formale, « comincia allora ad attraversare, nei "dolori del parto" ( Rm 8,22 ), una crisi dolorosa di tensioni, di conflitti interni e di oscurità, con la grave tentazione di ritornare al suo rifugio spiritualistico e di abortire, così, la nuova vita secondo lo Spirito ».28

In effetti la recente storia dei lavoratori cristiani, impegnati nella difficile sintesi tra interiorità cristiana e impegno sociale di liberazione, e in particolare l'esperienza dei preti al lavoro, è contrassegnata da queste profonde crisi e tentazioni.

Giustamente queste vengono assimilate alle "notti dello spirito" dei mistici antichi, in quanto, saltate le forme abituali di spiritualità e di prassi pastorale, ci si muove in terra nuda, senza punti di riferimento chiari, spesso nell'incomprensione di molti.

a. Difficoltà dei lavoratori cristiani nell'armonizzare spiritualità e impegni sociali storici

La recente vicenda del movimento aclista in Italia - analoga a quella di militanti cristiani di altri paesi - appare in proposito emblematica.

Nell'acquisita coscienza di dover partecipare in pieno alle tensioni e lotte del movimento operaio, questi lavoratori cristiani si trovano di fronte a molteplici dilemmi: unirsi ai compagni nelle opzioni socialiste e nella stessa lotta di classe, oppure, in nome dell'identità cristiana, continuare a professare l'interclassismo?

Aderire senza discutere alle indicazioni della dottrina sociale cristiana, oppure, in sofferto contrasto, rivendicare spazi autonomi e pluralistici in campo sindacale e politico per rispondere alle attese del movimento operaio?

Battersi a fondo con lo sciopero nelle trattative contrattuali, oppure continuare a considerarlo extrema ratio, cui fare appello solo dopo aver esperito tutte le vie di composizione?

Per quali vie conciliare la non violenza cristiana e le dure necessità di una lotta che voglia essere efficiente e realistica?

Limitarsi alle lotte a carattere economico, oppure scendere in campo anche per le riforme strutturali e per il cambiamento generale del sistema in direzione nettamente anticapitalistica?

Mantenersi ancorati ad una spiritualità che continua a leggere i mali sociali in termini di peccato individuale, oppure optare per una ottica che, scendendo più in profondo, aiuta ad individuare e colpire le cristallizzazioni sociali del male e dell'ingiustizia?

Questi e consimili interrogativi e alternative - collegati al problema del rapporto fede e politica, chiesa e storia, movimento cristiano e movimenti marxisti - costituiscono fonti di gravi ansietà sia per i singoli militanti cristiani, sia per i gruppi che agiscono nel mondo dei lavoratori.

A ciò si aggiungano le difficoltà che il lavoratore incontra nell'armonizzare le esigenze familiari - spesso improntate all'etica borghese e consumistica - con quelle di militante operaio, le rivendicazioni economiche di categoria con l'interesse generale della comunità, le tensioni per un accrescimento, legittimo, di potere e di benessere e la fedeltà all'ottica della croce e delle beatitudini nel cui ambito il lavoratore, in quanto cristiano, deve pur muoversi ed operare.

b. Tensioni peculiari nei preti operai

Le difficoltà e i conflitti dei preti operai con le chiese locali e con Roma sono assai note.

Meno appariscenti, ma ancor più profondi, sono i conflitti interiori da essi incontrati nell'entrare nella classe operaia per condividerne a cuore aperto e fronte alta, linguaggio, lotte ed opzioni.

A dire di un loro esponente ciò è costato « fatica di anni, fatica di sangue, fatica di anima, fatica anche a rischio di vita eterna ».29

Significative, a prescindere dalle radicalizzazioni polemiche, appaiono talune espressioni di un documento stilato al termine di un recente convegno di preti operai, che riferiamo come esempio di spiritualità del lavoro, incarnata nella conflittualità storica: « Provocati dall'evangelo, noi partecipiamo alle lotte di liberazione nelle forme storiche del movimento operaio e sentiamo di rivivere l'esperienza di fede e di liberazione di un popolo passato attraverso l'esodo dalla schiavitù alla libertà e al possesso della terra nella giustizia.

Non ci è possibile emarginare la lotta di classe in nome della fede, anzi la fede ci spinge al coraggio profetico di partecipare ai progetti storici di liberazione e ci fa schierare contro ogni forma di alienazione e di potere.

Ma non ci sentiamo nemmeno di poter emarginare la fede, coscienti che le liberazioni storiche, opera delle nostre mani e della nostra responsabilità, non esauriscono la liberazione totale e globale annunciata e donataci da Cristo…

La fede ci fa sentire, nell'oscurità e nel silenzio, che la liberazione portata da Cristo comprende e riassume storicamente tutte le nostre aprendole ad un futuro liberato da ogni contraddizione ».30

Per quanto gravi e dolorose possano risultare, tali crisi appaiono salutari: esse, infatti, costituiscono un momento importante di crescita e maturazione cristiana, in quanto portano alla « riscoperta ermeneutica e dinamica della spiritualità cristiana, nello Spirito biblico, creatore della totalità viva, che è lo stesso Spirito profetico ed escatologico, operante già "nel cuore delle masse", nel centro creatore e conflittuale della storia ».31

2. Impegni ecclesiali di acculturazione e azione pastorale nel mondo dei lavoratori

Perché lo sforzo di evangelizzazione e promozione umana, perseguito dalla chiesa, non riesca vano soprattutto in quei settori che da essa più si sono staccati, quale è appunto il mondo del lavoro dipendente - e nel nostro Paese la maggior parte della popolazione attiva - non è sufficiente che l'annuncio e la testimonianza di una spiritualità cristiana, sintetica e incarnata nell'impegno, siano lasciati a pochi individui e gruppi di frontiera.

Tutta la comunità cristiana dovrebbe essere coinvolta in questa forte tensione.

Per quanto il discorso pastorale non rientri di per sé nelle specifiche finalità del dizionario, ci sembra utile un'indicazione sommaria delle esigenze che a tale livello appaiono emergenti:

- la concezione cristiana della salvezza cristiana integrale, che è dono dello Spirito, da meritare attraverso l'impegno terrestre di liberazione anche umana ( anticipo e segno della liberazione definitiva ), per riuscire comprensibile nel mondo dei lavoratori deve esprimersi attraverso una religiosità e spiritualità sintonizzate alle loro istanze più profonde: ciò suppone un incessante sforzo di "acculturazione" dell'etica e della spiritualità cristiana, affinché queste siano viste in realtà - e non solo attraverso proclamazioni teoriche - come espressione e componenti di un nuovo umanesimo « in cui l'uomo si definisce innanzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia » ( GS 55 );32

- la comunità cristiana, nel suo complesso, ha da assumere più chiara consapevolezza e più netti atteggiamenti nei confronti delle ingiustizie strutturali e della logica disumana e alienante, sottese alle alienazioni vecchie e nuove di cui i lavoratori e nuovi ceti dipendenti pagano le conseguenze;

- poiché, al di là di certi atteggiamenti conservati e di una cultura di fondo permeata di valori cristiani o cristianizzabili, il mondo dei lavoratori appare a molti vera terra di missione, il metodo con cui dovrà essere accostato non potrà non essere missionario.

Di qui, oltre la necessità di un'oculata acculturazione, già ricordata, l'esigenza che tutta la comunità locale si ponga in atteggiamento di "missione operaia", soprattutto in quelle diocesi in cui il mondo operaio costituisce la parte preponderante della popolazione: « Chi opera nell'evangelizzazione del mondo operaio deve sentirsi a tutti i titoli "mandato" dalla comunità, sorretto dalla comunità, punta avanzata della chiesa in un mondo da ricondurre a Cristo, ma sempre ancorato alla comunità cristiana in cui si alimenta la sua fede e si realizza la sua preghiera e l'incontro al banchetto eucaristico ».33

Creatività
Mondo
Professione
Sindacati
Tempo
Antinomie del lavoro Antinomie I
Progressiva umanizzazione Antinomie III
… nel mondo Mondo V
… e il religioso Comunità IV
Povero III,1c
… e sabato Ebraica III
… e la donna Femminismo I,6
… e bellezza Immagine V,2

1 Questi dati sono desunti da Sylos Labini, Saggio sulle classi sociali in Italia, Bari, Laterza 1974, 153ss
2 F. Alberoni, Classi e generazioni, Bologna, Il Mulino 1970; E. Gorrieri, La giungla retributiva, Bologna, II Mulino 1972; I. Vaccarini, Operai e impiegati nella società italiana in Aggiornamenti sociali 27 (1976) 327-347
3 D. Pizzuti, La conflittualità permanente in Studi Sociali 10 (1970) 358
4 G. Mattai, Aspetti, condizioni, problemi del lavoro oggi in Aa. Vv., Messaggio cristiano ed economia, Bologna, Dehoniane 1974, 321ss
5 A. Touraine, La coscienza operaia, Milano, F. Angeli 1969, 32
6 D. Pizzuti, Religiosità popolare e classi subordinate nel Mezzogiorno in Il Tetto 11 (1974) 395-409; altre indicazioni bibl. alla voce ( v. ) Religiosità popolare
7 Cosi si esprime B. Manghi nella presentazione all'opera di A. Touraine (cit. alla nota 5), 18. Per meglio interpretare sociologicamente tale declino è opportuno attendere alla dinamica del movimento operaio europeo nelle sue tre diverse fasi evolutive, caratterizzate, la prima, dalla prevalenza dell'identità di ceto preindustriale sull'identità di classe, la seconda, dall'identità di classe, la terza dalla prevalenza dell'identità di ceto industriale sull'identità di classe.
Tuttavia anche in questa terza fase la coscienza di classe rimane pur sempre un tratto rilevante del movimento operaio europeo.
Si veda in proposito l'art. di I. Vaccarini (cit. alla nota 2), 333
8 J. Demarle, Classes sociales et pastorale in Masses ouvrières 1970, 1, 24ss
9 K. V. Truhiar, Lavoro industrializzato in LS, 324
10 S. G. Gabrielli, La religione serve o non serve? in Industria e Religione a cura di F. Demarchi e A. Ellena, Broscia, Morcelliana 1969, 156ss; per altre inchieste, relative all'ambiente giovanile, cf Giovani tra classi e generazioni, Reading a cura di G. Bianchi e A. Ellena, Milano, Celuc 1973, 310ss
11 S. G. Gabrielli, o. c., 178ss
12 Sulla storia delle ACLI si veda G. Pasini, Le ACLI dalle origini, 1944-48, Roma, Coines 1974; per i rapporti con il magistero A. Boschini, Chiesa ed ACLI, Napoli, Dehoniane 1975; sulle più significative prese di posizione del movimento cf gli Atti degli Incontri nazionali di studio, editi dalle ACLI e, in particolare, gli Atti del XVIII incontro, tenuto nell'agosto '70 a Vallombrosa sul tema Movimento operaio, capitalismo, democrazia
13 CEI, La chiesa e il mondo rurale italiano in Il Regno Documenti 19 (1974) genn., 4ss
14 I dati sono desunti da ISTAT, Annuario di statistiche del lavoro e dell'emigrazione, XII, 1971.
Per ulteriori informazioni cf C. Barberis, Gli operai contadini, Bologna, II Mulino 1970; Id., Sociologia rurale, Bologna, Edagricole 1973
15 J. Demarle, Cfasses sociales et pastorale (nota 8)
16 G. D'Ascenzi, Coltivatori e religione, Bologna, Edagricole 1973, 123ss; per un utile raffronto tra i dati di questa inchiesta e quelli più recenti emergenti dalle ricerche promosse dalla CEI si veda COP, (Centro Orientamento Pastorale), Rapporto di ricerca, Industrializzazione. Quale mentalità? Quale religiosità? Quale pastorale?, Roma 1974
17 I soggetti raggiunti dall'indagine cit. del D'Ascenzi non coprono tutto l'arco della popolazione rurale, ma solo i titolari d'azienda. La scelta di una categoria rigorosamente omogenea, se contribuisce alla scientificità dell'indagine, non consente però di estendere i dati a tutto l'universo dei rurali e, in particolare, ai lavoratori dipendenti delle aziende agricole, le cui condizioni di arretratezza socio-economica sono state esattamente evidenziate in E. Corrieri, La giungla retributiva (cit. alla nota 2)
18 Per un primo approccio (con indie, bibl.) si veda S. Burgalassi, I tratti salienti della situazione socioreligiosa italiana.
La realtà anagrafica e la sua interpretazione sociologica in Catechesi 43 (1974) marzo, 3-23; oltre i numerosi studi del Burgalassi si veda anche E. J. Pin, La religiosità dei romani, Bologna, Dehoniane 1975 e la cit. ricerca del COP
19 Le inchieste sociologiche religiose promosse dalla CEI a livello nazionale rivelano appunto la vistosa assenza tra i "praticanti" di tutta la fascia adulta che va dai 18 ai 35 anni, e soprattutto degli uomini, che vanno ad ingrossare il numero degli "indifferenti"
20 Anche l'opera collettiva sulla storia della spiritualità cristiana curata da L. Bouyer, che costituisce l'approccio migliore in materia, risente dell'inadeguato approfondimento della spiritualità laicale e delle sue caratteristiche (cf G. Campanini, Etica cristiana del lavoro in Aa. Vv., Messaggio cristiano ed economia [cit. alla nota 4], 396)
21 G. Campanini, o. e., 404ss
22 K. V. Iruhiar, Il lavoro cristiano. Per una teologia del lavoro. Roma, Herder 1966
23 Per un primo approccio a questi orientamenti teologici cf B. Mondin, Le teologie del nostro tempo, Alba, Edizioni Paoline 1976
24 G. Gatti, La morale professionale nella maturazione della sensibilità ecclesiale in Note di pastorale giovanile 9 (1975) 1, 15
25 G. Campanini, o. c., 446ss
26 G. Mattai, Per una società partecipata in RTM 6 (1974) n. 21 99-115
27 F. Urbina, La vita spirituale come tentazione in Con 11 (1975) 1538ss
28 Ibid., 1549
29 A. Filippi, Preti operai: parole pesate vent'anni in Il Regno Attualità 21 (1976) 2, 3
30 Documento conclusivo (del convegno tenuto a Serramazzoni nel gennaio 1976), ibid., 6
31 F. Urbina, a. c., 1549
32 Il compito dell'acculturazione continua del messaggio cristiano (di per sé completamente eterogeneo rispetto a tutte le culture umane) lungo la storia e dentro tutte le culture, ascrivibile alla chiesa tutta intera, è sottolineato con particolare originalità ed efficacia da T. Goffi, Etica cristiana in acculturazione marxista, . Assisi, Cittadella 1975, 61ss
33 A. Revelli, Esperienze pastorali nel mondo operaio in Industria e religione, (cit. alla nota 10), 299-300