Sociologia

IndiceA

… e spiritualità

Sommario

I. Sociologia e religione: precomprensioni culturali:
1. Sociologia e storia della spiritualità;
2. Spiritualità e condizionamenti socioculturali;
3. Rapporto dialettico tra spirituale e temporale.
II. La spiritualità del sociologo:
1. Atteggiamenti antispirituali;
2. Verso una nuova etica professionale del ricercatore sociale:
a. La sociologia come ricerca partecipata;
b. La sociologia come strumento diagnostico e potenza demistificatrice.
III. Nuovi rapporti tra sociologi e teologi:
1. Sociologia ed eclissi del sacro;
a. Mutamenti del fenomeno religioso;
b. Riadattamenti del fatto religioso alla nuova società,
c. Sopravvivenze della religione nell'età secolare;
2. Relativizzazione della sociologia;
3. Previsioni sociologiche sul futuro della religione;
4. Indicazioni sociologiche per una spiritualità autentica.

I - Sociologia e religione: precomprensioni culturali

L'ostilità da parte dei cultori della teologia nei confronti delle scienze psico-sociologiche risale al secolo, scorso.

Proprio, da quei settori erano partiti attacchi a fondo, rapidamente divulgati anche a livello popolare, contro la religione e la spiritualità, declassate ad espressioni oniriche e deliranti delle creature oppresse alla ricerca di evasioni: consolatrici, o ridotte a forme ambigue di copertura e sostegno delle classi dominanti.

Queste infatti - si ideologizzava -, pur di non cedere il passo a nuove forze egemoniche, pur di conservare il potere e non alterare gli equilibri socioeconomici faticosamente conquistati, sarebbero sempre disposte a strumentalizzare l'apparato istituzionale chiesastico e gli stessi atteggiamenti religiosi di fondo.

Nelle prospettive marxiane in tema di religione e spiritualità - prospettive largamente recepite, anzi aggravate e radicalizzate in seguito all'affermarsi della mentalità positivista e scientista - è da ricercarsi una delle principali ragioni per cui la ricerca sociologica, anche se diversamente orientata, ha incontrato serie difficoltà prima di ottenere diritto di cittadinanza nell'ambito delle scienze religiose, sia pure in funzione di partner ausiliario della filosofia, tradizionale ancilla del sapere teologico.

A seguito però della progressiva diminuzione delle precomprensioni negative nei confronti della religiosità, dimostrata da importanti correnti della ricerca sociologica, si è venuta facendo strada anche tra gli studiosi cattolici l'idea che gli stessi fenomeni della vita religiosa, in quanto fenomeni umani, socialmente condizionati, erano suscettibili di indagine empirica.

È da ricordare l'influenza positiva di Max Weber il quale, pur essendo personalmente agnostico, con la teoria del potere carismatico e soprattutto con penetranti intuizioni sull'origine e gli sviluppi della religione e delle chiese ha favorito l'ingresso massiccio di studiosi cristiani nel campo della ricerca sociologico-religiosa.

Mentre Marx presentava la religione come una semplice derivazione sovrastrutturale di variabili sociali ritenute più fondamentali e, quindi, come un epifenomeno sprovviste di valore e in definitiva controproducente agli effetti dell'innovazione sociale, Max Weber tende a dimostrare, restando fedele alla metodologia empirica e "avalutativa" del sapere sociologico, che il ruolo della religione è quello di elemento causale indipendente, il quale influenza positivamente il corso della storia, almeno fino a quando le oggettivazioni religiose si avvicinano al tipo della setta, del carisma e del profeta.

Quando invece la religione si istituzionalizza in chiesa e in essa, in luogo del carisma e della profezia, subentra l'ufficio, si verificano fenomeni di conservazione, burocratizzazione e immobilismo.

Notissima la tesi weberiana secondo cui lo sviluppo delle strutture socioeconomiche, contrassegnate da una sistematica razionalizzazione del lavoro ( capitalismo ), sarebbe legato appunto al prevalere di forme religiose ispirate all'ascetismo mondano e caratterizzate da esperienze profetico-carismatiche, vissute nel quadro di organizzazione di setta ( protestantesimo-calvinista ).1

Atteggiamenti comprensivi nei confronti della religione e della sua funzione sociale si manifestavano, in anni a noi più vicini, in correnti sociologiche americane2 ed anche, nella stessa area culturale di ispirazione marxiana, nel marxismo aperto e critico; la pretesa esclusiva e totalizzante dello scientismo viene abbandonata, come è avvenuto nella scuola di Francoforte e in pensatori isolati, per cui la stessa lettura "materialistica" del fenomeno religioso ha suggestionato alcuni studiosi cattolici.3

Di qui un cambiamento radicale da parte dei teologi moderni nei confronti della sociologia e delle scienze dell'uomo che, soprattutto nelle teologie "socializzate" ( teologia politica, della rivoluzione, della liberazione… ) divengono il nuovo focus theologicus da cui muove la riflessione teologica e col quale incessantemente si confronta.4

1. Sociologia e ( v. ) storia della spiritualità

La teologia contemporanea si dimostra sempre più concorde nella consapevolezza che una fede ( e conseguentemente una spiritualità ) astorica e atemporale non esiste.5

Appare quindi logico che un sapere sociologico, fedele al metodo empirico e rispettoso dei propri limiti interpretativi, risulti prezioso ai fini di una riflessione teologica che si proponga l'attualizzazione e la reinterpretazione del messaggio: « La parola di Dio, che ci è stata data soltanto nella forma storica delle parole umane e dell'esperienza umana, esige davvero un'ermeneutica "conforme ai dati reali"…; ma la traduzione dovrà essere intelligibile, accessibile e naturalmente, come messaggio cristiano, rilevante anche per il nostro tempo.

È necessario dunque, a causa dei nostri presupposti diversi, una reinterpretazione ».6

Per conoscere "precomprensioni", situazioni e linee tendenziali di sviluppo, tipiche del nostro tempo, il ricorso alla sociologia risulta necessario.

Ma tale collaborazione s'impone per un'altra ragione: si avverte sempre più acutamente l'esigenza di chiarire le origini delle tradizioni concrete e concettuali della teologia, nonché la funzione sociale e le conseguenze sociali - non soltanto normative, ma anche pratiche - della teologia, della predicazione e della dottrina della chiesa.7

Tuttavia, come più avanti avremo occasione di chiarire, questo incontro dialogico tra sociologia e teologia non è senza problemi e difficoltà.

Anche per conoscere l'evoluzione della spiritualità e meglio comprendere il succedersi delle varie forme che essa ha assunto nel corso della storia, l'apporto del sapere sociologico può risultare fecondo.

Esso, infatti, suggerisce ipotesi interpretative sul perché talune di queste forme di spiritualità appaiono bene integrate con la realtà storica da cui emergono, mentre altre risultano dissociate dalla vita reale: la sociologia aiuta a scorgere condizionamenti strutturali e spesso rivela le intenzioni oggettive, reali, ma occulte, al di là delle pie intenzioni soggettive e superficiali.8

Moderni studiosi dell'evoluzione della spiritualità cristiana, accanto a criteri di ordine ontologico, ne ammettono altri di natura psicologica.

I primi si riferiscono alla presenza e all'azione dello Spirito, protagonista della vita interiore del credente che, per sua natura, sfugge ad ogni pretesa di rilevazione empirica.

Gli altri criteri, invece, risultano suscettibili di precise costatazioni.9

Si è infatti generalmente concordi nell'asserire che l'evoluzione psicologica condiziona la vita spirituale nel suo complesso, e cioè atteggiamenti di fronte a Dio, preghiera e stati mistici: « Il nostro comportamento interiore di fronte a Dio non è quello di dieci, venti o trent'anni fa, ne quello che sarà tra un determinato numero di anni, poiché la nostra vita interiore, nel senso più generale del termine, comporta una certa evoluzione in tutti i campi ».10

Un riconoscimento altrettanto aperto nei confronti dei condizionamenti socio-culturali della spiritualità è raro riscontrarlo: in effetti mancano indagini rigorose che, prendendo ad esame i vari tipi di spiritualità, evidenzino le situazioni strutturali che le hanno condizionate.

Ovviamente il pericolo sarebbe quello di stabilire un rigoroso parallelismo tra i criteri "ontologici" e quelli di ordine psicologico e sociale, o peggio, obliare praticamente l'azione dello Spirito, privilegiando in forma esclusiva i dati sociologici.

2. Spiritualità e condizionamenti socio-culturali

Proprio perché orientata a diagnosticare lo stato della società e ad auscultarne i ritmi, la sociologia evidenzia i nessi che intercorrono tra fatti e idee, tra situazioni socioeconomiche e variazioni culturali, tra funzioni "latenti" - conseguenze cioè oggettivamente osservabili di un comportamento, che tuttavia non entrano nella sua motivazione - e funzioni "manifeste".

Per questa sua natura, in larga misura demistificatrice, la sociologia offre notevoli apporti alla comprensione dei processi di storicizzazione e istituzionalizzazione della fede, delle diverse modalità individuali e sociali, ufficiali e popolari della religione, nonché del diverso atteggiarsi della spiritualità che a tale evoluzione si accompagna.

Anche l'interiore rapportarsi del credente a Dio, e cioè la spiritualità, non può essere del tutto avulso dalla concretezza delle condizioni sociali entro le quali la persona del credente è situata, ancorché spesso questi, in buona fede, ritenga di poter isolare e vivere il proprio rapporto a Dio sotto la diretta azione dello Spirito, al sicuro di ogni estrinseca influenza socio-culturale.

Non infrequentemente si sono profilati, e nei ricorsi storici tornano a presentarsi, atteggiamenti spirituali di singoli e di gruppi definibili in termini di "spiritualità di fuga", perché appunto rifuggono dall'immergersi ed incarnarsi nella dialettica storica, nella pretesa, vivacemente proclamata e teologicamente legittimata, di chiudersi nell'intimità di Dio - soli col Solo - e sfuggire così ai condizionamenti negativi dell'eone che passa.

Ora sarebbe proprio compito dell'analisi sociologica scoprire se questa pretesa, a prescindere dalla sua legittimità teologica, sia oggettivamente fondata o non occulti anch'essa precisi condizionamenti sociali.

Si nota, infatti, che questi atteggiamenti spirituali prevalgono nei momenti in cui le culture dominanti non accettano la chiesa nascente e questa subisce persecuzioni, oppure quando, affermatasi istituzionalmente e divenuta cultura egemone, l'istituzione religiosa ed ecclesiale si mondanizza.

Alle spiritualità di fuga, subentrano - e talora si accompagnano - le spiritualità d'incarnazione, di testimonianza missionaria e di confronto dialogico che, tuttavia, subiscono anch'esse notevoli variazioni, nelle quali è sempre riscontrabile, in una certa misura, il condizionamento storico: quando la cultura cristiana è egemone e la chiesa ha una posizione di forte controllo sociale, spiritualità del credente e azione pastorale assumono facilmente caratteri trionfalistici; quando l'egemonia cede il passo ad una situazione diversa, a carattere pluralistico, il credente divenuto più consapevole della natura transculturale della fede, edotto dai "segni del tempo", tenta le vie difficili dell'incontro con Dio attraverso il confronto con le varie culture, per animarle cristianamente là dove questo è possibile, o contestandole quando l'animazione risulta impossibile.

Illuminante in proposito è lo studio sociologico delle diverse modalità dell'esperienza del sacro e dell'appello a Dio nei vari contesti socioculturali: quando questi sono connotati da scarso sviluppo degli strumenti razionali, applicati alla conoscenza dell'uomo e della natura, prevale una modalità sacrale della religione, con forti caratteri magico-superstiziosi, entro la prospettiva del "Dio-tappa-buchi".

Ma questa stessa modalità "sacrale" può emergere anche in momenti di grande sviluppo della razionalità scientifica e tecnologica, proprio come « reazione alle pretese totalizzanti della scienza e come "seconda linea di difesa" contro le inevitabili delusioni provocate dalle insufficienze e incongruenze della razionalizzazione ».11

All'incontro la modalità secolare dell'esperienza del sacro - entro cui facilmente maturano le spiritualità improntate al dialogo e all'incarnazione nella dialettica storica -, modalità caratterizzata dalla tendenza a concepire la presenza di Dio nel mondo in termini di trascendenza, emerge specialmente nelle epoche in cui lo sviluppo scientifico e tecnico pone le premesse per una progressiva autonomizzazione del profano e offre gli strumenti conoscitivi, idonei alla comprensione e utilizzazione del mondo.

Una storia, dunque, della spiritualità cristiana - e di ogni altra spiritualità, emergente da diversi contesti religiosi - sembra che non possa prescindere da queste considerazioni sociologiche, qualora voglia essere adeguatamente interpretativa e superare una cronaca sovrastrutturale delle esperienze del divino.

La mentalità e la metodologia sociologiche riescono altresì utili per cogliere l'influenza delle varie spiritualità sulla convivenza civile ed ecclesiale, per quanto concerne i loro aspetti strutturali e funzionali.

Se è vero, infatti, che le situazioni socio-culturali contrassegnano della loro impronta le varie spiritualità - monastiche o laicali, aperte o chiuse, monolitiche o dialogiche, di ghetto o di animazione - queste, a loro volta, segnano più o meno profondamente del loro influsso la convivenza umana, non solo ecclesiale, ma anche civile.

Come esempio emblematico si pensi all'influenza della spiritualità benedettina o francescana nei contesti socio-culturali del passato e all'influenza che le spiritualità sottese a movimenti religiosi contemporanei - istituti secolari, gruppi a forte impegno religioso e sociale - possono avere anche nel nostro assetto sociale.

Interessante in proposito sarebbe un'accurata analisi sociologica delle mutue interferenze tra le correnti teologiche della liberazione e le situazioni di sottosviluppo e dipendenza, tipiche dell'America Latina.12

Un settore particolarmente interessante ed oggi abbastanza studiato è quello dei rapporti tra religiosità ufficiale e religiosità popolare: il tipo di spiritualità sotteso alla prima presenta i caratteri di una spiritualità piuttosto elitaria e protesa al consolidamento istituzionale della religione; la seconda, invece, in quanto espressione prevalente delle classi subalterne, esprime una spiritualità di rassegnazione, ma con notevoli potenzialità anche innovative [ v. Religiosità popolare ].

La sociologia, aiutata dalla psicologia sociale, che meglio interpreta le giacenze a livello subconscio, può aiutare lo studioso dei fenomeni religiosi a scoprire il "latente" di queste forme di religiosità, oltre ad individuarne le correlazioni con le strutture socioeconomiche che le condizionano.

3. Rapporto dialettico tra spirituale e temporale

Sono fin troppo note antiche e recenti diatribe a proposito di questo rapporto,13 la cui esatta comprensione viene ad essere compromessa anche da motivi semantici, in quanto i termini spirituale e temporale sono pregnanti di significati diversi che li rendono ambigui.

Il problema di tale rapporto torna a riproporsi anche in tema di sociologia della spiritualità, in quanto dall'analisi fenomenologica sembra debba dedursi che la stessa vita interiore della persona e il suo contatto intimo con Dio, lungi dal poter essere considerati come variabile indipendente, esclusivamente collegata all'azione atemporale e incondizionata dello Spirito, s'innestano in un contesto non solo psicologico, ma anche socioculturale, il cui diverso atteggiarsi condiziona tappe ed espressioni della stessa spiritualità.14

Le difficoltà si addensano quando si tratta di determinare la natura del condizionamento che, secondo l'ideologia marxista classica, andrebbe interpretato in senso determinista ed esclusivo.

In tal caso l'autonomia e la specificità dello "spirituale" andrebbero ovviamente perdute.

Quando però il condizionamento venga proposto in maniera da escludere un rigido determinismo e si rinunzi ad ogni ambigua teorizzazione del primato del temporale sullo spirituale, ma si prenda atto con serena obiettività della mutua correlazione dialettica tra vita spirituale e le sue storiche condizioni, l'analisi sociologica risulta feconda.15

II - La spiritualità del sociologo

La spiritualità cristiana, per il suo carattere totalizzante, innerva e sostanzia l'etica delle diverse professioni [ v. Lavoratore ].

Non è pertanto fuori luogo tentare una determinazione, provvisoria e aperta ad ulteriori sviluppi, dei caratteri spirituali e delle costellazioni di valori cui la deontologia professionale del ricercatore e, in particolare, del sociologo dovrebbe ispirarsi.

Ma a questo punto, analogamente alla metodologia seguita nelle altre voci, è opportuno chiedersi quale sia il "vissuto" dei sociologi oggi e se, nella molteplicità degli orientamenti ideologici, spesso contrastanti, sia possibile identificare denominatori comuni, siano essi di segno positivo o negativo.

1. Atteggiamenti antispirituali

La storia delle varie correnti sociologiche e l'osservazione della realtà contemporanea rivelano la permanenza di ricerche sociologiche che volutamente rifiutano ogni ispirazione ideologica aperta, privilegiando in maniera esclusiva la metodologia scientifica "libera dai valori".

È l'atteggiamento tipico dello scientismo che non accetta interlocutori e dichiara "prive di senso" tutte le forme di sapere che non entrino nel ristretto perimetro della verificabilità empirica.

Come già notavamo, per le smentite che la storia stessa dà alla presunzione scientista e ad opera delle più attente revisioni metodologiche da parte di insigni cultori delle scienze dell'uomo, questo atteggiamento neopositivista sta attenuandosi e, con esso, vanno mutando anche le precomprensioni antispiritualistiche, originate dallo scientismo.

Sempre più numerosi, infatti, sono i ricercatori che si prefiggono il rispetto della realtà umana, consapevoli della sua autonomia e spessore, come canone fondamentale della propria fatica.

Tale rispetto è già un elemento di spiritualità naturale che il fermento cristiano accetta e sviluppa.

Tuttavia nell'ambito della nostra società consumistica rimane aperta la possibilità - tutt'altro che teorica e remota - di strumentalizzare la ricerca secondo le intenzioni del committente a finalità di potere e di lucro e, quindi, in direzione nettamente antispirituale e immorale.

I dati della ricerca non vengono perciò rispettati ma forzati, in maniera da assecondare i fini ambigui dei committenti, siano essi dirigenti industriali o personalità del mondo politico.

2. Verso una nuova etica professionale del ricercatore sociale

A questi orizzonti angusti e ambigui si contrappongono gli spazi di una spiritualità aperta e umanistica, suscettibile per ciò stesso di una precisa e specifica animazione spirituale cristiana di tipo caritativo e pasquale.

Il sociologo, cristianamente ispirato, in primo luogo avverte - talora in maniera sofferta - il limite della propria ricerca ed è consapevole della provvisorietà e falsificabilità sia delle ipotesi di lavoro formulate che delle interpretazioni avanzate sulla base dei dati raccolti e decifrati.

Ha presente in modo costante l'enorme complessità dell'uomo, la cui realtà oltrepassa il profilo osservabile dei comportamenti, e accetta pertanto rinvii e confronti a carattere interdisciplinare con altri saperi ed approcci alla realtà umana, che ne consentano letture più vaste e profonde.

Una deontologia professionale cristianamente ispirata del sociologo, mentre evidenzia le necessità della competenza - che impone incessante aggiornamento teorico e continuo contatto coi soggetti vivi e mutevoli della propria ricerca, - sottolinea l'esigenza di una vigile e responsabile serietà morale, appoggiata al convincimento che la scienza, lungi dall'essere astrattamente "neutrale", oggettiva e fuori della mischia, è coinvolta nella dialettica storica e strumentalizzata dai vari centri di potere.

Il ricercatore cristiano, pertanto, non potrà non valutare i fini che i committenti si propongono e dovrà avanzare le sue obiezioni di coscienza di fronte ad operazioni disumane o antipersonaiistiche, senza cercare alibi nella presunta "neutralità" della ricerca.

Del pari resisterà alle tentazioni di lucro e di potenza che potrebbero indurlo ad elaborare ricerche di comodo, ad usum delphini.

Infine l'ispirazione cristiana porterà il sociologo ad una comprensione profonda della propria professione entro l'ambito di una spiritualità di servizio, animazione e partecipazione che, a dire di eminenti cultori di tale disciplina, caratterizzano appunto la sociologia.16

a. La sociologia come ricerca partecipata

La migliore deontologia è quella che prende sul serio la professione e riesce a svilupparne tutte le implicanze positive: ciò si rivela consono ad una spiritualità d'incarnazione, come quella auspicata nei documenti del Vat II che, soprattutto in tema di spiritualità laicale ( AA 22ss ), stimolano a ricercare l'unione con Cristo nella cura della famiglia e negli altri impegni secolari convergenti nel compito, grave ed esaltante, dell'instaurazione e animazione cristiana dell'ordine temporale.

Le considerazioni che Ferrarotti propone sulla fisionomia di una sociologia "partecipata e partecipante" costituiscono una buona base di partenza per un tipo di deontologia della ricerca, animata da una spiritualità "incarnata": ci permettiamo, quindi, di riassumerle brevemente.

Una sociologia che pretenda di essere astrattamente neutrale, fuori della mischia, oggettiva al pari di una ricerca fisica, finisce con l'essere un "diversivo", facilmente strumentalizzabile.

All'incontro, una sociologia partecipata, accompagnata cioè dalla forte e appassionata consapevolezza della propria funzione a servizio della società e non degli interessi peculiari dei committenti, non risulta mai un diversivo e non perde la propria autonomia concettuale e operativa.

Una sociologia che si proclama non partecipe, distaccata e neutrale spesso si riduce ad essere una semplice raccolta di dati utili ai committenti, una descrizione accurata e rigorosa ma delimitata e settoriale che, per carenza di nessi con la più grande società, si trasforma in una giustificazione della situazione di fatto, una descrizione dei mutamenti sociali, strutturali e sovrastrutturali che non trae conseguenze, cioè che non valuta né giudica, in nome della neutralità scientifica e della rispettabilità accademica, contribuendo così ad insabbiare i problemi e a rinviarne sine die le possibili soluzioni alternative.

Una sociologia non partecipe molto facilmente finisce con l'essere una filosofia a livello medio per la società industriale, una filosofia inibita, incapace di pensare sino in fondo i suoi pensieri, oppure una filosofia incapace di trascendere questa stessa società e quindi costretta a subirne e a giustificarne la logica.17

b. La sociologia come strumento diagnostico e potenza demistificatrice

Al fine di meglio comprendere le possibilità che la ricerca sociologica offre ad una spiritualità che si proponga la realizzazione dell'amore cristiano in termini concreti di servizio e di animazione della convivenza civile ed ecclesiale, converrà tenere presenti alcuni altri caratteri e funzioni dell'analisi sociologica.

Questa, qualora sia severamente condotta, aiuta ad acclimatare lo sviluppo industriale, in modo da non alterare la struttura locale più del necessario; non fa calare dall'alto i processi innovativi, ma rende protagonisti attivi gli interessati allo sviluppo; stimola il sorgere di una consapevolezza comune intorno ai problemi comuni; aiuta a demistificare i pregiudizi; identifica i bisogni reali e ne chiarisce i termini, fa reagire sul giudizio dei pianificatori il giudizio della comunità, giudizio che viene a rappresentare una nuova variabile che fa acclimatare localmente il processo di sviluppo, al di là del paternalismo discrezionale e del giudizio tecnocratico unilaterale.18

Come è facile comprendere, una ricerca sociologica che risponda a tali caratteri e si prefigga questi obiettivi, costituisce una forma di servizio alle persone e comunità locali di grande portata cristiana: ne impedisce le manipolazioni e le coinvolge attivamente nei processi evolutivi.

Ovviamente il giudizio complessivo sui modelli di sviluppo e sul tipo di convivenza che ci si propone di creare impone l'appello ad altri saperi metascientifici: tuttavia l'apporto del sapere sociologico rimane fondamentale.

Ancorché non additi mete prestabilite dogmaticamente certe, non prescriva fini all'azione sociale e non giudichi moralmente le scelte, la sociologia, « forse più di ogni altra disciplina scientifica, pone un problema d'impegno sociale ed umano ai suoi cultori ».19

Al dire di Ferrarotti i sociologi non sono dispensatori di pace, di felicità e di saggezza, rapportate a fini ultimi, ma dei testimoni o, come si esprime Friedmann, dei moralisti della società industriale che ci rendono consapevoli della situazione di fatto, specifica, in cui ci troviamo immersi e dalla quale siamo condizionati; ci informano sulle linee tendenziali di sviluppo di questa stessa società; ci aiutano ad intaccare i miti, i pregiudizi tradizionali e gli stati emotivi, privi di giustificazione razionale, e a demistificare le costruzioni ideologiche e le prassi politiche che, saltando le opportune mediazioni culturali, pretendono di avere un carattere scientifico di portata universale.

L'effetto dell'impatto sociologico sulle religioni politiche laiche e sulle ideologie mistificate è esplosivo, come ben sanno i regimi autoritari che non consentono pieno diritto di cittadinanza alla ricerca sociologica, ma tendono a escluderla o a manipolarla.20

III - Nuovi rapporti tra sociologi e teologi

Ancorché non esista una sociologia cristiana - termine ancora in uso, ma alquanto ambiguo, per indicare l'insegnamento sociale cristiano - è evidente che, nel quadro di una sociologia partecipata, l'ispirazione cristiana personale del sociologo e il quadro di valori in cui crede influenzano la stessa ricerca: nella scelta dei soggetti su cui portarla, nella formulazione delle ipotesi di lavoro e, soprattutto, nella consapevolezza del servizio reso alla comunità civile ed ecclesiale attraverso il rigoroso impegno dell'analisi scientifica.

Ciò si è verificato particolarmente nell'ambito della sociologia religiosa, dove eminenti studiosi hanno dato contributi così importanti e significativi da indurre i teologi a deporre quella diffidenza che aveva contrassegnato i loro primi rapporti con la scienza sociologica.

Anzi, come già si notava, le cose sono talmente mutate che non poche correnti teologiche hanno dato l'impressione di volere addirittura sostituire la sociologia ed altre scienze dell'uomo alla filosofia, tradizionale partner della teologia.

Nella coscienza sempre più viva della natura della teologia intesa come riflessione umana sulla parola di Dio o meglio come fede in atteggiamento di ricerca e di intelligenza critica, i teologi hanno avvertito prepotente l'esigenza di dover meglio conoscere l'uomo storicamente situato, al fine di attualizzare il messaggio, reinterpretare e acculturare la fede entro categorie sintonizzate alle esperienze, all'universo simbolico e alle precomprensioni di tale uomo.

Di qui i sempre più numerosi e fiduciosi appelli all'interdisciplinarietà, al ricorso alle scienze umane e, in particolare, all'analisi sociologica.

Da questo dialogo con la sociologia che cosa si attendono i teologi?

Ovviamente non solo delle informazioni sulle condizioni e strutture dell'odierna vita sociale, ma anche riflessioni e interpretazioni globali sull'odierna condizione socioculturale, al fine di poter sviluppare concetti fondamentali e norme antropologiche per l'agire etico-politico.

Ma a questo punto sorgono gravi problemi di metodo e di contenuto: ci si può chiedere, infatti, quali possibilità conoscitive offra un metodo empirico e, soprattutto, quali siano i confini delle sue capacità operative.

Ci si può anche chiedere se i concetti e i procedimenti delle scienze sociologiche - ipotesi, esperimenti, controllo dei risultati - possano essere un criterio per stabilire l'eventualità di falsità di espressioni del processo teologico di conoscenza: « Ma in questo modo non si finisce per abolire la priorità fondamentale della parola di Dio, non si finisce per distruggere il carattere dossologico delle affermazioni teologiche? ».21

Altri interrogativi e questioni si pongono in tema di sociologia religiosa cui, soprattutto da parte di studiosi tedeschi e francesi, si è cercato di dare una qualche risposta, e cioè: quali sono le informazioni ottenibili coi mezzi propri della ricerca sociologica empirica in merito alla fede dei membri della chiesa?

Quali sono le implicazioni e i criteri della validità di questo metodo?

Dove si trovano i limiti della sua facoltà di osservazione?

A quali condizioni potrebbe nascere un'intesa tra la sociologia e la teologia sul tema della fede?.22

Problemi, infine, forse ancora più gravi, vengono sollevati da quelle correnti teologiche che privilegiano l'approccio sociologico sì da farne il punto stesso di partenza della riflessione teologica.

I teologi della liberazione, ad es., vedono nella situazione storica di dipendenza in cui si trova l'America Latina, e nella prassi di liberazione, un luogo teologico che svela la verità cristiana e obbliga il teologo a reinterpretare profondamente il significato della fede e il contenuto della missione della chiesa.

Ora, per quanto nessun teologo della liberazione giunga a pretendere che la situazione di dominio - così come egli l'intende ed interpreta - sia il solo luogo teologico, eliminando qualsiasi rimando alla Scrittura e alla tradizione, ma tutti riconoscano una relazione dialettica tra il messaggio della fede e quello della realtà, ciò non toglie che questa interazione tra analisi sociologica delle infrastrutture sociali e dati della fede costituisca un rapporto denso di problemi.

Ciò vale soprattutto per quegli autori - come Assmann, Gutiérrez e Segundo - che maggiormente insistono sulla necessità di integrare il discorso teologico con quello sociologico: « Non è difficile misurare il peso di questa esigenza.

Parlare dell'infrastruttura non è soltanto cambiare vocabolario: è introdurre in teologia delle opzioni etico-politiche, poiché il linguaggio socio-analitico non è mai ideologicamente neutro ».23

Questa è la ragione per cui anche teologi della liberazione - come Pironio - non ammettono che la prassi storica, con le sue opzioni etico-politiche, divenga parte costitutiva del discorso teologico.

Di qui l'interrogativo che, tra gli altri, viene rivolto a tale modo nuovo di teologizzare e a questa nuova forma di spiritualità, che il coinvolgimento nella prassi comporterebbe: « Il fondarsi sull'esperienza non avviene a detrimento della Parola, quest'ultima essendo citata a posteriori e a titolo giustificativo? »24

Tuttavia, nonostante queste difficoltà e conflitti, il dialogo del teologo con gli esperti di sociologia continua ad essere oggetto di pressante domanda, benché meno ingenua e più critica.

Oltre che per le ragioni illustrate, tale confronto riesce prezioso al teologo, in quanto lo aiuta a demistificare il suo stesso umano travaglio di riflessione che, se pur animato e condotto dalla fede, non sfugge a certi condizionamenti: ad es. un teologo che sia preoccupato di mantenere fedelmente il patrimonio dogmatico del passato, senza sforzarsi di evidenziarne le differenze nei confronti delle circostanze reali del presente, inevitabilmente si mette al servizio del consolidamento di ciò che nel mondo oggi è in decadenza: « La teologia appare così un fattore di stabilizzazione, e per di più di legittimazione della realtà ».25

La sociologia sarà perciò di grande aiuto al teologo per eliminare tutti quei presupposti oggettivi in base ai quali spesso la fede assume l'aspetto falso di ideologia.

Infine, per quanto riguarda l'acculturazione del messaggio della fede, l'apporto della sociologia, soprattutto nel settore morale e pastorale, risulta troppo ovvio, perché debba ulteriormente essere qui messo in risalto.

Oggi giustamente si insiste sulla necessità di "acculturare" la fede e il messaggio etico del cristianesimo in modo da evitare quei meccanismi di rigetto che non derivano già dall'inevitabile ( e salutare ) scandalo della croce, ma da una fallace presentazione della fede stessa che privilegia troppo esclusivamente una determinata cultura e pretende di imporla sovrapponendosi ad altre culture.26

Esemplare in proposito il confronto che Schillebeeckx istituisce tra l'analisi critico-sociologica della scuola di Francoforte e una ricerca teologica che appunto evita il pericolo dell'incomprensione e del rigetto, in quanto instaura un dialogo all'interno dell'orizzonte culturale del nostro tempo, percependone - e criticandone - le precomprensioni fondamentali di eguaglianza e liberazione.27

Una teologia che si adagiasse in un'ermeneutica puramente teorica, senza entrare in rapporto con la storia-della-libertà-emancipatrice, non svolgerebbe alcun ruolo nella creazione della storia del futuro.

Si ridurrebbe ad essere un sistema di idee, condiviso da una minoranza sempre più sparuta che non avrebbe alcun messaggio liberatore per il mondo.

Ora proprio la correlazione tra teoria e prassi, come viene proposta da Habermas, è « di vitale interesse per formarsi una corretta concezione della teologia, come attualizzazione ermeneutica della fede apostolica ».28

1. Sociologia ed eclissi del sacro

Auscultando la società industriale, la sociologia della religione ha cercato di evidenziare i contraccolpi che tale società, coi suoi ritmi di sviluppo accelerato, i suoi programmi efficientistici e produttivistici e le correlative mitizzazioni e demitizzazioni ( in particolare, il disincantamento del mondo e il rovesciamento del rapporto uomo-natura ), ha esercitato sul fenomeno religioso e spirituale.

Sia in pubblicazioni che in convegni si è parlato di eclissi del sacro e di morte di Dio; poi, con maggiore pacatezza, gli studiosi hanno passato in rassegna i mutamenti subiti dal fenomeno religioso, i tentativi fatti dalla società industriale per adattarlo ai propri ritmi e, infine, le sue sopravvivenze anche in età secolare.29

a. Mutamenti del fenomeno religioso

I sociologi evidenziano mutamenti a carattere quantitativo: diminuisce cioè il numero dei comportamenti e degli atti connotabili come religiosi fra le persone che si professano tali; a carattere qualitativo: cioè ci si avvia verso una religione più secolarizzata ( uso secolare e non sacrale del sacro ), fondata su diverse forme di concettualizzazio ne, più vicine alla prassi vitale, alle modalità di conoscere e ai contenuti della società industriale.

La religione sembra mutare anche in diffusione: cambiano cioè gli spazi socio-geografici in cui essa è diffusa, in una con le persone che si professano religiose.

Muta, infine, in intensità: si attenua cioè il senso del sacro e, all'interno del fenomeno religioso, diminuisce il peso e il significato del momento mistico-ascetico, della spiritualità cioè in senso forte.30

b. Riadattamenti del fatto religioso alla nuova società

La società industriale per varie vie ha tentato di catturare il fatto religioso e di adattarlo alla sua specifica natura.

A questo proposito si elencano: la soggettivazione dei modelli di credenza che, non più trasmessi all'interno di strutture omogenee e credibili, vengono ricostruiti personalmente; la neutralizzazione degli schemi ufficiali di credenza: l'integrazione dell'individuo nella società non avviene più tramite gli schemi ufficiali della chiesa cattolica, ma attraverso quelli della società industriale, propagandati dai mass media; ricostruzione individuale dei modelli in funzione di ciò che il mercato offre: accanto al modello ufficiale, offerto dalla chiesa, l'individuo trova infatti tutta una serie di modelli alternativi, anche irreligiosi, nell'ambito della società pluralista e secolare.

Ovviamente la sociologia della religione ha avanzato ipotesi interpretative di questi fenomeni di mutamento e adattamento del fenomeno religioso, ricercandone le cause nel processo di secolarizzazione e dissacrazione, nella fine dell'uso sacrale e magico del sacro, nelle nuove immagini di Dio, della pratica religiosa e della vita ecclesiale conseguenti ai mutamenti socio-culturali, tipici dell'età industriale e tecnologica.

Secondo Sabino S. Acquaviva, che si riferisce spesso all'ultimo Maritain, la causa prevalente andrebbe ricercata all'interno stesso della vita della chiesa: « La chiesa cattolica, invece di secolarizzarsi consacrandosi, si secolarizza dissacrandosi.

Paradossalmente, quindi, per la prima volta nella sua storia, è dall'interno della struttura ecclesiale che viene la spinta dissacrante e distruttiva ».31

c. Sopravvivenze della religione nell'età secolare

Ad onta del declinare incessante della religiosità ufficiale ecclesiastica, registrato da tante inchieste e analisi sociologiche a tutti i livelli, proprio gli studiosi di sociologia della religione avvertono la persistenza del sacro anche nella società secolare.32

Secondo taluni il fenomeno religioso nella nostra società urbanizzata, secolarizzata e industrializzata permane in "forme non specifiche", cioè come concezione del mondo, senso totalizzante dell'esistenza che può essere detto religioso in quanto trascende il flusso dell'esperienza immediata.33

Altri, invece, ritenendo giustamente che l'elemento specifico della religione comporti un riferimento alla esperienza dell'assolutamente Altro, mettono in luce la persistenza e il riemergere del fatto specificatamente religioso sia extra moenia, e cioè negli stessi fenomeni di dissenso religioso, riscontrabili in gruppi giovanili e non, all'interno stesso del marxismo, sia intra moenia nei nuovi fermenti e tensioni religiose a carattere spontaneo, individuale e comunitario maturati in clima post-conciliare.34

2. Relativizzazione della sociologia

Quando si tengano presenti le smentite che la realtà s'incarica di dare alle troppo facili generalizzazioni e previsioni dei sociologi, appaiono assai opportune e obiettive le considerazioni avanzate da alcuni studiosi americani ( Luckmann, Berger, Bellah… ).

Da un lato la sociologia si configura come scienza per antonomasia demistificante e relativizzante: la sociologia della conoscenza, ad es., teorizza le strutture di attendibilità, in base alle quali una conoscenza è ritenuta valida finché il contesto sociale la ritiene tale, ma perde attendibilità quando esso si incrina.

D'altro lato, però, tale demistificazione relativizzante - che tanta paura ha fatto ai teologi e ai politici, i quali hanno cercato di ovviarla mettendo al bando con vari pretesti la sociologia - viene a perdere il suo carattere negativo se si pensa che identica relativizzazione può essere rivolta contro la stessa sociologia: in questo caso « i relativisti sono relativizzati, gli scalzatori sono scalzati e, a dire il vero, la stessa relativizzazione resta in certa misura liquidata ».35

Secondo gli autori ricordati, infatti, la crisi di attendibilità della religione nel mondo moderno trae la sua origine dalla situazione pluralistica tipica della società industriale che comporta divisione del lavoro, stratificazione sociale e socializzazione differenziata fin dalla prime età della persona.

Ognuno di noi cioè deve assumere ruoli diversi, e talora discordanti, per cui giungiamo a nutrire un certo distacco da taluni di questi ruoli, aderendovi solo in maniera superficiale.

A differenza del primitivo, che, vivendo in una società semplice, subisce l'impatto di una sola struttura di attendibilità, l'individuo moderno si trova immerso in una pluralità di strutture di attendibilità che cercano di prevalere l'una sull'altra e che talvolta si contraddicono a vicenda.

Ne deriva che ognuna di esse, per il semplice fatto di trovarsi a coesistere con le altre strutture di attendibilità, rimane indebolita.36

Ora se la causa più importante, ancorché non unica, della calante attendibilità delle tradizioni religiose è da ricercarsi in questa molteplicità pluralistica di prospettive - che accompagna fatalmente il processo di secolarizzazione -, il sapere sociologico viene a risultare liberante.

Mentre infatti le altre discipline ci liberano dal peso morto del passato, la sociologia ci libera dalla tirannia del presente, illustrandoci la nostra situazione di esseri socializzati: ci libera cioè dalle certezze che il nostro tempo spaccia per tali.

Lo stesso Berger in pagine molto suggestive, al fine di sottrarre la teologia al vento mutevole degli orientamenti e mode culturali dell'eone che passa, tenta di agganciarla ad un'antropologia eterna, e cioè al contesto dell'esperienza umana fondamentale, ai gesti umani prototipici - non celati nelle profondità dell'inconscio, come gli archetipi di Jung, ma costatabili nell'esperienza comune di ogni giorno - nei quali è dato scorgere i segni della trascendenza e la presenza dell'assolutamente Altro: tendenza all'ordine, dimensione ludica dell'uomo, senso dell'umorismo, speranza, che comporta anche il rifiuto a capitolare di fronte all'inevitabilità della morte, e appello alla dannazione di fronte ad eventi per cui ogni punizione umana appaia inadeguata.37

3. Previsioni sociologiche sul futuro della religione

La futurologia è di moda; pur consapevole dei rischi che incontra nell'avanzare previsioni - soprattutto se a tempi lunghi - la sociologia contemporanea anche in campo religioso ha ceduto alla tentazione futurologa.

Tuttavia onestamente molti hanno saputo ricredersi, come si desume proprio dal confronto di simposi di sociologia religiosa, tenuti a distanza di dieci anni l'uno dall'altro: mentre nel 1969 si proclamava la "morte di Dio" e l' "eclissi del sacro", nel '75 a Baden nel secondo simposio di sociologia religiosa si avanzavano prospettive assai più caute e si prendevano in attento esame le nuove manifestazioni religiose dell'età secolare.38

Oggi gli studiosi hanno ormai raggiunto una certa unanimità nel prevedere per la religione non un futuro univoco, ma una pluralità articolata di sviluppi diversamente prospettati e interpretati.39

Le numerose ricerche empiriche e teoriche evidenziano quanto sia inadeguato il modello di previsione che annuncia, in modo semplicistico e unilaterale, la scomparsa della religione dalla società industriale e postindustriale, almeno a breve o media scadenza.

Più realistica invece è la previsione che sottolinea alcune modalità caratteristiche del cambiamento ancora in atto.

Il Milanesi, da cui ricaviamo le presenti suggestioni, ritiene di poter sintetizzare queste modalità in quattro principali linee di tendenza:

1) desacralizzazione e degradazione del sacro, che tuttavia non esclude la riemergenza di numerose sacralizzazioni riferite ad oggetti di natura profana ( fenomeno della dislocazione della simbolica religiosa ) e l'esistenza di religiosità "laiche" come le chiama Bellah;40

2) aggravarsi delle tensioni entro le istituzioni religiose;

3) proliferazione di forme religiose extraecclesiali, cui soggiace una spiritualità di notevole incidenza ( Jèsus-Movement; interesse straordinario per le religiosità orientali, buddhiste e induiste; movimenti religiosi olandesi; nuove religioni africane; nuove religioni urbane giapponesi; sette mistiche americane; sette spiritiche in America Latina, ecc. );

4) espansione del secolarismo ( e dell'ateismo nelle sue varie forme ).

Ed ecco la conclusione: « Nella molteplicità dei fenomeni prevedibili a breve e a media scadenza una sola ipotesi sembra potersi più sicuramente escludere: la scomparsa definitiva e totale di ogni forma di religiosità nella società industriale.

Si può invece parlare con più precisione di metamorfosi della religiosità contemporanea; essa va riducendosi nelle sue modalità istituzionali, ma persiste in forme latenti e manifeste, individuali e collettive.

Il destino della religione non sembra ancora concluso: nella sua funzione di esprimere gli sforzi umani per la comprensione di sé e del mondo, essa documenta con la propria crisi profonda la situazione di transizione in cui versa la società, ma contiene anche, nella sua persistenza radicale, la certezza che un significato trascendente può essere raggiunto ».41

4. Indicazioni sociologiche per una spiritualità autentica

Alla luce delle suggestioni sociologiche, brevemente richiamate, relative alla situazione socio-culturale entro cui si muove e modifica la vita religiosa dell'uomo moderno nelle società alto-industriali e, soprattutto, alla luce delle linee di tendenza concernenti gli sviluppi in un prossimo futuro, è possibile e legittimo ricavare alcune indicazioni in merito ad una spiritualità autentica od ottimale, sotto il profilo sociologico?

Sarebbe ingenuità deplorevole pensare che spetti ad un sapere empirico determinare le qualità intrinseche del rapporto interiore con Dio e dettargli norme.

La spiritualità cristiana si differenzia da ogni altra spiritualità, in quanto trae il suo elemento specifico e caratterizzante dall'intervento diretto di Dio nel mondo dell'uomo, di Cristo figlio di Dio che entra nella storia e agisce continuamente ad opera dello Spirito santo nella chiesa e nell'intimo di ogni fedele.

Questo contrassegno fondamentale della religiosità e spiritualità cristiane ovviamente può essere fondato e chiarito solo da un discorso teologico.

Tuttavia, in base a quanto siamo venuti rilevando circa il rapporto dialettico tra spiritualità e situazioni storiche, tra livelli socio-culturali ed espressioni religiose, sembra corretto avanzare qualche suggestione - che dovrà poi essere calibrata da ulteriore discorso teologico - a carattere sociologico, relativa ad una spiritualità in sintonia con la storia e la cultura contemporanee.

Come si è visto, religioni e spiritualità, avulse dalle tendenze di fondo del nostro tempo ( dalla liberazione emancipatrice ), e dissociate dallo spessore dei conflitti che lo attraversano, appaiono fatalmente in declino.

Al contrario modalità diverse di gestire il sacro ed esperienze religiose innervate da una spiritualità unitaria riescono anche oggi a fare breccia e ad affermarsi col vigore tipico delle minoranze profetiche.

Ne consegue, da un punto di vista sociologico, la necessità di superare ogni modello dualistico di vita spirituale che separi la vita inferiore dall'azione sociale, l'evangelizzazione dall'impegno di liberazione e promozione umana, e di favorire le condizioni che garantiscano una vita religiosa ed una spiritualità unitaria e totalizzante, in cui cioè lo Spirito assuma la totalità del processo storico conflittuale.

Questo cammino che postula lo sforzo convergente dei saperi empirici, teologici e deontologici per sorreggere un'adeguata prassi pastorale, non è senza difficoltà.

Giustamente, anzi, si rileva dagli studiosi della spiritualità che esso comporta una crisi radicale: infatti, mentre chiude un quadro della storia, pesantemente segnato da dualismi tipici della cultura occidentale platonizzante, apre una nuova fase, in cui i valori della tradizione, liberati da forme e modalità ambigue o anacronistiche, potranno trovare adeguata realizzazione: « Un nuovo linguaggio di sintesi ci aiuterà nel tentativo di unire i necessari poli dell'azione cristiana: azione e contemplazione, impegno storico e sacra celebrazione, lacerazione conflittuale della croce e luce escatologica della gloria, già presente nella lotta storica del tempo.

Tuttavia non potremo mai considerare "definitive" o "chiuse" sia le sintesi nuove che le interpretazioni e letture delle esperienze e delle tradizioni.

Dovranno rimanere aperte al pluralismo dialogico di un cattolicesimo in cammino, all'infinita possibilità del Reale e dello Spirito ».42

Interpretazione biblica socializzata Parola III,2
… e spiritualità familiare Famiglia II
Famiglia III
… giovanile Giovani I
… del lavoro Lavoratore I,1

1 Per un confrontò critico col pensiero di Marx in terna di religione si veda una raccolta di testi marxiani, preceduti da un'ampia e approfondita introduzione, in Marx e la religione (a cura di O. Todisco).
Roma, Città Nuova 1975. Le opere di Max Weber sulla religione sono contenute in Gesammelte Aufsàtze zur Religionssoziologie, Tubinga, Mohr 1920-1921; l'opera più significativa e famosa, relativa all'influenza della spiritualità calvinista sull'insorgere del capitalismo: Die protestantische Ethic und der Geist der Kapitalismus (1905) (tr. it.: L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Roma, Leonardo 1945).
Per un approfondimento cf L. Cavalli, Max Weber: religione e società, Bologna, Il Mulino 1968; F. Ferrarotti, Durkheim e Max Weber di fronte al fenomeno religioso in Aa. Vv., Culturologia del sacro e del profano, Milano, Feltrinelli 1966; Id., Max Weber e il destino della ragione, Bari, Laterza 1965
2 Alludiamo alle correnti che per la comprensione del fenomeno religioso si sono avvalse dell'analisi strutturale-funzionale.
Tra i contributi più significativi meritano particolare rilievo quelli di T. Parsons, La struttura detrazione sociale, Bologna, II Mulino 1962; Id..
Il sistema sociale, Milano, Comunità 1965. Per un primo approccio, sintetico ma assai accurato ed informato, cf G. Milanesi, Sociologia della religione, Torino, LDC 1973, 69ss
3 La sopravvivenza della religione, anche in società che hanno applicato con sistematicità il modello marxista, ha motivato l'interesse crescente da parte di sociologi di orientamento marxista: per una rapida e acuta informazione cf E. Beseghi, li problema religioso nel neo-marxismo, Torino, Boria 1975.
Per quanto riguarda l'opera di F. Belo, La lecture matérialiste de l'évangile de Mare, Parigi, Cerf 1974 (Edizione ridotta in italiano: Una lettura politica del vangelo, Torino, Claudiana 1975) vedi A. Rizzi, Verso una lettura materialista della bibbia, in RTM 8 (1976) 29, 9-50; Id., Confronto critico con Vernando Belo, ibid., 30, 179-210
4 H. G. Geyer, H. N. Janowski, A. Schmidt, Teologia e sociologia, Assisi, Cittadella 1973 e F. X. Kaufmann, Sociologia e teologia.
Rapporti e conflitti, Brescia, Morcelliana 1974. Sulla problematica che il dialogo e l'interazione tra sociologia e teologia comporta, specialmente per la teologia della liberazione, torneremo più avanti
5 H. G. Geyer, Il diritto della soggettività nel processo di sociatizzazione in Aa. Vv., Teologia e sociologia, cit., 20ss; E. Schillebeeckx, Intelligenza della fede: interpretazione e critica. Alba, Edizioni Paoline 1976, 181ss
6 E. Schillebeeckx, o. c., 58
7 H. N. Janowski, La teologia come scienza di orientamento critico in Aa. Vv., Teologia e sociologia, cit., 88
8 F. Urbina, Vita spirituale come tentazione in Con 1975, 9, 124ss.
Secondo l'autore, durante la prima metà del XIX sec., la spiritualità cattolica sembra identificarsi sempre più coi gruppi dominanti in declino « che cercano sicurezza ad ogni costo, difesa dell'ordine costituito e consolazione spirituale, e che assumono sostanzialmente la paura come atteggiamento di fronte alla vita » (127-128).
Urbina propone vari tipi di lettura interpretativa della vita spirituale cristiana nella sua dinamica storica: interpretazione psicologica; socio-storica; storico-teologica; spirituale-evangelica
9 L. Cognet, I problemi della spiritualità, Torino, Boria 1967, 143ss
10 L. Cognet, o. c.. 143
11 G. Milanesi, o. c., 99
12 G. Mattai, "Theologia crucis" e giustizia sociale in RTM 6 (1974) 24, 599ss
13 G. Girardi al convegno di Bologna di Cristiani per il socialismo (settembre 1973) ha difeso Una nuova scelta teologica: il primato del temporale (Vedi Nuovi Tempi, settembre 1973), capovolgendo la tradizionale impostazione, cui si rifaceva una nota pubblicazione maritainiana.
Dopo aver esaminato il significato della formula "primato dello spirituale" nella sua versione costantiniana e in quella postconciliare l'autore, asserendo il primato del temporale, non intende riferirsi al rapporto uomo-Dio, ma al fatto innegabile che tutto il discorso religioso si inserisce in una sfera profana e che una religiosità trascendente, estranea alle lotte sociali, di fatto non esiste.
Girardi denuncia altresì l'ambiguità del materialismo storico che intende il primato della realtà materiale, ora in senso metafisico, ora in senso funzionale, asserendo il carattere primario e fondamentale della sfera economica nell'agire e nella cultura umana.
14 F. Urbina, fl. c., 131ss
15 G. Mattai, L'uomo e i suoi condizionamenti socio-culturali in Anime e corpi, 1976, 65, 257s; particolarmente interessante sul tema condizionamenti e determinismi è l'opera di G. Gurvitch.
Determinismi sociali e libertà umana, Roma, Città Nuova 1969; per un approfondimento filosofico cf J. Gevaert, II problema dell'uomo.
Introduzione all'antropologia filosofica, Torino, LDC 1974, 170ss
16 Per tutti P. Ferrarotti, La sociologia. Storia-Concetti-Metodi, Torino, ERI 1965, 306ss
17 F. Ferrarotti, o. c., 352ss
18 Ibid.
19 Ibid., 307
20 Ibid., 310
21 H. N. Janowski, a. c. alla nota 7, 55
22 F. X. Kaufmann, o. c. alla nota 4, 50
23 J. Van Nieuwenhove, Le "teologie della liberazione" in America Latina in Aa. Vv., Teologie della liberazione in America Latina, Roma, Città Nuova 1975, 92
24 M. Michel, Conclusione: i problemi posti, ibid., .p. 137
25 H. G. Geyer, a. c., alla nota 5, 108
26 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi in Il Regno-Documenti 21 (1976) 1, 5: Evangelizzazione delle culture
27 E. Schillebeeckx, o. c. alla nota 5, 153ss
28 Ibid., 203
29 Per cenni bibl. relativi a questi argomenti di sociologia religiosa si veda il già cit. (alla nota 2) G. Milanesi, e. VI e ss
30 S. S. Acquaviva-G. Guizzardi, Religione e irreligione nell'epoca industriale, Roma, AVE 1971, 19ss
31 Ibid., 48
32 R. Bellah, Al di là delle fedi, le religioni in un mondo posttradizionate. Brescia, Morcelliana 1975; A. Greeley, L'uomo non-secolare.
La persistenza della religione, Brescia, Queriniana 1975
33 Così ad es. pensa T. Luckmann, La religione invisibile, Bologna, Il Mulino 1969, 106
34 S. Burgalassi, Le cristianità nascoste, Bologna, Dehoniane, 1970; G. Milanesi, o. c., c. VII, 117ss
35 P. L. Berger, Il brusio degli angeli, Bologna, Il Mulino 1969, 74
36 P. L. Berger, o. c., 77 e T. Luckmann, o. c., 47
37 L. Berger, o. c., 90ss
38 P. Romano, Quale Dio nel futuro dell'uomo? in Dimensioni Nuove, 4 (1975) 6, 55ss; significative in proposito anche le edizioni successive e rivedute del noto volume di S. S. Acquaviva, L'eclissi del sacro netta società industriale, Milano Comunità 1961 (1966 e 1971)
39 G. Milanesi, o. c., 149
40 R. Bellah, Al di là delle fedi, cit.
41 G. Milanesi, o. c., 158
42 F. Urbina, a. c., 136