Giovani

IndiceA

Sommario

I. Aspetti psico-culturali - Premessa;
1. La contestazione come tentativo di "rivoluzione culturale";
2. Dal "familismo" al "personalismo";
3. La transizionalità del sistema etico-culturale;
4. L'innovazione culturale e i suoi condizionamenti sociali e di personalità;
5. Verso una tipologia delle posizioni psico-culturali;
6. Il ruolo del gruppo nell'evoluzione culturale;
7. L'esperienza religiosa nel processo di nuova acculturazione;
8. La varietà delle "spiritualità" giovanili.
II. Esperienze spirituali - Premessa;
1. L'esperienza della razionalizzazione;
2. L'esperienza del pluralismo;
3. L'esperienza della secolarizzazione:
a. L'esperienza del dissidente,
b. L'esperienza dell'impegnato - Conclusione.

I - Aspetti psico-culturali - premessa

Vanno preliminarmente precisati i termini essenziali del discorso che seguirà.

Per "gioventù" s'intende qui, non tanto un'età definita in termini bio-psicologici, intermedia tra infanzia e maturità adulta, quanto piuttosto una condizione di vita, determinata dai suoi rapporti col sistema sociale.

Il riferimento alla consistenza sociale del mondo giovanile porta a ipotizzare, da una parte, una precocizzazione della maturazione individuale, dall'altra una estensione della giovinezza anche oltre i 25-30 anni, per cui la gioventù può definirsi « in termini di scarto fra le possibilità acquisite e l'utilizzazione istituzionale di queste » ( F. Alberoni ).

Il concetto di "spiritualità" a cui qui ci si riferirà non ha una connotazione così specifica come quella prevalente nella tradizione teologica.

Con esso si intenderà connotare quanto nel comportamento giovanile si riferisce alla "vita dello spirito" in senso lato, con particolare riferimento all'acquisizione, elaborazione e "realizzazione" di un sistema di valori, di modelli o norme di azione, di atteggiamenti di fronte all'Assoluto e alle "realtà spirituali" ( istituzionalizzate o meno ), di sentimenti e disposizioni nei riguardi di Dio, dell'uomo e della società, in quanto finalizzanti l'impegno morale della persona nel suo sforzo di autorealizzazione.

Ciò equivale a dire, nella terminologia delle scienze sociali, che saranno soprattutto gli aspetti psico-culturali della personalità giovanile a ricevere un'attenzione privilegiata, potendosi considerare la "vita spirituale" come la traduzione comportamentale di orientamenti di valore mutuati dai gruppi di appartenenza e di riferimento.

L'adozione di una tale prospettiva psico-culturale non comporta il rifiuto dell'apporto più propriamente sociologico che tende a individuare i condizionamenti "strutturali" ( economici, politici, ecc. ) della "sovrastruttura" culturale e comportamentale.

Supponiamo noti gli antecedenti storici e i processi di modernizzazione strutturale ( industrializzazione e fenomeni connessi ) da cui derivano i problemi della condizione giovanile.

1. La contestazione come tentativo di "rivoluzione culturale"

Si è parlato, a ragione, di una "esplosione del fenomeno giovanile" nel secondo dopoguerra.

Il cambiamento nella condizione dei giovani nel nostro Paese, come in quasi tutti i Paesi dell'Occidente, si fa evidente nella fiammata contestativa del '68.

La popolazione giovanile, specialmente studentesca, « progressivamente esclusa dal circuito produttivo e isolata in una catena di apprendimento inefficiente » ( R. Scarpati ), prende coscienza della propria emarginazione e tenta di reagirvi con una azione collettiva di natura politica.

Ma l'azione politica dei giovani, pur tendendo ad allargare la base sociale della partecipazione ai processi decisionali ( "democrazia partecipata" ) e, quindi, a ristrutturare il sistema politico ed economico, assume un carattere prevalentemente culturale e, quindi, "sovrastrutturale": anticipa la rifondazione delle strutture attraverso la rielaborazione del quadro di valori.

Si tratta, dunque, soprattutto di un tentativo di "rivoluzione culturale", con problematizzazione dello stesso sistema dei fini della persona e della vita sociale, e non solo delle modalità di realizzazione storica di quei fini.

Già nel 1962, il Manifesto del movimento giovanile americano « Students for a democratic society » poneva come tema centrale quello dei valori sociali alternativi: « Nel suggerire mete e valori sociali, noi siamo consapevoli di accedere ad una sfera piuttosto svalutata…

I nostri valori sociali implicano certe concezioni degli esseri umani, certi rapporti umani, certi sistemi sociali.

Consideriamo gli uomini infinitamente preziosi e in possesso di capacità ancora latenti di ragionamento, di libertà e di amore ».

Lo stesso orientamento personalistico, di esaltazione delle potenzialità creative e partecipative dell'uomo, accomuna ideologicamente tutti i movimenti di protesta delle università europee: l'accento è posto « sia sull'autonomia di ogni persona singola, sulla qualità particolare dei suoi fini e bisogni psichici, culturali e intellettuali, sia sul diritto di ognuno di partecipare al governo delle istituzioni che ne controllano in modo così stretto la vita presente e le prospettive future » ( A. H. Burns ).

L'ideale è la liberazione della persona « come fatto di coscienza e di partecipazione » ( personalismo solidaristico-comunitario ).

Si parla, in proposito, di « valori post-borghesi » ( R. Inglehart ), di « valori difficili », di autorealizzazione in un'espansione di socialità « autentica » ( C. Tullio-Altan ).

2. Dal "Familismo" al "Personalismo"

Nel contesto italiano, qualificare le nuove tendenze culturali dei giovani come "post-borghesi" non significa sostenere che la nostra cultura dominante, da cui i giovani tendono a differenziarsi, sia quella della società industriale-capitalistica ( classicamente definita di tipo "acquisitivo", competitivo, individualistico… ).

Da numerose ricerche ( P. G. Grasso, C. Tullio-Altan, E. C. Banfield ) si può dedurre che la più arcaica cultura familistico-rurale resta ancora la matrice culturale di base per gran parte dell'universo giovanile, anche se più o meno profondamente "contaminata" da influenze della cultura industriale.

La nuova "cultura giovanile" tende a contrapporsi a entrambe le matrici culturali: l'affermazione dei valori "post-borghesi" del personalismo solidaristico rappresenta il rifiuto sia del particolarismo e autoritarismo familistico che dell'individualismo capitalistico ( e del burocraticismo dei sistemi collettivistici ).

La persistenza della cultura familistica, specie a livello popolare, è stata messa in evidenza da studi su giovani emigrati, emergenti dal contesto della cosiddetta "civiltà contadina" e immessi in contesti urbano-industriali: nel travaglio della nuova acculturazione si rivelano i pregi e le carenze dei loro orientamenti familistici, la cui vischiosità dipende dall'azione di meccanismi inconsci di difesa, di natura essenzialmente emotivo-affettiva.

Tale vischiosità della matrice culturale familistica è confermata dagli studi di numerosi campioni di studenti ( P. G. Grasso, G. Milanesi ) che rivelarono forti residui di particolarismo etnocentrico, di autoritarismo, di polarizzazione alienante sull'ingruppo familiare, di "anestesia morale" per l'impegno societario, che caratterizzavano omogeneamente i mèmbri della società familistica del passato.

I nuovi orientamenti personalistici dei giovani esprimono il tentativo di superamento delle aporie familistiche ( pur senza rigettare i valori "autentici" della vita familiare ).

È, in definitiva, la stessa concezione dell'uomo e della sua collocazione nel sociale che viene posta in crisi.

« La differenza maggiore [ dal particolarismo familistico ] risiede nel fatto che l'individuo viene valutato in base alle sue qualità personali e non per il posto che egli occupa nella famiglia; viene cioè giudicato con criteri universalistici » ( S. E. Eisenstadt ).

In pratica è la persona in quanto tale ( e non in quanto parte di un collettivo, fosse pure quello familiare o religioso ) che diventa centro della motivazione del rapporto sociale.

Il primum dell'azione morale-sociale diventa l'espansione totale delle potenzialità della persona.

3. La transizionalità del sistema etico-culturale

Come appaiono evidenti anche nei giovani degli anni '70 le origini familistiche della loro cultura di base, con pari chiarezza si nota un movimento di transizione nel loro sistema di valori e di atteggiamenti culturali.

Alcune ricerche specifiche ( P. G. Grasso, G. Milanesi, G. Musio ) hanno rilevato la realtà di tale "transizionalità" a livello del sistema etico-culturale o della struttura della personalità morale, tra giovani studenti raggiunti agli inizi degli anni '50, '60 e '70.

La sequenzialità nel tempo dell'analisi ha permesso di verificare l'ipotesi di un profondo cambiamento negli atteggiamenti etico-culturali dei giovani negli ultimi venticinque anni.

Agli inizi degli anni '50, il sistema di valori etici dei giovani studiati appariva ancora centrato su valori di tipo familistico-sacrale ( e cioè concernenti unitariamente l'area "sacralizzata" della moralità sessuale-familiare, religiosa e del rispetto della vita ), mentre il sistema di valori morali di gruppi corrispondenti di giovani americani ( sistematicamente confrontato con quello dei nostri giovani ) appariva centrato su valori "secolari" e di lealtà nei rapporti interpersonali e societari.

La famiglia si presentava come l'istituzione-chiave del sistema psicologico-morale dei nostri giovani, mentre la realtà "societaria" ( nel senso di Tonnies: lo Stato, le associazioni non "primarie" e la stessa chiesa ) risultava come motivazionalmente assente dal campo psicologico-morale dei giovani: questi si sentivano moralmente impegnati solo nell'area del "familiare" e nelle altre aree "sacralizzate" ad essa connesse.

Per il resto della realtà sociale l'anestesia morale risultava quasi totale.

Non è difficile spiegare tale sintomatica insensibilità morale della quasi totalità dei giovani di fronte ai doveri societari ( specie nei confronti dello Stato ) con riferimento a un condizionamento storico-culturale: si tratta di una reazione difensiva contro ogni autorità non familistica, considerata da sempre sfruttatrice e, pertanto, non legittimata nella sua pretesa di obbligare "in coscienza" ( da cui le espressioni popolari: "governo ladro", "rubare allo Stato non è peccato" ).

Tuttavia, già agli inizi degli anni '60, la relativa omogeneità del sistema di valori giovanili si rivelava "compromessa" da un moto trasformativo.

Presumibilmente sotto la spinta di fattori oggettivi, connessi con le trasformazioni strutturali della società italiana in senso urbano-industriale, e anche per la pressione di forze ideologiche e sociali interessate alla "modernizzazione culturale", si profilava uno stato di conflittualità nel sistema di valori morali più tipici della nostra cultura.

Le aree della moralità che apparivano più toccate dalla "crisi transizionale" ( almeno a livello di giudizio morale) erano:

- l'area della moralità religiosa ( o dei doveri religiosi );

- l'area della moralità sessuale e familiare;

- l'area del rispetto della vita;

- l'area della moralità sociale e societaria.

Il movimento di cambiamento etico-culturale si annunciava come un progressivo emergere della moralità "societaria", in corrispondenza di una lenta decompressione della moralità "sacralizzata".

Lo stato conflittuale e transizionale del quadro giovanile di valori viene verificato con maggior chiarezza verso la fine degli anni '60 e, ancor più, agli inizi degli anni '70.

Si profila nettamente la tendenza ad un rovesciamento di posizioni morali, sintomo di una trasformazione in atto di tutto il sistema socio-culturale.

Supposto che questo fosse - nei suoi orientamenti di valore dominanti in passato nel nostro Paese - di tipo familistico-sacrale e asocietario ( centrato sull'individuo assorbito nel collettivo familiare ), tenderebbe ora a prevalere tra i giovani una nuova sintesi etico-culturale, centrata sui valori della persona e del gruppo societario, con "decadenza" o, forse meglio, profondo ridimensionamento dei valori morali del sacro e del sessuale-familiare istituzionalizzati.

Al movimento centrifugo dei valori della moralità "sacralizzata" corrisponde un movimento centripeto dei valori della moralità "societaria", con tendenza al superamento dell'esclusivismo delle "lealtà primarie" ( verso le istituzioni familistiche e sacralizzate ) e apertura ai valori "politici", di solidarietà sempre più ampie, tendenzialmente universalistiche.

Ci si può chiedere se il diffondersi dell'adesione tra i giovani ad un ethos così ridimensionato possa considerarsi segno adeguato dell'emergenza di una nuova cultura giovanile, con tratti, non marginali, diversi rispetto a quelli della cultura dominante ( "tradizionale" o già supposta "rinnovata" ).

In altri termini, la cultura giovanile è fenomeno originale di avanguardia o è fenomeno di alone rispetto alla cultura "progressista" ( dei gruppi adulti socio-culturalmente più "avanzati" )?

La risposta non è facile allo stato attuale delle conoscenze della realtà giovanile.

È certo, comunque, che la reintegrazione su nuove basi della struttura culturale di origine, in coerenza con l'istanza personalistica, è un processo lungo, difficile e doloroso.

Comporta lacerazioni mentali e affettive a profonda risonanza emotiva ( l'aumento dei suicidi giovanili potrebbe collegarsi pure alle difficoltà di tale trapasso culturale che può compromettere le basi della stessa sicurezza esistenziale ).

Comporta anche il rischio di lasciar cadere valori del passato ancora funzionali o di assumere conformisticamente nuovi valori non garantiti nella loro "autenticità".

Dalle ricerche citate sembra si possa concludere che, per la massa giovanile, il personalismo solidaristico resta ancora un'aspirazione "di superficie", nel senso che, pur sinceramente apprezzando in astratto i valori che esso comporta, molti giovani non sono ancora in grado di far lievitare di tali valori la loro "personalità di base" e la loro condotta.

Così resta abbastanza diffusa la situazione di coesistenza psicologica e morale, per sovrapposizione senza integrazione, di un sistema di valori-norme oggettivamente personalistici e universalistici con un sistema psicoculturale di base ancora orientato in senso familistico e particolaristico.

4. L'innovazione culturale e i suoi condizionamenti sociali e di personalità

Una recente indagine sulla « condizione giovanile di transizionalità culturale » ( P. G. Grasso e G. Secchiaroli ), partendo dall'ipotesi che l'attuale crisi culturale dei giovani si qualifichi come un lento passaggio da una cultura familistico-"comunitaria" ( che privilegia l'assorbimento dell'individuo nei gruppi primari ) verso una cultura personalistico-"societaria" ( che privilegia l'autonomia della persona e l'assunzione di responsabilità propriamente sociali ), tenta un'operazione di sintesi sui rapporti della posizione culturale innovativa con tutta una serie di variabili personali e sociali.

L'indice di innovazione con cui viene individuato lo stato di avanzamento culturale dei giovani intervistati è costruito sulla base delle loro prese di posizione di fronte alle più importanti aree culturali ( famiglia, rapporti giovani-adulti, rapporti sociali e politici, morale e religione ).

Confrontando sistematicamente ( a mezzo anche di correlazioni statistiche ) la situazione personale e sociale del gruppo a innovazione alta con quella del gruppo a innovazione non-alta, emergono alcune significative differenze:

1) Il sistema di valori degli innovatori più forti è centrato su valori sociali e di autorealizzazione, con particolare valorizzazione della spontaneità istintuale ( il che, a livello clinico, potrebbe anche qualificarsi come segno di "immaturità", non patologica, nell'equilibrio pulsionale, specie delle pulsioni aggressive e sessuali ).

Il sistema di valori dei meno innovatori o "tradizionalisti" si presenta invece centrato su valori di controllo istintuale, di espansione morale e affettiva "normale" ( secondo i canoni della moralità "privatistica" tradizionale, valorizzanti motivazionalmente soprattutto i rapporti primari ).

2) I giovani a innovazione più alta si rivelano meno severi ( cioè meno rigidi e più "sereni" ) nel giudizio morale.

È, il loro, un atteggiamento morale globalmente più "disteso", meno ansiosamente reattivo e colpevolizzante.

I più forti innovatori appaiono più chiaramente e coerentemente in transizione verso una nuova sintesi nel rapporto dialettico tra moralità "societaria" e moralità "sacralizzata", con tendenza a un più deciso "ribaltamento" della gerarchia tradizionale dei valori e delle istituzioni corrispondenti.

3) I più forti innovatori si ritrovano molto meno numerosi tra i "credenti" in Dio e in più gran numero tra i "dubbiosi".

Tale crisi della credenza religiosa si accompagna di solito all'abbandono della pratica cultuale e alla coscienza di un'incompatibilità tra innovatività culturale e religione.

Il quadro di valori che caratterizza i più forti innovatori ( comportante la valorizzazione di un modello di autorealizzazione fondato su una certa "liberazione della spontaneità istintuale", oltre che su di un'apertura ad un più "autentico" incontro sociale ) può forse indurre quei giovani a ritenersi ormai fuori dell'ortodossia religiosa, partendo essi sovente da una concezione "tradizionale" ( non "conciliare" ) di tale ortodossia o da esperienze frustranti della religione-di-chiesa.

Pertanto si può ipotizzare che anche tra le file del dissenso cattolico contemporaneo prevalgano le personalità più culturalmente innovative ( in senso globale ).

4) Le differenze tra i due gruppi culturali ( innovatori o "progressisti", tradizionalisti o "conservatori" ) indotte dalla classe sociale d'origine ( misurata con riferimento al livello professionale e istruzionale dei genitori ) risultavano ancora, agli inizi degli anni '70, sistematiche e molto significative.

Le differenze si presentavano particolarmente accentuate agli estremi della scala dei livelli sociali, con gli originari della classe superiore nettamente più innovativi e gli originari della classe inferiore ( più "popolare" ) nettamente meno numerosi tra i più forti innovatori.

Si può supporre che tali differenze culturali fossero connesse con la diversa situazione socio-economica dei due gruppi di classe, nel senso che a tale situazione corrispondono diverse condizioni di sviluppo della personalità, direttamente o indirettamente influenti sulla assunzione di un dato sistema di atteggiamenti.

Così l'inferiorità socio-economica tenderebbe a tradursi in inferiorità "mentale" e quindi culturale ( intesa qui come resistenza all'innovazione ).

Di fatto i giovani originari di classi inferiori si rivelavano in genere meno "maturi" ( globalmente ) dei loro compagni socialmente più privilegiati.

In questi ultimi appariva ad es. più avanzato il processo mentale di differenziazione e di integrazione degli elementi della realtà sociale interiorizzati, con una più diffusa capacità di percepire universalisticamente ( con riferimento a situazioni o principi più generali ) il dato di esperienza, e di recepire più criticamente le influenze ambientali.

Questa differenza di maturità globale si riflette a livello psico-culturale, non solo nel senso che l'appartenenza dei giovani alle classi superiori è correlata più frequentemente con la disposizione all'innovazione, ma anche nel senso che l'innovazione in essi tende a realizzarsi in modo più ampio e coerente.

Tra i giovani delle classi subalterne è più facile riscontrare fenomeni di sovrapposizione di elementi culturali senza integrazione: atteggiamenti chiaramente innovativi si presentano "giustapposti" ad altri atteggiamenti ancora in linea coi modelli arcaici ( specie familistici ) della loro personalità di base.

Ricerche più recenti sembrano provare che tale importante differenziazione di classe sociale a livello culturale si va rapidamente riducendo: specialmente gli originari delle classi inferiori tenderebbero a omogeneizzarsi con gli originari delle classi superiori in senso innovativo, mentre sarebbero gli originari delle classi medie che opporrebbero una più forte resistenza al cambiamento culturale ( nel senso sopra indicato ).

Tuttavia si può supporre che residui di differenziazione tra i vari raggruppamenti giovanili distinti per classe sociale di origine continueranno a persistere con riferimento alle scelte preferenziali dei valori ( e quindi anche in rapporto alla disponibilità a stimoli formativi in senso morale o "ascetico" ): i giovani di classe superiore tendono a orientarsi preferenzialmente verso valori di successo non tanto economico, quanto culturale e professionale ( con accentuata valorizzazione del "desiderabile psicologico" ), mentre gli originari di classi inferiori risultano maggiormente orientali verso il "desiderabile materiale", economico ed erotico.

Sono soprattutto condizionamenti storico-ambientali che hanno provocato nel tempo la sedimentazione di tali orientamenti nei due raggruppamenti di classe: l'uno, liberato dal desiderio ansioso dei "beni della terra", perché ne è ormai in sicuro possesso, può aprirsi al desiderio dei beni "immateriali" della "cultura" e dell'autorealizzazione ai livelli superiori; l'altro, ancora attanagliato dal ricordo ancestrale della miseria, della fame, della fatica e dell'insicurezza, tende ad assicurarsi anzitutto i beni materiali fondamentali, pur intuendo la desiderabilità dei beni "culturali" e dei valori di socialità ( a cui, anzi, è forse più sinceramente sensibile ).

5. Verso una tipologia delle posizioni psico-culturali

Pur registrando una tendenza all'omogeneizzazione culturale dei giovani ( nel senso dell' "omologazione" pasoliniana ), non si può certo concludere che la massa giovanile sia già oggi unanimemente orientata verso le posizioni innovative sopra descritte e che, quindi, all'azione formativa resti solo il compito di rinforzare o, al più, "equilibrare" tratti di personalità, tipici dell'innovatore, già sicuramente acquisiti dai più.

In realtà le posizioni culturali dei giovani e, ancor più, i loro comportamenti concreti sono ancora abbastanza differenziati, per cui è possibile e anche necessario una loro categorizzazione in tipi diversi.

Gli studiosi hanno proposto vari schemi tipologici della gioventù, concettualmente comparabili tra loro.

C. Tullio-Altan parla di integrati, nevrotici e innovatori; P. Goodman di "uomini dell'organizzazione" ( o integrati ), "poveri" ( vorrebbero integrarsi ma non riescono ) e "indipendenti" ( non vogliono integrarsi o "correre la corsa dei topi" ); R. Merton di abulici, ritualisti e ribelli.

P. G. Grasso, riferendosi all'influenza combinata di vari tratti psicologici e psico-culturali, propone la seguente schematizzazione tipologica:

Tipo "non adattivo-creativo"

Orientamento etico-culturale: solidarismo personalistico ( centralità del sociale senza alienazione della persona ).

Tratti psicologici: indipendenza; attività; creatività; radicalismo; universalismo; forza dell'io.

Comportamento: protesta rivoluzionaria; partecipazione all'azione collettiva di trasformazione radicale del sistema; comportamento "umanistico" ( non autoritario ).

Tipo "non adattivo-non creativo"

Orientamento etico-culturale: individualismo personalistico ( centralità del singolo senza rifiuto della socialità ).

Tratti psicologici: indipendenza; passività; spontaneità; eccentricità; autosufficienza; forza dell'id.

Comportamento: protesta passiva contro il sistema; pacifismo; non competitività; evasione intellettualistica o psichedelica ( comportamento "beat", "hippy"? ).

Tipo "adattivo-creativo"

Orientamento etico-culturale: individualismo egocentrico ( centralità dell'individuo con rifiuto della socialità ).

Tratti psicologici: attività; opportunismo; particolarismo; autoritarismo; forza dell'id e dell'io.

Comportamento: attivismo riformistico ( per l'efficienza del sistema ); imprenditorialità funzionalizzata all'autoaffermazione; comportamento autoritario e competitivo.

Tipo "adattivo-non creativo"

Orientamento etico-culturale: gregarismo familistico o burocratico ( centralità del collettivo con alienazione della persona ).

Tratti psicologici: passività; rigidità mentale; dipendenza; conformismo; stereotipia; autoritarismo; dogmatismo; forza del super-io.

Comportamento: ritualismo; ripetitività; sottomissione acritica alle norme ( nell'interesse del sistema ); "fuga dalla libertà" ( nel senso di Fromm ).

Le difficoltà di una simile schematizzazione tipologica, come delle altre su accennate, derivano dal fatto che essa tende a una descrizione globalizzante dell'individuo, con utilizzazione congiunta di criteri di differenziazione psicologica, culturale e politica.

È poi evidente che si tratta di "tipi ideali", nel senso weberiano, non ritrovabili se non "approssimativamente" nella realtà.

Tuttavia, dal complesso delle indagini sulla gioventù attuale sembra si possa concludere che i quattro tipi suddetti sono adeguati a cogliere gli orientamenti prevalenti della personalità culturale della maggioranza dei giovani.

È difficile quantificare tale giudizio ( poiché mancano ricerche che permettano di dare consistenza statistica a ciascun tipo ), ma sembra possibile affermare che la maggioranza dei giovani è in transizione da un tipo essenzialmente "adattivo-non creativo" ( prevalente in passato nella massa giovanile di estrazione popolare e piccolo-borghese ) verso gli altri tre tipi.

Che un singolo individuo o anche una porzione determinata dell'universo giovanile evolva verso una delle due forme culturali di individualismo rappresentate dai tipi "adattivo-creativo" e "non adattivo-non creativo", oppure verso la forma di solidarismo rappresentata dal tipo "non adattivo-creativo", dipende da una molteplicità di fattori personali e ambientali.

Sovente l'emergenza delle forme individualistiche sembra conseguente a un processo di "esaurimento per disillusione" dell'esperienza ( spesso superficiale ) della forma solidaristico-personalistica.

Il ripiegamento, in tal caso, sulla forma egocentrica/attiva o su quella non-egocentrica/passiva dipende, più che da caratteristiche di personalità, da condizionamenti ambientali ( compreso il "cattivo esempio" del mondo adulto ).

Tali condizionamenti ambientali-sociali hanno la maggiore responsabilità in tutti i processi di mutazione culturale e comportamentale ( anche se non si può escludere l'influenza di fattori costituzionali e di personalità, specie in soggetti mentalmente immaturi ).

Sembra così evidente che i processi di razionalizzazione e industrializzazione capitalistica non hanno solo trasformato radicalmente la struttura socio-economica che rendeva funzionale al sistema il gregarismo familistico del tipo "adattivo-non creativo", ma hanno favorito anche la diffusione del tipo "adattivo-creativo", apparentemente meglio funzionalizzato a quelle nuove condizioni strutturali.

Ma tale evoluzione strutturale della società, con le sue manifestazioni di eccessiva burocratizzazione e di esasperata competitività, oltre che con le sue espressioni di alienazione e di disumana ingiustizia, ha provocato, specie nella "classe" giovanile, una reazione a doppia direzione: quella attivistico-solidaristica del tipo "non adattativo-creativo" ( impegnato solidalmente nella trasformazione della società, con spirito universalistico, per la difesa e l'espansione di ogni persona ), e quella passivistico-individualistica del tipo "non adattivo-non creativo" ( che evade dalla società inaccettabile e supposta intrasformabile, e tende a vivere intensamente - solo o, più spesso, comunitariamente - al di fuori della mischia ideologica, in spontaneità istintiva e in libertà totale ).

Sembra ovvio che, anche da un punto di vista psicologico ( con riferimento a un ideale di maturità psichica, oltre che morale e "spirituale" ), l'azione educativa ed anche quella politica e quella formalmente religiosa dovrebbero tendere a porre le condizioni per il prevalere, oggi, del tipo "non adattivo-creativo", orientato all'impegno per la creazione di una nuova società che permetta la realizzazione in sé e negli altri dei valori della persona.

6. Il ruolo del gruppo nell'evoluzione culturale

Tra le condizioni ambientali-sociali facilitanti l'apertura alla innovazione ( in senso personalistico-solidaristico ), sembra particolarmente efficace un'esperienza ricca e variata di contatto sociale.

Il luogo privilegiato di tale esperienza risulta oggi, per gli studenti, l'ambiente scolastico e, per i giovani operai, l'ambiente di lavoro.

È nell'interazione scolastica o aziendale che viene fatta la prima vera esperienza del sociale, con la scoperta della problematica conflittuale ( nei rapporti con l'autorità scolastica o padronale e con i gruppi di compagni politicamente avversi ) e l'emergenza di nuove solidarietà.

Così specialmente l'istituzione scolastica, che la sociologia dell'educazione ritrovava ovunque come forza di conservazione, viene a rivelarsi oggi, per un moto trasformativo indotto "dal basso", "scuola di innovazione".

Si tratta, anche nell'ambito scolastico, di esperienze del sociale fatte in gruppo e rese quindi più efficaci dai meccanismi del "comportamento collettivo", anche se molto spesso ( in linea con la psicologia adolescenziale ) l'influenza del gruppo è mediata dall'influenza personale di un compagno fortemente dotato e appassionatamente impegnato.

Un discorso analogo a quello sulla scuola si può fare per la chiesa come istituzione educante.

Nell'ambiente di chiesa o ai suoi margini, quasi a insaputa dei responsabili della formazione religiosa e sovente in polemica con essi, si è realizzata una "risocializzazione della mentalità" dei giovani, religiosamente ispirata ma strettamente collegata col movimento di idee dominante, tra i giovani "impegnati", nelle istituzioni sociali "profane".

Il dissenso cattolico, nella sua componente giovanile, e il movimento di « Comunione e liberazione » sono due manifestazioni - ben differenziate nelle finalità e nei metodi - del processo di "modernizzazione culturale" del mondo giovanile indotto nell'ambito delle istituzioni ( anche se raramente a iniziativa di queste).

Tuttavia soprattutto nell'ambiente scolastico sembra intervenire solo un primo processo di rottura del conformismo culturale attraverso il dibattito delle idee e l'eventuale azione di protesta.

La nuova acculturazione in senso personalistico-solidaristico, a livello delle relazioni sociali, s'inizia veramente nella presa di contatto, sovente traumatizzante, dei giovani con la realtà sociale extrascolastica, per es., con "il lavoro politico tra la gente", con "il servizio sociale nelle borgate", con "il volontariato a favore degli handicappati o dei drogati", con "la partecipazione alle lotte operaie"…

Se non avviene questo passaggio al sociale concreto, l'esperienza della contestazione scolastica resta fragile e velleitaria, senza residui profondi nella personalità.

Gran parte dei "delusi della contestazione" ( valutati, in una ricerca, a oltre il 60% di un campione nazionale studentesco ) sono, presumibilmente, degli "innovatori rientrati", che hanno esaurito la loro carica motivazionale nel lungo "parlare di rivoluzione", nel chiuso dei loro incontri assembleari, senza mai uscire verso le dure realtà dell'ingiustizia e del dolore, partecipando ad un'azione "politica" concreta.

Da molti indizi resta confermata anche l'influenza del gruppo o associazione tra coetanei.

La partecipazione ad associazioni ( soprattutto, ma non solo, spontanee ) si rivela chiaramente correlata con gli orientamenti culturali più innovativi, nel senso ad es. che i partecipanti ad associazioni risulterebbero disponibili ad un rapporto più "autentico" ( non egocentrico e strumentalizzante ) e meno conflittuale con l' "altro".

Correlazione non dice, naturalmente, rapporto causale diretto: è possibile che all'incontro associativo siano più sensibili, in partenza, personalità già orientale in senso solidaristico o, comunque, socialmente più aperte, e che quindi l'integrazione nel gruppo agisca solo da rinforzo di tendenze o tratti già stabilizzati per influsso di altri fattori.

Ma è plausibile che l'esperienza solidaristica della vita associativa ( specie se rivolta a fini culturali, politici o sociali, oltre che "espressivi" ) concorra a fornire ai giovani "partecipanti" il modello nuovo di solidarietà di cui sentono l'esigenza e a cui si rifarebbero « ogni qual volta delle frustrazioni imponessero loro delle ristrutturazioni culturali » ( F. Alberoni ).

La partecipazione associativa si rivela importante, in particolare, per la ristrutturazione del quadro giovanile di valori in senso innovativo.

L'esperienza associativa, specie quella fatta in parecchie associazioni, concorre alla formazione di un quadro di valori da cui non solo sono stati esclusi valori preminenti nel sistema valutativo degli adulti ( non accettando la riduzione dell' "ideale di vita" a potere, possesso, piacere ), ma in cui tendono a comporsi più armonicamente esigenze di gratificazione psicologica ( compresa una "normale" gratificazione istintuale ) con esigenze di più autentica socialità.

La partecipazione associativa sembra avere come effetto caratteristico quello di liberare dalle scorie di un rozzo individualismo e particolarismo, per aprire ai "valori difficili" dell'autorealizzazione personalistica e della solidarietà collettiva.

7. L'esperienza religiosa nel processo di nuova acculturazione

L'interpretazione in chiave psico-culturale della condizione giovanile non esclude, anzi esige il riferimento alla dimensione religiosa del comportamento dei giovani.

L'ancoraggio cristiano-cattolico dei valori della nostra cultura tradizionale porta a ipotizzare che, nel trapasso culturale che i giovani stanno vivendo, siano implicate anche le componenti "religiose" ( in senso lato ) della loro personalità di base e che, quindi, il processo di riacculturazione comporti pure, necessariamente, una ristrutturazione del loro sistema di valori, atteggiamenti e comportamenti religiosi.

Un progetto di "formazione spirituale" adeguato alla situazione reale dei giovani dovrebbe tener molto conto di questa profonda intricazione del religioso nel culturale.

Le ricerche sulla religiosità dei giovani, oggi ( P. G. Grasso, G. Milanesi, G. E. Rusconi, S. Burgalassi, V. Caporale ), offrono un quadro abbastanza chiaro della situazione.

Una crisi transizionale si rivela già a livello di credenza in Dio.

Più di un terzo dei giovani studenti sono in piena crisi religiosa nel senso che per essi la realtà di Dio non è più il tranquillo possesso che è stato nell'infanzia e, per un certo numero ( il 10% circa, in un campione nazionale del 1971 ), è già una realtà "superata" o "liquidata" in un travagliato processo di revisione critica.

Il problema dell'esistenza di Dio è connesso con quello della sua presenza "provvidente" nelle vicende umane.

Di fronte a tale problema, l'atteggiamento dominante della maggioranza dei giovani sembra ancora quello di un certo fatalismo, più sovente nella versione teistica della rassegnazione alla volontà incontrastabile di Dio, ma anche nella versione "pagana" dell'accettazione passivizzante di un "fato" incomprensibile.

La reazione "prometeica" di un umanesimo attivistico e creatore - in linea con l'ottimismo scientistico dell'era moderna - è atteggiamento fortemente minoritario.

Che alla tentazione del fatalismo siano esposti in particolare i giovani di estrazione inferiore ( favorevoli all'affermazione di un "cieco destino" nel 35% dei casi, nell'inchiesta citata ) è una conferma delle radici prevalentemente storico-culturali di tale orientamento "religioso".

Il "fatalismo" di tanti giovani, specie di origine popolare, non ha una motivazione endogena ( costituzionale o temperamentale ), ne può essere spiegato in termini di influenza diretta di una "teologia della rassegnazione".

Sono dei condizionamenti sociali, soprattutto, che hanno indotto nella massa popolare quell'atteggiamento fatalistico ( contro-influenzando anche, presumibilmente, la stessa elaborazione della teologia e dell'ascetica cattolica ): tale atteggiamento è frutto di secolare esperienza della sofferenza, della miseria e dell'impotenza.

La credenza in un "cieco destino", come pure in una volontà divina insindacabile, appare come la conclusione realistica di quella esperienza ancestrale di un ambiente fisico e sociale ostile e apparentemente irriformabile ( « abbandonato da Dio e dagli uomini », secondo il detto popolare ).

L'influenza religiosa ( del cattolicesimo ) non è stata, forse, determinante che nel dare a quelle tendenze fatalistiche, indotte dalla situazione storico-ambientale, un orientamento "provvidenzialistico", concorrendo a motivare religiosamente la "lunga pazienza", ma anche la poca "creatività" e "imprenditorialità", che sembrano ancora tratti comuni della personalità di base di molti giovani, specie degli originari delle classi inferiori e del meridione.

L'idea della "presenza di Dio" sarebbe dunque, per una buona parte dei giovani, non un fattore attivizzante ( motivante, ad es., ad un'azione rivoluzionaria ), ma piuttosto un fattore narcotizzante ( l' "oppio del popolo" della teoria marxista ).

I giovani più innovativi tenderebbero, pertanto, a liberarsi dal "peso" della religione che troverebbero incompossibile con un impegno attivo di liberazione dell'uomo e di trasformazione della società.

La crisi della credenza religiosa si riflette nella crisi della pratica cultuale.

Agli inizi degli anni '70, la media dei giovani "praticanti regolari" si aggirava sul 40%; altri 25% circa sarebbero stati praticanti "irregolari" o "stagionali".

Una buona maggioranza, dunque, manterrebbe un contatto, anche se non sempre regolare, con l'istituzione religiosa.

La crisi religiosa, indicata dall'interruzione della pratica cultuale, ma preceduta presumibilmente da una crisi di credenza, sarebbe - per la maggioranza dei "separati" - già in qualche modo "conclusa" ai 15 anni.

Ciò non significa che il problema religioso venga definitivamente "rimosso" e non continui a inquietare chi si è "estraniato" dalla comunità ecclesiale.

La crisi religiosa dei giovani sarebbe da inquadrare nel fenomeno generale, a origini strutturali oltre che culturali, della secolarizzazione, intesa come « impotenza di fatto della religione contemporanea di assurgere con i suoi contenuti e i suoi veicoli espressivi a modello culturale di comportamento » ( G. E. Rusconi ).

La secolarizzazione si configurerebbe, a livello giovanile, soprattutto come conflittualità tra la pretesa totalizzante del discorso religioso tradizionale e la sua riduzione privatistica di fatto.

Specialmente per i giovani più innovativi, la crisi religiosa si imporrebbe come analisi critica del discorso socializzante della religione-di-chiesa.

Più intensamente politicizzati, essi scoprirebbero una contraddizione tra il loro impegno politico e l'apparente "apoliticità" della religione-di-chiesa, mascherante una scelta tradizionalmente conservatrice e autoritaria.

La loro scelta sostanzialmente negativistica di fronte alla religione sarebbe, dunque, conseguente a un giudizio sull'inevitabile conflitto tra il loro umanesimo o personalismo "profano" ( sostanziato di ideali di libertà, giustizia, solidarietà universale… ) e il tipo di socializzazione religiosa della loro infanzia e adolescenza, in contesti ecclesiali autoritari e "conservatori".

Anche nella maggioranza di giovani che credono e praticano, oltre la metà sembrano preferire una comunicazione diretta con Dio senza l'intermediazione ecclesiale.

Appare chiaro che questa "fuga dall'ecclesiale" è, molto spesso, motivata da un "rifiuto dell'ecclesiastico" inteso come "apparato" autoritario della chiesa ( clero e organizzazioni ufficiali della chiesa ).

L'evoluzione religiosa dei giovani, intervenuta a tutti i livelli di classe, si è manifestata come crisi di appartenenza e di fedeltà dottrinale e cultuale nei riguardi della chiesa, con emergenza di tendenze alla desocializzazione e "privatizzazione" dell'esperienza religiosa, oltre che come allargamento della crisi di credenza, con aumento di atteggiamenti agnostici e anche ateistici.

Tuttavia, è impressione degli studiosi che il "rifiuto della religione-di-chiesa" da parte dei giovani non si sia concretato che in una critica più o meno radicale all'organizzazione ecclesiastica, specie alla sua azione politica ed educativa, senza rottura - in profondità - del loro legame affettivo con essa, che è sostenuto pure da vincoli culturali di sacralizzazione dell'istituzione familiare e della moralità che vi è connessa.

In particolare gli originari delle classi popolari sembrano ancora strettamente condizionati, a livello inconscio, da quel legame e da quella "sacralizzazione".

Anche se la pratica religiosa ha subito una forte riduzione, soprattutto in reazione a passate "compromissioni" della chiesa col potere politico ed economico, il nucleo della loro religiosità "spontanea" - rinforzato dalle sue interconnessioni col dato culturale - è rimasto sostanzialmente integro, e forse si è pure "autenticato", purificandosi delle scorie magiche e irrazionalistiche della religiosità dell' "era familistica".

All'evoluzione in senso "positivo" della religiosità giovanile ha certo concorso l'apparizione di papa Giovanni e la « ventata di Spirito santo » espressasi nel Vat II ( benché vi siano indizi della ridotta diffusione del messaggio conciliare tra i giovani ).

Le grandi tematiche del Vat II ( rapporto tra chiesa e mondo, tra fede e culture, tra ideologie e movimenti storici, tra vocazione cristiana e responsabilità civile… ) hanno, comunque, ispirato i giovani più vicini alla chiesa, motivandoli ad una rielaborazione "progressista" del loro sistema religioso-culturale e ad un impegno nel sociale, e cioè concretamente nella comunità ecclesiale e in gruppi, ideologicamente disparati, di lotta politica.

8. La varietà delle "spiritualità" giovanili

Alla lenta "deriva culturale" ( la "rivoluzione silenziosa" di R. Inglehart ) sembrano partecipare quasi tutti i giovani, anche se sovente senza una chiara coscienza della direzione del flusso transizionale: « Tutta la gioventù è in stato di migrazione: anche chi non parte, cambia paese culturale e, quindi, personalità » ( P. G. Grasso ).

Tuttavia gli sbocchi comportamentali di questo cambiamento culturale non sono omogenei.

La fenomenologia delle condotte giovanili si presenta varia e, anche, contraddittoria.

Già proponendo uno schema di tipologia giovanile si è ipotizzato una molteplicità di modelli comportamentali, connessi con una pluralità di tipi psicologici e di posizioni culturali.

L'analisi, anche solo empirica, delle varie espressioni attuali di vita dei giovani porta in evidenza una varietà di risposte comportamentali alle condizioni oggettive e soggettive in cui essi sono implicati.

L'utopia umanistica e solidaristica, che ha ispirato la grande avventura della contestazione giovanile, non poteva non provocare resistenze nel sistema socio-culturale dominante e sensi di colpa nei giovani stessi che avevano "osato" rompere la conformità culturale e mettere in crisi i rapporti di lealtà con le istituzioni psicologicamente centrali ( famiglia, scuola, Stato, Chiesa ).

Di qui il cosiddetto "riflusso della contestazione" ( o la rinuncia giovanile all'azione propositiva e contestativa ), spiegabile in termini di resistenza del sistema ( e quindi in chiave politica ), ma anche nei termini di un "dramma psico-culturale": gran parte dei giovani avrebbe "ceduto" perché incapace di sopportare la situazione psicologica di insicurezza e di isolamento conseguente alla rottura delle solidarietà di base, e il senso di colpa conseguente al rifiuto della tradizione culturale ( rifiuto vissuto come "tradimento del padre" e "abbandono della protezione affettiva della madre" ).

Davanti al rifiuto della società adulta di favorire coerentemente l'istituzionalizzazione dei nuovi valori, in mancanza di solidi supporti associativi autonomi, senza sicuri agganci ideologici e organizzativi agli altri gruppi di "marginali" ed "esclusi", molti dei giovani contestatori ( forse la maggioranza della popolazione studentesca ) si sono sentiti "persi" e hanno preferito tornare alla "casa del padre" e alla sicurezza del "grembo materno".

Ciò non significa necessariamente un ritorno alle idee del passato, una rinuncia pura e semplice all'utopia, ma piuttosto una caduta della spinta all'azione coerente per "realizzare l'utopia", uno stato armistiziale con le istituzioni dello status quo.

Le conseguenze comportamentali di tale situazione sono diverse: mentre gruppi giovanili che non hanno ceduto al "ricatto politico-culturale" continuano nella lotta ( anche armata ) per l'affermazione dei nuovi valori ( in organizzazioni autonome o nell'alveo dei partiti di massa ), gran parte dei giovani, tornati isolati, si sono "accomodati" alle esigenze del sistema ( divenute anche più rigide per le difficoltà congiunturali del sottosistema economico ).

Ne risulta un clima generale di stagnazione sociale e di neo-conformismo, di sfruttamento ad oltranza delle opportunità offerte dalla "civiltà dei consumi", di regressione a condotte predatorie.

Segno di tale crescente degenerazione sociale sono, in particolare, i comportamenti devianti ( droga, criminalità, violenza nei rapporti interpersonali, falsa permissività sessuale… ), con tentativi - più o meno programmati - di legittimazione della "devianza" in termini sottoculturali.

I meccanismi difensivi messi in atto, anche a livello giovanile, per sfuggire alle conseguenze delle frustrazioni della vita - in assenza di un quadro di valori religiosi e del sostegno di mezzi sacramentali - sono sovente di natura reattiva e compensativa: inducono prevalentemente risposte di evasione o socialmente improduttive, quando non distruttive.

Ad es. la diffusione impressionante della droga tra i giovani studenti è spesso sintomo di un "vuoto di valori e di interessi" che rinvia a gravi carenze educative, ma può essere anche ricerca di esperienze non usuali, di più raffinate conoscenze sensoriali e intellettuali, e perfino sete di esaltazioni "mistiche" ( in soggetti mentalmente molto dotati e privati di normali esperienze religiose profondamente soddisfacenti ).

La tendenza al misticismo sembra essere un tratto dominante di parecchi giovani ( specie di estrazione socioculturale superiore ).

Il pullulare di movimenti giovanili misticheggianti, a orientamento irrazionalistico ed esoterico, è la riprova di tale orientamento "spirituale".

Basterà citare, ad es., il "Jesus Movement", diffusosi prevalentemente nel mondo anglosassone agli inizi degli anni '70, che comprende gruppi abbastanza disparati, ma tutti orientali a sfuggire alle tentazioni del sesso e della droga polarizzandosi affettivamente verso la figura "impegnata" di Cristo ( diversamente da altri gruppi che si ispirano al mondo più "passivo" delle religioni orientali ).

A parte il fatto che questa "Jesus Revolution" è stata ben presto strumentalizzata a fini commerciali ( si ricordi lo sfruttamento dello spettacolo Jesus Christ Superstar ), si può riconoscere che il fenomeno dei "Jesus People" - come già quello dei beatniks e anche degli hippies - è significativo di un bisogno ( socialmente rinforzato ) di esperienza religiosa e, in particolare, mistica, che sembra diffuso anche nel mondo giovanile cattolico, come prova la risonanza in esso del movimento pentecostale [ v. Carismatici ].

La diffusione, nei Paesi industrializzati, di questi e di altri fenomeni parareligiosi ( quali l'occultismo, la magia bianca, la religione astrale, lo spiritismo… ), pone una serie di problemi in rapporto alle condizioni indotte dal progresso tecnologico e alla situazione delle religioni-di-chiesa: si può così ipotizzare che l'esasperata razionalizzazione delle società urbano-industriali e la burocratizzazione delle organizzazioni religiose siano fattori almeno facilitanti l'esplosione - a significato di "supercompensazione" in senso adleriano - dell'irrazionalismo religioso e parareligioso.

I giovani, oggi meglio armati a livello intellettuale, dovrebbero saper reagire al fascino dell'esaltazione misticheggiante.

Però dovranno trovare nelle chiese non solo un aiuto più intelligente per consolidare razionalmente le loro convinzioni di fede, ma anche il calore di un incontro comunitario ( reso giovanilmente festoso dall'apporto di mezzi espressivi gratificanti, quali la musica e il dibattito democratico ), in cui trovi soddisfazione il bisogno "innato" di esperienza religiosa e, insieme, sociale.

II - Esperienza spirituali1 - Premessa

I giovani di oggi fanno la dura maturante esperienza del mondo in cambiamento.

Inseriti nella cosiddetta socio-cultura della razionalizzazione, del pluralismo e della secolarizzazione, patiscono e stimolano la dinamica del cambiamento individuale, sociale, culturale, attraverso la quale cercano di far intravedere gli orizzonti del "mondo nuovo" e dell' "uomo nuovo" che essi auspicano.

Per questo lottano e soffrono, lavorano e sperano, studiano e pregano.

Per questo ricercano, servono, crescono.

Ma quali sono le luci e le ombre della loro ricerca? i solchi fecondi del loro servizio? le condizioni concrete della loro crescita?

I giovani sono figli del nostro tempo e ne rispecchiano fedelmente e acutamente le virtù e i difetti, le ansie e le delusioni, le speranze e le angosce, le certezze e le ambiguità, anche se per alcuni aspetti rappresentano le denunce contestative dei suoi limiti.

Si sono resi conto - soprattutto in questo decennio - che il nostro è un tempo di paradossi: amore/violenza, partecipazione/emarginazione, verità/confusione, gioia/dolore, liberazione/massificazione; un tempo in cui il rischio ha sostituito l'eroismo, il successo è stato computato come vittoria, l'interesse economico ha preso il posto della grandezza morale, l'edonismo ha camuffato l'amore, le opinioni di moda si sono arrogate la funzione della verità.

Per questo vogliono farne un'esperienza consapevole, cioè conoscere e giudicare per agire: leggere il nostro tempo, valutare situazioni, persone, avvenimenti, relazioni, istituzioni e agire, fare, cambiare; per questo sono particolarmente sensibili a cogliere le cause più macroscopiche del cambiamento, ad individuarne le problematiche e a smascherarne le conseguenze.

In particolare, pare che essi facciano l'esperienza delle alienazioni e possibilità di alcuni fenomeni contemporanei: razionalizzazione, pluralismo, secolarizzazione.

1. L'esperienza della razionalizzazione

Man mano che la società si è andata espandendo sotto l'aspetto tecnologico e burocratico, cioè col progredire della razionalizzazione,2 sono dilagati a macchia d'olio alcuni fenomeni che hanno inciso particolarmente sulle giovani generazioni: l'efficientismo, la deresponsabilizzazione, il consumismo.

E i giovani ne hanno sperimentato molte volte le conseguenze, assorbendo lentamente lo spirito della logica dell'avere, della dinamica dell'arrivismo, dell'emarginazione strutturale, della confusione dei valori.

Ne sono seguiti squilibri, tensioni, solitudine, frustrazioni, già peraltro previsti dalla società razionalizzata che ha cercato di provvedere argini fasulli permettendo e incoraggiando - dapprima in modo latente e poi sempre più manifestamente - l'uso di mezzi liberanti e gratificanti ( si pensi a fenomeni di moda, di droga, di evasione, di violenza, di misticismo ).

Il consenso sull'efficacia di tali mezzi, sostenuto dall'adesione conformistica agli stessi comportamenti e dall'acquisizione e condivisione degli stessi atteggiamenti, è così diventato, molte volte, il terreno comune su cui i giovani si ritrovano, si rinfrancano, si riconoscono, si sostengono.

Ciononostante, nuclei di giovani hanno saputo rompere i duri legami di questo conformismo per valorizzare alcune positività della società razionalizzata, lottando contro gli pseudovalori da essa tutelati e promossi, e impegnandosi concretamente nella costruzione di una società alternativa centrata sull'uomo e a lui finalizzata.

Sono ormai un dato di fatto gruppi, associazioni, movimenti - politici, sociali, religiosi, ricreativi - sviluppatisi in questi ultimi anni, creati dai giovani e per i giovani al fine di realizzare alcune delle loro esigenze più urgenti: sicurezza e corresponsabilità contro l'efficientismo, partecipazione sociale e politica e solidarietà contro la deresponsabilizzazione, verifica e affermazione dei valori perenni contro il consumismo.

Queste esigenze, se da un lato sono venute alla luce in un clima di critica e di rifiuto della società razionalizzata e sono indicative delle carenze della socializzazione familiare, scolare, ecclesiale, dall'altro sono però un segno della maturità dei giovani di oggi, perché esprimono un orientamento e una tensione verso i valori più alti dell'uomo e verso atteggiamenti dei quali e per i quali vivere.3

Per questo vanno accolte e valorizzate in funzione di una crescita integrale e armonica dei giovani; esse stesse sono dei valori, i valori con i quali i giovani giudicano e criticano il mondo degli adulti.4

In questo contesto diventa particolarmente importante « [abilitare il giovane] ad un retta uso della razionalità sostanziale in contrapposizione e come correttivo al diffuso abuso della razionalità puramente strumentale »,5 abilitazione che comporta: la presa di coscienza dei molteplici condizionamenti socio-culturali a cui il giovane è soggetto, che tendono a incrinare la sua libertà, e un intenzionale processo di « …educazione alla criticità […] finalizzata e concretamente ancorata in un'esperienza quotidiana di fatti vissuti, giudicati, valutati »,6 e ciò non solo a macrolivello ( chiesa, partito, fabbrica ) ma anche a microlivello ( famiglia, scuola ).

È infatti soltanto nell'esperienza concreta e quotidiana che il giovane percepisce le sue effettive capacità e possibilità, assume gradualmente e consapevolmente la sua responsabilità, impara a compartecipare e a essere corresponsabile, sperimenta la forza delle difficoltà, confronta e vaglia nella riflessione e nel dialogo le sue idee.

Ma perché ciò avvenga è urgente « un ripensamento dei contenuti dell'educazione intellettuale, sociale, politica e sindacale, sulla necessità di abilitare a muoversi in una società che acquista sempre più i caratteri di una macchina costrittiva e repressiva, capace di sopprimere in radice le tendenze a usare la ragione in vista delle opzioni fondamentali della vita ».7

2. L'esperienza del pluralismo

La società pluralistica attuale, vale a dire la società che tutela il pluralismo come un valore in quanto genera un regime di competitività culturale, pone ai giovani problemi e possibilità non indifferenti.8

I giovani rivendicano l'indipendenza da tradizioni, norme, istituzioni, autorità di ogni tipo, che li conduce a fare l'esperienza della permissività e dell'anemia.

Essi si adeguano acriticamente al permissivismo, giustificandosi con l'affermare che l'inibizione sociale e culturale modifica strutturalmente l'uomo così che egli agisce, sente e pensa contro il suo interesse naturale.

In nome dell'autonomia annullano così tutti i vincoli e i freni: pornografia, droga, sesso, diventano mezzi socialmente accettati - almeno in sacche molto larghe di giovani - per ritrovarsi e comunicare.

Infatti, una volta ammesso il principio della libertà assoluta, non si comprendono più i confini tra lecito e illecito, buono e cattivo, valore e misvalore.

« Se ci vengono offerti tutti i piaceri del mondo - dicono i giovani - perché non gustarli uno dopo l'altro? e perché non provare i comportamenti differenti di cui i mass media diffondono il lussuoso prestigio? perché non provare la droga, se porta una nuova esperienza? ».9

Le norme non sono più cercate in corrispondenza ai valori assoluti e le une e gli altri non aderiscono alla realtà totale e ai bisogni concreti dei giovani.

Ne consegue uno stato di anomia che, poiché la personalità giovanile non è ancora stabilmente organizzata intorno a un sistema di valori, di mete e di aspettative, crea nei giovani insoddisfazione e insicurezza a cui essi reagiscono o con l'autoemarginazione dalla società ( hippies ) o con la ribellione violenta ( gruppi eversivi ).

Tutto questo non toglie ai giovani la possibilità di individuare nel caotico terreno pluralistico i semi fecondi che potrebbero far germinare la società nuova per l'uomo nuovo.

Essi riscoprono per es. il bisogno urgente di tornare all'essenziale, di impadronirsi di se stessi, di trovare un senso profondo all'esistenza, di aprirsi a una speranza che trascenda i bisogni immediati e la banalità del quotidiano, di rivendicare la preminenza dei valori sulle strutture.

Arrivano anche a intuire che proprio una società pluralistica - rispetto a una società ideologicamente omogenea - offre maggiori garanzie alla libertà di coscienza, provoca una vasta fioritura di idee, stimola a pensare e a indagare, apre la strada alla collaborazione, favorisce la solidarietà, la concordia, il rispetto reciproco.

Anche l'esperienza religiosa è in parte stimolata dal pluralismo, per l'impulso che esso offre alla libertà di coscienza, rendendo l'adesione alla religione più coerente e più responsabile.

Il giovane, una volta che sceglie di vivere la sua fede, si rende conto che ha bisogno di una maggior interiorizzazione dei valori religiosi e di una forte e profonda convinzione personale per dare al messaggio evangelico quel posto di centralità che gli compete.

Da qui scaturisce la necessità di educare i giovani al culto della verità, alla chiarezza di idee, per abilitarli a discernere, a recuperare categorie di giudizio, fondate e criticamente vagliate, per fronteggiare la relativizzazione invadente10 e decantare il vissuto giovanile di quell'effervescenza mitica che non costruisce.

Solo così, infatti, la giovane generazione diventa fermento che spinge la società a darsi una compagine più unitaria e stimola l'umanità a cercare i caratteri universali che le rendono possibile il cammino verso l'unità e la fratellanza, in modo che, innanzitutto, l'uomo sia liberato da quanto lo rende infelice.

Solo così si crea l'urgenza di realizzarsi nell'autentica libertà, intesa come capacità di autodeterminazione derivante dalla ragione, che rende giudici e responsabili delle proprie azioni e porta a vivere nella coscienza e nel dominio di sé e nel rispetto dei valori oggettivi.

3. L'esperienza della secolarizzazione

Tenendo conto di quanto è stato detto da P. G. Grasso sulla vita spirituale giovanile - intesa come la traduzione comportamentale di orientamenti di valore, mutuati da gruppi di appartenenza e di riferimento - e focalizzate alcune esperienze giovanili nella società pluralistica e razionalizzata, entro ora nel vivo del problema della secolarizzazione.

Le incidenze della società secolarizzata sui giovani debbono essere analizzate a partire da una interpretazione del fatto della secolarizzazione, il più possibile corretta e realistica.

Tale interpretazione sottolinea che la religione cattolica va perdendo rilevanza a livello sociale e individuale, che settori della società e della cultura si staccano dalla chiesa, che c'è una certa crisi delle coscienze, ecc.; ma evidenzia anche che il cattolicesimo, non essendo totalmente dipendente dalla società, non è costretto a seguire la secolarizzazione monodirezionale e irreversibile che la società gli appresta.

Esso ha in se stesso una vitalità che gli deriva dal messaggio che intende offrire al mondo e che condiziona in gran parte il suo modo di essere nella società.

È il messaggio, l'autocomprensione di questo messaggio, che conferisce al cattolicesimo una vitalità, una continuità e una creatività ( di cui il Vat II e il decennio postconciliare sono segni evidenti ) in un certo senso indipendenti dalla socio-cultura in cui è inserito, anche se tale vitalità non lo esenta da crisi interne ed esterne.11

In questa situazione di "vitalità-secolarizzazione" i giovani si trovano di fronte al duplice problema dell'adesione/rifiuto alle verità e ai valori che la fede cristiana propone e dell'adesione/rifiuto alla chiesa che di queste verità è annunciatrice e garante.

Ambedue i problemi sono importanti, anche se a livelli diversi ( sia qualitativamente come quantitativamente ): il primo è indice della situazione di transizione dei valori che travaglia i giovani di oggi ( secolarizzazione della coscienza );12 il secondo è espressione della crisi di appartenenza, della contestazione istituzionale, della tendenza a scegliere e costruire religioni "private" o "invisibili" ( secolarizzazione socioculturale).13

La secolarizzazione socio-culturale tocca profondamente, in un modo o in un altro, tutti i giovani; la secolarizzazione della coscienza è invece più incidente - almeno per ora - su gruppi ristretti, e si esprime - a seconda del modo con cui viene percepita la secolarizzazione della religione in se stessa e in relazione al suo inserimento sociale - nelle due categorie estreme del "dissenso" e dell' "impegno".

La pressione sempre più rilevante di queste due categorie sulla massa dei giovani spinge a dilucidarne alcune implicanze che danno la chiave interpretativa delle esperienze religiose del giovane dissidente e impegnato e le due linee tendenziali verso cui si vanno orientando i giovani '70.

a. L'esperienza del dissidente

Le esperienze del dissenso, proprie dei gruppi giovanili che accettano le teorie della inutilità o della morte della religione tout court, presentano una molteplicità di espressioni che vanno dall'opposizione indiscriminata e aperta alla chiesa alla corrosione sotterranea dei valori religiosi.

Le espressioni più correnti del dissenso sono quelle dei giovani che, nel tentativo di valorizzare alcune proposte della società razionalizzata e pluralistica o di attuare un compromesso con le ideologie atee di cui è informata la cultura contemporanea, arrivano a considerare i valori socio-economici come il parametro della moralità e di conseguenza confondono la morale con l'efficacia, il bene con l'utile e il successo, giungendo talvolta a sostenere che è la prassi sociale a definire ciò che è vero e falso.

Essi appoggiano così, in un modo acritico, l'instaurarsi di una morale atea, materialistica, di derivazione marxiana e marcusiana, che mira a scalzare la morale teista che - secondo loro - aliena l'uomo.

Avviati in questa linea essi accettano le teorie che riducono la "trascendenza" all'umano, alla società futura da costruire, e combattono violentemente ogni insediamento conformistico e rassicurante in strutture socio-culturali che frenano l'impegno concreto di costruzione della storia, cioè, per usare la terminologia di E. Bloch, rigettano il non impegnarsi nell'utopia concreta.14

Questa esperienza è propria dei giovani in quanto, aprendosi alla realtà e scoprendo i gravi problemi che travagliano il mondo, considerano la costruzione di un futuro migliore, di un mondo più umano, come l'ideale capace di impegnare tutta la loro esistenza.

Altri giovani si fanno invece paladini di un "cristianesimo orizzontale", riducendo la religione all'impegno nelle realtà terrene, al servizio degli altri.

Il comandamento della ( v. ) carità verso il prossimo acquista così il primato esclusivo, ma solo per la ricerca di una solidarietà il cui fondamento è puramente sociale, senza una prospettiva di fede.

Come ben rileva A. Gehlen, a proposito della situazione della chiesa oggi, l'impegno sociale si sostituisce ai grandi temi tradizionali della salvezza: croce, redenzione, grazia.15

Anche questa presa di posizione radicale è indicativa di un tipico modo giovanile di porsi davanti ai valori e cioè l'assolutizzazione e la mitizzazione che accompagnano quasi inevitabilmente il nuovo situarsi dei giovani in seno alla società attuale.

Un'altra tendenza emergente nelle file del dissenso è l'impegno per la realizzazione individuale.

Tale impegno, se da un lato rivela una grande preoccupazione di promozione umana, dall'altro si accompagna al rifiuto totale e indiscriminato della legge morale oggettiva, vista come limite alla libertà di decidere e di agire.

In questa situazione il giovane tende a identificare la religione con la ricerca dell'identità personale16 o - come dice E. Bloch - con la interiorizzazione totale della trascendenza per tendere continuamente verso il "non-ancora-essere",17 arrivando a sperimentare come colpa il rifiuto a raggiungere la propria identità, il non affrontare i rischi che la realizzazione personale comporta, l'arrendersi all'individualismo e alla routine.

Reagisce perciò con forza contro qualsiasi forma di alienazione che attenta all'identità personale nell'ambito del lavoro, del consumo, della scuola, del tempo libero, dell'informazione…, anche se dimentica l'alienazione che egli soffre perché rifiuta Dio e la sua azione salvifica.

La ricerca di realizzazione personale, centrata quasi esclusivamente sull'autonomia di pensiero e di azione, impedisce infatti ai giovani di accettare il messaggio evangelico come messaggio di salvezza.

E questo anche perché la salvezza che essi cercano non è tanto una salvezza totale, quanto piuttosto una liberazione dai mali di questo mondo: fame, malattie, guerre, ingiustizia, condizioni di sottosviluppo, discriminazioni razziali.

b. L'esperienza dell'impegnato

L'esperienza del giovane impegnato, ancora rara nella società attuale perché scomoda, intelligente, inquietante, è propria dei giovani che hanno colto e sofferto, e forse subito, l'impatto della socio-cultura sulla religione cattolica, ma hanno anche saputo intuire la vitalità che a questa è propria e si è andata esprimendo, a partire dal Vat II, in proposte concrete a favore dell'uomo e della società.

Hanno fatto l'esperienza dell'impatto, rendendosi conto di persona che il messaggio cristiano è oggi, più che mai, un messaggio di scandalo che la massa rifiuta o ignora perché coinvolta in molteplici interessi secondari e immediati, e pagando di persona la scelta di essere cristiani.

Tale scelta comporta l'impegno quotidiano di annunciare il valore di ogni uomo e la sua chiamata a una salvezza ultraterrena, di denunciare con fermezza tutti i condizionamenti che mortificano la dignità della persona, di contestare con realismo tutto ciò che impedisce all'uomo di vivere un'esperienza umana, di contribuire personalmente al superamento dei mali che travagliano l'umanità.

È una scelta che non li aliena dalla realtà, ma ve li inserisce in un modo diverso da quello adottato dal dissenso, così che essi fanno l'esperienza della costruzione di un mondo migliore, ma come collaboratori del Dio creatore; della solidarietà con gli altri, ma come membri vivi e responsabili del popolo di Dio pellegrinante; dell'inserimento nella storia, ma come storia di salvezza che, pur avendo il suo compimento pieno nella vita eterna, comincia già in questo mondo.

È una scelta che, pur non immunizzandoli dai numerosi coinvolgimenti della società moderna, lungi dal porli in atteggiamento di rifiuto del cattolicesimo, li abilita a operare il passaggio da un cristianesimo consuetudinario e passivo a un cristianesimo cosciente e attivo; da un cristianesimo timido e inetto a un cristianesimo coraggioso e militante; da un cristianesimo individuale e disgregato a un cristianesimo comunitario e associato; da un cristianesimo indifferente e insensibile alle necessità e ai doveri sociali a un cristianesimo impegnato.

Li abilita a riaffermare nella coscienza e a tradurre nella vita la scelta di Cristo, unica risposta a tutti i problemi dell'uomo e della storia.

A ragione, per vivere questa scelta, essi chiedono alla chiesa di essere più aperta ai poveri, più coinvolta nel loro destino, più fraterna, più semplice, più democratica, più impegnata per l'uomo, più sensibile al nuovo, più coraggiosa e più ottimista.18

Chiedono alla chiesa di presentare loro con coraggio un tipo di esperienza per cui valga impegnare la vita, per cui meriti spendere tutto.

Ecco allora che prende tutta la rilevanza l'affermazione che la religione « …"resiste" come fattore d'educazione dei giovani d'oggi solo quando ne viene percepita la sua essenziale non estraneità, anzi la sua adeguatezza nei confronti delle esperienze culturali, politiche, professionali, familiari, sessuali, etiche del giovane; in altre parole, quando può essere percepita come elemento essenziale del processo di liberazione e di promozione della personalità dell'individuo e della società ».19

La feconda esperienza del Convegno italiano su "Evangelizzazione e promozione umana" ( nov. 1976 ) è un'ulteriore valida conferma di questo sforzo ecclesiale di instaurare un nuovo modo di dialogare nella chiesa e col mondo perché siano riaffermati con l'annuncio e la testimonianza quei valori cristiani di cui i giovani d'oggi, molte volte in modo strano e ambiguo, si fanno portatori e promotori: libertà, fratellanza, dignità, partecipazione, pace.

Conclusione

La panoramica fin qui esposta mi spinge ora a formulare una domanda: c'è qualche punto in comune tra impegnati e dissidenti? tra i due estremi di una esperienza tanto diversa?

A mio avviso, ciò che distanzia e avvicina di più i due poli della devianza giovanile è la cosiddetta esperienza politica, che dissidenti e impegnati affermano di vivere.

Tale esperienza si fonda su una riscoperta della politica intesa come mezzo di inserimento nella società e come fonte di una nuova identità giovanile, sulla presa di coscienza di sé, sul desiderio di una più diretta e responsabile partecipazione alla vita sociale, sul bisogno di riconfermare alcuni valori.

Dissidenti e impegnati, cioè, si contendono in modo latente o manifesto il terreno su cui costruire la società nuova, su cui impegnare la propria esistenza per la realizzazione di un progetto umano e societario che risponda ad istanze di uguaglianza, di libertà, di giustizia.

E poiché tale impegno parte dalla presa di coscienza dei problemi concreti della società e mira all'intervento attivo e decisionale nelle scelte che "contano", la politica diventa, in ambo i casi, una risposta privilegiata all'esigenza di rinnovamento sociale, una soluzione opportuna ai problemi emergenti, un modo di modellare la propria identità e viene così a confrontarsi con la religione, ritenuta dai sociologi fino a ieri il fattore integrante per eccellenza a livello personale e sociale.

Nel confronto religione/politica si ripresenta una duplice presa di posizione: i dissidenti optano per un progetto politico rifiutando la proposta religiosa; gli impegnati riscoprono l'autenticità religiosa come base per un dialogo tra religione e politica.

L'attuazione concreta di questa duplice polarità - almeno per quanto riguarda la situazione italiana - segna un netto schieramento a favore del valore politico, nel senso che esso tende a diventare il valore perno, l'istanza massima della scala dei valori, il fattore capace di determinare una riorganizzazione della personalità fino a diventare la base di un vero e proprio processo di risocializzazione, il filtro attraverso cui valutare tutta l'esperienza.

E tutto ciò col rischio che una valorizzazione unilaterale della politica comporta: lasciare i giovani in un orizzontalismo chiuso, allargando sempre più l'area del dissenso e rendendo così i giovani sempre più incapaci di cogliere quelle aperture e quelle innovazioni che trascendono la pura fattualità degli avvenimenti.

Colto questo pericolo, ma riscoperta contemporaneamente la fecondità dell'impegno politico e la sua non opposizione al valore religioso ( anche se altro è l'impegno politico e altro è il modo in cui è e può essere vissuto di fatto, giungendo persino ad opporsi al valore religioso ), nasce l'esigenza di scoprire in questa esperienza quei valori che sono la condizione per trasformare la ricerca e il servizio giovanile in una crescita individuale e sociale.

Essi sono: l'ansia radicale di libertà di fronte ai condizionamenti del contesto socio-culturale; la valorizzazione dell'autenticità contro i convenzionalismi; il senso profondo della dignità della persona umana contro la manipolazione e la schiavitù; la tendenza alla socialità universale contro l'individualismo; la ricerca di un luogo concreto in cui poter lavorare con impegno responsabile contro il conformismo, il quietismo, il compromesso.

Facendo leva su questi valori, l'educatore deve condurre i giovani all'acquisizione e all'interiorizzazione dei valori cristiani e di atteggiamenti, di modelli di pensiero, di comportamenti, di ruoli che a poco a poco devono diventare la fonte del loro orientamento conoscitivo e operativo.

La gerarchia cristiana dei valori deve riacquistare il significato fondante nelle scelte giovanili, deve diventare il filtro attraverso cui valutare tutta la vita, l'obiettivo e il fondamento di ogni ricerca e di ogni servizio.

Ma perché tale processo si inizi e arrivi a compimento si deve educare con la verità e alla verità, cioè motivare a fondo i giovani a discernere la verità ( annuncio ) e incarnare nel quotidiano le esigenze della verità che si propone ( testimonianza ).

E tutto questo va attuato nella situazione concreta, sia essa la comunità ecclesiale, la comunità parrocchiale, il gruppo di impegno, intesi come luoghi di formazione della coscienza attraverso la presenza e la proposta critica dei valori; luoghi in cui il giovane si autocostruisce nella vivendo quotidiana attraverso un'assimilazione, al contempo vitale e riflessa ( non l'una senza l'altra ) dei valori cristiani incarnati nelle forme di partecipazione, collegialità, libertà, tolleranza, corresponsabilità e dialogo promosse dal Vat II, nelle quali il giovane può realizzare la maturante esperienza dei valori perenni e di nuove e più vaste dimensioni del comandamento della carità; luoghi in cui gli adulti, con il loro esplicito incoraggiamento ed esempio, con la franca discussione e accettazione dell'apporto di pensiero e di azione dei giovani, li aiutano a maturare e ad assumere responsabilità e impegni, superando il rischio sempre incombente della mitizzazione e dell'assolutizzazione.

Luoghi in cui si opera quel rovesciamento dei valori annunciato da Cristo e vissuto da molti cristiani sotto tutti i cieli, in questi duemila anni: beati quelli che sono poveri di fronte a Dio… beati quelli che non sono violenti… beati quelli che sono puri di cuore… beati quelli che diffondono la pace…

… e Gesù Apostolato VI
Gesù I,1
Nell'ascesi penitenziale Ascesi II
Peccato V
Nell'amicizia Amicizia IX
Amicizia XI
… e revisione di vita Revisione IV,2
… e l'eroismo moderno Eroismo II,2
Revisione I
… e il prete Amicizia IX
Nella disoccupazione Lavoratorre I,1b
… e scuola Maestro XI,7
… e tempo libero Tempo III
… e fatalismo Giovani I,7

1 Questa seconda parte, strettamente legata al discorso psicosociologico di P. G. Grasso, si propone di focalizzare alcune incidenze strutturali-istituzionali sulla situazione giovanile, per completare il quadro di riferimento entro cui collocare eventuali opportune scelte educative di fondo. Essa inoltre mira a puntualizzare quelle "possibilità" che la società attuale - pur nella sua caotica complessità - offre al giovane e che i giovani stessi, soprattutto nel recentissimo passato, hanno saputo individuare e valorizzare; apre la strada a comprendere che un progetto integrale di educazione alla fede dei giovani deve confrontarsi criticamente con la situazione che può vanificare tale progetto; propone cioè un completamento del quadro situazionale giovanile entro il quale dovranno essere collocate le scelte educative, cioè i criteri, gli obiettivi, le condizioni dell'intervento
2 Per un discorso più analitico e puntuale sull'incidenza della razionalizzazione, oggi, cf E. Rosanna, Mondo in cambiamento e formazione alla vita religiosa.
Prospettive sociologiche in Rivista di scienze dell'educazione 14 (1976) 50-54
3 L. Corradini, Per un accostamento educativo della "cultura" giovanile in La comunità scolastica 3 (1973) 31
4 Ivi, 32
5 G. C. Milanesi, I giovani oggi e possibilità educative nello stile di don Bosco, in Aa. Vv., Il sistema educativo di don Bosco tra pedagogia antica e nuova, Torino-Leumann, LDC 1974, 163
6 Ivi, 164
7 L. c.
8 Per alcune dilucidazioni sulle incidenze del pluralismo nella società contemporanea cf E. Rosanna, Mondo…, cit., 55-58
9 J. M. Domenach, L'aspetto del mondo contemporaneo in Bilancio della Teologia del XX secolo, voi. I, Roma, Città Nuova 1972, 60
10 G. C. Milanesi, I giovani…, cit., 163
11 Per un'esposizione analitica di questa visione della secolarizzazione cf E. Rosanna, Secolarizzazione o trasfunzionalizzazione della religione? Roma, LAS 1973; E. Rosanna-C. Sartorio, Chiesa in "crisi" o chiesa "viva"? Riflessioni sociologiche sulla chiesa postconciliare in Rivista di scienze dell'educazione 13 (1975) 45-63
12 Tra tutti i sociologi contemporanei chi ha meglio esplicitato il problema della secolarizzazione della coscienza è P. L. Berger. Tra le sue numerose pubblicazioni sulla religione cf P. L. Berger, Thè Social Reality of Religion, Londra, Faber and Faber 1969; Id., Il brusio degli angeli, Bologna, Il Mulino 1970
13 Per la "privatizzazione della religione" cf P. L. Berger, Contributo alla sociologia di minoranze conoscitive in Rivista internazionale di dialogo 2 (1969) 57-66; per la "religione invisibile" cf Th. Luckmann, La religione invisibile, Bologna, Il Mulino 1969
14 E. Bloch, Ateismo nel cristianesimo, Milano, Feltrinelli 1971, 324
15 A. Gehien, Religion und Umweltstabilisierung in O. Schatz [Hrsg.], Hat die Religion Zukunft?, Vienna-Coionia, Styria 1971, 97
16 Th. Luckmann, La religione… 49-61
17 E. Bloch, Ateismo…, 323-326
18 I giovani, la fede e l'avvenire della chiesa in CC 128 (1977) II 112s
19 G. C. Milanesi, I giovani…, 165