La città di Dio

Indice

Le sventure umane e la provvidenza

Premessa

Nell'ideare questa opera dovuta alla promessa che ti ho fatto, ( Ab 2,4 ) o carissimo figlio Marcellino, ho inteso difendere la gloriosissima città di Dio contro coloro che ritengono i propri dèi superiori al suo fondatore, sia mentre essa in questo fluire dei tempi, vivendo di fede, ( Rm 8,25 ) è esule fra gli infedeli, sia nella quiete della patria celeste che ora attende nella perseveranza, ( Sal 94,15 ) finché la giustizia non diventi giudizio1 e che poi conseguirà mediante la supremazia con la vittoria ultima e la pace finale.

È una grande e difficile impresa ma Dio è nostro aiuto. ( Sal 62,9 )

So infatti quali forze si richiedono per convincere i superbi che è molto grande la virtù dell'umiltà.

Con essa appunto la grandezza non accampata dalla presunzione umana ma donata dalla grazia divina trascende tutte le altezze terrene tentennanti nel divenire del tempo.

Infatti il re e fondatore di questa città, di cui ho stabilito di trattare, nella scrittura del suo popolo ha rivelato un principio della legge divina con le parole: Dio resiste ai superbi e dà la grazia agli umili. ( Gc 4,6; 1 Pt 5,5; Pr 3,34 )

Anche il tronfio sentimento dell'anima superba vuole presuntuosamente che gli si riconosca fra le glorie il potere, che è di Dio, di usare moderazione con i soggetti e assoggettare i superbi.2

Perciò anche nei confronti della città terrena la quale, quando tende a dominare, è dominata dalla passione del dominare anche se i cittadini sono soggetti, non si deve passare sotto silenzio, se si presenta l'occasione, ciò che richiede la tematica dell'opera in progetto.

Legge di guerra sospesa in onore a Cristo

1 - Le chiese cristiane offrono scampo ai vinti

Da essa infatti provengono nemici, contro i quali deve essere difesa la città di Dio.

Di costoro tuttavia molti, rinunciando all'errore d'empietà, divengono in essa cittadini ben disposti.

Molti invece sono infiammati contro di lei da odio così ardente e sono ingrati ai benefici tanto evidenti del suo Redentore che oggi non parlerebbero male di lei se nel fuggire il ferro dei nemici non avessero salvato nei luoghi sacri la vita, di cui oggi sono arroganti.

Non sono forse contrari al nome di Cristo anche quei Romani che i barbari per rispetto a Cristo hanno risparmiato?

Ne fanno fede i sepolcri dei martiri e le basiliche degli apostoli che accolsero nel saccheggio di Roma fedeli ed estranei che in essi si erano rifugiati.3

Fin lì incrudeliva il nemico sanguinario, qui si arrestava la mano di chi menava strage, là da nemici pietosi venivano condotti individui risparmiati anche fuori di quei luoghi affinché non s'imbattessero in altri che non avevano eguale umanità.

Altrove erano spietati e incrudelivano come nemici.

Ma appena giungevano in quei luoghi, in cui era proibito ciò che altrove era lecito per diritto di guerra, veniva contenuta l'efferatezza dell'uccidere e il desiderio di far prigionieri.

Così molti scamparono.

Ed ora denigrano la civiltà cristiana e attribuiscono a Cristo i mali che la città ha subito.

Al contrario, non attribuiscono al nostro Cristo ma al loro destino il bene che in onore a Cristo si è verificato a loro vantaggio.

Dovrebbero piuttosto, se fossero un po' saggi, attribuire le crudeltà e le sventure che hanno subito dai nemici alla divina provvidenza.

Essa di solito riforma radicalmente con le guerre i costumi corrotti degli individui ed anche mette alla prova con tali sventure la vita lodevolmente onesta degli uomini e dopo averla provata o l'accoglie in un mondo migliore o la conserva ancora in questo mondo per altri compiti.

Dovrebbero invece attribuire alla civiltà cristiana il fatto che, fuori dell'usanza della guerra, i barbari li abbiano risparmiati, o dovunque per rispetto al nome di Cristo o nei luoghi particolarmente dedicati al nome di Cristo, molto spaziosi e quindi scelti per una più larga bontà di Dio a contenere molta gente.

Perciò dovrebbero ringraziare Dio e divenire con sincerità seguaci del nome di Cristo per sfuggire le pene del fuoco eterno, mentre molti lo hanno adoperato con inganno per sfuggire le pene dello sterminio nel tempo.

Infatti moltissimi di essi che si vedono insultare insolentemente e sfrontatamente i servi di Cristo sono proprio quelli che non sarebbero sfuggiti alla morte e alla strage se non avessero finto di essere servi di Cristo.

Ed ora per ingrata superbia ed empia follia si oppongono al suo nome con cuore malvagio per essere puniti con le tenebre eterne; e allora avevano invocato quel nome con parole sia pure false per continuare a godere della luce temporanea.

2 - I templi pagani non offrono alcun scampo

Sono state tramandate tante guerre prima e dopo la fondazione e la dominazione di Roma.

Leggano ed esibiscano o che una città sia stata occupata da stranieri con la garanzia che i nemici occupanti risparmiassero coloro che avessero trovati rifugiati nei templi dei loro dèi o che un condottiero di barbari avesse ordinato nel saccheggio di una città di non uccidere chi fosse stato trovato in questo o quel tempio.

Al contrario Enea vide Priamo che imbrattava di sangue i fuochi sacri che egli stesso aveva consacrato.4

E Diomede ed Ulisse, uccisi i custodi del tempio posto sulla rocca, afferrarono la statua di Pallade e con le mani insanguinate osarono toccare le bende verginali della dea.

Ma non è vero quel che segue: Da quel fatto la speranza dei Greci fu ricacciata definitivamente in alto mare.5

Al contrario dopo quel fatto vinsero, distrussero Troia a ferro e fuoco, trucidarono Priamo che si era rifugiato presso l'altare.6

E Troia non fu distrutta perché perdé Minerva.

Ancor prima che cosa aveva perduto Minerva stessa per andare perduta? Forse i custodi?

Ma proprio questo è vero perché con la loro uccisione fu possibile trafugarla.

Dunque non gli uomini erano difesi dalla statua ma la statua dagli uomini.

Perché allora era venerata per custodire la patria e i cittadini se non riuscì a custodire i propri custodi?

3 - Perfino gli dèi si trovano in difficoltà

Eppure i Romani si rallegravano di avere affidata la propria città alla protezione di questi dèi.

O errore degno di tanta commiserazione!

E si adirano con noi quando parliamo così dei loro dèi e non si arrabbiano con i propri scrittori.

Pagano anzi per pubblicarli e per di più hanno ritenuto degni di compenso da parte dello Stato e di onori gli stessi insegnanti.

Adduciamo come esempio Virgilio.

I fanciulli lo leggono appunto perché il grande poeta, il più illustre e alto di tutti, assimilato dalle tenere menti non sia dimenticato con facilità, secondo il detto di Orazio: Il vaso di creta conserverà a lungo il profumo con cui è stato riempito appena modellato.7

Presso Virgilio dunque Giunone, ostile ai Troiani, è presentata mentre dice ad Eolo, re dei venti, per istigarlo contro di loro: Una gente a me nemica naviga il mar Tirreno per portare in Italia i vinti penati di Troia.8

Ma davvero sono stati tanto prudenti da affidare Roma perché non fosse vinta a codesti penati vinti?

Giunone però parlava così da donna arrabbiata senza sapere quel che diceva.

Ma Enea, chiamato tante volte pio, così narra: Panto di Otreo, sacerdote del tempio di Apollo, con la mano consacrata sostiene i dèi vinti e conduce il nipotino e fuori di sé di corsa si avvicina alle porte.9

Ed Enea fa capire che a lui gli dèi, giacché non dubita di chiamarli vinti, sono stati affidati e non lui agli dèi, quando gli si dice: Troia ti affida le cose sacre e i propri penati.10

Dunque Virgilio dichiara vinti gli dèi e affidati a un uomo affinché, sebbene vinti, in qualche modo siano salvati.

È pazzia dunque il pensare che è stato saggio l'affidare Roma a tali difensori e che è stato possibile saccheggiarla soltanto perché li ha perduti.

Anzi l'onorare dèi vinti come validi difensori significa soltanto conservare non buoni numi ma cattivi nomi.

Non è saggio dunque credere che Roma non sarebbe giunta a tanta sconfitta se prima non fossero andati perduti ma piuttosto che da tempo sarebbero andati perduti se Roma non li avesse conservati finché le è riuscito.

Ciascuno può notare, purché rifletta, con quanta leggerezza si sia presupposto che essa sotto la protezione di difensori vinti non poteva essere vinta e che è andata perduta perché ha perduto gli dèi custodi.

Piuttosto sola causa del perdersi ha potuto essere l'aver voluto dèi difensori che sarebbero andati perduti.

Non è dunque che i poeti si divertivano a mentire quando venivano scritti in versi quei fatti sugli dèi vinti, ma la verità costringeva uomini saggi a parlar così.

Tuttavia questi concetti si devono esporre diligentemente e diffusamente in altra parte.

Ora per un po' sbrigherò, come posso, l'argomento già iniziato sugli uomini ingrati.

Essi attribuiscono bestemmiando a Cristo i mali che meritatamente hanno subito a causa della propria perversità.

Non si degnano di riflettere che sono risparmiati, anche se non credenti, in onore del Cristo.

Usano inoltre contro il suo nome per frenesia di empia perversità quella stessa lingua con cui mentitamente adoperarono il medesimo nome per salvare la vita o per timore la fecero tacere nei luoghi a lui dedicati.

Così pienamente sicuri in quei luoghi, sono scampati dai nemici per uscirne fuori a lanciare maledizioni contro di lui.

4 - Confronto fra Cristo e Giunone

Come ho detto, la stessa Troia, madre del popolo romano, non poté difendere nei templi degli dèi i propri cittadini dal fuoco e ferro dei Greci che onoravano gli stessi dèi.

Anzi Fenice e il fiero Ulisse, guardie scelte, sorvegliavano il bottino nel tempio di Giunone.

In esso vengono raccolti gli oggetti preziosi di Troia sottratti alle case bruciate, gli altari, i vasi d'oro massiccio e le vesti sacre.

Stanno attorno in lunga fila fanciulli e madri tremanti.11

Fu scelto dunque il tempio sacro a una dea sì grande non perché si ritenne illecito sottrarre di lì i prigionieri ma perché si era deciso di chiuderveli.

Ed ora confronta con i luoghi eretti in memoria dei nostri Apostoli quel tempio non di un qualsiasi dio subalterno o della turba degli dèi inferiori ma della stessa sorella e moglie di Giove e regina di tutti gli dèi.

In esso veniva trasportato il bottino trafugato ai templi incendiati e agli dèi non per esser donato ai vinti ma diviso fra i vincitori.

Nei nostri templi invece veniva ricondotto con onore e rispetto religioso ciò che pur trovato altrove si scoprì appartenesse ad essi.

Lì fu perduta la libertà, qui conservata; lì fu ribadita la schiavitù, qui proibita; là venivano stipati per divenire proprietà dei nemici che divenivano padroni, qua perché rimanessero liberi venivano condotti da nemici pietosi.

Infine il tempio di Giunone era stato scelto dall'avarizia e superbia dei frivoli Greci, le basiliche di Cristo dalla liberalità e anche umiltà dei fieri barbari.

Ma forse i Greci nella loro vittoria risparmiarono i templi degli dèi che avevano in comune e non osarono uccidere o far prigionieri i miseri Troiani vinti che ci si rifugiavano.

Virgilio, secondo l'usanza dei poeti, avrebbe mistificato quei fatti.

Al contrario egli ha narrato l'usanza dei nemici che saccheggiavano le città.

5 - Orrori della guerra civile

Ma anche Cesare, come scrive Sallustio, storico di sicura veridicità, non teme di ricordare tale usanza nel discorso che ebbe al senato sui congiurati: Furono fatti prigionieri ragazze e fanciulli, strappati i figli dalle braccia dei genitori, le madri hanno subito ciò che i vincitori si sono permessi, sono stati spogliati templi e case, si sono avute stragi e incendi, infine tutto era in balia delle armi, dei cadaveri, del sangue e della morte.12

Se avesse taciuto i templi, potevamo pensare che i nemici di solito risparmiavano le dimore degli dèi.

E i templi romani subivano queste profanazioni non da nemici di altra stirpe ma da Catilina e soci, nobili senatori e cittadini romani.

Ma questi, si dirà, erano uomini perduti e traditori della patria.

6 - La clemenza romana e una dura legge di guerra

Perché dunque il nostro discorso dovrebbe volgersi qua e là ai molti popoli che fecero guerra gli uni contro gli altri e non risparmiarono mai i vinti nei templi dei propri dèi?

Esaminiamo i Romani stessi, riferiamoci e consideriamo, dico, i Romani, a cui lode singolare fu detto risparmiare i soggetti e assoggettare i superbi,13 anche per il fatto che, ricevuta una ingiuria, preferivano perdonare che vendicarsi.14

Giacché, per estendere il proprio dominio, hanno saccheggiato dopo l'espugnazione e la conquista tante e grandi città, ci si mostri quali templi avevano usanza di esentare perché chiunque vi si rifugiasse rimanesse libero.

Forse essi lo facevano ma gli scrittori di quelle imprese non ne hanno parlato?

Ma davvero essi che andavano in cerca principalmente di fatti da lodare avrebbero omesso questi che per loro erano nobilissimi esempi di rispetto?

Marco Marcello, uomo illustre nella storia di Roma, occupò la ricchissima città di Siracusa.

Si narra che prima la pianse mentre stava per cadere e che alla vista della strage versò lagrime per lei.

Si preoccupò anche del rispetto al pudore col nemico.

Infatti prima che da vincitore desse l'ordine d'invadere la città, stabilì con editto che non si violentassero persone libere.15

Tuttavia la città fu distrutta secondo l'usanza delle guerre e non si legge in qualche parte che sia stato comandato da un condottiero tanto pudorato e clemente di considerare inviolabile chi si fosse rifugiato in questo o quel tempio.16

Non sarebbe stato omesso certamente giacché non sono stati taciuti il suo pianto e l'ordine del rispetto al pudore.

Fabio che distrusse la città di Taranto è lodato perché si astenne dal saccheggio delle statue.

Il segretario gli chiese cosa disponesse di fare delle molte immagini degli dèi che erano state prese.

Ed egli abbellì la propria morigeratezza anche con una battuta scherzosa.

Chiese come fossero. Gli risposero che erano molte, grandi e anche armate.

Ed egli: Lasciamo gli dèi irati ai Tarentini.17

Dunque gli storiografi di Roma non poterono passare sotto silenzio né il pianto del primo né l'umorismo di quest'ultimo, né la pudorata clemenza del primo né la scherzosa morigeratezza del secondo.

Quale motivo dunque di passar sotto silenzio se per rispetto di qualcuno dei propri dèi avessero risparmiato degli individui proibendo in qualche tempio la strage o la riduzione in schiavitù?

7 - Spietata usanza sospesa in onore a Cristo

E tutto ciò che nella recente sconfitta di Roma è stato commesso di rovina, uccisione, saccheggio, incendio e desolazione è avvenuto secondo l'usanza della guerra.

Ma si è verificato anche un fatto secondo una nuova usanza.

Per un inconsueto aspetto degli eventi la rozzezza dei barbari è apparsa tanto mite che delle spaziose basiliche sono state scelte e designate per essere riempite di cittadini da risparmiare.

In esse nessuno doveva essere ucciso, da esse nessuno sottratto, in esse molti erano condotti da nemici pietosi perché conservassero la libertà, da esse nessuno neanche dai crudeli nemici doveva esser condotto fuori per esser fatto prigioniero.

E chiunque non vede che il fatto è dovuto al nome di Cristo e alla civiltà cristiana è cieco, chiunque lo vede e non lo riconosce è ingrato e chiunque si oppone a chi lo riconosce è malato di mente.

Un individuo cosciente non lo attribuisca alla ferocia dei barbari.

Animi tanto fieri e crudeli ha sbigottito, ha frenato, ha moderato fuori dell'ordinario colui che, mediante il profeta, tanto tempo avanti aveva predetto: Visiterò con la verga le loro iniquità e con flagelli i loro peccati ma non allontanerò da loro la mia misericordia. ( Sal 89,33-34 )

Indice

1 Agostino, Epp. 136, 3; 138, 4, 20
2 Virgilio, Aen. 6, 853
3 Paolo Orosio, Hist. 7, 39, 1
4 Virgilio, Aen. 2, 501s
5 Virgilio, Aen. 2, 166-170
6 Virgilio, Aen. 2, 663
7 Orazio, Ep. 1, 2, 69-70
8 Virgilio, Aen. 1, 71-72
9 Virgilio, Aen. 2, 319-321
10 Virgilio, Aen. 2, 293
11 Virgilio, Aen. 2, 761-767
12 Sallustio, Catil. 51, 9
13 Virgilio, Aen. 6, 853
14 Sallustio, Catil. 9, 5
15 Livio, Ab Urbe cond. 25, 24, 11. 25, 7;
Valerio Massimo, Facta et dicta mem. 5, 1, 4
16 Livio, Ab Urbe cond. 25, 25, 27
17 Livio, Ab Urbe cond. 27, 16, 8