Il consenso degli Evangelisti

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Libro I

7.10 - Occasione dell'opera

Certuni, o per empia vacuità o per temeraria ignoranza, muovono attacchi contro questa santa quadriga del Signore, dalla quale trasportato egli sta assoggettando al suo giogo soave e al suo peso leggero ( Mt 11,30 ) tutti i popoli della terra.

Negano l'attendibilità che merita ogni narrazione verace a quegli scritti per i quali la religione cristiana si è disseminata nel mondo intero e ha raggiunto tanta fecondità che gli infedeli osano a malapena mormorare fra di loro le proprie calunnie, battuti come sono dalla fede delle genti e dall'adesione di tutti i popoli.

Con queste loro dispute calunniose essi tuttavia ritardano chi ancora non crede dall'abbracciare la fede o turbano, per quanto possono, i credenti mettendo in agitazione il loro animo.

Al riguardo alcuni fratelli, la cui fede è al sicuro, desiderano conoscere cosa debbano rispondere a tali questioni tanto per accrescere la propria scienza quanto per ribattere i vani discorsi degli avversari.

Pertanto, dietro ispirazione del Signore Dio nostro e col suo aiuto, e con l'augurio che lo scritto rechi giovamento ai lettori, con quest'opera intendiamo dimostrare l'errore e l'insolenza di coloro che ritengono criticamente fondate le accuse che essi proferiscono contro i quattro libri del Vangelo, ciascuno dei quali ha un diverso autore.

Per riuscire nell'intento occorrerà dunque mostrare come questi quattro scrittori non si contraddicano l'un l'altro.

I nostri nemici infatti, per difendere la propria vacuità, questo sogliono dare per scontato, cioè che gli evangelisti sono discordanti fra loro.

7.11 È però necessario affrontare prima il problema che fa difficoltà a certuni, e cioè perché il Signore di persona non abbia scritto niente, per cui si deve credere a questi altri che di lui hanno scritto.

È quel che dicono tante persone, soprattutto pagane, che non osano prendersela col nostro Signore Gesù Cristo né bestemmiarlo, ma gli attribuiscono un'eccezionale sapienza, sempre però a livello umano.

Dicono al riguardo che i discepoli hanno detto del loro maestro più di quanto egli non fosse, qualificandolo come Figlio di Dio e Verbo di Dio ad opera del quale sono state create tutte le cose e asserendo che egli e il Padre sono una cosa sola ( Gv 1, 3.34; Gv 17,22 ) e tutte quelle altre cose di questo genere, contenute negli scritti apostolici, con cui ci si insegna ad adorarlo come il solo Dio insieme col Padre. ( 2 Cor 1,3; 2 Cor 11,31; Gal 1,1 )

Essi ritengono, sì, che lo si debba onorare come uomo sapientissimo ma negano che lo si debba adorare come Dio.

7.12 Quando dunque costoro si interrogano sul perché egli di persona non abbia scritto nulla, li riterresti disposti a credere se egli personalmente avesse scritto qualcosa nei suoi riguardi, mentre non vogliono credere a quanto su di lui hanno predicato gli altri secondo il proprio giudizio.

Da costoro vorrei sapere perché, a proposito di certi nobilissimi loro filosofi, credano a quello che nei loro riguardi hanno tramandato per iscritto i loro discepoli mentre essi personalmente non hanno scritto niente sulla propria vita.

Così Pitagora, di cui la Grecia non ha avuto uomo più celebre per risorse speculative.

È risaputo che egli non ha scritto nulla né su se stesso né su qualsiasi altro argomento.

Così Socrate, da tutti collocato al primo posto per la dottrina morale tendente all'educazione dei costumi, tanto che non passano sotto silenzio la notizia che egli sia stato dichiarato il più sapiente degli uomini anche per testimonianza del loro dio Apollo.

Egli redasse in pochi versi alcune favole di Esopo, usando parole e ritmi suoi per cose altrui, e a tal segno non volle scrivere nulla da affermare che quanto da lui scritto lo scrisse per comando e costrizione del suo dèmone, come ricorda il più nobile dei suoi discepoli, Platone.

Nella sua opera egli preferì abbellire le sentenze altrui piuttosto che le proprie.

Se dunque a proposito di costoro credono a quanto ci hanno tramandato per iscritto i loro discepoli, per qual motivo si rifiutano di credere a ciò che i discepoli scrissero nei riguardi di Cristo?

Come possono soprattutto ragionare così se ammettono che egli superò in sapienza tutti gli uomini, per quanto non vogliano ammettere che egli sia dio?

O che per caso quei filosofi, che essi non dubitano di ritenere molto inferiori a Cristo, siano riusciti a rendere veraci nei loro riguardi i propri discepoli, mentre lui non c'è riuscito?

Che se questa è un'affermazione assurda, credano nei riguardi di Cristo, che considerano un sapiente, non ciò che salta loro in testa ma ciò che leggono presso quegli autori che appresero da lui, uomo sapiente, le cose che scrissero.

8.13 - Cristo uomo sapiente e Dio

Ci dicano poi almeno da qual fonte abbiano saputo o udito che egli fu un uomo sapientissimo.

Se l'ha divulgato la fama, forse che è più attendibile la fama che ci ha recato notizie su di lui di quanto non lo siano i suoi discepoli che lo predicarono in tutto il mondo e ad opera dei quali s'è diffusa la fragranza della sua fama?

Insomma a una fama preferiscano un'altra fama e nei suoi riguardi credano a quanto divulgato dalla fama maggiore.

In effetti la fama che si diffonde con mirabile chiarezza ad opera della Chiesa cattolica - a proposito della quale si stupiscono vedendola diffusa in tutto il mondo - supera incomparabilmente il fioco rumoreggiare degli increduli.

Ebbene, questa fama è così grande e così nota che essi, per timore di lei, sono costretti a masticare dentro di sé spaurite e trepide contraddizioni di poco conto, temendo ormai più di farsi ascoltare che pretendendo di farsi credere.

Ora è proprio la Chiesa cattolica a proclamare che Cristo è Figlio unigenito di Dio e Dio, ad opera del quale sono state create tutte le cose. ( Gv 1,3 )

Se pertanto scelgono come testimone la fama, perché non scelgono questa fama che risplende di tanta luce?

Se scelgono la Scrittura, perché non quella dei Vangeli che eccelle sulle altre per la sua grande autorità?

Nei riguardi dei loro dèi noi indubbiamente crediamo a ciò che contengono e i loro scritti più antichi e la fama più diffusa.

E se questi dèi sono da adorarsi, perché di loro si ride nei teatri?

Se invece sono cose ridicole, più ridicolo è adorarli nei templi.

Resta quindi assodato che loro stessi, mentre si privano del merito di approfondire ciò che dicono, diventano testimoni di Cristo dicendo ciò che non sanno.

Che se dicono di avere dei libri che sarebbero stati scritti da lui, ce li presentino pure.

Scritti da un uomo sapientissimo, com'essi riconoscono, tali libri saranno certo utilissimi e saluberrimi.

Se al contrario temono di presentarceli sono sicuramente libri cattivi, e se sono cattivi non è sapientissimo colui che li scrisse.

Ma Cristo, a quel che essi dicono apertamente, fu sapientissimo, per cui cose come quelle è impossibile siano state scritte da lui.

9.14 - Libri magici scritti da Cristo

Questi [ pagani ] sono così stolti da affermare che nei libri che ritengono scritti da Gesù sono contenute norme di arte magica con le quali - a quanto essi credono - egli avrebbe fatto quei miracoli la cui fama s'è diffusa per ogni dove.

Credendo a una cosa simile palesano se stessi, cioè quel che amano e desiderano.

In tanto infatti ritengono Cristo uomo sapientissimo in quanto era a conoscenza di non so quali pratiche illegali, condannate giustamente non solo dalla morale cristiana ma anche dal governo della società civile.

E qui è ovvio chiedersi: coloro che dicono d'aver letto quei libri scritti da Cristo, perché non compiono le opere da lui fatte, che essi ammirano leggendole nei suoi libri?

10.15 - Libri indirizzati a Pietro e Paolo

E che dire del fatto che alcuni di costoro per giudizio divino cadono nell'errore che o credono o vogliono far credere che Cristo abbia scritto tali libri, asserendo inoltre che ad essi sia stato apposto l'indirizzo " a Pietro " o " a Paolo " quasi si trattasse di lettere?

In effetti può essere accaduto che o i nemici del nome di Cristo o altri dediti a simili arti detestabili abbiano ritenuto che sarebbero derivati ai loro scritti autorità e prestigio dal nome glorioso di Cristo, e così li abbiano posti sotto il nome di lui o degli Apostoli.

Essi sono stati talmente accecati nella loro audacia e menzogna che giustamente se ne ridono anche quei fanciulli che, costituiti nel grado di lettori, conoscono sia pure da ragazzi gli scritti cristiani.

10.16 - Cristo convertì i popoli con arti magiche

Volendo dar consistenza alla supposizione che Cristo inviò degli scritti ai suoi discepoli, pensarono a chi sarebbe stato più verosimile che egli avesse scritto, chi furono cioè le persone che aderirono più da vicino a lui sì che fosse conveniente confidar loro quella specie di segreto.

E pensarono a Pietro e a Paolo per il fatto, credo, che in più luoghi li vedevano dipinti insieme con lui.

Roma infatti celebra con festosa solennità i meriti di Pietro e di Paolo collocando anche nello stesso giorno il ricordo del loro martirio.

In tale grossolano errore meritamente incorsero coloro che andarono a cercare Cristo e gli Apostoli non nei sacri libri ma nelle pitture murali; e niente di strano se questi autori fantasiosi furono ingannati da autori di pitture.

Per tutto il tempo infatti che Cristo trascorse con i suoi discepoli nella carne mortale Paolo non era ancora suo discepolo.

Egli lo chiamò dal cielo e lo fece suo discepolo e apostolo dopo la sua passione, dopo la risurrezione, dopo l'ascensione, dopo che ebbe mandato dal cielo lo Spirito Santo, dopo che molti Giudei si erano convertiti e avevano accettato la nostra mirabile religione, dopo che era stato lapidato il diacono e martire Stefano.

In quel tempo Paolo si chiamava ancora Saulo e perseguitava accanitamente quanti avevano creduto in Cristo. ( At 9,1-30 )

Come dunque poté Cristo inviare a Pietro e a Paolo, in quanto discepoli che più degli altri gli sarebbero stati familiari, dei libri che egli avrebbe scritto prima della morte, se in quel tempo Paolo non era ancora suo discepolo?

11.17 Alcuni, vaneggiando, asseriscono che Cristo poté fare tante cose strepitose perché esperto di arti magiche con le quali riuscì a divinizzare il suo nome e a convertire i popoli.

Costoro dovrebbero considerare in qual modo egli, prima di nascere in terra, abbia potuto con le sue magie riempire dello Spirito divino tanti Profeti che nei suoi riguardi predissero cose future che nel Vangelo leggiamo essersi poi realizzate e che oggi vediamo presenti in tutto il mondo.

Che se con le sue magie riuscì a farsi adorare dopo la morte, non era certo mago prima di nascere.

Eppure, per profetizzare la sua venuta, fu scelto e incaricato un popolo le cui vicende nazionali, nel loro succedersi ordinato, erano una profezia di quel Re che sarebbe venuto e avrebbe riunito tutte le genti formando con esse la città celeste.

12.18 - Il Dio degli Ebrei non accettato dai Romani

Il popolo ebraico dunque, destinato - come ho detto - a preparare profeticamente il Cristo, non aveva altro dio se non il Dio vero, il Dio unico, che ha creato il cielo, la terra e tutto ciò che è in essi.

Per avere offeso questo Dio, gli Ebrei vennero più volte soggiogati dai nemici, e al presente per il gravissimo delitto della morte inferta a Cristo sono totalmente sradicati da Gerusalemme, capitale del loro regno, e assoggettati al dominio di Roma.

Ora, come si sa, i Romani erano soliti adorare e propiziarsi gli dèi delle genti che sottomettevano e accettare i loro riti sacri.

Questo però non vollero fare con il Dio degli Ebrei quando li espugnarono e vinsero.

Credo che a ciò li spingeva la consapevolezza che, se avessero tributato il culto a quel Dio che comandava d'adorare lui solo distruggendo anche le statue [ degli dèi ], occorreva far piazza pulita di tutte quelle divinità che già da tempo avevano cominciato ad adorare e per la fedeltà alle quali credevano fosse cresciuto il loro Impero.

In questo li ingannava grandemente l'astuzia fraudolenta dei demoni.

Avrebbero infatti dovuto capire che il regno era stato loro dato e accresciuto per occulto volere del vero Dio, presso il quale è il dominio di tutte le cose, non per il favore di quegli dèi che, se avessero avuto in materia una qualche potestà, avrebbero dovuto proteggere i popoli che credevano in loro impedendo che fossero vinti dai Romani o magari avrebbero dovuto assoggettare ad essi gli stessi Romani, dopo averli soggiogati.

12.19 Né possono dire che la loro religiosità e i loro costumi furono amati e preferiti dagli dèi dei popoli vinti.

Mai potranno dire questo se rammentano le proprie origini: l'asilo accordato a facinorosi e il fratricidio di Romolo.

Ed effettivamente quando Remo e Romolo apersero quell'asilo nel quale potesse rifugiarsi chiunque fosse reo di qualsiasi delitto ottenendo l'impunità per la colpa commessa, non diedero ai rifugiati l'ordine di ravvedersi volendo guarire l'anima di quegli sciagurati. ( Gen 19,17; Lc 9,56; Gc 1,21; Gc 5,20 )

Viceversa, raccolta una banda di gente che temeva [ la punizione ], l'armarono contro le città di cui temevano le leggi, e come compenso ne assicurarono l'impunità.

Parimenti quando Romolo uccise il fratello, che non gli aveva fatto nulla di male, non si propose di ristabilire la giustizia ma di conquistare il dominio assoluto [ sulla città ].

Dunque tali costumi avrebbero amato gli dèi ostili alle proprie città a tal punto da favorire chi di esse era nemico?

Al contrario, come non danneggiarono le città che li veneravano abbandonandole al loro destino, così facendole passare ai Romani non recarono ad essi alcun aiuto, per il semplice fatto che non è in loro potere dare il regno o toglierlo.

Questo appartiene al Dio unico e vero.

Egli, procedendo secondo un occulto giudizio, non intende rendere immediatamente beati coloro ai quali accorda il regno terreno né immediatamente infelici coloro a cui lo toglie.

Quando rende beati o infelici lo fa promettendo altri doni e servendosi di altri mezzi, e distribuisce i regni temporali e terreni a chi vuole e finché vuole secondo il predestinato susseguirsi dei secoli, alcune cose tollerando, altre concedendo.

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