Il lavoro dei monaci

Indice

17.20 - Il lavoro manuale non sempre è incompossibile con l'attività spirituale

A questo punto, io vorrei sapere di che cosa si occupino mai questi tali che non vogliono lavorare manualmente, quale sia il loro da fare.

Replicano: Le preghiere, la salmodia, la lettura, la parola di Dio.

Vita santa, certamente! Vita encomiabile, colma delle dolcezze di Cristo.

Ma se da tali occupazioni non si può mai essere distolti, non si deve neppure mangiare né spendere quotidianamente del tempo a preparare le vivande che si servono e consumano.

Che se, al contrario, il logorio della vita di ogni giorno impone ai servi di Dio la necessità di dedicarsi ad ore determinate ad occupazioni di questo tipo, perché rifiutarsi di spendere del tempo a mettere in pratica le ingiunzioni dell'Apostolo?

Una sola preghiera dell'uomo obbediente viene infatti ascoltata da Dio più presto che non interminabili suppliche levate dall'insubordinato.

Quanto al cantare i canti divini, può esser fatto - e con facilità - anche mentre si lavora con le mani.

Anzi, è bello rallegrare così il lavoro quasi col ritmo di una celestiale cadenza.

Chi infatti non sa come tanti lavoratori, mentre le loro mani si muovono nel disbrigo delle faccende, col cuore e con la lingua si dànno a cantare motivi uditi nelle rappresentazioni teatrali, tanto insulsi e il più delle volte anche licenziosi?

Chi dunque può proibire al servo di Dio che, mentre lavora con le mani, mediti la legge del Signore ( Sal 1,2 ) e canti salmi a gloria del nome del Dio altissimo? ( Sal 13,6 )

Basta che abbia ore sufficienti per imparare a memoria quel che avrà a ripetere.

E questo è appunto uno dei motivi per cui non debbono venir meno i contributi dei fedeli: somministrare quanto manca ai servi di Dio, i quali, per il fatto che dedicano delle ore all'istruzione - ore in cui, naturalmente, non possono eseguire lavori manuali - non debbano essere ridotti in completa miseria.

Quanto poi a quelli che dicono di occupare il tempo nella lettura, come mai non si sono incontrati nelle prescrizioni dell'Apostolo circa il lavoro?

Strana cosa invero: spendere il tempo nella lettura e regolarsi a dispetto di essa e, pur di protrarre una buona lettura, non risolversi mai a mettere in pratica quel che si legge!

Chi infatti non capisce che, quando uno legge libri edificanti, tanto più rapido sarà il suo profitto quanto più presto si decide a mettere in pratica quello che legge?

18.21 - Lavorare con ordine, distribuendo saggiamente il tempo

Ammettiamo pure che a qualcuno venga affidato l'incarico di dispensare la parola di Dio e che tale incombenza lo assorba in modo da non permettergli d'attendere al lavoro manuale.

Ma forse che in un monastero tutti sono all'altezza d'un tale compito?

Vengono da loro dei fratelli provenienti da tutt'altro genere di vita; ed essi saranno tutti in grado di esporre loro le Sacre Scritture o di tenere loro con frutto conferenze su punti specifici di dottrina sacra?

E se tutti non hanno di tali capacità, perché con questo pretesto volersi tutti esimere dal lavoro?

Che se anche tutti avessero le doti per riuscirci, anche allora dovrebbero farlo a turno, allo scopo di non distogliere gli altri dal lavoro necessario, non solo ma anche perché a soddisfare parecchi uditori basta uno solo che parli.

C'è di più: lo stesso Apostolo come avrebbe trovato il tempo per lavorare manualmente se non avesse determinato delle ore fisse in cui annunziare la parola di Dio?

È un elemento che Dio non ha permesso restasse nell'ombra: infatti, la sacra Scrittura ci riferisce quale fosse il mestiere che esercitava e in quali ore del giorno si occupasse della predicazione del vangelo.

Si era a Troade, il primo giorno della settimana, ed era imminente il giorno in cui Paolo doveva mettersi in viaggio.

I fratelli s'erano riuniti per la frazione del pane, e tale e tanto fu il fascino delle parole dell'Apostolo e così accesa la disputa che ne nacque che il ragionare si protrasse fino alla mezzanotte. ( At 20,7 )

Come se si fossero scordati che quel giorno non era vigilia!

Allo stesso modo, quando restava per diverso tempo in una località ogni giorno attendeva alla catechesi, avendo, naturalmente, a tal fine delle ore stabilite.

Così quando fu in Atene, dove aveva trovato gente tutta assorbita nella ricerca del sapere, ci si riferisce che teneva discorsi ai giudei nella sinagoga, e ogni giorno nell'agorà alla gente del paganesimo, indirizzandosi a quanti vi incontrava. ( At 17,17 )

Nella sinagoga non tutti i giorni, perché era consueto parlarvi solo di sabato; nell'agorà invece - lo dice chiaro - tutti i giorni, perché così esigevano l'inclinazione e le consuetudini degli Ateniesi.

E alcuni filosofi - continua il testo - fra gli epicurei e gli stoici entravano in discussione con lui. ( At 17,18 )

Poiché gli ateniesi - vi si dice ancora - e i forestieri che ivi dimoravano non attendevano ad altro se non ad esporre le novità o ad ascoltarle. ( At 17,21 )

Possiamo supporre che nei giorni che passò ad Atene l'Apostolo non ebbe la possibilità di lavorare e che per questo motivo dovettero pervenirgli delle sovvenzioni dalle Chiese di Macedonia, come egli stesso ricorda nella seconda ai Corinti, ( 2 Cor 11,9 ) sebbene non sia escluso che nelle ore rimastegli libere e nottetempo egli abbia potuto lavorare, dato che era un tipo forte di animo e godeva buona salute.

Ma quando ebbe lasciata Atene…, osserviamo quel che riferisce di lui la sacra Scrittura.

Tutti i sabati teneva dibattiti nella sinagoga, ( At 18,4 ) dice di lui quand'era a Corinto.

E a Troade, quando l'istruzione si protrasse fino a mezzanotte a causa dell'imminente partenza, si nota che era il primo giorno della settimana, vale a dire la domenica: dalla quale circostanza ci è dato concludere che non parlava ai giudei ma a dei cristiani, come del resto indica lo stesso autore della narrazione allorché precisa che s'erano riuniti a " spezzare il pane ".

Linea di condotta veramente eccellente, questa, in quanto tutte le cose sono compiute con ordine e ciascuna a suo tempo, senza che vengano ad accumularsi e a turbare così l'animo dell'uomo con guazzabugli inestricabili.

19.22 - Il mestiere esercitato da Paolo. Pericoloso il contagio della pigrizia

In questa occasione ci si fa anche sapere quale fosse il mestiere dell'Apostolo. Uscito da Atene - dice -venne a Corinto, e avendo incontrato un certo Aquila, giudeo di razza e originario del Ponto, che da poco era giunto dall'Italia insieme con la moglie Priscilla in seguito all'ordine impartito da Claudio a tutti i giudei di partire da Roma, si fermò da loro e vi restò a lavorare, dato che facevano un identico mestiere: quello di fabbricanti di tende. ( At 18,1-3 )

Chi volesse interpretare in senso allegorico anche questo passo darebbe a divedere quanto progresso abbia compiuto nella scienza delle cose sacre, alla quale si vanta di dedicare il tempo.

Giova a questo punto riepilogare le espressioni finora elencate.

Forse che io solo e Barnaba saremmo privi dell'autorizzazione di non lavorare? ( 1 Cor 9,6 ) e: Di tale facoltà noi non abbiamo voluto far uso, ( 1 Cor 9,12 ) e: Nella nostra qualità di apostoli del Signore noi avremmo potuto imporvi dei gravami, ( 1 Ts 2,6 ) e: Abbiamo lavorato notte e giorno pur di non essere di peso a nessuno, ( 2 Ts 3,8 ) e: Il Signore ha così disposto, che coloro che predicano il vangelo dal vangelo ricavino da vivere: facoltà della quale peraltro io non mi sono affatto servito. ( 1 Cor 9,14-15 )

E così via di seguito. Sono affermazioni che essi o debbono interpretare in senso diverso da come suonano, ovvero, se debbono arrendersi di fronte alla fulgida luce di verità che promana da esse, debbono anche intenderle alla lettera, e metterle in pratica.

Che se loro personalmente non vogliono o non possono obbedire, riconoscano almeno che, quelli che lo vogliono, sono migliori di loro e quelli che, avendone la possibilità, di fatto obbediscono, sono più felici.

Un conto è infatti essere colpito da un'infermità reale o anche soffrire per una immaginaria, un altro conto è illudersi e dare l'illusione che fra i servi di Dio s'è raggiunto un più elevato grado di santità perché la pigrizia è riuscita a dominare su gente ignorante.

Ne segue che, mentre verso colui che è veramente malato si debbono usare tutte le premure, il malato che falsamente si ritiene per tale, se non si riesce a convincerlo, occorrerà lasciarlo a Dio perché ci metta le mani lui: tuttavia nessuno dei due dà adito a che si creino costumanze riprovevoli.

Infatti, il religioso perbene si presta a rendere i servizi necessari al fratello veramente malato e, quanto al malato immaginario, siccome non lo ritiene perverso non è tentato d'imitare la sua malizia; se invece non ce lo crede, lo prende per un imbroglione e neanche allora sarà tentato d'imitarlo.

Quanto invece all'altra categoria, coloro cioè che vanno dicendo: " Ecco la vera santità: imitare gli uccelli dell'aria " e: " niente lavoro manuale! " e: " Chi lavora con le mani agisce contro il vangelo ", se questa gente l'ascolta qualcheduno spiritualmente infermo sarà portato a crederle e deve essere compianto non tanto per la vita oziosa che mena quanto per l'errore in cui si trova.

20.23 - Un pretesto desunto dal comportamento dei Dodici

Potrebbe sorgere anche un altro problema.

Qualcuno infatti potrebbe osservare: Ma come? gli apostoli, i fratelli del Signore e Cefa forse che commettevano peccato non lavorando manualmente? o creavano forse ostacoli alla diffusione del vangelo?, se è vero quel che asserisce Paolo, che cioè egli non s'è voluto servire del potere concessogli da Cristo per non suscitare ostacoli alla diffusione del vangelo.

Se infatti con l'astenersi dal lavoro commettevano peccato, è falso asserire che avevano ricevuto l'autorizzazione di non lavorare potendo trarre il sostentamento dal vangelo che predicavano.

Se al contrario tale autorizzazione l'avevano effettivamente ricevuta ( secondo la disposizione del Signore che coloro che predicano il vangelo han da vivere del vangelo e che ogni operaio merita il suo nutrimento ( Mt 10,10 ) ), per quanto Paolo non si sia voluto servire della facoltà ricevuta perché voleva spenderci anche di più dello stretto necessario, certamente anche gli altri apostoli con il loro modo di agire non commettevano peccato.

Se non peccavano, non creavano ostacoli al vangelo, poiché non sarebbe stato senza colpa sollevare ostacoli alla propagazione del vangelo.

Ma allora, se le cose stanno realmente così, concludono i nostri, anche a noi dev'essere lasciata libera la scelta di profittare o non profittare di tali facoltà.

20.24 - Si distinguono le circostanze e si obbedisce all'Apostolo!

Potrei sciogliere rapidamente la questione e dire - sarebbe del resto una risposta esatta - che, comunque, le parole dell'Apostolo debbono sempre essere credute e rispettate.

Egli, infatti, sapeva il motivo per cui nelle Chiese sorte in terra pagana non stava bene recare il vangelo come roba da mercato.

Non voleva con ciò porre sotto accusa i colleghi di apostolato, ma sapeva distinguere le circostanze particolari esclusive della sua missione.

Difatti gli apostoli - per ispirazione divina certamente - s'erano divisi le province dove annunziare il vangelo: Paolo e Barnaba le terre pagane, gli altri le collettività giudaiche. ( At 13,2; Gal 2,9 )

Ad ogni modo, che Paolo ordini di lavorare a coloro che non hanno ricevuto alcuna delle facoltà accordate agli apostoli, è cosa sicura, e i testi sopra esaminati lo provano all'evidenza.

21.24 - L'attività degli Apostoli e l'oziosità dei monaci

Quanto poi ai nostri fratelli che avanzano il diritto di esentarsi dal lavoro, mi sembra - per quanto posso giudicare - che essi se l'attribuiscono con troppa faciloneria.

Se fossero degli evangelizzatori, va bene, l'avrebbero certamente.

Se fossero sacerdoti e avessero ad attendere all'amministrazione dei sacramenti, giustissimo!, sarebbe un diritto non usurpato ma più che legittimo.

Normalmente gli oziosi non provengono da ceti nobili … 

Fossero stati almeno dei benestanti allorché erano nel mondo e mai avessero avuto bisogno di lavorare per il sostentamento!

In tal caso, se dopo che si sono dati a Dio e han distribuito ai bisognosi i loro averi non se la sentono di lavorare, questa esigenza della loro fragilità dev'essere presa in considerazione e sopportata.

Di solito, infatti, questi uomini, educati non meglio ( come qualcuno pensa ) ma piuttosto con minore vigoria, non reggono alle fatiche corporali.

Di tale rango dovevano essere, almeno in gran parte, i fedeli di Gerusalemme.

Troviamo infatti scritto che avevano venduto i loro possedimenti e depositato ai piedi degli apostoli la somma ricavata perché fosse ripartita a vantaggio dei singoli in conformità dei bisogni di ciascuno. ( At 2,45; At 4,34-35 )

E siccome erano stati trovati vicini al Regno di Dio ( Ef 2, 13.17; Is 57,19 ) ed erano stati di utilità per i pagani - i quali furono chiamati che erano lontani, cioè dal culto degli idoli - come sta scritto: Da Sion uscirà la legge, da Gerusalemme la parola del Signore, ( Is 2,3 ) l'Apostolo concludeva che i cristiani del paganesimo erano in debito con quei di Palestina.

Sono in debito, diceva, e ne precisava il motivo: I pagani hanno beneficiato dei loro privilegi spirituali e per questo debbono somministrare ad essi delle sostanze materiali. ( Rm 15,27 )

22.25 - … ma da classi plebee

Ma, tornando a questa gente che si consacra al servizio di Dio e ne fa la professione, la più parte di essi o provengono di tra gli schiavi o sono dei liberti che per motivo religioso hanno ottenuto la libertà o sono lì per ottenerla; ovvero, sono dei contadini vissuti nei campi o artigiani che hanno esercitato l'uno o l'altro mestiere o attività in uso fra i plebei.

Gente, quindi, che ha sortito un'educazione vigorosa e per questo più fortunata di quella degli altri.

Gente che, se ci si rifiutasse d'accettare in monastero, si commetterebbe un grave errore, poiché proprio di tra costoro sono usciti uomini veramente eccellenti e degni d'essere imitati.

Valgono al riguardo le parole: Dio ha scelto quanto nel mondo c'era di debole per confondere i forti, quanto c'era di stolto per confondere i sapienti, e la gente priva di titoli nobiliari e la gente che non valeva nulla, come se fosse valsa chi sa che cosa, allo scopo di svuotare chi era qualcosa nel mondo, affinché nessun mortale avesse a gloriarsi dinanzi a Dio. ( 1 Cor 1,27-29 )

Il ricordo di tali ammaestramenti, santi e salutari, fa sì che in monastero vengano ammessi anche coloro che non presentano alcun documento a comprovare che abbiano cambiato in meglio la loro vita.

Né sempre consta con sicurezza se siano venuti con l'intenzione di servire Dio o non piuttosto perché, fuggendo a tasche vuote una vita intollerabile e per il lavoro e per la povertà, si sono ripromessi di venir mantenuti, vitto e vestito, dalla comunità.

Tanto più che vengono anche a riscuotere onori da parte di coloro da cui non solevano ricevere se non disprezzo e umiliazioni.

Orbene, costoro, non potendosi sottrarre al lavoro con la scusa della salute malferma ( debbono ammetterlo per forza a causa del genere di vita condotto fino allora! ), pretendono di farla franca celandosi all'ombra d'una dottrina erronea: per cui, interpretato falsamente il vangelo, s'adoperano per stravolgere le norme fissate dall'Apostolo.

Uccelli dell'aria per davvero, che si levano in alto sulle ali della superbia, e insieme gramigna della terra per il loro fin troppo umano sentire.

22.26 - Oziosi e patrocinatori dell'oziosità

Capita ad essi quel che l'Apostolo dice doversi evitare nei confronti di certe vedove ancor giovani e piuttosto sbandate.

Imparano - dice - ad essere oziose, e non soltanto oziose ma anche curiose e loquaci, e chiacchierano anche di cose che non bisogna dire. ( 1 Tm 5,13 )

Quanto egli lamentava a proposito di donne perverse noi lo riscontriamo con tristezza e rammarico anche in certi uomini ugualmente perversi: uomini che, vagabondi e chiacchieroni, non han ritegno di proferire cose inesatte verso colui che nelle sue epistole ci fa leggere le sopra citate norme.

Capita inoltre che nelle file di costoro si trovino taluni venuti nella famiglia religiosa col proposito di rendersi accetti agli occhi di colui al quale si sono votati, ( 2 Tm 2,4 ) uomini che, sentendosi in pieno vigore di forze e in buona salute, potrebbero dedicarsi non solamente a sentire delle istruzioni ma anche al lavoro manuale ordinato dall'Apostolo.

Orbene, quando giungono all'orecchio di costoro i ragionamenti vacui e perversi dei propri compagni, siccome a causa della loro inesperienza non sono in grado di formarsi un giudizio esatto sul loro conto, ecco che anch'essi si lasciano contagiare dalla peste dell'esempio degli altri e si guastano.

Non solo non si curano d'imitare la docilità dei confratelli fervorosi che tranquilli attendono al loro lavoro ma, al contrario, si fan beffe dei più osservanti, elogiano l'oziosità come fedeltà al vangelo e accusano come trasgressione del vangelo la condiscendenza dei docili.

Si comporta infatti con più carità verso le anime dei fratelli più deboli colui che fa di tutto per tenere alto il prestigio dei servi di Dio di quanto non faccia verso i corpi colui che si prodiga nel distribuire il pane agli affamati.

Per la qual cosa, quanti non se la sentono di lavorare con le mani almeno cessino del tutto dal lavorare con la lingua!

Non riuscirebbero certo ad attirare tanti altri nella loro strada se offrissero, sì, esempi di pigrizia ma non gonfiati a parole.

23.27 - Incoerenze colossali fra quello che dicono e quello che fanno

Di più: contro l'insegnamento d'un apostolo di Cristo costoro tirano fuori il vangelo di Cristo.

Sono infatti così speciali gli accorgimenti della gente svogliata che si lusingano venga proibito dal vangelo quel che l'Apostolo ordinava e metteva in pratica perché il vangelo non avesse impedimenti.

Che se poi per caso in forza delle parole stesse del vangelo vogliamo obbligarli a vivere sul serio in conformità con la loro interpretazione, essi saranno i primi a venirci a dimostrare che tali massime non debbono essere intese così come essi le intendono.

Dicono, è vero, che non sono obbligati a lavorare perché nemmeno gli uccelli dell'aria seminano e mietono: quegli uccelli da cui il Signore trasse l'immagine per escludere la preoccupazione per i nostri bisogni materiali.

Ma, allora, perché non badare anche a quello che viene appresso, poiché il Signore non dice solo che non seminano né mietono ma anche che non raccolgono nei magazzini. ( Mt 6,26 )

Per " magazzini " possiamo intendere o i granai o, proprio a paroletta, i depositi.

Come mai, dico, questi tali che si tengono le mani in mano pretendono poi d'avere piene le dispense?

Perché andar a prendere dagli altri il frutto del lavoro e riporlo nelle dispense e conservarlo per trarne l'occorrente di ogni giorno?

Perché non rifuggire dal lavoro di molitura e di cottura? Attività che certo gli uccelli non compiono!

Che se riescono a trovare delle persone e a persuaderle che ogni giorno vengano a recar loro cibi bell'e confezionati, l'acqua tuttavia, se vogliono averne una riserva, debbono certamente o andare ad attingerla alla fontana, ovvero tirarla fuori dalla cisterna o dal pozzo.

Opere anche queste che gli uccelli non compiono!

Diamo anche il caso, se così piace, che ci siano fedeli così buoni che, da brava gente di provincia affezionata al Re eterno, si prendano tanta cura di questi soldati, invero coraggiosi, di Dio e vadano a prestare ad essi ogni sorta di servizi sì che non resti loro nemmeno d'andare a prendere l'acqua.

Dovrebbero però questi aver superato, in un'insolita graduatoria di santità, quei cristiani che erano a Gerusalemme.

Difatti, a costoro, quando sopraggiunse la carestia che era stata predetta dai profeti di quell'epoca, furono i buoni fratelli di Grecia che inviarono delle granaglie, ( At 11,28-30 ) da cui poi essi stessi - così penso - si cossero il pane o quanto meno, s'industriarono di farselo cuocere.

Attività anche queste che gli uccelli non compiono!

Che se poi - come cominciavo a dire - costoro si credono d'aver oltrepassato di qualche grado anche la perfezione di quei santi e vogliono comportarsi esattamente come gli uccelli in tutto ciò che riguarda il mantenimento della vita presente, vengano allora a portarci esempi di uomini intenti a prestare servigi agli uccelli come costoro pretendono di essere serviti.

( Escludendo sempre il caso degli uccelli acchiappati e rinchiusi in gabbia, dei quali ci si fida punto o poco che, una volta scappati, abbiano a ritornare! … ).

Sta di fatto però che gli uccelli ci tengono tanto alla loro libertà che preferiscono cercare nei campi quanto loro occorre per vivere anziché ricevere quel che loro preparano e recano gli uomini.

23.28 - Il buonsenso li condanna

Sotto questo aspetto i nostri li supererebbero in un nuovo e più eminente grado di santità: sarebbero cioè riusciti a spandersi ogni giorno nei campi in cerca di cibo, beccare quel che a seconda dei tempi vi trovano e poi, quando sono sazi, tornare a casa.

Come ci andrebbe bene se il Signore, volendo proteggere dai guardiani dei campi questi suoi servi, si degnasse di fornirli anche di ali!

Sorpresi nel campo altrui, eviterebbero d'essere acciuffati come ladruncoli e sarebbero soltanto messi in fuga come un branco di storni …

Nel qual caso, ciascuno di essi imiterebbe davvero, e assai da vicino, la sorte dell'uccello che il cacciatore non è riuscito ad acchiappare!

Voglio ancora ipotizzare il caso che il popolo cristiano tutto intero si accordi nel permettere ai servi di Dio che facciano a loro talento delle sortite nel campo privato di ciascuno e che, una volta sazi, se ne ripartano senza essere molestati.

Anche al popolo d'Israele, del resto, era stato prescritto dalla legge di non fermare il ladro sorpreso nel campo, a meno che questi non avesse preteso di portarsi via della roba: il ladro che non aveva preso altro se non quanto s'era mangiato doveva essere lasciato libero e impunito: ( Dt 23,24-25 ) prescrizione per la quale ai discepoli del Signore, sorpresi a troncare delle spighe, i giudei rimproverarono non il furto commesso ma la violazione del riposo sabatico. ( Mt 12,1-2 )

Quando però arrivano le stagioni in cui nei campi non ci sono cibi che si possano prendere e subito cacciare in bocca, che succederà?

Uno che avesse tentato di portarsi in casa qualche cibaria per cuocersela e consumarla, dal vangelo inteso come sogliono costoro potrebbe sentirsi dire: Lascialo stare; gli uccelli non fanno così!

23.29 - I veri anacoreti sono un rimprovero per gli oziosi

Ma concediamo ancora di più e ammettiamo che per tutto il corso dell'anno si possa trovare qualcosa - piante, erbaggi, radici - che si possa mangiare senza bisogno di cuocerla.

Ammettiamo ancora che con l'esercizio la vigoria del corpo possa raggiungere un tal grado che, anche mangiando crudi gli alimenti che si sarebbero dovuti cuocere, non se ne abbia a risentire nocumento.

E ammettiamo, inoltre, che per tutto l'inverno si possa andare nei campi in cerca di cibo e ci si possa quindi dispensare dal fare provviste, imbandirsi la tavola e mettersi da parte vettovaglie per l'avvenire.

Come potranno stare a tale regime coloro che, separandosi per più giorni dal consorzio umano, vivono senza ammettere alcuno alla loro presenza, totalmente isolati e raccolti in una vita d'intensa orazione?

È risaputo infatti che coloro che si ritirano negli eremitaggi costumano portarsi nella solitudine quegli alimenti, ordinari e grossolani, che ritengono necessari per il tempo che si prefiggono di trascorrere senza essere visti da alcuno.

Ma questa cosa gli uccelli non la fanno!

Quanto a me, io non ho critiche da muovere contro questo genere di vita dove si pratica un'austerità davvero sorprendente, non solo, ma sono persuaso che tutte le mie parole non siano sufficienti ad esaltarlo come si conviene, sempre che la gente che vi si consacra abbia modo di poterlo fare liberamente, e, nell'esempio che con la propria vita dànno al prossimo, siano animati non da orgoglio o vanità ma da desiderio di perfezione e da amore fraterno.

Tuttavia, a volerli giudicare dalle parole del vangelo secondo l'interpretazione dei nostri sfaticati, cosa dovremmo dire di questi solitari?

Sarebbe mai vero che più crescono in santità e meno rassomigliano agli uccelli del vangelo?

Difatti, se non si provvedono di cibo per giorni e giorni, non sono in grado di rimanere in solitudine com'è loro solito.

Eppure, sono persone che al par di noi han sentito dal Vangelo: Non prendetevi cura del domani. ( Mt 6,34 )

23.30 - Riepilogo delle argomentazioni

In conclusione - per riassumere in breve ogni cosa - i nostri riveriti monaci che da una falsa interpretazione del vangelo pretendono valersi per falsare anche il senso dei comandi quanto mai espliciti dell'apostolo Paolo, debbono o non darsi cura alcuna per il loro domani, come fanno gli uccelli dell'aria, o stare agli ordini dell'Apostolo come si conviene a figli ben amati; o, più esattamente, debbono rispettare e l'uno e l'altro precetto, dato che tutt'e due si armonizzano perfettamente.

Non potrebbe infatti Paolo, servo di Gesù Cristo, ( Rm 1,1 ) inculcare una dottrina in contrasto con quella del suo Signore.

Ci sia lecito, pertanto, cantarla chiara ai nostri amici.

Se voi vi appellate agli uccelli dell'aria di cui parla il vangelo e li prendete a modello per sottrarvi al lavoro manuale da cui ricavare vitto e vestito, non dovete nemmeno far delle provviste per il domani, come fanno gli uccelli che non ammucchiano nulla per il loro domani.

Che se poi il mettere da parte e provvedersi per l'avvenire non è in contrasto con il Vangelo, ove s'ingiunge di guardare gli uccelli dell'aria e come essi non seminino né mietano né riempiano i magazzini, ( Mt 6,26 ) dovete anche ammettere che, almeno in linea di possibile, non è in contrasto con il vangelo né disdice con l'immagine che esso presenta degli uccelli del cielo procurarsi mediante il lavoro il sostentamento per la vita terrena soggetta alle esigenze della materia.

Indice