La storia della Chiesa

Indice

II. Vescovi, capitoli, clero

1. a) Non soltanto le sedi vescovili, ma tutte le più alte cariche ecclesiastiche erano occupate, quasi senza eccezione, da nobili.

Per questa nobiltà che, grazie a regolari transazioni con i capitoli aristocratici delle cattedrali, entrava in possesso dei seggi avidamente bramati, la prelatura, nella maggior parte dei casi, non era altro che un mezzo per condurre, senza preoccupazioni, una vita di godimenti.

La Chiesa era straordinariamente ricca: si approfittava quindi di essa per impinguarsi.

Non si pasceva il gregge, si pensava a se stessi.

I canonici erano diventati « feudatari di Dio », i capitoli « ospizi per la nobiltà ».

Poco o nulla si sapeva di teologia, non si diceva messa, o la si diceva di rado, qualche prelato si comunicava unicamente il giovedì santo come i laici, si trascurava la formazione dei futuri sacerdoti; parecchi conducevano non solo una vita comoda e agiata, ma addirittura immorale.

Le conseguenze di questo triste stato di cose si aggravarono notevolmente quando si rese possibile l'accumulazione degli uffici, cosa che di diritto fu eliminata dal Tridentino, ma di fatto solo dalla secolarizzazione.

Del resto, la concezione della vita della Curia rinascimentale coincideva in modo nefasto coi desideri di godimenti mondani dei canonici nobili.

Basti dire che un buon papa dell'età rinascimentale, come Pio II, considerava l'incremento del monopolio della nobiltà sopra menzionato, come qualcosa di direttamente lodevole.

Funesta cecità! Si lodava quello tra gli abusi che doveva spianare la strada, nella maniera più immediata, alla diffusione della rivolta contro la Chiesa.

La bufera della Riforma colse i prìncipi e i figli della nobiltà, sui seggi episcopali e nei capitoli, senza alcuna forza religiosa di resistenza; essi non pensavano in maniera diversa dai loro parenti che sedevano sui troni principeschi e che più tardi attuarono la Riforma protestante ( « cuius regio … » ); e nella seria predicazione di Lutero essi ravvisarono di preferenza - contro i suoi intendimenti! - ciò che essi cercavano: l'assenza d'un vincolo morale.

Viceversa, questa disgregazione interna fece sì che il popolo scontento si staccasse con maggiore facilità da una siffatta autorità religiosa-irreligiosa.

b) E tutto ciò costituisce, nel complesso, non un'eccezione, bensì la regola: la più stridente contraddizione con l'idea religiosa e apostolica degli uffici ecclesiastici.

Anche qui un pericoloso svuotamento della Chiesa dall'interno.

Nessun organismo può sopportare a lungo simili radicali abusi così diffusi e in tale contrasto con la propria idea: esso è votato alla rovina.

Questa dissoluzione interna esercitò i suoi deleteri effetti non soltanto sul basso clero, ma anche sul popolo e sulle sue idee circa la natura della Chiesa e dello stato sacerdotale.

A ciò venne ad aggiungersi una grande esasperazione contro questi sfruttatori e sperperatori.

In tutti e tre i sensi gli effetti si manifestarono in maniera spaventosa nella apostasia della Riforma.

È abbastanza indicativo il fatto che - spesso invano - si dovette tentare di costringere il clero collegiate alla residenza ( nel luogo del capitolo o della relativa scuola ).

c) Le lamentele sugli abusi divenuti generali provengono non soltanto dagli avversari della Chiesa, per es. da umanisti pronti al dileggio per i quali non esisteva nulla di sacro ( § 76 ), ma anche da uomini di rigido spirito ecclesiastico, una piccola eletta schiera dei quali neppure allora mancava la Chiesa: il vescovo Berthold Pirstinger di Chiemsee ( 1465-1543 ), Getter von Kaisersberg ( 1445-1510 ) e Thomas Murner ( 1469-1537 ), entrambi di Strasburgo.

Per la maggioranza valeva il detto: « In cento anni non si è ne udito ne visto che un vescovo abbia posto mano ad un'iniziativa inerente al suo ufficio » ( Johannes Wimpfeling ).

A Strasburgo in effetti le insegne episcopali erano andate perdute.

Gian Francesco della Mirandola, nipote del grande umanista, nell'imminenza della chiusura del V Concilio Lateranense ( 1517 ), indirizzò a Leone X una descrizione degli abusi, semplicemente desolante; i molti progetti di riforma ecclesiastici e in parte ufficiali stesi dalla fine del secolo XV fino agli anni 70 del secolo XVI parlano la stessa lingua, nel vero senso della parola, sconcertante ( cfr. Adriano VI e Ignazio di Loyola § 88 ).

Nonostante taluni meriti che molti vescovi possono vantare, spesso non si è m grado di ricordare qualcosa della loro attività, che abbia agito in modo religiosamente stimolante e fecondo.

Si può esser contenti, se, nei rappresentanti della classe episcopale, si può costatare una correttezza simpatica e lodevole, anche se in effetti negativa.

2. a) Anche nel basso clero il concetto di sacerdozio e di cura d'anime si era svuotato di senso; solo che qui la causa non era la ricchezza, bensì la povertà.

Era sorto un proletariato ecclesiastico: sacerdoti senza vocazione, senza interiorità, senza cultura, senza dignità; viventi nell'ozio e nel concubinato, la cui attività pastorale si limitava unicamente alla celebrazione della messa; disprezzati e derisi dal popolo;15 fenomeno questo che favoriva nuovamente da ambedue le parti una rivoluzione e precisamente la Riforma.

Anche se la critica degli umanisti alla scarsa cultura dei monaci e del basso clero di per sé non convince, la questione esige tuttavia una accurata analisi.

Per una gran parte di sacerdoti del periodo anteriore alla Riforma ci mancano dati sicuri relativi alla natura e al grado della loro preparazione.

Per diversi motivi,16 possiamo inferire che, probabilmente per non pochi, non superasse le fondamentali cognizioni religiose d'un fedele e l'indispensabile per compiere le cerimonie nella messa e nell'amministrazione dei sacramenti.

Poteva succedere che un sagrestano venisse consacrato senza aver compiuto altri studi, occupando così il posto del precedente parroco.

Si pongono qui degli interrogativi che vanno lontano: che cosa era la celebrazione della messa per tali sacerdoti? e l'assoluzione?

Il singolo sacerdote comprendeva il latino a sufficienza per poter leggere, con profitto per sé e per gli altri, manuali di prediche, o libri edificanti scritti in latino?

Certamente ve n'erano di capaci, diversamente quei manuali latini o la Bibbia in latino non sarebbero stati stampati; è vero che le varie edizioni non avevano un'alta tiratura, ma il loro numero è notevole.

Tali precisazioni possono rendere meno gravi le difficoltà accennate, ma non le eliminano.

Di fronte alla massa dei sacerdoti,però, ci si può chiedere facendo proprie le parole della Bibbia: sed haec quid sunt inter tantos? ( Gv 6,9 ).

E quando più tardi, mediante un'intensa diffusione della Bibbia e una teologia attinta dalla Scrittura, una nuova cultura avvicinò le concezioni di fede della Riforma al popolo e ai prìncipi, quella debolezza si dimostrò letale, perfino per il clero delle parrocchie, del quale pure è doveroso ammettere lo zelo pastorale.

b) Come cause di quel proletariato ecclesiastico sono da ricordare:

1) L'esorbitante numero dei chierici;17 tale numero era causato dal fatto che la prebenda era diventata la cosa capitale nelle cariche ecclesiastiche ( cfr. il traffico, anche simoniaco, di cariche ecclesiastiche alla curia romana ), e tali prebende erano aumentate per la crescente pietà del popolo, sospingendo così verso le prebende una stragrande quantità di figli di sacerdoti.

2) L'insufficiente cura dei vescovi nella scelta dei futuri sacerdoti e nella loro consacrazione.

3) Il cumulo di numerosi benefici in una sola mano faceva sì che sovente la cura d'anime venisse affidata a dei vicari mal retribuiti.

La Riforma fece crollare molte barriere, si presentò con essa l'occasione propizia per sciogliersi senza scrupoli dai vincoli della Chiesa: apparve così chiaramente e d'improvviso in che misura da quel clero fosse scomparsa ogni virtù religiosa e quanto fosse poco profondo, già da tempo, il legame che lo univa al vescovo e al ministero e alla vita propriamente religiosa.

c) Ai rilievi precedenti e alla descrizione degli abusi, che faremo, è necessario aggiungere un'importante osservazione metodologica: il quadro non è completo.

I moralisti e gli scrittori satirici sono facili all'esagerazione e i cronisti insistono soprattutto su ciò che colpisce e scandalizza degli avvenimenti.

Già nel XV secolo Giovanni Nider ( § 70,1b ), per altro uno dei fustigatori più severi della corruzione del clero, metteva in guardia di fronte al vezzo dell'esagerazione.

La Riforma scaturì da una viva forza religiosa e si trovò di fronte anche serietà religiosa e morale; ne la Riforma cattolica ( § 85 ss ) sarebbe stata possibile senza di essa.

Il freno più valido è da ricercarsi naturalmente ( oltre che nel possesso oggettivo della verità e nella santità della Chiesa ) nei grandi valori religiosi della pietà popolare di quel tempo ( cap. IlI, 2 ); quest'ultima però presuppone per un verso un clero virtuoso, sia nei monasteri che nel mondo, e anche un notevole patrimonio religioso-letterario.

Nel secolo XV in realtà, la Bibbia era molto più diffusa di quanto finora si sia creduto; già Sebastian Brant nella prefazione alla sua « Narrenschiff » ( 1494 ) accennava al fatto che allora si trovava dappertutto la Sacra Scrittura nei due Testamenti.

Tuttavia, con la semplice menzione di questi valori positivi non si risolve la grave questione.

Abbiamo il dovere imprescindibile di mettere in evidenza la nota dominante, che non è affatto la salute religiosa della Chiesa: il quadro è dominato dagli abusi ecclesiastici.

Questi abusi non sono dati, in primo luogo, da mancanze etico-religiose.

La questione capitale sta nell'appurare se predomini una forza oggettiva, religiosamente creatrice, per es. la cura delle anime e dei futuri sacerdoti, oppure una fiacca rinuncia. In tutto e soprattutto la questione è: quanta pietà di fede sgorgante dallo spirito del Vangelo, alimentata dalla parola di Dio, informava o meno, l'operare del clero di quel tempo?

Non è neppure sufficiente costatare come alla fine del Medioevo, e ancora nel 1517, l'intero quadro della vita europea apparisse tutto raccolto intorno alla Chiesa e al papa.

Qui assume importanza essenziale la distinzione tra facciata e vita che dietro ad essa pulsa o si è estinta, e anche il problema relativo alla frattura, che è sì ancora latente, ma che spiritualmente ha già distaccato molti popoli dalla Chiesa.

Le numerose attendibili descrizioni dello stato desolante di miseria religiosa non si possono semplicemente mettere da parte.

Senza questo livello spaventosamente basso, la separazione dalla Chiesa avvenuta nella Riforma diventa assolutamente inspiegabile.

3. a) Gli ordini religiosi del tempo seguono la decadenza generale.

Anche qui la quantità, ossia il numero dei monaci che saliva vertiginosamente, andava a scapito della qualità.

Effetti estremamente deleteri, accanto alle esenzioni ed altri pericolosi privilegi accordati dai papi, ebbe soprattutto il denaro.

Sontuose abbazie per i nobili, ricchi conventi nelle città per i patrizi: le une e gli altri ospizi nei quali si viveva senza preoccupazioni e senza disciplina.

In moltissimi casi la vocazione non c'entrava affatto.

Già nel XV secolo erano frequenti i casi di monaci e di monache che abbandonavano l'abito religioso.

La dissipazione era andata tanto oltre, da opporre resistenza ad eventuali riforme persino là dove i prìncipi ( agendo come in un campo di loro competenza ) tentavano di imporle con la forza.

b) Anche qui van fatte delle precisazioni.

L'accusa generalizzata - consueta in passato, risalente in buona parte alla presentazione sostanzialmente deformante della vita monastica fatta da Lutero ( riassunta nel suo libro De votis monasticis, scritto nel 1521 alla Wartburg ) - mossa ai monaci e alle monache, di condurre una vita di farisaica giustificazione attraverso le opere e in grossolana ipocrisia, o addirittura l'idea che i monasteri fossero, tutti indistintamente, dei covi di sfrenatezza sessuale, è del tutto insostenibile.

Quante più cronache cittadine noi scopriamo, tanto più appare chiaro che in molti monasteri non si verificavano grossolane trasgressioni.

Esistevano certo notevoli esigenze di riforma in monasteri singoli, come pure in monasteri uniti a congregazioni riformate ma, com'è già stato detto ( § 70 ), mancava un rinnovamento in profondità.

Anche qui però ci si deve guardare dal ritenere la correttezza come sufficiente o di scambiarla addirittura con l'ideale esigilo dalle regole monastiche.

Sono da ricordare per la loro importanza ( e per le loro conseguenze storiche ) i Fratelli della vita comune ( § 70,2 ).

c) Soltanto i certosini resistettero alla decadenza: « mai riformati perché mai deformati ».

Essi godevano di un considerevole afflusso di professori e di dotti.

Dalle singole certose abbiamo segni di una vita religiosa particolarmente fervorosa: Friburgo, Basilea o Treviri, da dove una grande quantità di fecondi impulsi penetrò nell'antica vita monastica ( per esempio per opera di Giovanni Rohde18 che in seguito ad una dispensa straordinaria divenne abate benedettino di san Mattia a Treviri ), o la certosa di Colonia che irradiava fervore religioso su tutta la regione del basso Reno, e dalla quale - pur a grande distanza fra loro - prima uscì Geert Groot e più tardi, indirettamente, Pietro Canisio.

Nella teologia occupa una posizione rilevante il famoso e versatile, anche se non proprio geniale, venerabile Dionigi Rickel ( + 1471, da Roermond ); in qualità di accompagnatore del Cusano nei suoi viaggi di visitatore, lavorò anche direttamente alla Riforma.

L'influsso della « Vita di Cristo » del certosino Ludolfo di Sassonia ( + 1377 ) lo ritroveremo nella conversione di sant'Ignazio.

L'ordine dei certosini ebbe nei secoli XIV e XV il suo periodo di fioritura caratterizzato da una forte impronta mistica, specialmente in Germania.

Nel 1510 esistevano 195 certose.

A favore della consistenza religiosa di molti monasteri degli antichi ordini, depone anche il fatto che in occasione dello scioglimento avutosi più tardi, l'opposizione di molti monaci e monache fu notevolmente maggiore di quanto si credesse in passato.

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15 Giudizi duramente negativi in proposito ci vengono da Sebastian Brant e Geiler v. Kaisersberg e nei progetti ecclesiastici di Riforma.
16 Esame insufficiente prima della consacrazione, sia nella propria diocesi che in Roma; mancanza della possibilità di una regolare istruzione teologica ( all'infuori delle università, che interessano soltanto una percentuale minima ), mancanza di vere esposizioni della fede nelle prediche del clero parrocchiale pervenuteci, ecc.
17 Firenze, per esempio, alla fine del secolo XV contava circa 5000 preti e frati, Colonia ne aveva altrettanti, Magonza 500 ( su 6000 abitanti ), Xanten 600.
18 Egli fu anche visitatore delle diocesi di Colonia, Magonza, Worms, Spira e Strasburgo.