La storia della Chiesa

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II. Risultati

1. a) Lo scopo principale delle sue fatiche ( non solo delle sue discussioni ) era senza dubbio dettato al concilio dalle condizioni della Chiesa: dai suoi bisogni interni e dalla « innovazione » protestante, che fu avvertita dai padri conciliari proprio come una rivoluzione.

I due punti focali erano la Riforma e la dottrina.

L'imperatore voleva che si differissero le definizioni dottrinali per non rendere impossibile a priori un ritorno dei protestanti.

Il papa invece voleva dare la precedenza alla questione dottrinale.

A partire dalla quinta seduta ci si accordò per trattare parallelamente i due problemi.

Per quanto importanti fossero le considerazioni dell'imperatore, era in sé molto più importante chiarire la questione dottrinale, perché proprio in essa la controversia affondava le sue radici.

In realtà è proprio alle decisioni riguardanti questo settore, alle definizioni dottrinali, che va attribuita l'importanza maggiore dal punto di vista della storia della Chiesa.

Per quanto riguarda la dottrina, il Tridentino è completamente conforme alla Tradizione della Chiesa antica: in questioni dottrinali la Chiesa e il concilio hanno solo il compito di impedire false interpretazioni, esprimendo il senso della dottrina cattolica, in maniera più precisa e inequivocabile, mediante nuove formulazioni.

Attraverso la lunga e molteplice discussione di tutti i problemi relativi alla formulazione di dottrine di fede che si era avuta nella Scolastica, si era presa una certa confidenza con questo compito, a tal punto che si era ben lontani dal timore umile e religioso di un Ilario dinanzi a tali chiarificazioni concettuali ( per non parlare di Epifanie che vedeva nella filosofia la radice di tutte le eresie ).

Nel concilio tuttavia, per merito di Seripando e di altri, la parola della Scrittura presa alla lettera venne avvertita talmente come elemento decisivo, al di là di ogni discussione, che il pericoloso gusto esplicativo proprio della Scolastica, non superò un certo limite.

b) Non si può tuttavia scambiare un concilio con un seminario scientifico.

Naturalmente è deplorevole, e rappresenta un'oggettiva carenza delle trattazioni il fatto che taluni padri avessero delle cognizioni così limitate riguardo alla dottrina luterana e più tardi a quella calvinista.

Ma non poteva neppur essere lo scopo dei padri conciliari quello di elaborare un quadro esauriente delle dottrine, in se stesse così poco unitarie e anche contraddittorie, di Lutero e poi degli altri riformatori.

Essi avevano il compito di separare la verità cattolica dalla dottrina non-cattolica.

E proprio per questo motivo le non poche verità cristiane, contenute negli scritti dei riformatori, sarebbero dovute essere note ai padri conciliari.

Non che fosse assolutamente necessario formularle in termini esaurienti; ma una certa considerazione di esse sarebbe senz'altro giovata anche ai decreti.

A tale proposito è necessario ricordare un altro aspetto di estrema importanza per la storia della Chiesa: anche se le definizioni dottrinali e le condanne del concilio erano dirette contro Lutero e poi contro Calvino, sia il papa che i padri conciliari si rifiutarono esplicitamente di condannare i singoli riformatori.

Ciò ha una portata enorme e lascia posto per una lacuna nelle definizioni del concilio: i padri non pretesero di dare una interpretazione autentica di Lutero o di Calvino; e pertanto è anche possibile che le condanne del concilio non sempre colpiscano la dottrina dei riformatori; rimane aperto piuttosto l'interrogativo se la dottrina dei riformatori, nei dettagli, non sia forse più cattolica dell'opinione ripudiata dal concilio.

c) La differenza delle dottrine riformate da quelle cattoliche la trovammo caratterizzata formalmente da una sottovalutazione dell'elemento statico-ontico e da un'esagerata accentuazione di quello dinamico-personale.

Riguardo al contenuto si possono riassumere come:

1) unilateralità della fonte della fede ( solo la Scrittura );

2) unilateralità nella determinazione del processo salvifico: solo Dio ( sola fides ), l'uomo è solo peccatore;

3) un malinteso concetto di Chiesa, puramente spirituale e soggettivistico nel senso più sopra esposto.

d) Contro queste deformazioni si diressero le definizioni e le condanne del concilio ( decreti e canoni ): anche la tradizione dogmatica ( non solo quella umano-naturale ) è fonte della fede, dalla quale possono venir attinti contenuti di rivelazione ( cfr. § 84,I,4 ).

Si pose in marcata evidenza che la Scrittura necessita di una spiegazione, che in fondo può venire soltanto dalla Chiesa.

Fu pure la Chiesa a definire ciò che è la Sacra Scrittura; perciò fu approvato il canone dei libri ispirati; la Vulgata latina fu definita riproduzione autentica, cioè dogmaticamente corretta, della dottrina della Chiesa.

In questo contesto è estremamente importante vedere come il valore e la necessità della Sacra Scrittura siano stati positivamente ed esplicitamente sottolineati e in maniera tale « che anche Lutero sarebbe potuto esserne contento » ( Merkie ).129

La Chiesa possiede un sacerdozio sacramentale e sette sacramenti che sono veri segni efficaci della grazia; il loro centro è la messa che viene definita esplicitamente come sacrificio e precisamente come sacrificio satisfattorio ( non solo, con Lutero, come sacrificio di lode e di grazie ), cosicché se coloro che lo celebrano si volgono a Dio con fiducia, con fede, con riverenza, pentimento e penitenza, esso procura loro la remissione dei peccati.

Il sacrificio che solo opera la salvezza è l'unico sacrificio di Cristo in croce; la messa ne è la riattualizzazione e il memoriale, e in essa Cristo, come sulla croce, è sacrificatore e vittima; nella messa egli si serve del sacerdote quale strumento.

Purtroppo anche dopo il Tridentino « la messa rimase quello che era diventata nel Medioevo: liturgia del clero, compiuta dal clero e comprensibile soltanto ad esso senza tante preoccupazioni per il popolo » ( Jungmann ).

2. a) Di particolare importanza è il dettagliato decreto relativo alla giustificazione, meritatamente apprezzato: esso è il principale frutto del primo periodo del concilio.130

La giustificazione è un mutamento interiore ottenuto attraverso l'azione della grazia santificante, e non un semplice ricoprire o non-imputare i peccati.

Tutta la virtù efficiente la salvezza è nella grazia di Dio, e tuttavia anche l'uomo vi prende parte con la sua libera volontà, certo lesa dal peccato originale, ma non distrutta; ma questa volontà compie qualcosa di salutare a motivo e nella misura in cui essa è santificata e mossa dalla grazia.

Anche i meriti dell'uomo sono doni di Dio.131

Ancora una volta la Chiesa batte la sua vecchia strada nello sviluppo del dogma: anche le definizioni dottrinali del Tridentino sono una magna charta del sistema del giusto mezzo.

Di fronte all'eretico « solo » sta il cattolico « et » nel senso che abbiamo già esattamente puntualizzato ( § 84,II,2 ).

Soltanto Dio e la sua grazia decidono.

Ma nella giustificazione si compie il miracolo di un Dio che, misteriosamente, innalza l'uomo peccatore a collaborare nell'opera soprannaturale.

Quando si trattò di elaborare la dottrina della giustificazione, sorsero dei violenti dissensi: il partito della expectatio ( § 90,5c ) infatti, rappresentato in prima linea dal « santo e buono » ( Merkie ), coltissimo Seripando ( 1492-1563 ), generale degli agostiniani, tentava di imporsi.

Le formulazioni del Seripando non furono accettate.

Ma poiché questi per merito del legato Cervini ( il futuro Marcello II ), competente per le questioni dogmatiche, ebbe sempre parte, in maniera rilevante, alle formulazioni, di continuo ritoccate, del decreto sulla giustificazione ( rielaborato ben quattro volte ), molti elementi decisivi della concezione biblico-agostiniana entrarono nella esposizione di esso.

b) Senza che venisse definito formalmente, nel concilio fu presentato da un gruppo di padri e da numerosi teologi un complesso di idee relative alla fede, al peccato e alla giustificazione desunte da san Paolo ( specialmente dalla Lettera ai Romani c. 7 ), dal Vangelo di san Giovanni e dalla prima Lettera di Giovanni e che contengono una theologia crucis cattolica e un simul justus et peccafor cattolico.

Il punto più avanzato in questo senso ci è offerto forse dalla lettera che il cardinale inglese Pole indirizzò al primo presidente Del Monte, nel ritirarsi dal collegio dei legati e dal concilio.132

c) Come già nella definizione del processo della giustificazione, il concilio procedette similmente nel ripudiare la certezza della salvezza: la sicurezza della Rivelazione in quanto tale è assoluta ( cui falsum subesse non pofesf ); ma una simile infallibilità assoluta non conviene alla certezza personale della salvezza.

Il concilio però non condanna affatto la fiducia incondizionata del cristiano nella sua salvezza.

3. Sia il materiale che il programma per la soluzione della questione riguardante la Riforma erano già contenuti negli atti ufficiali delle apposite commissioni create da Paolo III.

Il lavoro principale in questo campo, dopo poco validi tentativi nel primo periodo del concilio si ebbe soltanto con il terzo periodo ( 1562-63 ).

Fu decisa, almeno in linea di principio, un'energica azione di risanamento generale.

a) L'istituzione dei benefici aveva minato lo spirito religioso del clero.

Ora fu interdetto ( anche ai cardinali ) di usufruire di più di un beneficio; fu soppresso l'ufficio di collettore d'elemosine ( che era in relazione con la predicazione delle indulgenze ); si stabilì, ad evitare abusi, che i matrimoni dovessero celebrarsi davanti ai parroci.

Per la santificazione del popolo doveva esser attuata una predicazione regolare e più pura della dottrina, le domeniche e le altre feste.

Fu pure deciso che il Vangelo della domenica venisse letto nella lingua nazionale in ogni messa parrocchiale.

Si auspicava che la polemica non entrasse più nella predicazione; si insistette di più sulla parenesi morale ( bellezza della virtù, perniciosità del vizio ).

Ma soprattutto fu presa in considerazione la formazione di un nuovo clero; fu pubblicato il celebre decreto sui seminati, dal quale era prevista la fondazione di scuole speciali per i giovani avviati al sacerdozio ( nel significato originario tali istituti di educazione non costituivano una contrapposizione alle università ).

Questo decreto costituì una colonna basilare della riforma.

La mancanza di istituti per l'istruzione religiosa fu efficacemente eliminata; a tutti i chierici fu resa possibile una sufficiente istruzione teologica e ascetica.

Fondamentale fu la convinzione maturata nella Riforma cattolica che il vescovo, e di conseguenza il parroco, dovessero essere essenzialmente pastori; un presupposto elementare per questa realizzazione era che il vescovo e il parroco osservassero la residenza.

Appunto questa residenza ridivenne un obbligo stretto.

I vescovi dovevano accertarsi dell'attuazione della riforma, mediante visite pastorali e sinodi.

b) La reformatio in capite ( nella curia ) non fu propriamente attuata, anche se le provvisioni e le spettanze ( § 64 ) furono limitate.

Alla stessa maniera non si riuscì a confermare l'antico diritto dei metropoliti di consacrare e visitare i loro suffraganei: diritto passato al papa dopo l'esilio e lo scisma.

c) Anche per gli Ordini il concilio emanò ampie direttive.

Nella seduta finale un decreto stabilì che non potessero possedere un patrimonio privato, che le monache osservassero una clausura più stretta, che l'età minima per le professe fosse elevata e che fosse limitata l'istituzione delle commende.

4. L'accettazione e l'attuazione dei decreti dottrinali e di riforma del concilio ad opera degli organi dello Stato e della gerarchia nei paesi cattolici, prescindendo dall'Italia e dalla Polonia, avvenne assai lentamente e in maniera poco unitaria: vi si riflettevano i diversi gruppi d'interesse ancora esistenti, sia in campo ecclesiastico-politico che teologico-gerarchico, così come si erano aspramente fronteggiati in concilio.

I decreti dottrinali furono accettati dai prìncipi cattolici.

Soltanto la chiesa di stato spagnola ( con i Paesi Bassi ), nella quale si delineava il pericolo del cesaropapismo, oppose la riserva « senza pregiudizio dei diritti del rè ».

La Francia gallicana ( Caterina de' Medici ) a sua volta rifiutò la pubblicazione dei decreti di riforma.

Essi furono promulgati gradualmente in sinodi diocesani, definitivamente soltanto nel 1615.

Nell'impero la situazione era difficile a causa dell'imperatore Massimiliano II, personalmente incline al protestantesimo.133

Ma gli stati cattolici accettarono i decreti nella Dieta di Augusta del 1566.

Venezia fece delle riserve, scaturite da considerazioni di politica commerciale ( stretti rapporti con l'Ansa tedesca protestante ).

L'attuazione vera e propria dei decreti, anzi anche soltanto quella di principio, riempie molti capitoli della storia moderna della Chiesa.

Le difficoltà che vennero a manifestarsi illustrano ancora una volta, all'evidenza, questo radicato disordine; e in corrispondenza ad esse si può misurare l'opera della Chiesa, che nonostante tutto andava rinnovandosi.

Pietro Canisio, una serie di vescovi ( Wùrzburg, Magonza, Fulda ) e legati pontifici lavorano in Germania per l'attuazione dei decreti.

Va elogiata anche l'opera di Giovanni e Gaspare Gropper, soprattutto a Colonia.

Segnano una pagina gloriosa della riforma cattolica i sinodi diocesani e provinciali di riforma dell'ultima parte del secolo XVI e di tutto il secolo XVII e i corrispondenti, enormi e gravi sforzi pastorali del nuovo clero che andava gradatamente formandosi.

5. L'importanza più profonda del Tridentino non sta nelle singole dottrine che esso definì o nelle riforme che esso dispose; e nemmeno nei suoi decreti sulle fonti della fede e sulla giustificazione, i quali sono per altro fondamentali per il dogma e segnano una tappa essenziale nella storia della Chiesa: l'importanza sta soprattutto nel fatto che il Tridentino contribuì decisamente a chiarire la concezione cattolica della Chiesa e ciò in una forma storicamente valida, proprio perché esso fu in effetti una rappresentazione concreta di questa stessa concezione della Chiesa.

Per la Chiesa e il papato il Tridentino segnò la conclusione vittoriosa della grande lotta antiecclesiastica, iniziata nel secolo XIII e che era sempre stata una lotta contro il papato.

Questo concilio, infatti, rappresenta il trionfo effettivo e, in parte, già di fondo sull'idea conciliare da una parte, e dall'altra sulla nuova concezione protestante della Chiesa, che non era che una conseguenza della prima.

In queste idee, erano espresse le tendenze del particolarismo ( nazionale, soggettivistico-individualistico ) tanto deleterio per la Chiesa.

Il Tridentino mostrò e, in parte, definì la Chiesa come istituzione salvifica, oggettiva e ancorata nel papato; fu indubbiamente ( nonostante le apprensioni fino allora dimostrate dalla curia ) il concilio più papale della storia, prima del Vaticano I.

Certo, il problema del primato papale non era ancora maturo per una formulazione teoretica; le correnti ecclesiastiche nazionali ( episcopalismo in senso anticurialistico ) erano ancora troppo forti e il curialismo era ancora troppo poco chiarito.

Va notato poi che l'« episcopalismo » - sostenuto in modo speciale dalla Spagna - manifestatesi a Trento, a differenza delle tendenze del tardo Medioevo e quelle gallicane, sia contemporanee che future, non si volgeva contro il primato di magistero.

Anzi, esso affermava il primato del papa su tutta la Chiesa e la sua indipendenza da ogni potenza terrena, sia politica che conciliare, ma interveniva, in forma dogmaticamente del tutto corretta, in favore dell'autorità propria dei vescovi, derivante loro dal diritto divino.

Com'è già stato detto, per tutti i decreti fu chiesta l'approvazione del papa, i decreti di riforma inoltre furono esplicitamente redatti con riserva dell'approvazione papale.

Il che non significava altro se non la facoltà del papa, affermata dal concilio, di rifiutare, di integrare quei decreti, di approvarli, e con ciò di conferire loro valore definitivo nella Chiesa.

Fu quanto avvenne nel 1564 ad opera di Pio IV.

Lo stesso atteggiamento curiale del concilio si manifestò nel fatto che il complesso dei problemi rimasti insoluti, furono rimessi per un ulteriore esame al papa.

Così l'Indice tridentino, il nuovo Catechismo Romano, il Messale e il Breviario ( tutti e tre sotto Pio V ) furono veramente delle edizioni papali.

È già avvertibile la linea che condurrà al Vaticano I e al nuovo codice di diritto canonico ( per le importanti limitazioni, v. § 95 ).

6. Lutero si era appellato, un tempo, ad un concilio generale onde ottenere l'approvazione della sua ortodossia.

Sappiamo già però come il Tridentino abbia avuto un ruolo insignificante nell'immediato influsso sulla Riforma.

L'unità ecclesiastica della cristianità era diventata un problema allora insolubile.

Comunque, senza Lutero non ci sarebbe stato neppure il Tridentino!

E questo concilio condusse veramente al Vaticano I con la definizione dell'infallibilità pontificia e della suprema giurisdizione del papato romano.

Anche qui si può riconoscere quale importanza abbia avuto per la Chiesa cattolica e per tutta la sua storia l'attacco della Riforma.

Nel Tridentino ci furono molti contrasti tendenziosi e la frequenza dei vescovi - commisurata al compito - fu bassa.

Ma il risultato supera le miserevoli deficienze umane.

Esso porta ad una metanoia, così come è richiesta nel Vangelo, la quale cresce invero molto lentamente, ma sa penetrare nell'intimo.

Il Tridentino e il Catechismus Romanus ( 1566 ), redatto nel suo spirito, fece proprio quel grido col quale Lutero aveva già iniziato la sua lotta e che, in quel tempo, nessuno aveva difeso pubblicamente come cattolico: « L'intera vita del cristiano deve essere penitenza ».

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129 Conseguenza ne fu la rinascita dell'esegesi biblica, nella seconda metà del secolo XVI.
La decisione concernente la Vulgata, come testo autentico della Chiesa, non significa naturalmente una presa di posizione contro le lingue originali, anzi il concilio era per il loro studio.
130 Adolf von Harnack disse che se esso fosse apparso 50 anni prima e la Chiesa lo avesse tradotto in vita, la Riforma non sarebbe stata necessaria.
131 La concezione che nulla nel processo di salvezza possa giovare senza la grazia di Dio, non fu affatto negata nei decreti e nei canoni.
Ma nelle discussioni preparatorie, quindi non vincolanti, furono presentate ( non accettate! ) anche delle sentenze molto soggettive, e anche la fede dovette essere difesa contro delle formulazioni filosofiche; in tal modo i dibattiti risultarono importanti documenti della confusione teologica, allora imperante, e che riaffiorirà anche più tardi nella storia della Chiesa.
Il cardinale domenicano Gaude dichiarò, sotto Pio IX, che nei protocolli e negli atti del Tridentino si trovano cose dogmaticamente dubbie o scabrose, delle concezioni inclini al protestantesimo, addirittura spinte in qualche punto fino al « sola fides » …
132 In una forma estranea alla Chiesa, questo tentativo di riesumare l'agostinismo accanto al tomismo, fu ripreso dal giansenismo del secolo XVII.
133 Egli rappresenta un primo tipico esempio di quei tentativi, che divennero poi sempre più frequenti, di superare i contrasti dogmatici, servendosi il più possibile di assimilazioni.