La storia della Chiesa

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§ 84. Frutti e valutazione della Riforma

Sia la Riforma che i riformatori e, in particolare la figura di Martin Lutero, pongono, al di là di ciò che è storicamente costatabile, anche problemi di valutazione, la cui soluzione è della massima attualità, ma che è raggiungibile soltanto con l'aiuto dell'indagine storica.

I. Le istanze di Lutero

1. Lutero era una natura fortemente religiosa, un homo religiosus; soprattutto negli anni decisivi del suo sviluppo e della sua prima apparizione in pubblico, accanto e nelle innovazioni dogmatiche, si nota una straordinaria ricchezza di religiosità, profondamente cristiana.

Il suo valore e il suo fascino derivano dal fatto che egli riscoprì, per così dire, questo patrimonio, gli diede una nuova impronta esprimendolo in maniera viva - vale a dire egli si attenne in modo essenzialissimo ad una predicazione aderente alla lettera alla Sacra Scrittura.

Se lo si vuole giudicare equamente, bisogna separare con cura le sue istanze religiose dalle formulazioni teologiche, con le quali egli le rivestiva.

Le istanze religiose erano essenzialmente cattoliche.

Ciò si manifesta in particolare nella dottrina della giustificazione, che divenne eretica soltanto a causa di un'interpretazione unilateralizzante della sola fides in se stessa cattolica e in rapporto al rifiuto del sacerdozio sacramentale e della gerarchia ( vescovi, papato ).

Lutero era pieno di zelo per la gloria di Dio.

Dio doveva costituire, in quanto assolutamente Unico, il contenuto del cristianesimo.89

Perfino il concetto dell'autorità ecclesiastica, quale gli era presentato dal tardo Medioevo, in teoria e in pratica, nella gerarchia, nel papato e nell'episcopato, e che egli condannò così duramente, di per sé non implica affatto quale conseguenza necessaria la separazione dalla Chiesa.

Se, stando allo spirito della Bibbia e alla critica di san Bernardo di Chiaravalle ( § 50, IV ), lo si libera - com'è necessario - dalla concezione giuridica unilaterale di quel tempo e si mette in evidenza la sua funzione essenziale di diakonia alla Chiesa, l'abisso diminuisce.

Quanto più, in generale, i dogmi cattolici sono intesi nello spirito della Bibbia, cioè religiosamente, tanto più potrà farsi strada una comprensione reciproca.

L'aiuto più importante risulterà dallo sforzo di esprimere il pensiero e il linguaggio teologico, servendosi il più possibile delle categorie mentali e delle parole della Sacra Scrittura e non di concetti umani di propria scelta90 ( questo ammonimento va oggi insistentemente rivolto anche alla teologia e alla predicazione riformate ).

2. Senza sminuire in alcun modo la serietà e la profondità della dedizione religiosa di Lutero, va considerato il nuovo tipo della sua religiosità: in base a tutta una serie disparata di motivi, dopo gli anni trascorsi in monastero, egli si libera sempre di più e, infine radicalmente, da ogni elemento monastico e poi da quello clericale.

È da ricordare come, per quanto riguarda il Medioevo, spesso si sia dovuto costatare che, dal punto di vista religioso-ecclesiale, non si riusciva a soddisfare completamente il laicato nella sua peculiare natura.

Quell'esigenza legittima e non appagata trovò ora un'ipercompensazione in Lutero.

La sua dottrina della « invincibilità » della concupiscenza ed anche il suo modo di esprimersi manifestano questo fatto.

L'indagine ha il compito di stabilire dove si trovi questa ipercompensazione e dove gli elementi dell'ufficio sacramentale ancora esistenti in Lutero rendano possibile un concreto accomodamento.

3. Il contenuto di questa pietà cristiana reca inequivocabile l'impronta della Sacra Scrittura.

Ciò vale per tutti i riformatori e gli elementi centrali della Riforma nel loro complesso.

La realtà originaria della Riforma è data da un nuovo incontro con la Bibbia.

Ne è scaturito un processo creativo.

Il risultato fu una vera riscoperta della parola di Dio e della sua autorità.

Non è che quest'autorità fosse andata perduta; essa trovava espressione viva nel culto cattolico, le cui preghiere del messale si nutrono di Scrittura, essa si rifletteva nell'opera di alcuni teologi che ritroveremo a Trento.

Ma per ciò che concerne la realtà esterna della Chiesa intorno al 1500 o al 1517, essa appariva veramente come qualcosa di autonomo, di autorizzato da sé, quasi di scindibile dalla Scrittura.

È ancora necessario però comprendere che cosa fosse la « parola di Dio » per Lutero e per la Riforma in genere.

La Rivelazione è un'opera di Dio: Dio manda il Figlio suo nel mondo per redimerlo.

Per attuare questa redenzione Egli ci porta la Verità.

Questa comunicazione della verità però è, a sua volta, un operare in noi, è l'opera della redenzione per mezzo della parola, non soltanto un insegnamento.

La parola è portatrice della redenzione, è portatrice di Dio.

La Sacra Scrittura è Dio in mezzo a noi attraverso la parola.

La parola è quindi azione di Dio.

In essa Dio ha riposto la forza della redenzione.

Questa forza redentiva vien fatta nostra se la parola viene accettata nella fede.

Uno dei grandi processi di consunzione attuatesi nel corso dei secoli, ha fatto sì che questo carattere della parola, come redentiva, sia stato dimenticato a favore della concezione che fa di essa soltanto un insegnamento.

A questo svuotamento ha collaborato la teologia del tardo Medioevo.

Ne ha colpa però anche l'amministrazione ecclesiastica, specialmente quella papale, che, nelle sue esagerate pretese, riportava in quantità enormi parole della Scrittura, spesso servendosi di esse però per motivare e per elaborare delle concezioni che, primariamente, non erano contenute nella Scrittura o comunque non vivevano sufficientemente del Vangelo ( per es. l'idea del potere d'orientamento politico riferito al papa; la teoria delle due spade ).

Verso la fine del Medioevo, questo processo di svuotamento era ampiamente diffuso anche nella pratica e nell'interpretazione dei sacramenti e della messa.

Una delle cose che stava maggiormente a cuore alla Riforma era la riscoperta di quanto era andato perduto.

4. Ma perché la risposta che Lutero trovò nella Bibbia lo portò fuori dalla Chiesa cattolica?

La prova del fatto che egli abbia interpretato male testi decisivi della Scrittura è importante.

Ma non è suffidente.

Nel caso di Rm 1,17, per es., e nel problema della giustificazione ( § 82,II,2-3 ) si può dimostrare che la Chiesa offriva a Lutero quella soluzione che lui cercava.

Perché egli non la riconobbe come la verità e anche come la sua soluzione?

Una risposta globale è questa: la « Chiesa », sia come nozione sia come realtà, non rappresentava una grandezza primaria nell'educazione di Lutero e quindi nella sua coscienza.

Egli l'afferma ( cfr. sopra § 82,II,7b ); soltanto che della giustificazione e dell'unica autorità della Scrittura, Lutero parla ancora più spesso che di essa.

Ma la sua essenza e la sua funzione non gli erano chiare.

E questa colpa va addebitata al passato della Chiesa cattolica.

Per il Nuovo Testamento la realtà della Chiesa è semplicemente fondamentale.

Essere cristiano vuol dire accettare la Rivelazione dalle mani della Chiesa, quindi anche l'interpretazione che essa da alla Rivelazione.

Essere cristiano implica che io creda che la dottrina e la sua interpretazione possono superare la mia intelligenza.

La Rivelazione è affidata alla Chiesa, non al singolo.

Con ciò è fondamentalmente esclusa per definitionem una rivolta del singolo contro l'essenza e le fondamenta della Chiesa.

L'evoluzione cattolica aveva irrimediabilmente diviso la realtà « Chiesa » nelle varie accezioni:

1) della rappresentazione gerarchica e più precisamente curialistica e sovracurialistica;

2) della rappresentazione pratica cattolico-volgare nell'amministrazione, nella predicazione e nel culto e

3) del movimento conciliare; era difficile riconoscere l'unica realtà, sotto rappresentazioni così disparate.

Poiché inoltre, lo ripetiamo ancora, la Chiesa concreta apparentemente si nutriva così poco direttamente e immediatamente della parola di Dio, è comprensibile, anche se non giustificato, che Lutero non scoprisse con sufficiente chiarezza il nesso vitale intercorrente tra la Chiesa che insegnava autoritativamente e la Scrittura.

La Scrittura è il sedimento della Tradizione, la Chiesa è Tradizione, la Scrittura è conservata intatta soltanto nella viva Tradizione della Chiesa.

Questo, Lutero non lo vedeva più.

E questo difetto lo conserva l'intero protestantesimo ( in modo diverso e con alcune sfumature ).

5. Questa concezione è sorretta dalla costatazione che Lutero acquisì la sua nuova cognizione come esegeta scientifico, cioè nella disputa scientifica con singoli dottori del passato e del presente, quindi essenzialmente come solitario.

Ciò non significa che egli abbia dimenticato di pensare alla Chiesa e alla sua esegesi.

Nelle sue prime lezioni si può provare il contrario.

Se si considera però la naturalezza con la quale Lutero, nella sua giovinezza, accetta l'autorità della Chiesa, a guardar bene risulta chiaro che egli concepisce la « Chiesa » solo insufficientemente centrata nella gerarchia e da essa sostenuta.

È questione controversa se la sua teologia si sia sviluppata essenzialmente dalla sua visione della Chiesa ( Meinhold ).

Anche i singoli possono parlare nello Spirito Santo.

Si presume però che rimangano nella Chiesa; praticamente ciò vuoi dire che si sforzino di custodire la dottrina della Chiesa e la sua interpretazione della Scrittura.

Rimane la difficoltà già fatta rilevare e che molto pesava sul tardo Medioevo: in quel tempo era difficile stabilire dove fosse la vera Chiesa.

Ma, oltre a ciò, occorre ancora una volta rifarsi al carattere individualistico della mentalità e dell'essere di Lutero.

Egli comunque ascoltava poco la Chiesa.

Nella sua coscienza predomina la propria convinzione.

Il suo postulato è questo: soltanto la mia interpretazione corrisponde alla Scrittura; se dovessi insegnare altrimenti, dovrei dichiarare errata la mia dottrina, presa dalla Scrittura.

Se questa posizione nella polemica di Lutero può assumere qualche atteggiamento di presunzione, essa tuttavia ha per lo più nulla a che fare con il più profondo delle decisioni di Lutero.

Ciò può giustificare Lutero soltanto soggettivamente, ma non oggettivamente.

Lutero era assolutamente leale nelle sue esigenze di riforma e - nonostante gravi dubbi - nella fede nella sua missione.

Purtroppo la efficacia dell'opinione e della volontà personali, nonostante la sua importanza, è sempre limitata nel corso della storia.

Decisivo è una volta per sempre l'indirizzo oggettivo delle opinioni e delle idee.

Inoltre: in un solo punto la fiamma vulcanica dell'istanza missionaria dei primi anni non fu mantenuta pura: cioè nella già menzionata, terribile e talvolta quasi demoniaca istintività dell'odio, in modo speciale contro il papato.

6. a) Ma in questa delineazione storica non si tratta tanto di imputare a Lutero un qualche cedimento.

Ne si tratta affatto di provare una sua « colpa » personale, bensì di operare una valutazione immanente e quindi di compilare un inventario oggettivo.

Dal momento che conosciamo già Lutero sotto diversi aspetti, ci chiediamo: Com'è la struttura dell'uomo e della sua dottrina?

È compatta? Presenta lacune o contraddizioni?

b) Lutero ha spesso esposto la dottrina cattolica, per es. sui voti, sui sacramenti e sul papato, in modo oggettivamente falso: nel suo biasimo egli era spesso di una generalizzazione disarmante; la sua mancanza di controllo era assai grave e spesso prendeva le responsabilità troppo alla leggera.

È tragico che, pur possedendo molti talenti, non giungesse a riconoscere la forza e la purezza del nucleo dottrinale della Chiesa pur attraverso le dense ombre degli abusi del tardo Medioevo e la confusione teologica, e, accanto ad esse, coniasse invece nella sua generalizzazione l'ingiusta formula della « santità cattolica delle opere » bollandola quasi a fuoco sia nella coscienza dei contemporanei, come dei posteri.

c) Tutto ciò costituisce essenzialmente un addebito a carico di Lutero.

Ma non si può addossargli ogni responsabilità.

In primo luogo lo scusa soggettivamente il suo temperamento violento e lo stile barbarico dell'epoca.

Su Lutero influì, in modo deleterio, la natura della sua costituzione psichica violentemente unilaterale, anti-intellettualistica, prigioniera di se stessa, come pure l'enorme esaltazione a cui era giunto attraverso tutto un processo psichico-intellettuale e l'atmosfera che lo circondava; un processo che lo portò ad un vero mutamento di fondo, e lo pose spesso nell'impossibilità psicologica di veder chiaramente la propria realtà interiore.

Su di lui, come pure sui suoi compagni di lotta, agì inoltre negativamente la provocazione dei molti e colpevoli abusi ecclesiastici e, infine, come veleno, il calore e il furore della lotta ( di questa atmosfera arroventata Lutero stesso si rese corresponsabile con la sua natura impetuosa e con la sua impazienza ).

Ma a sua discolpa soggettiva va detto questo: il pensiero fondamentale di Lutero è la causalità universale di Dio.

Questo concetto era diventato per lui il contenuto totale del cristianesimo.

Alla luce di una simile concezione ogni elemento umano diventa non solo zavorra inutile o dannosa ma è considerato quale causa del pervertimento del cristiano nell'anticristiano, nel diabolico.

Si tratta in questo caso dell'essere o non-essere del cristianesimo e nessuna parola poteva sembrargli troppo aspra per condannare la realtà che egli riteneva in netto contrasto con esso e per dichiarare l'uomo peccatore.

7. a) Soltanto emarginando la questione della colpa soggettiva si può sgombrare la via per una critica interna che agisca maggiormente in profondità.

La cosa più importante è questa: Lutero ha giustamente riconosciuto nell'egoismo ( la famosa incurvitas ) il fattore capitale di ogni peccato.

Nonostante la grande umiltà che non gli mancava,91 l'« egoismo » è, per molteplici aspetti, l'errore capitale della sua dottrina.

Lutero era animato da una grande dedizione alla causa di Gesù Cristo e al suo alto mandato.

Egli non voleva essere altro che un evangelista.

E, se si vuole essere giusti, bisogna ammettere con riconoscenza che in molte centinaia di pagine dei suoi libri, e in molte delle sue prediche, egli ha annunciato in maniera pura ed esclusiva il Vangelo.

Ma bisogna analizzare l'opera intera e in essa, naturalmente, anche quelle parti nelle quali egli rifiuta l'obbedienza e rompe realmente l'unità.

E allora il problema si pone fra intenzione e realizzazione.

Molto presto in Lutero scomparve quel tratto sottilissimo che distingue lo zelo per la casa di Dio dalla presunzione con la quale egli pretendeva il riconoscimento della propria convinzione.

Quando ci si pone con forza irruente e geniale al servizio di un ideale, come nel caso di Lutero, allora solo un'umiltà eroica, cioè la santità, può impedire che quell'attività poderosa si permei di egoismo.

Luterò non possedeva un'umiltà del genere.

Egli non era un santo.

b) Questo sottile egoismo - col quale contrastava continuamente non solo la sua dottrina teologica dell'uomo peccatore completamente inerme ma anche la corrispondente esplicita confessione delle proprie colpe - non giunse a Lutero dal di fuori e non rimase qualcosa di accessorio nell'insieme del suo carattere.

Esso al contrario è abbarbicato, in modo funesto, alla sua stessa natura.

La scrupolosità del giovane Lutero ( che lotta eroicamente per il Dio misericordioso e per la retta strada che conduce a Lui e nello stesso tempo, con ostinazione quasi morbosa, fa valere soltanto la propria opinione ) come pure la forma del suo sentire e del suo conoscere in generale lo stanno a dimostrare.

Lutero è radicalmente soggettivistico; egli vede e riconosce soltanto ciò a cui il suo personalissimo carattere e il suo stato d'animo reagiscono.

Di qui l'unilateralità del materiale che dalla Bibbia - pur perfettamente padroneggiata - passa in lui, ma in modo da produrre frutto; il suo contenuto complessivo che offre dei chiari complementi alle unilateralità della dottrina riformista, alla assolutizzazione della sola fides, non è sufficientemente valorizzato.

Anche da questo punto di vista si spiega la sordità spesso completa per il suo stesso passato quando questo non quadrava più con la nuova concezione.

Lutero voleva seguire unicamente Dio.

Ma tutto l'insieme di questo volere era accompagnato, fondamentalmente, da una così grande attività dell'uomo Lutero, e la soluzione - che fu avvertita come soluzione imposta da Dio - era così espressamente reclamata da Lutero stesso, che in essa prevalsero di gran lunga le sue aspirazioni, la sua volontà e il suo bisogno.

Lo stesso prepotente volere si manifestò nell'annuncio ( nello scritto e nella predicazione ) della sua soluzione.

Lutero non fu mai completamente « uditore » della parola, per quanto egli volesse veramente esserlo.

La differenza, che qui maggiormente interessa, non è facile da vedere, ma è decisiva; Francesco d'Assisi può insegnarci a vederla: non essere ammaestrato da nessuno fuori che da Dio, vivere completamente di quest'unica forza ricevuta in dono, in una commozione interna capace di smuovere dei secoli, fare la volontà di Dio direttamente rivelata e - tuttavia - in quest'autonomia essere soltanto strumento e dedizione, soltanto servo, pronto ad ogni istante non solo a ritirarsi, ma, per così dire, a dissolversi realmente nell'attività estrema … Francesco ha realizzato questa sintesi eroica, Luterò no.

c) Il soggettivismo di Lutero nella scelta della dottrina non consiste nel non aver enunciato uniformemente, nelle sue prediche e nei suoi libri, l'intero contenuto della Scrittura, proprio tutto quello che essa contiene.

Nessuno ci riuscirebbe.

Ciò che si pretende è questo: ogni e qualsiasi osservazione relativa all'essenza della Rivelazione cristiana deve essere tale che ogni asserzione importante, contenuta in questa Rivelazione fatta da Dio, possa trovarvi posto.

La visione di fondo che Lutero da della Rivelazione cristiana è una scelta di orientamento soggettivistico poiché non è ampia a sufficienza per valorizzare elementi importanti della Rivelazione cristiana.

Questo - lo ripetiamo ancora - non ha in sé nulla a che vedere con l'intenzione egoistica, con la cattiva volontà.

Dal punto di vista della coscienza di Lutero, il suo soggettivismo è ubbidienza verso la verità conosciuta.

Si potrebbe pensare, in linea di principio, ad una profetica mancanza di compromesso.

Anche il rimprovero di « presunzione » - se la si intende nel senso usuale del termine e la si prende come caratterizzazione generale - lo si può accantonare come una categoria troppo piccola per rispetto al contesto e alla serietà religiosa di Lutero.

( Ne questo, d'altra parte, può valere come ritrattazione di quanto è stato detto della coscienza di sé di Lutero, ne può portare a minimizzare il grave peso della temerarietà di Lutero di fronte alle sue responsabilità [ cap. 5 ] ).

È un fatto che Lutero ha compreso tutto il Nuovo Testamento prendendo le mosse dalla giustificazione, addirittura ( con qualche riserva ) dalla giustificazione del singolo.

Ora, la « giustificazione » è senza dubbio una realtà centrale della Rivelazione cristiana.

Si può perfino, in un certo senso, dire che la Rivelazione graviti intorno alla giustificazione.

E tuttavia questo concetto non esaurisce l'intero contenuto della Rivelazione.

Accanto ad essa esiste un'intera serie di valori oggettivi.

Non è casuale che l'adorazione, nel pensiero di Lutero, non occupi un posto centrale e che il concetto della regalità di Gesù sia nel protestantesimo così poco basilare.

La critica, qui presentata, non viene annullata dalla precisazione seguente: Lutero conosce quasi tutti i testi della Bibbia, anche i sinottici, e li usa.

Questa ammissione è già implicita nella nostra analisi ( vedi sopra § 82,I,2 ).

Ma ciò che riveste un'importanza decisiva è la funzione ( fatta rilevare proprio dalle ricerche svolte da parte evangelica ) dei singoli testi nel contesto globale.

Questa funzione per ciò che concerne la nozione di peccato quale si trova nei sinottici, per ciò che riguarda la capacità dell'uomo di corrispondere alla grazia con le proprie forze, sia pure dategli completamente da Dio, è del tutto insufficiente a ridare degli elementi che si riscontrano nella Lettera agli Efesini, in quella ai Colossesi, nell'Apocalisse, come anche, per altro verso, nella Lettera di Giacomo.

d) Per quanto concerne poi la coscienza profetica a cui si è più sopra accennato, è decisivo il fatto che Lutero, esplicitamente, non volesse altro che annunciare la volontà di Dio definitivamente comunicata nel Vangelo, Egli perciò non si arrogava affatto il compito e l'autorità di un profeta veterotestamentario ( il quale non era soltanto interprete di una rivelazione già avvenuta, bensì strumento della sua prima comunicazione ).

Purtroppo anche per questo aspetto egli non fu un uditore pieno della Scrittura.

Lutero si dichiarava bensì pronto - e ciò egli affermava con insistenza - a farsi correggere dalla Scrittura, ma questa stessa Scrittura egli la interpretava nel senso su accennato.

e) Il movente più intimo di questa presa di posizione è ancora l'unilateralità.

Si tratta, come è stato detto, dell'esasperazione, annunciata con la massima serietà, della causalità universale di Dio trasposta in causalità unica.

Con ciò doveva scapitarne sia la collaborazione dell'uomo, concessagli da Dio nella giustificazione, come il riconoscimento dell'organizzazione storica della Chiesa.

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89 È chiara l'affinità dell'istanza centrale in Lutero, in Calvino e in Ignazio.
90 Questo tentativo attuato nel Tridentino ( § 89 ) è stato poi ripreso in maniera imponente nel Vaticano II.
91 Specialmente negli anni decisivi della sua evoluzione.
Poi, naturalmente, essa andò sempre più scomparendo; sia l'inebriante successo esterno, che la spinta impressagli dal processo stesso, agirono su di lui.