La storia della Chiesa

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§ 99. Il Quietismo

1. Alla forte accentuazione della volontà umana nel processo salvifico, proposta dai gesuiti, si opponeva, oltre al giansenismo, anche un'altra tendenza estremista, il quietismo, che sosteneva la perfetta passività nell'abbandono in Dio.

Ogni vera mistica ha in sé degli elementi « quietisti », anche la mistica cattolica dei secoli XVI e XVII; infatti, presupposto della vera preghiera mistica e della contemplazione è sempre la povertà interiore, l'annihilatio spirituale ( « desolazione » § 69,3 ).

Ma in quelle personalità schiettamente cattoliche non si giunge mai all'unilateralità, ne nel senso che abbia valore solo la vita contemplativa, ne nell'altro che ogni desiderio, anche quello della propria beatitudine, vada escluso nel rapporto dell'anima con Dio, e neppure nel senso che l'uso dei comuni mezzi di santificazione, offerti dalla Chiesa, venga spiritualisticamente sottovalutato.

2. a) Il quietismo unilaterale del secolo XVII, condannato dalla Chiesa, ( cfr. anche sotto ) poggia, dal punto di vista della storia dello spirito, su molte forme precedenti riscontrabili sia in Oriente sia in Occidente.

Già la grandissima, ma unilaterale valutazione della contemplazione della luce divina nella chiesa orientale, portava in sé dei pericolosi caratteri quietisti.

Anche l'Occidente, già nel Medioevo, aveva conosciuto qualcosa di simile nei « fratelli e sorelle del libero spirito ».

Essi avevano rifiutato non solo gli insegnamenti principali del cristianesimo, ma anche la legge morale.

I loro inizi si perdono nel buio, se ne sente parlare la prima volta nel XIII secolo.

La Spagna del secolo XVI ebbe gli alumbrados ( illuminati ) che pure presentano, anche se in forma molto blanda, tendenze quietistiche.

Anche qui la « contemplazione di Dio » andava di pari passo col lassismo morale.

Allo stesso modo, anche il pericolo panteizzante dell'unione con Dio nella mistica tedesca, rinvia in qualche misura in una falsa direzione la stessa tendenza aberrante.

b) A tutti i pericoli sopra ricordati ( cap. 1 ) soggiacque il prete secolare spagnolo Miguel de Molinos ( + 1696 ).

A Roma egli si trasformò da incensurabile direttore spirituale d'anime, zelante e di profonda pietà, in un quietista del genere descritto.

Egli affermava che la perfezione cristiana consisterebbe nell'abbandono in Dio, che altro non sarebbe se non assoluta passività dell'anima.

In molti eroi della riforma ecclesiastica del XVI secolo, anche in Filippo Neri, Teresa d'Avila, Francesco di Sales e Vincenzo de' Paoli ( cfr. § 97 ), nonché nei giansenisti, leggiamo di continuo dell'amore e anche del perfetto amore di Dio; ora si inneggia soltanto a questo amore, a questo amore per eccellenza: amour pur.

Non si condanna soltanto la preghiera di domanda ( all'infuori di quella per l'abbandono alla volontà di Dio ), ma anche lo sforzo personale sul piano morale.

Ci troviamo dinanzi ad uno spiritualismo irrealistico, che vuoi risolvere il problema del peccato e della debolezza della volontà eludendolo radicalmente: non desiderare nulla, non fare nulla, soltanto « preghiera di quiete ».

Nel quietismo del Molinos si trattava, in ultima analisi, del pericolo del soggettivismo radicale, così spaventosamente sviluppatesi nell'epoca moderna, del problema cioè se un'interiorizzazione personale presentasse soltanto dei valori positivi o se per caso non nascondesse anche dei rischi di anarchia.

E, ancora, si trattava della chiarezza del contenuto stesso della fede.

Infatti, nel totale venir meno di tutte le forze attive dell'uomo credente, la prima conseguenza è costituita dalla confusione della volontà del quietista con la supposta volontà di Dio; in tal maniera il concetto stesso di Dio è poi destinato a volatilizzarsi completamente.

Nella direzione spirituale, attuata secondo questi princìpi, si manifestò ben presto quanto in essi v'era di insano.

Pie monache non volevano più saperne di pratiche usuali imposte loro dalla Chiesa, ne di esame di coscienza.

Innocenzo XI censurò ( 1687 ) 68 proposizioni.

Esse però sono tolte da lettere inedite di direzione spirituale del Molinos, e la loro verifica, purtroppo, fino ad oggi non è stata permessa.

c) Il quietismo ha assunto una maggiore importanza nella storia della Chiesa, non appena alla disputa attorno ad esso cominciarono a partecipare le alte sfere dell'aristocrazia intellettuale francese.

Al centro si trovava la vedova M.me de Guyon ( + 1717 ).

Quale difensore e quale accusatore si fronteggiavano Fénelon, arcivescovo di Cambra! ( 1651-1715 ) e Bossuet, vescovo di Meaux ( 1627-1704 ); Fénelon, una personalità meravigliosamente tenera e ricca, nobile, sana, di una pietà teologicamente chiara, umanistica e profondamente fedele alla Chiesa, radicata nella libertà del cristiano ( « Un uomo che era un cristiano » lo definì Matthias Claudius ); Bossuet, prodigiosamente dotato, sicuro di sé, antipaticamente opportunista ed egoisticamente calcolatore.

L'ideale di M.me de Guyon non era affatto identico a quello del Molinos, e questo vale, a maggior ragione, per Fénelon.

Per esprimere un giudizio equo in questa questione, è necessario potere e voler distinguere con cautela.

Cosa quest'ultima che non rappresentava il lato forte dell'ambizioso Bossuet, l'« aquila di Meaux ».

3. La lotta presentava un aspetto marcatamente politico.

E la maniera in cui fu condotta nascondeva molto di umano, anzi di troppo umano.

M.me de Maintenon ( + 1719 ), la vera e propria arbitra della politica del paese, il cui consigliere spirituale fino allora era stato Fénelon, si allontanò da quest'ultimo, per evitare che la sua posizione ne fosse compromessa; Bossuet mostrò la sua capacità di dimenticare, in qualche modo, le leggi della lealtà e dell'amore per una politica di potere.

Proprio in tale circostanza emerse la grandezza di Fénelon.

Roma aveva resistito a lungo alle pressioni di Luigi XIV ( dietro al quale stavano come ispiratori la Maintenon e Bossuet ) perché venissero condannate le proposizioni controverse del Fénelon.

Quando la condanna ebbe luogo ( 1699 ), il breve, nonostante la censura delle proposizioni come « scandalose e temerarie », fu molto contenuto, anzi, in certo qual modo ristretto con delle clausole.

L'immediata sottomissione di Fénelon manifestò una grandezza d'animo non comune.

4. a) La pietà religiosa di Fénelon era sostenuta da qualcosa di più ampio della sua personale ricchezza interiore: dal riconoscimento incondizionato della Chiesa.

Egli stesso rese subito nota dal pulpito la sua condanna e la sua sottomissione e fece distruggere le copie rimanenti del suo libro.

La sua protesta di obbedienza finisce con queste parole: « Iddio non voglia che mai, quando ci si ricorderà dei presenti avvenimenti, si possa dire cosa diversa da questa: che un pastore ha riconosciuto suo dovere essere più obbediente dell'ultima pecorella del gregge ».

Questa era la realizzazione di uno dei suoi princìpi: non è necessario ne dimostrare ne difendere la religione, basta rappresentarla in maniera pura e chiara, perché è essa a dimostrare e difendere se stessa.

Matthias Claudius ha caratterizzato bene il grande vescovo.

« È poco per un cristiano aver ragione, per il filosofo è qualcosa.

Ma aver ragione e lasciarsi pazientemente considerare come uno che non ha ragione e dalla cui parte sta tutto il torto, significa vincere il male col bene.

Si fa più per la verità quando si costruisce su di essa, che non quando si combatte per essa ».

b) Non va dimenticato che anche Fénelon è uno dei grandi maestri di spirito del XVII secolo francese.

Egli fu un instancabile predicatore.

È una prerogativa sua quella di aderire strettamente alla Sacra Scrittura, a differenza dell'arte oratoria barocca, alla quale dobbiamo le Oraisons di Bossuet, letterariamente stupende, ma religiosamente ne allora ne oggi particolarmente fruttuose.

Di recente si è voluto scoprire nel Fénelon, con insistenza e altrettanto successo, l'assertore di una teologia della croce, e con ciò si è dato un senso cattolico ad alcune tesi centrali e decisive di Lutero ( P. Manns ).

Questo è tanto meno insidioso in quanto l'elemento cattolico qui non viene ne mutilato ne intorbidito, bensì approfondito.

Di conseguenza i tesori teologici delle opere del Fénelon potrebbero rivestire grande importanza per un fruttuoso dialogo ecumenico.

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