La storia della Chiesa

Indice

Capitolo secondo

Tensioni nel secolo XVII

Parte prima: le controversie teologiche

Nota preliminare:

Nei secoli XVI, XVII e XVIII in tutti i territori e in tutti i paesi, nei quali la Chiesa è ancora forte, si formano delle correnti separatistiche.

Come è già stato detto, da una parte si tratta dello sviluppo di tendenze, anteriori alla Riforma, verso una chiesa territoriale e nazionale; in secondo luogo il modello dei sovrani protestanti è una tentazione per i prìncipi cattolici, i quali vorrebbero essere, come i primi, « signori » della loro chiesa; in terzo luogo, a partire dalla Riforma, si manifesta una reazione al carattere esclusivamente neolatino del governo della Chiesa, della teologia e della pietà.

E infine queste tendenze vengono rafforzate da tutta una serie di questioni teologiche centrali della Riforma, le quali nel concilio di Trento erano bensì state sollevate da una dozzina di padri e di teologi ( Seripando e altri ), ma che non erano state elaborate e pertanto esercitavano un grande fermento in seno alla Chiesa.

I movimenti separatistici in questione sono il gallicanesimo, il giansenismo e il febronianismo.

È necessario però delimitare esattamente il contenuto del concetto « separatistico ».

Il suo significato e la sua portata mutano facilmente, e così pure quell'elemento che li caratterizza tutti, anche se in maniera tanto diversa: l'episcopalismo ( v. sotto ).

Per i tre movimenti appena ricordati, bisogna tener anche conto della maggiore o minore o crescente affinità col protestantesimo, con la sua teologia e con la sua pietà.

Ci troviamo dinanzi a una fecondazione che è bensì gravida di pericoli, ma che racchiude in sé anche dei valori positivi.

§ 98. Il Giansenismo

1. Se non si guarda alla complessa ricchezza del quadro, ma all'essenziale e ai motivi di fondo da cui scaturì l'elemento decisivo, si può dire che un unico problema da la sua impronta sul piano teologico-religioso tanto al XVI quanto al XVII secolo: è il problema teologico proprio dell'ambiente occidentale, il problema del raggiungimento della salvezza, e, più esattamente, dei rapporti tra grazia e volontà.

Questo problema, posto dapprima da Lutero, con straordinaria violenza al centro del messaggio cristiano - con la giustificazione tramite la sola fede, - assunse in Francia una particolare gravita con il calvinismo proprio per la sua fanatica e rigoristica dottrina della predestinazione, la quale, portando i princìpi alle loro logiche conseguenze, accettava l'idea di una positiva predeterminazione alla dannazione eterna.

In Francia, dove cattolicesimo e calvinismo si contendevano la palma, il problema qui insidiosamente celato divenne il centro di vivissime controversie teologiche.

Non si può capire l'attualità che sconvolgeva vasti strati di popolazione, ne l'origine, ne lo scopo, ne il contenuto di tali controversie sulla grazia da una parte ( cap. 2 ), ne, dall'altra, l'agostinismo e il rigorismo del giansenismo, ne il quietismo e nemmeno Francesco di Sales, senza aver riconosciuto la posizione centrale, per quell'epoca, del problema grazia-volontà.

Il moto protestante, sia con azioni sia con reazioni, aveva influito poderosamente sulla problematica teologica delle nuove, vigorose esigenze religiose, sia in quelle strettamente cattoliche ( gesuiti, domenicani, Francesco di Sales ), sia in quelle più marginali rispetto all'ortodossia ( giansenismo, quietismo ).

2. a) Il concilio di Trento aveva definito che le opere buone meritorie per la salvezza sono effetto della grazia e della volontà dell'uomo e che perciò la grazia, la sola decisiva, non viene accettata dall'uomo in maniera puramente passiva.

Sebbene l'indirizzo generale delle definizioni avesse posto in primo piano i fattori Dio e grazia, non era stato però definito come i due fattori Dio e volontà umana cooperino, ne il concilio aveva meglio illustrato se e in che misura la grazia agisca infallibilmente, ne come avvenga che una grazia, la quale agisce infallibilmente, possa rispettare la libertà dell'uomo.

La discussione di questi punti non chiariti originò una serie di teorie teologiche antitetiche ( sistemi della grazia e sistemi morali ).

Esse portarono a un lungo e ostinato conflitto dottrinale tra domenicani e gesuiti.

La controversia che toccava i misteri più profondi, che non potranno mai essere interamente sondati, di per sé può essere giustificata dal punto di vista scientifico.

Fu però portata avanti, per due aspetti, a danno della Chiesa.

Rare volte i limiti, posti alla problematica teologica, sono stati tanto trascurati come nella speculazione di quel tempo; rare volte le teorie sulla fede sono state tanto identificate col contenuto della fede ( o quasi, e con quale presunzione! ).

Questa critica resta giustificata, anche se in teoria, il carattere di mistero della cooperazione tra Dio e l'uomo, nella giustificazione, è stato messo sufficientemente in evidenza, in modo particolare dal domenicano Banez: però le sue distinzioni speculative hanno aperto la strada ad una eccessiva "curiositas" teologica e hanno portato a problemi insolubili e infruttuosi dal punto di vista religioso e cristiano ( v. sotto 3 b ).

Questa diatriba in campo teologico, avvelenata da reciproche accuse di eresia, divenne una questione che appassionò tutta la vita intellettuale del tempo.

È comprensibile che essa abbia contribuito ad accrescere il turbamento degli spiriti, già molto diffuso, e l'incertezza religiosa.

Il giansenismo ( e anche Pascal ) sfruttò questa situazione: contro le sterili speculazioni teologiche, esso, trattando il problema, sottolineava con particolare insistenza l'insopprimibilità del mistero come elemento costitutivo, purtroppo non senza cadere nel pericolo di un rigorismo religioso.

b) Coerenti al loro atteggiamento attivistico e antiprotestante e a una tendenza di fondo del secolo XVI, i gesuiti insistettero vigorosamente, anche in questo problema, sulla volontà umana e sulla libertà dell'individuo.

E in questa prospettiva redassero pure i loro trattati di morale.

In primo piano sta il problema di come l'individuo debba osservare la legge nel singolo caso; l'interesse per la comunità e per il suo ordinamento passa in seconda linea.

Siccome non è sempre facile, per un cristiano, in ogni caso particolare, distinguere con certezza ciò che è dovere e ciò che non lo è, i gesuiti insegnavano che, nei casi dubbi, si può considerare come lecito l'atto che abbia in sé un motivo ragionevole, anche quando la coscienza non può risolvere tutti i dubbi, anche se questi siano i più forti ( principio di probabilità = probabilismo ).

Il probabilismo fu sostenuto con diverse sfumature, anche dai domenicani, ad es. dall'eminente teologo spagnolo Bartolomeo de Medina ( + 1580 ), mentre all'inizio ci furono anche dei gesuiti che lo condannarono.

In seguito, la maggior parte dei gesuiti lo seguirono, tanto che egli diventò un punto di riferimento per la loro concezione morale.

Con questo sistema probabilistico, i gesuiti dimostravano di possedere una realistica visione della mediocrità morale in cui vive la maggior parte degli uomini; essi volevano aprire al maggior numero possibile di anime il cammino verso il cielo.

Inoltre, attraverso la sicura decisione che essi rendevano possibile, si eliminavano sterili scrupoli a favore di un sano operare ( Herman Hefele ).

Tuttavia il sistema nascondeva un certo pericolo di decadenza della serietà morale ( lassismo ).

Più che la teoria, è stata l'applicazione pratica del probabilismo a causare ai gesuiti l'accusa di morale lassista.

In realtà non solo la prassi dei gesuiti, confessori nelle corti europee, ma anche la loro letteratura religiosa pecca di un certo superficiale attivismo moralistico.

Il giansenismo ( come anche il movimento mistico di Francesco di Sales, Le Camus e Fénelon ) da questo punto di vista è una reazione della coscienza cristiana contro le esagerazioni del probabilismo.

3. a) L'accentuazione del valore dell'uomo nell'economia della salvezza e della libertà umana nella decisione morale incontrò la diffidenza e poi l'opposizione di quei teologi cattolici, che, nella problematica della Riforma ravvisavano ancora delle istanze cattoliche e che, d'altro canto, non volevano collaborare allo sviluppo della teologia battendo le vie della Scolastica barocca,172 ne condividevano il presunto puro tomismo, ma aspiravano a riformare la teologia attraverso un ritorno della Chiesa alla Sacra Scrittura e ai Padri ( Agostino ), considerati come le uniche autorità.

Queste tendenze rivestono un ruolo anche nella formazione del giansenismo.

Questo movimento così complesso e così vario nel suo sviluppo intrinseco e nei diversi paesi ( Belgio, Olanda173 e infine in Italia ) prende il nome da Giansenio, vescovo di Ypres ( + 1638 ).

Il giansenismo è un movimento di riforma in ambito religioso e teologico d'impronta rigoristica ( § 29,1 ).

Diverse condanne pontificie lo accostano ( parzialmente) al gallicanesimo ( anche al giuseppinismo e al febronianismo ), conferendogli così anche una rilevanza politica ( intervento in favore del regio placet ).

Date le sue origini e le sue tendenze, esso è essenzialmente l'avversario dichiarato della dottrina morale e della prassi pastorale dei gesuiti e quindi il nemico numero uno di questo Ordine.

La controversia di fatto si sviluppa in gran parte fra questi due campi, laddove il giansenismo ( contrario al centralismo ecclesiastico ) prende a cuore in modo particolare la difesa dell'autorità episcopale ( e anche dei parroci ).

b) Il giansenismo aveva dei notevoli precursori.

La preparazione remota è costituita dalla controversia sulla grazia, nella Spagna del secolo XVI, cioè dalla disputa tra il domenicano Domingo Banez ( 1528-1604 ) e il gesuita Luis Molina ( 1535-1600; molinismo ), relativa alla cooperazione tra volontà libera e grazia.

Secondo la dottrina del domenicano Bafiez ( che Molina tacciava di criptoluteranesimo o calvinismo ) l'azione divina sulla volontà umana ha luogo preventivamente ( concursus prae-vius, prae-motio, prae-determinatio ), e ciò sulla base della causalità universale di Dio che è valida anche per l'ambito della grazia e del soprannaturale.

A tale proposito egli asserisce che la grazia data da Dio è bensì sufficiente a che l'uomo ponga un atto ( soprannaturale ) meritorio per la salvezza, ma essa diventa efficace soltanto se sostenuta da un ulteriore intervento soprannaturale.

La mozione divina è definita irresistibile e infallibile.

Dio però muove ogni creatura in modo conforme alla natura della creatura stessa, cioè fa sì che quella non libera agisca per necessità e quella libera nella libertà.

Così l'opera salvifica dell'uomo e della sua libera volontà è assunta completamente da Dio e dalla sovrana sua Maestà e libertà nella sua economia creatrice e redentrice.

Molina, al contrario, costruisce partendo dalla libera volontà dell'uomo, la cui libertà rimane intatta anche sotto l'azione della grazia.

Ma per lui non esiste alcuna pre-mozìoae e pre-determinazione divina.

L'azione di Dio accompagna la decisione dell'uomo.

D'altra parte la grazia offerta all'uomo è sempre sufficiente; dipende dall'uomo, dalla sua accettazione che essa divenga efficace o meno.

Qui, nonostante venga sottolineata l'universale causalità efficiente di Dio, si mettono in pericolo la sua assoluta libertà e sovranità, cosicché questa dottrina poté venir tacciata di semi-pelagianesimo.

Il molinismo divenne addirittura complesso ( ed estraneo alla Bibbia ) con l'ultima sua posizione, ad esso essenziale, sul modo con cui Dio onnisciente prevederebbe la libera decisione dell'uomo - vale a dire l'accettazione o il rifiuto della grazia offertagli, - e questo perché, secondo tale teoria, non esiste, come nel sistema tomista-bafieziano, l'intervento divino che agisce sulla volontà.

Molina a tale scopo introduce la famosa dottrina della scientia media, di una conoscenza « media » di Dio.

Egli distingue tra il futuro reale e il futuro condizionato, statuisce perciò un ambito intermedio fra il mero possibile e l'evento futuro; Dio cioè, non conosce soltanto ciò che ogni uomo farà realmente, ma anche ciò che ogni uomo in ogni situazione possibile farebbe, e anche, in ogni circostanza, come coopererebbe, per libera decisione, con la grazia eventualmente elargita.

In base a tale conoscenza Dio stabilirebbe la sua elargizione di grazia all'uomo.

c) L'intervento dell'Inquisizione, indagini condotte sotto Clemente VIII e Paolo V da una « commissione per la grazia » appositamente istituita ( 1597-1607 ), non raggiunsero nessun risultato univoco; ambedue i papi, infatti, si rifiutarono di approvare la condanna di Molina.

Paolo V, nel 1607, dichiarò che la dottrina di Banez non era calvinista; proibì la reciproca accusa di eresia ( cosa che fece pure Urbano VIII ).

d) Il giansenismo aveva avuto un immediato precursore nella dottrina di Michele Baio ( + 1589 ), professore a Lovanio, il quale aveva criticato aspramente la Scolastica, ed era ritornato ad Agostino, interpretato tuttavia unilateralmente in senso antipelagiano.

Dopo che Pio IV ebbe imposto il silenzio alle parti contendenti, la dottrina di Baio fu condannata dalle università di Alcalà e Salamanca ( contro Lovanio) e quindi da Roma ( Pio V nel 1567, Gregorio XIII nel 1580 ), riconoscendole però un certo contenuto di verità.

Baio ( con alcune riserve ) si era sottomesso.

Ora il vescovo Giansenio - anch'egli era stato professore a Lovanio - riprese nuovamente le sue idee.

I princìpi di Giansenio sono contenuti nel libro postumo, assai erudito, Augustinus, che per un secolo costituì il centro focale della controversia giansenista.

Punti di partenza della teoria sostenuta sono le posizioni più tarde e rigoriste di sant'Agostino sulla grazia e sulla predestinazione che vennero da Giansenio ancor più acuite.

Egli insegnava non soltanto che il peccato originale ha leso le facoltà naturali dell'uomo, ma, cadendo in un radicale pessimismo teologico, che alla concupiscenza non si può resistere.

L'umanità è, come per Agostino, una massa dannata; Gesù è morto soltanto per gli eletti, i quali, soli, ricevono la grazia.

Ma neppure a questa si può resistere.

Ciò che è richiesto all'uomo è che egli si mantenga in pieno amore davanti a Dio.

Ha da operare la sua salvezza in timore e tremore; il dolore imperfetto non basta; il probabilismo è un grave e pericoloso misconoscimento del dovere imposto al cristiano; questi non può osare di accostarsi con leggerezza alla santa Comunione.

La critica risolutiva fu portata soprattutto dai gesuiti.

Una prima condanna si ebbe nel 1642, per opera di Urbano VIII e, più tardi, di Innocenze X ( nel 1653; condanna cinque proposizioni; v. cap. 4 ).

La prima bolla di Urbano VIII doveva ripetere soltanto la condanna di Baio; ma istanze subalterne di curia aggravarono le condanne.

Col tempo, specialmente in Francia, troppi presero a criticare con eccessiva leggerezza.

Nel XVIII secolo chiunque difendesse la dottrina della grazia di Agostino e auspicasse delle misure più severe in religione, veniva sospettato di essere giansenista ( eretico ).

e) L'importanza per la storia della Chiesa di queste dottissime dispute professorali a Lovanio ( e a Parigi ) consiste nel fatto che da esse scaturì un vasto e profondo movimento nel campo della teologia e della pietà.

Per quest'ultima è importante il rapporto con la riforma cattolica in Francia, così come viene presentata da De Bérulle.

Fautore del movimento in Francia fu l'abate commendatario del monastero di Saint-Cyran ( Jean Duvergier de Hauranne, + 1643 ), amico di Giansenio fin dal tempo della sua permanenza a Lovanio, il dottor Antoine Arnauid ( + 1619 ), e anche il figlio Roberto, che Duvergier, chiamato « Saint-Cyran », introdusse a corte.

Già Duvergier non aveva più il rigore teologico sistematico di Giansenio; il suo interesse andava prevalentemente ad una riforma religiosa, da effettuarsi attraverso un ritorno all'antica austerità della Chiesa, che insegna all'uomo ad umiliarsi dinanzi a Dio, non servendosi della scienza, ma del raccoglimento interiore.

Ancora più sensibilmente si allontana dal sistema di Giansenio Antoine Arnauid che più tardi si serve addirittura di san Tommaso per le sue argomentazioni.

Un centro celebre in Francia divenne il monastero delle monache cistercensi di Port-Royal a Parigi, poi, dopo la morte di Duvergier, il monastero omonimo presso Versailles ( la cui badessa era la severa riformatrice, sorella di Arnauid, « Mère Angélique » ).

Nel monastero stesso ( nel quale entrarono sei figlie del più giovane Arnauid ), come pure in un circolo informale di distinti e dotti uomini, che vivevano nella sua ombra ( gli « eremiti » ), si professava una austera dottrina sulla grazia, da cui si deduceva una altrettanto austera concezione della vita religiosa.

Verso Dio, che liberamente predestina gli uomini alla vita futura e soltanto ad un piccolo numero di essi, mediante una grazia irresistibile, dona la salvezza, si possono alzare gli occhi soltanto tremando; ci si può accostare alla Comunione raramente e soltanto dopo un esame rigoroso; deve rivivere la disciplina penitenziale degli antichi tempi cristiani ( in antitesi con la Comunione frequente dei gesuiti e il loro probabilismo da una parte, e con l'immoralità crescente e l'eccessiva mondanità dall'altra ).

4. a) Nei confronti della condanna delle cinque proposizioni tratte dall'Augustinus, da parte di Innocenze X nel 1653 ( cap. 3,c ), i giansenisti tentarono di reagire attraverso tutta una serie di distinzioni, affermando che le proposizioni erano state giustamente condannate come eretiche, ma che esse non si trovavano così come erano enunciate nel libro di Giansenio e che la Chiesa non poteva decidere infallibilmente circa un fatto di questo genere o altro analogo ( non rivelato ).

Per ovviare ad un esplicito riconoscimento della condanna, alcuni vescovi proposero di limitarsi a un « ossequioso silenzio ».

Entrambe queste scappatoie furono condannate da Alessandro VII ( 1656 ).

Si ebbero nuove controversie e nuove condanne.

L'ostinazione di Port-Royal fu rafforzata dalle idee conciliari sostenute dall'assemblea generale del clero francese ( § 100,2b ).

Ne la lotta condotta da Luigi XIV per motivi politici contro il giansenismo dopo il 1660 ( egli esiliò Arnauid e Quesnel ), ne l'interdetto contro Port-Royal ( 1664 e 1707 ), ne una discorde politica di conciliazione da parte di Clemente IX e di alcuni vescovi francesi ( 1669 ), e nemmeno la soppressione ( decisa dal governo con l'approvazione del papa, nel 1709 ) e la distruzione di Port-Royal ( 1710-12 ), posero fine al conflitto.

b) Esso si ridestò anzi, con maggiore violenza, a causa dei libri del dotto e pio oratoriano174 Pascasio Quesnel ( 1634-1719 ), che rimase, dopo la morte di Arnauid, il corifeo del giansenismo.

Quesnel sviluppò fino all'estremo ( specialmente nelle sue Réflexions morales e negli scritti successivi, difesi anche da taluni vescovi ) le tesi teologiche di Giansenio: la Chiesa è invisibile ed è costituita soltanto dai pochi eletti, poiché la volontà salvifica di Dio non è universale.

Malgrado la duplice condanna di Clemente XI, in modo particolare ( per desiderio di Luigi XIV ) nella famosa costituzione Unigenitus ( 1713 ), la controversia ( con alcune distinzioni e riserve come prima ) assunse le forme più pericolose e più nefaste; infatti, lo spirito gallicano dell'idea conciliare s'infiltrò sempre più nelle controversie, cosicché a più riprese si appellò ad un concilio generale.

La Francia cattolica era divisa in due campi.

Si ebbero dispute eccitate ed eccitanti contro le condanne papali.

In terra olandese ( dove molti giansenisti avevano trovato rifugio ) si giunse perfino al già ricordato scisma di Utrecht, che, a dire il vero, non ha avuto grande risonanza, anche se perdura tutt'oggi.

5. Il giansenismo, che nelle esposizioni del Duvergier e dell'Arnauid esigeva in maniera così marcata il perfetto amore di Dio, con le sue idee ostinatamente rigoristiche e con la sua insubordinazione arrecò un grave colpo all'unità della Chiesa e alla vita della Chiesa in Francia.

La scissione tra avversari e fautori di Roma penetrò in tutta la vita della nazione.

Non per ultimo, poi, le controversie provocarono il disprezzo dei contemporanei e fecero avanzare lo scetticismo.

La mancanza di unità nelle soluzioni e le sottili distinzioni, dalle quali, con tanta serietà, si faceva dipendere la salvezza o la dannazione eterna, spinsero gli spiriti irreligiosi a chiedersi quale valore potesse avere una simile religione.

D'altra parte, il rigorismo, sia dogmatico che morale, costituiva per molti un gradito pretesto per rimettere tutto alla grazia vittoriosa, e per non tentare prima, con le deboli forze umane, il fatto certo impossibile di una degna preparazione ai sacramenti.

Il rigorismo, inoltre, distrusse la vera fiducia che viene dall'amore e che cerca l'amore del Signore.

Come accade sempre di nuovo nella storia, la tendenza assolutizzata ad un'interiorizzazione unilaterale e ad un rigorismo esasperato, nonostante tutta la sua serietà e considerata nella sua globalità, non diede origine ad una feconda vita religiosa, ma la indebolì.

Ha trovato qui conferma una legge storica, per la quale il rigorismo unilaterale sfocia nel suo opposto: esso generò tiepidezza e lassismo.175

Si deve inoltre osservare che questa controversia fra gesuiti e giansenisti ebbe luogo in un periodo in cui ancora erano vive le lotte tra cattolici e ugonotti.

Per un secolo intero, la controversia giansenista scosse profondamente la chiesa gallicana, un tempo così fiorente, ed ebbe fine soltanto col suo esaurimento.

6. La reazione da parte della Chiesa denunciò una certa mancanza di tatto: inutile violenza, collusione, religiosamente sospetta, con la politica, atteggiamento poco chiaro di Clemente IX.

Ma, nel complesso, la Chiesa ancora una volta si rivelò come il sistema del giusto mezzo, della piena realtà cristiana.

E questo, proprio nel caso del giansenismo, non poteva certo apparire come cosa ovvia.

Di fronte alla secolarizzazione non ancora superata del Rinascimento, di fronte ad una sua riviviscenza ( o al suo perdurare ) nella mondanizzazione, che si affermava nuovamente in maniera allettante nella vita della nobiltà e dell'alto clero, di fronte ad un atteggiamento accomodante che andava insinuandosi nella prassi e perfino nella teologia morale dei gesuiti, di fronte a tutto ciò poteva costituire una tentazione grave quella di considerare provvidenziale il serio e austero spirito del giansenismo, che tanto sembrava proteggere il carattere radicalmente religioso della Chiesa e che in parte sosteneva, anche di fronte al gallicanesimo, i suoi diritti politico-ecclesiastici.

Ma nonostante tanti preziosi elementi, la Chiesa riconobbe l'estremismo contrario allo spirito cattolico e lo rifiutò.

La pervicacia settaria e il separatismo del giansenismo, la sua lotta spregiudicata contro i gesuiti e più tardi anche contro Roma ( che tanta gioia arrecò a Voltaire ), dimostrarono nel secolo XVIII l'elemento disgregatore insito in esso e diedero ragione alla Chiesa.

La Chiesa rimase chiesa universale nella quale tutti gli uomini possono essere redenti; una volta ancora ( § 17,1 ) essa rigettò da sé ciò che avrebbe voluto limitarla ad una conventicola e mostrò di conoscere a fondo le condizioni di mediocrità dell'animo umano e condannò il rigorismo.

Ma la Chiesa anche per un altro aspetto rimase fedele alla vastità del piano salvifico di Dio; essa condannò la proposizione giansenista secondo cui, al di fuori della Chiesa, non può esservi grazia ( Unigenitus, proposizione 29 ).

Una concezione simile essa sostenne nella condanna, ripetuta ed espressa in varie formulazioni, della restrizione dell'universale volontà salvifica di Dio, dell'affermazione dell'assoluta inutilità delle forze naturali dell'uomo e dell'assoluta impossibilità di salvezza per gli uomini nell'Antico Testamento.

Essa difese pertanto il concetto delle « vie straordinarie della grazia », di così grande importanza per l'intelligenza della nuova epoca.

Con tutto ciò, certamente, non è detto che gli avversari del giansenismo ne abbiano riconosciuto gli elementi positivi e, nonostante la condanna, si siano sufficientemente adoprati per renderli fecondi.

7. Nella lotta del giansenismo si manifestò ancora una volta la straordinaria forza dissolvitrice, per la religione, del particolarismo ecclesiastico, cioè della insubordinazione alla Chiesa: energie ricchissime, militanti nelle file del giansenismo, che potevano concorrere a risanare la Chiesa, corsero il pericolo ( nella situazione concreta di quel tempo ) di servire al contrario.

L'esempio più eloquente è Biagio Pascal ( + 1662 ), l'inesorabile puntualizzatore della miseria morale dell'uomo, il geniale matematico e inventore, il grande credente, il brillante scrittore, il profondo difensore della fede, eppure - certamente contro la sua volontà - ha arrecato tanto danno alla vita della Chiesa.

Egli, che nei suoi « Pensieri » ha scritto genialmente sulla verità della fede e sull'ansiosa ricerca della verità, che come scienziato è anche un'apologià vivente della fede, e con la sua lingua classica, ha dimostrato che la fede cattolica è il coronamento di un'elevatissima civiltà, che viveva di un'ardente pietà che si impone al rispetto di tutti, ha concorso anche, per troppo zelo, a preparare lo spirito di indifferenza e di ostilità verso la chiesa dell'illuminismo, per quanto un illuminista non abbia il benché minimo diritto di appellarsi ad un pensatore così radicalmente cristiano di una theologia crucis.

Le sue « Lettere a un Provinciale ( gesuita ) », impareggiabili per ricchezza e potenza di spirito ( scritte nel 1656-57 nel vivo della lotta, ben presto ebbero più di 60 edizioni ), portano, con le citazioni avulse dal contesto, anche il primo grave colpo contro i gesuiti.

Esse, naturalmente, impersonavano anche una legittima protesta della coscienza cristiana contro gli eccessi del probabilismo.

La loro serietà morale si dimostra anche nell'aver saputo fustigare, con tanta finezza, l'immoralità dilagante nell'alta società francese.

Per giudicare equamente Pascal, è necessario, come è doveroso fare quando si tratti di grandi personalità storielle, distinguere tra ciò che egli voleva e l'effettiva sua influenza sulla storia; pur tenendo presente la sua critica acre e corrosiva, non va per altro dimenticato che egli a trent'anni rinunciò a una brillante carriera per vivere esclusivamente la religione della croce, fino alla sua morte, che gli venne per amore di un fanciullo malato.

Tutto questo non va trascurato quando si riflette sulle sue geniali, ma anche pericolose intuizioni circa la limitatezza della ragione per attingere Dio e il divino.

Che « il cuore abbia le sue ragioni che l'intelletto non conosce » è una verità contro la quale non vi è nulla da obiettare.

Ma è pericoloso escludere completamente la ragione e dire: « è il "cuore" che sente Dio, e non la ragione ».

L'importanza di Pascal per la storia della Chiesa va ancora oltre: con l'evoluzione della vita intellettuale e religiosa, il nostro tempo è riuscito a superare quanto nella sua personalità e nella sua influenza era legato alla sua epoca.

Per questo la potenza della sua spiritualità religiosa appare oggi in maniera più chiara che non nel secolo XVII.

Le sublimi profondità dei suoi pensieri lasciano dietro di sé le unilateralità del giansenismo, probabilmente per il fatto che egli, a differenza di Giansenio e di Quesnel, non ha mai tentato di racchiudere, in un sistema teologico, il mistero della cooperazione della grazia del Dio severo con la miseria dell'uomo.

I suoi « Pensieri » sono innanzitutto un balbettio cristiano, del tutto legittimo, al cospetto della tremenda maestà divina.

Ma Pascal riserva anche delle sorprese.

Egli, il rigorista, può scrivere una confessione come questa: « Il segreto per vivere felici e contenti consiste nell'essere in pace sia con Dio sia con la natura ».

E quanto è inesauribile questa frase che egli fa dire all'uomo e che potrebbe essere di Agostino: « Tu non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato »!

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172 Questa non rappresenta soltanto un legittimo lineare sviluppo dell'alta Scolastica, ma - dal punto di vista filosofico - procede verso una pericolosa razionalizzazione ( da non identificarsi, com'è ovvio, con razionalismo ).
173 Ove lo sviluppo progredì fino alla fondazione della chiesa scismatica di Utrecht ( 1723 ).
Il giansenismo in Italia trovò espressione nel sinodo di Pistola del 1786 ( § 105, 4 e 5 ).
174 Quando però gli oratoriani gli imposero una ritrattazione a causa del suo giansenismo, egli fuggì.
175 Ciò non significa, naturalmente, che questo mutamento nell'opposto si sia in concreto verificato nei capi così religiosamente notevoli e nell'elite del giansenismo; le conseguenze del sistema, però, presero questa china, aumentando in tal modo l'immoralità, che nella vita stava già prendendo il sopravvento.