Paolo VI e la costruzione della civiltà dell'amore

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5. Civiltà dell'amore è qualità dello sviluppo, è sviluppo plenario, solidale, comunitario, planetario, aperto alla trascendenza

Come già detto, per Paolo VI costruzione della civiltà dell'amore significa umanizzazione delle relazioni, delle istituzioni, delle leggi, dei costumi.

Chi ama sinceramente Dio è, conseguentemente e coerentemente, dedito a configurare l'intera convivenza ad ambiente favorevole alla crescita dell'uomo, di ogni uomo considerato nella sua integrità.

Ambiente atto e non alienante è quello che consente a tutti, mediante l'organizzazione del vivere sociale, delle sue forme di produzione e di consumo, di sperimentare la propria natura più profonda, fatta per trascendersi nel dono di sé e per vivere in un'autentica comunità di solidarietà.

Entro questa prospettiva, la proposta – presentata sia pure in termini diversi dalla lettera apostolica Octogesima adveniens ( = OA ), che qui non consideriamo per mancanza di spazio;21 e, poi, dell'enciclica Popolorum progressio ( = PP )22 – di uno sviluppo plenario, solidale, comunitario, planetario, aperto alla Trascendenza, appare elemento costitutivo della ricerca del bene delle persone e delle comunità, in una parola, della civiltà dell'amore.

Tenendo presente che la categoria dello sviluppo plenario include le varie dimensioni del compimento umano in Dio, si può dire che tende a divenirne un sinonimo, e altrettanto dicasi per il termine pace.

La pace non solo è sostanziata dallo sviluppo plenario, frutto di una giustizia più piena e di un amore più grande.

Vi si invera esaustivamente, perché tale sviluppo, oltre ad essere un fatto quantitativo, strutturale, istituzionale, è realtà eminentemente qualitativa, antropologica ed etica.

E per questo – come afferma icasticamente Paolo VI – esso può essere considerato « il nuovo nome della pace » ( PP n. 87 ).

Un discorso analogo può essere fatto per la civiltà dell'amore.

Lo sviluppo plenario, infatti, è crescita dell'umanità, è crescita in umanità.

È universale compimento dal punto di vista non solo economico, ma soprattutto etico, culturale e religioso.

È, in particolare, crescita nella capacità di rapportarsi con il creato, con l'altro e con Dio, vivendo l'amore stesso di Cristo per essi.

Per Paolo VI, l'unità nella carità di Cristo è la condizione delle condizioni per passare a uno sviluppo più umano ( cf. PP n. 21 ).

L'autentico sviluppo implica, in particolare, sia il riconoscimento che l'uomo supera infinitamente l'uomo, sia la subordinazione, senza tuttavia sminuirne l'importanza, dell'avere all'essere, dell'economico ai valori etici e spirituali.

In ultima analisi, lo sviluppo plenario fa tutt'uno con un umanesimo aperto all'Assoluto ( cf. PP n. 42 ), ai valori superiori dell'amore, dell'amicizia, della preghiera e della contemplazione ( cf. PP n. 20 ).

Rimanda a un'umanità che vive nella comunione, nell'accoglienza reciproca, nella fraternità, nella giustizia, nel mutuo potenziamento ( cf. la parte seconda della PP ).

In definitiva, per Paolo VI lo sviluppo globale e comunitario trova rispondenza e coincidenza, sul piano non solo dei contenuti etici, spirituali, culturali, con la civiltà dell'amore, ma anche su quello delle strutture e delle istituzioni.

Ovunque si voglia realizzare sia lo sviluppo plenario che la civiltà dell'amore, non può mancare un corpo di strutture e istituzioni plasmato dal genio e dalla fantasia della carità universale ( cf. PP n. 75 ).

La civiltà dell'amore è costituita dall'umana convivenza in cui il conoscere, il fare, l'avere sono orientati all'essere di più, ad accrescere le capacità di vero e di bene, in Dio.

È l'immedesimazione progressiva, sia pure imperfetta, della socialità umana in quella trinitaria e, quindi, un tentativo permanente di superare le ingiustizie e le condizioni disumane, che reificano l'uomo.

Successivamente, sul tema dello sviluppo sono tornate le due encicliche di Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis ( = SRS )23 e Centesimus annus ( = CA ).24

La prima ne ha evidenziato la dimensione teologica, cristologica, ecclesiologica e solidarista.

La seconda lo ha contestualizzato nella globalizzazione e ha indicato la via regia della sua attuazione nella destinazione universale dei beni.

Tra i beni la cui accessibilità deve essere aperta a tutti, perché strategici per la crescita di ogni popolo, sono evidenziati,

oltre alla proprietà della terra e del mestiere:

la conoscenza;

il sapere;

la tecnica;

il libero mercato, orientato dai soggetti sociali verso il bene comune;

la famiglia, come società naturale fondata sul matrimonio;

l'ecologia umana;

l'ambiente da salvaguardare;

l'impresa, come « comunità di uomini »;

la democrazia fondata su valori;

lo Stato di diritto;

lo Stato che interviene nell'economia e nella società secondo il principio di sussidiarietà;

la pace;

un'economia sociale sviluppata sul piano nazionale e mondiale;

e, soprattutto, il bene dei beni che è la persona, educata in modo integrale dal punto vista professionale, etico e religioso.

In ultima analisi, secondo la CA, che attualizza egregiamente la PP, in contesto di globalizzazione la civiltà dell'amore prende forma non solo mediante la disseminazione di adeguate istituzioni market o non-market, ma anche mediante l'universalizzazione di un umanesimo integrale, solidale e aperto alla Trascendenza.

Non basta offrire a tutti opportunità eque o capacità ( capabilities ), come ha opportunamente ed eloquentemente caldeggiato più volte Amartya Sen.25

Opportunità di ascesa e possibilità di scelta devono essere gestite alla luce del bene umano.

Occorre che la libertà morale delle persone – favorita da opportunità economiche, libertà politiche e servizi sociali, condizioni preliminari di buona salute, di istruzione di base, di incoraggiamento e di sostegno alla libera iniziativa – si attui in modo da accrescere la propria e l'altrui dignità.

In un momento storico in cui la liberalizzazione spinta dei mercati, per certi versi, sta facendo rivivere forme di capitalismo selvaggio – non si dimentichi che Paolo VI, attirandosi critiche pungenti e immeritate da parte di cattolici benpensanti,26 ne condannò le versioni ottocentesche presenti nei Paesi in via di sviluppo –, l'insegnamento equilibrato della PP rappresenta un forte richiamo a che nel nostro tempo non prenda il sopravvento « un'ideologia radicale di tipo capitalistico ».27

Il capitalismo oggi si presenta con aspetti diversi da quello esaminato dalla PP.

Basti anche solo pensare ai progressi tecnologici, alla finanziarizzazione e alla più accentuata integrazione delle economie di tutto il mondo.

Come e più di allora urge l'opera regolatrice della politica e delle società civili sui mercati, per superare le conseguenze esiziali e fatali dovute al prepotere di una governance globale in assenza di istituzioni di un governo globale.28

Rispetto alla realizzazione di un governo mondiale proposta da Giovanni XXIII nella Pacem in terris della quale ricorre quest'anno il quarantesimo anniversario,29 Paolo VI appare più attento alle tappe intermedie ( cf. PP n. 43 e n. 78 ).

E tuttavia, nella sua enciclica non manca la prospettiva di un quadro progettuale, sintetico sì, ma di sorprendente modernità.

La soluzione dell'annoso problema dello sviluppo dei popoli non può avvenire eliminando uno dei poli del trinomio politica-libero mercato-società civile, oppure enfatizzando uno degli elementi a scapito degli altri.

Nella consapevolezza dei limiti e pregi dell'intervento politico, nonché dei mercati e delle società civili ( costituite da famiglie, istituzioni culturali, comunità religiose, ecc. ), occorre trovare nuove forme di integrazione reciproca, orientandole alla realizzazione del valore superiore della giustizia sociale, che non sollecita solo a distribuire la ricchezza, ma anche a produrla, e incrementando i processi democratici, specie mediante la partecipazione di tutti i popoli e società civili nelle istituzioni e nella cooperazione transnazionali.

Sono sempre valide, ardite ed esigenti le direttive di azione offerte da Paolo VI specie per i popoli in via di sviluppo: leggi di riforma della proprietà, di regolamentazione dell'uso dei redditi ( cf. nn. 22-24 ); politiche e culture umaniste del lavoro ( cf. n. 21 ); politiche urgenti di riforme strutturali, profonde e innovatrici ( cf. nn. 29-32 ); programmazione o pianificazione globale ( non totale! ) dell'economia ( cf. n. 34 ).

Come, infine, non ritenere saggi e proficui i mezzi e le metodologie per aiutare efficacemente i popoli più poveri, così specificati dalla PP:

cooperazione internazionale, concertata e programmata per realizzare, mediante istituzioni sempre più adeguate, il bene comune universale ( cf. n. 47 );

assistenza pianificata, multilaterale e dialogata ( cf. nn. 54-55 );

rifiuto dell'assistenzialismo internazionale ( cf. nn. 48-49 );

costituzione di un fondo mondiale per i popoli in via di sviluppo, alimentato da una parte dei finanziamenti già destinati alle spese militari;

riforma delle relazioni commerciali, improntandole a criteri di equità e di giustizia sociale;

collaborazione economica a livello locale fra i Paesi in via di sviluppo ( cf. n. 64 );

sussidiarietà, solidarietà, carità universale e fraternità?

L'alternativa alla mancata rivoluzione evangelica dell'amore è, per Paolo VI, la probabile rivolta, violenta e distruttrice, degli oppressi: « Si danno certo delle situazioni – scrive il pontefice – la cui ingiustizia grida verso il cielo.

Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana » ( n. 30 ).

Per noi, che viviamo in un mondo sull'orlo della guerra planetaria – si pensi ai tanti focolai di violenza, alle nuove forme di terrorismo sofisticato e spietato, alle sbrigative teorizzazioni della cosiddetta guerra preventiva,30 – la lettura dei passi appena citati non può che risuonare come un appello drammatico e ammonitore.

In modo pressante si è ancora posti di fronte al bivio della guerra o della pace, dell'odio o dell'amore.

Ogni progetto di civiltà dell'amore appare oggi messo in mora e anche apertamente contraddetto – oltre che dall'ideologizzazione della "guerra preventiva", che scarta sbrigativamente le vie alternative e non si impegna a togliere le cause dei mali sociali, economici e politici – dal terrorismo moderno, trasformatosi in una rete oscura di complicità politiche, che si avvale di ingenti risorse tecniche e finanziarie.

Esso – come peraltro farebbe un'eventuale "guerra preventiva" – scuote l'intera comunità internazionale, semina desiderio di vendetta, odio, morte.

Manifesta soprattutto disprezzo totale della vita, strumentalizza Dio e la religione.

L'invocazione del nome di Dio diventa non solo profanazione e bestemmia,31 ma attacco maligno alla visione della vita e alla cultura della civiltà dell'amore di cui è la negazione più radicale.

Quando Dio, principio primo della pace, è trasformato in un moloch sanguinario, la civiltà dell'amore perde non solo il suo Creatore, ma anche il sostenitore più appassionato, Colui che ha dato per essa tutto quello che "possedeva", la cosa più preziosa, suo Figlio.

Il nuovo terrorismo, che le opportunità stesse della globalizzazione rendono più diffusivo e pervasivo, tende a diventare un assoluto religioso capovolto e un totalitarismo irresistibile.

È la dimostrazione che l'impegno per la giustizia e la costruzione di una nuova civiltà, più dell'"avventura senza ritorno" rappresentata dalle cosiddette guerre preventive, sono ora improcrastinabili.

Esigono la mobilitazione di tutti, sinergie locali e globali, in un'opera incisiva di educazione delle intelligenze e dei cuori.

La violenza, ci ricorda Paolo VI, deriva dallo scadimento della coscienza morale non educata, non assistita, permeata da quel pessimismo sociale che spegne nello spirito il gusto e l'impegno dell'onestà professata per se stessa, nonché ciò che vi è di più bello nel cuore umano, l'amore vero, nobile e fedele.32

« Chi aiuta a scoprire in ogni uomo – scrive Paolo VI –, al di là dei caratteri somatici, etnici, razziali, l'esistenza di un essere uguale al proprio, trasforma la terra da un epicentro di divisioni, di antagonismi, d'insidie e di vendette in un campo di lavoro organico di civile collaborazione.

Perché dove la fratellanza fra gli uomini è in radice misconosciuta, è in radice rovinata la pace.

E la pace è invece lo specchio dell'umanità vera, autentica, moderna, vittoriosa d'ogni anacronistico autolesionismo.

È la pace la grande idea celebrativa dell'amore fra gli uomini, che si scoprono fratelli e si decidono a vivere tali ».33

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21 Per una presentazione della Octogesima adveniens ci permettiamo di rinviare a M. Toso, Welfare Society.
L'apporto dei pontefici da Leone XIII a Giovanni Paolo II, LAS, Roma 1995, pp. 303-337.
Dalla lettura di queste pagine sarà agevole riconoscere il possibile contributo della lettera apostolica di Paolo VI alla costruzione della civiltà dell'amore, anche con riferimento alla necessità che i cattolici vi intervengano con una progettualità specifica, in un contesto di inevitabile pluralismo
22 Il testo latino si trova in AAS 59 (1967), pp. 257-299.
Per il testo italiano e la numerazione seguiamo, per comodità, I documenti sociali della Chiesa, II, pp. 972-1025
23 Cf. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, in AAS 80 (1988), pp. 513- 586.
Per il testo italiano e la numerazione, si segue la raccolta I documenti sociali della Chiesa, II, pp. 1547-1635.
Per un primo approccio si veda M. Toso (ed.), Solidarietà, nuovo nome della pace, Elle Di Ci, Torino 1988
24 Cf. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, in AAS 83 (1991), pp. 793- 867.
Per il testo italiano e la numerazione, si segue la raccolta I documenti sociali della Chiesa.
Da Leone XIII a Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991, pp. 491-572.
Si veda inoltre M. Toso (ed.), Frontiere della nuova evangelizzazione: la « Centesimus annus », Elle Di Ci, Torino 1991
25 Cf. A. Sen, Inequality Reexamined, Clarendon Press, Oxford 1992, tr. it.: La diseguaglianza.
Un riesame critico, il Mulino, Bologna 1994; Id., On economic Inequality, Clarendon Press, Oxford 1997;
Id., Development as Freedom, Clarendon Press, Oxford 1999, tr. it.: Lo sviluppo è libertà, Mondadori, Milano 2000;
Id., Freedom, Rationality and Social Choice: Arrow Lectures and Other Essays, Clarendon Press, Oxford 2000
26 Cf. M. Novak, Freedom with Justice.
Catholic Social Thought and Liberal Institutions, Harper & Row, San Francisco 1984
27 È questa un'espressione della CA ( n. 42 ), alla quale rimandiamo per l'approfondimento del significato
28 A dire il vero – osserva in modo caustico Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l'economia nel 2001 – esiste un governo globale, implicito e improprio.
È il governo del "G 1": il potere, assoluto e incontrastato, degli Stati Uniti.
Cf. J.E. Stiglitz, In un mondo imperfetto.
Mercato e democrazia nell'era della globalizzazione, a cura di L. Pennacchi, Donzelli, Roma 2001, pp. 5-6
29 A questo proposito si legga Giovanni Paolo II, Messaggio per la giornata mondiale della pace ( 1° gennaio 2003 ): « Pacem in terris: un impegno permanente »
30 L'ideologia della guerra preventiva è, da un punto di vista morale, inaccettabile.
Così come viene formulata e proposta appare, ammantata cioè da motivazioni speciose, null'altro che la giustificazione di una guerra di aggressione
31 Cf. Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti del mondo della cultura, dell'arte e della scienza ( 24 settembre 2001 )
32 Cf. Paolo VI, Messaggio per la giornata mondiale della pace, n. 2 ( 1° gennaio 1978 ): « No alla violenza, sì alla pace »
33 Paolo VI, Messaggio per la giornata mondiale della pace, n. 4 ( 1° gennaio 1971 ): « Ogni uomo è mio fratello »