Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo sesto - VI

VI. Cristo e le nostre solitudini

È incontestabile che le tecniche umane, come anche le risorse della psicologia e della psichiatria come scienze, portano degli elementi di risposta validi al problema della solitudine.

È pure incontestabile che incontri umani, fortuiti, provvidenziali o procurati, con persone particolarmente attente alla sofferenza degli altri, particolarmente perspicaci, potranno aiutare a superare passaggi difficili, ma non potrebbero eliminare quelle forme di solitudine che contrassegnano inevitabilmente ogni esistenza umana.

Solo Cristo offre la risposta definitiva alle nostre solitudini umane.

Ma che non ci si inganni.

La sua risposta non è un discorso, ma un atteggiamento.

Perciò, le forme ,di solitudine possono variare: la terapia, essendo quella di un atteggiamento, resta sostanzialmente la stessa.

Cristo non è solamente Unico, ma è il mistero per eccellenza dell'unicità: la Parola vivente, in cui Dio si esprime per intero.

Ha coscienza di essere il Figlio diletto del Padre, lui che si rivolge a Dio dicendo: « Abba, Padre, Papa ».

A questo riguardo, Cristo è Mistero di solitudine.

Spesso il Vangelo sottolinea che egli desidera essere solo per pregare, cioè per intrattenersi nell'intimità del Padre ( Mc 1,36; Mc 6,46; Lc 5,16; Lc 9,18 ).

Sono questi momenti intensi di solo a solo che lo hanno aiutato nelle sue scelte concrete, nei suoi giudizi e nelle sue decisioni in occasione delle svolte importanti della sua vita, nei suoi rapporti coi suoi discepoli, i suoi amici, i suoi nemici.

È stato solo sulla via della passione.

Ed è qui che le nostre strade si incontrano.

Se Cristo non avesse conosciuto i nostri abbandoni, avremmo potuto mormorare e argomentare contro di lui, come Giobbe nelle sue imprecazioni verso Dio.

Ma sulla strada dell'abbandono, ci ha preceduto, fino nell'abisso.

All'origine, Dio non aveva voluto che gli uomini fossero abbandonati, incompresi, lasciati soli, rigettati, divisi, isolati, murati dall'odio e dalla violenza: al contrario, li aveva voluti riuniti nell'unità e nell'amore.

Alla radice della solitudine « cattiva », vi è il peccato, personale e collettivo, che corrompe i nostri rapporti con gli altri e con Dio.

Il frutto del peccato è l'uomo « isolato », vale a dire prigioniero sulla sua « isola », privato di tutto, che deperisce e perisce.

È a causa del peccato che gli uomini sono solitudini murate.

C'è voluta la passione di Cristo per mostrarci fino a quale abisso di odio, di bassezza, di crudeltà, il peccato può condurre; così come c'è voluta la passione di Cristo, amorosamente, filialmente accettata, per capire fin dove può elevarci la « buona » solitudine, che è unione, comunione con Dio.

La « cattiva » solitudine, che rende l'uomo orribile, sarebbe la nostra se Cristo non fosse venuto a liberarci e a destarci alla comunione e all'amore.

Ma per aprirci così all'amore e volgerci verso il Padre, con lui e come lui.

Cristo ha dovuto fare l'esperienza delle nostre solitudini, conoscere tutte le forme d'incomprensione, d'abbandono, di rigetto; inoltre, assumere la solitudine atroce del peccato che separa l'uomo da Dio.

Il dramma della solitudine di Cristo, è innanzitutto il dramma dell'amicizia tradita.5

« È venuto tra i suoi e i suoi non l'hanno ricevuto » ( Gv 1,11 ).

Da parte sua non c'è stata che fedeltà.

Ha amato il suo popolo, che ha confortato nelle sue sofferenze, istruito, illuminato, esortato.

Ha amato Marta, Maria e Lazzaro; i dodici soprattutto, che ha fatto suoi compagni, suoi confidenti, suoi commensali, suoi missionari.

Del resto, non hanno forse optato per lui? « Signore, da chi andremo? » ( Gv 6,68 ).

Malgrado le loro lentezze e le loro incomprensioni, fino alla fine, dopo la Cena, li chiama « amici » ( Gv 15,15 ).

Invita Pietro, Giacomo e Giovanni a essere testimoni della sua trasfigurazione e della sua agonia.

Ma all'ora della sua sofferenza, al Getsemani, i suoi più intimi sono sconvolti, sprovveduti, impotenti.

Quell'ora è al di sopra delle loro forze.

L'impotenza dell'amicizia a raggiungere Gesù traduce bene la situazione in cui siamo: « separati » gli uni dagli altri.

Cristo ha fatto l'esperienza di tutte le delusioni crudeli che noi possiamo infliggere agli altri, o di cui noi possiamo essere vittime.

Dolorosamente deluso, Gesù mantiene intatta la sua amicizia.

A Giuda che lo ha consegnato, dice « amico », sempre disposto a rendergli la sua amicizia.

Abbandonato dai suoi, rinnegato da Pietro, tradito da Giuda, Cristo esperimenta la solitudine in cui il peccato ci rinchiude tutti.

Gli uomini lo abbandonano; lui solo non abbandona.

Abbandonato, senza appoggio, può riunire tutti gli angosciati, gli abbandonati, i rigettati, i traditi.

Condivide la loro condizione, con questa differenza, tuttavia, che tutti possono contare su di lui.

Rigettato da tutti, non rifiuta nessuno.

« Colui che viene a me, dice, non lo butterò fuori » ( Gv 6,37; Mt 11,28 ).

Al momento della sua passione, arrestato, legato come un criminale pericoloso, Gesù cade nelle mani dei suoi nemici.

Infatti, il dramma della solitudine di Gesù, è anche il dramma dell'amore tradito, beffato, schernito, condannato e crocifisso.6

Cristo è solo, senza difesa, di fronte all'opposizione congiunta di tutti i suoi avversari.

I deboli, i gelosi, quelli che lo odiano: tutti si presentano uniti contro di lui.

Il peccato è là, crudo, freddo, brutale, contro l'innocente.

Una sola voce si alza: « A morte, crocifiggilo » ( Gv 19,15 ); è la coalizione dell'umanità peccatrice contro il giusto, per eliminarlo.

Nuova solitudine, imposta questa volta dal blocco dei nemici.

Lo si « consegna », se lo passano di mano in mano, come un oggetto di baratto, fino al carnefice, fino alla croce.

Cristo vive tutto ciò che l'odio, la crudeltà, la paura, l'invidia, la debolezza, possono fare di noi.

Esperimenta l'accanimento dell'uomo a mentire, a far soffrire, a degradare, ad avvilire i suoi simili.

Gesù prova il disgusto che noi proviamo a volte per l'umanità: il sentimento che non c'è niente da aspettarsi da nessuno.

Tuttavia, a noi, all'umanità capace di tutto, egli resta fedele.

All'ora in cui non trova intorno a sé che ostilità, rifiuto, non ha una parola di indietreggiamento, di rimprovero, di repulsione, di rigetto.

Gesù ci, prende là dove siamo, prigionieri del nostro rifiuto ostinato del nostro inferno.

Tutto il peccato del mondo non riesce a separarlo da noi, ne dal Padre.

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5 J. GUILLET, « Rejeté des hommes, abandonné de Dieu », in M. DE CERTEAU e F. ROUSTANG, ed.. La Solitude, pp. 240-246.
6 Ibid.. pp. 246-252.