Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo settimo - III

III. Gli « altri » in Cristo

La grande novità della fede cristiana, infatti, è che l'alterità unica di Dio, l'Altro trascendente, si è fatto l'altro, che la sua alterità verticale si è fatta accessibile a noi attraverso una alterità orizzontale.

Questo Altro è nello stesso tempo l'altro; quest'uomo, nella sua realtà più intima, è Dio.

Il suo Io è un Io divino.

Così, mediante Cristo, nel Cristo, Dio diventa veramente per l'uomo un Tu, e un dialogo può instaurarsi.

Ma vi è di più.

Attraverso Cristo, Dio entra nel mondo per cambiare i nostri rapporti con lui, come pure i nostri rapporti con « gli altri ».

A dire il vero, noi non possiamo capire e amare seriamente, in modo durevole, « gli altri » se non aderiamo a Cristo, sacramento del Padre, in cui vediamo gli uomini come figli del Padre, rigenerati dallo stesso sangue, fratelli di Cristo, primogenito dell'umanità nuova, chiamati come lui a condividere la vita divina.

Il luogo dove noi possiamo incontrare gli « altri » nella loro verità radicale, è Cristo, appello del Padre all'amore degli altri, perché il Padre, in Cristo, è il Padre per il mondo; è il Padre che, in Gesù Cristo, adotta l'uomo come suo figlio.

Gli « altri », non sono « l'inferno », sono Cristo.

Comunicandoci il suo Spirito, Cristo ha fatto una vera rivoluzione nei nostri rapporti con gli altri; ha inaugurato un nuovo stile di vita.

L'amore del prossimo non prende il posto dell'amore di Dio.

Ma Cristo proclama un legame talmente intimo tra questi due amori che uno non può esistere senza l'altro.

L'amore si volge verso l'altro nella misura in cui il prossimo è figlio del Padre, fratello di Cristo, tempio dello Spirito.

Per il giudaismo dell'Antico Testamento, il prossimo, sono i membri del popolo eletto ai quali si oppongono tutti gli altri, in quanto pagani.

Cristo si esprime del tutto diversamente.

Non dice: « Amate coloro che vi amano, prestate a coloro dai quali sperate ricevere » perché i peccatori fanno altrettanto.

Non dice soltanto: « Non fate agli altri quello che non volete che gli altri facciano a voi », ma in maniera positiva: « Ciò che volete che gli altri facciano per voi, fatelo voi per gli altri » ( Lc 6,31 ).

Il prossimo non è soltanto quello che è legato a me dal sangue, dall'amicizia, dall'interesse, ma anche lo straniero, anche colui che, lungi dall'attirarmi, suscita la mia ripugnanza.

Il « prossimo », nella parabola del Buon Samaritano, è colui che è steso sul ciglio della strada, il viaggiatore derubato, colpito da percosse, lasciato mezzo morto, il cui abbandono è un appello.

Il samaritano ascolta questo appello, si avvicina fisicamente e spiritualmente, si rende prossimo di quella miseria che incrocia la sua strada: fascia le piaghe del malato, lo conduce alla locanda, lo fa curare, paga il conto.

È così che vorremmo essere trattati: è così che dobbiamo trattare gli altri.

Amare gli altri « come se stessi »: tale è la misura, tale è la regola d'oro ( Mc 12,31 ).

È un amore di parità tra l'altio e se stesso.

Ora l'uomo ama se stesso fino a ricercare instancabilmente tutto ciò che vi è di meglio e con ogni mezzo.

A proposito di quegli « altri » che sono i nostri nemici, l'insegnamento di Cristo sconcerta ogni nostra concezione.

« Avete imparato, dice, che è stato detto: "Tu amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico" ( Mt 5,43 ).

"Occhio per occhio, dente per dente" ( Mt 5,38 ).

Ma io vi dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi oltraggiano » ( Lc 6,27-29 ).

Se vi schiaffeggiano, presentate l'altra guancia ( Lc 6,2 ).

Se vi offendono, non contate i vostri perdoni, ma perdonate sempre, come il vostro Padre, la cui misericordia non calcola mai.

Senza la parola e l'esempio di Cristo, non avremmo mai potuto concepire un amore del prossimo elevato a un tale livello.

Ai nostri occhi, la giustizia e l'amore non domandano tanto!

Perciò occorre aggiungere: concretamente, l'anima della regola d'oro, il suo principio vivificante ed efficace, è l'amore degli altri « come » Cristo e « perché » Cristo li ha amati.

« Questo vi comando, dice, di amarvi gli uni gli altri come io vi ho amato » ( Gv 15,12; cfr. Gv 13,34 ).

Ora Cristo ci ha amati fino al limite massimo dell'amore, fino al colmo del servizio e dell'amore che consiste nel donare la sua vita per salvare gli altri ( Gv 13,1 ).

Cristo si è a tal punto identificato agli altri che la sentenza di vita o di morte che deciderà la nostra sorte eterna, è legata al nostro atteggiamento di accoglienza o di rifiuto degli altri.

Accogliere e amare gli altri, è accogliere e amare Cristo; rifiutare gli altri è respingerlo ( Mt 25,31-46 ).

Se noi vediamo negli altri il Figlio dell'uomo, il Servo sofferente, che ha fame e sete, che è nudo, malato, abbandonato, ma destinato alla gloria, allora il Padre dirà di ciascuno di noi: « Ecco il mio figlio diletto ».

In Cristo, infatti, non ci sono più estranei, ma figli dello stesso Padre, fratelli dello stesso Cristo.

Il nostro amore allora procede da una stessa fonte, dove non c'è più conflitto tra me e gli altri, ma c'è la comunità degli uomini riuniti dallo stesso Spirito.

Nella prima lettera di san Giovanni, amor di Dio, amor di Cristo e amor del prossimo sono a tal punto indivisibili che l'incontro effettivo dell'uomo con Dio si realizza nell'amore degli uomini.

L'importanza decisiva che il Nuovo Testamento da all'amore tocca qui il suo apice.

Non soltanto Dio ha dell'amore per noi, ma è Amore ( 1 Gv 4,8 ).

« In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: ha mandato il suo unico Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.

In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati …

Se Dio ci ha amati così anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri » ( 1 Gv 4,9-11 ).

Perché non si può amare veramente Dio, se non si amano simultaneamente tutti coloro a cui Dio accorda il suo amore.

Il comandamento che noi abbiamo ricevuto, è « di amarci gli uni gli altri » ( 1 Gv 3,23 ).

Di conseguenza, « colui che ama suo fratello dimora nella luce », ma « chi odia suo fratello è nelle tenebre e cammina nelle tenebre » ( 1 Gv 2,10-11 ).

San Giovanni osa affermare: « Se qualcuno dice: Io amo Dio, e odia il suo fratello, è un mentitore.

Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede » ( 1 Gv 4,19 ).

Infatti non si potrebbe amare Dio senza un cuore purificato.

A questo proposito la carità esercita un ruolo pedagogico, perché purifica il nostro sguardo.

Un uomo egoista, ripiegato su se stesso, attaccato alle sue comodità, vittima delle sue passioni, è incapace di un amore disinteressato.

Con le labbra potrà dichiarare che ama Dio, sapendo che Dio non ha bisogno di nulla, ma gli manca la volontà.

Di fronte al prossimo che vede, bisognoso, forse ripugnante, non può recitare la commedia: il suo atteggiamento egoista si scopre.

È davanti agli « altri » che noi misuriamo l'autenticità di un amore reale, che consiste nel dare e pagare di persona.

Il nostro amore deve esprimersi con dei fatti, dice san Giovanni.

Come il samaritano, « non amiamo a parole e con la lingua, ma con gli atti e in verità » ( 1 Gv 3,18 ).

Se qualcuno che gode delle ricchezze di questo mondo, vede il suo fratello nel bisogno e gli chiude l'accesso alla sua benevolenza, « come l'amore di Dio potrebbe dimorare in lui? » ( Gv 3,17 ).

In questo tirocinio di servizio gratuito, disinteressato, impegnato, per gli altri, purifichiamo il nostro sguardo, allarghiamo il nostro cuore e lo prepariamo ad amare Dio di un vero amore.

Impariamo che un tale amore del prossimo non può sgorgare dal nostro cuore limitato, così meschino, ma che è un dono di Dio: del suo Spirito che opera in noi ( 1 Gv 4,13 ).

È allora che scopriamo Dio, che incominciamo a vederlo. « Colui che non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è Amore » ( 1 Gv 4,8 ).

L'amore del prossimo diventa così principio di conoscenza di Dio stesso.

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