Gli stati di vita del cristiano

Indice

Potere e dovere

Soffermiamoci ancora un momento su questa considerazione dell'amore del tutto generale, assoluta, senza addentrarci ancora nelle concrete circostanze e condizioni che sussistono per l'uomo quale creatura e quale essere sociale, fornito di corpo e anima.

Se allontanandoci dal punto centrale dell'amore vengono in primo piano, sempre più isolati e in forma negativa, leggi e divieti come obblighi, l'amore allo stato puro non è tuttavia affatto privo di legge.

Esso è piuttosto « la pienezza della legge » ( Rm 13,10 ), « poiché tutta la legge è adempiuta nell'unico comandamento: amerai il prossimo tuo come te stesso » ( Gal 5,14 ).

Ma questo adempimento è più della somma di tutti i singoli comandamenti; esso è allo stesso tempo il loro superamento: « Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge.

I frutti dello Spirito sono: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé contro queste cose non c'è legge » ( Gal 5,18.22-23 ).

C'è dunque la possibilità di adempiere la legge e contemporaneamente vivere al di là della legge.

Chi vive nell'amore vive non parzialmente sotto la legge e i suoi obblighi e parzialmente là dove cessa l'ambito degli obblighi e iniziano i consigli, le raccomandazioni, il libero piacimento, ma bensì « noi siamo morti quanto alla legge [ … ] e liberati dalla legge che ci teneva prigionieri » ( Rm 7,4.6 ).

Colui che vive nella legge dell'amore non ha bisogno di vivere ancora contemporaneamente sotto la legge dell'obbligo, poiché amando egli adempie comunque insieme anche le leggi dell'obbligo, e poiché queste, prese per sé sole al di fuori dell'amore compiuto, sono soltanto la corrispondenza oggettiva di uno stato soggettivo.

Se non ci fosse nessun allontanamento dall'amore, cioè nessun peccato, non ci sarebbe nessuna legge che non fosse identica con la legge dell'amore.

E l'uomo avrebbe adempiuto e sovradempiuto ogni legge, una volta che egli avesse seguito in tutto soltanto l'unica legge dell'amore.

La forma della legge muta dunque a seconda della vicinanza o lontananza che un uomo ha rispetto all'amore.

Anzi l'intera struttura della sua etica si sposta, qualora egli vada incontro all'amore oppure si allontani da esso.

Se egli si allontana dall'amore, il comandamento dell'amore che tutto adempie si scompone in una molteplicità di singoli comandamenti, i quali si presentano a lui come singoli di volta in volta a seconda della situazione in cui egli in quel momento si trova a vivere.

Dalla loro concentrazione nell'unità essi vengono fuori a creare ( giacché essi in quanto parziali possono venir tenuti soltanto l'uno dietro all'altro ) un tempo etico.

Tra le singole esigenze vengono a crearsi degli intervalli di tempo nei quali non si verifica niente di moralmente rilevante, cosicché l'uomo si trova, ogni volta che la situazione gli pone davanti un'esigenza, a dover nuovamente raccapezzarsi: cosa mi viene adesso ( un'altra volta ancora! ) richiesto?

Si avvertono le leggi come tanto più fastidiose quanto più l'uomo si è perduto in questa etica temporalità, lontano dal centro dell'amore.

Può darsi che il singolo comandamento gli faccia ricordare e gli rammenti la totalità che sta al centro.

Egli si chiederà forse allora: cosa devo fare per non venir separato completamente dall'amore ( poiché ciò sarebbe la morte ), dove sta il confine che io sotto pena di morte non posso oltrepassare?

Ma anche così egli ragionerebbe in termini minimalistici; il poter fare dell'amore si sarebbe mutato per lui in un legalistico dover fare.

E per uno che nuotando si tiene sempre al più basso livello, appena ancora al di sopra dell'acqua, l'amore dovrebbe finire a limitarsi a tenergli davanti soltanto i più rudimentali comandamenti, quelli di maglia larga.

Ai più bei segreti dell'amore egli sarebbe per il momento insensibile; ciò che coloro che amano provano come un piacere e una soddisfazione apparirebbe a lui come una costrizione e una « sovrattassa ».

Quando invece un uomo si muove incontro all'amore e cerca di rendere la legge dell'amore propria legge di vita, tutto cambia.

I comandamenti non sono più l'uno accanto all'altro, ma l'uno nell'altro; le parti si integrano, attraverso il tempo etico brilla un orizzonte di eternità.

Quanto più egli riconosce il fare dell'amore come la cosa definitiva e fine a se stessa, tanto meno egli ricade nell'indifferenza di una temporalità spezzettata da direttive singole.

I precetti si integrano.

E con ciò divengono infondate anche quelle differenze di livello che vengono indicate coi verbi dovere e potere.

Se l'uomo è o era un peccatore, non dimenticherà certo queste differenze: egli le ha sempre in mente, come qualcosa in cui potrebbe ad ogni istante ricadere qualora non si tenesse aggrappato a ciò che è atemporale, vale a dire all'amore.

Ma se egli guarda in avanti o in alto, la richiesta dell'amore gli apparirà non meno importante del suo comando; egli perderà l'abitudine di considerare la richiesta come una « semplice richiesta » e scoprirà che proprio nelle richieste e suppliche dell'amore, che non si vestono in forma di comando, possono nascondersi inviti più pressanti che nelle direttive generalmente esistenti.

Nella storia dell'amore di Dio che va in cerca dell'uomo decaduto, cioè nella storia biblica, l'amore compie insieme con l'uomo chiari passi che già nell'Antico Testamento avanzano da una molteplicità di singoli comandamenti verso la formulazione del comandamento dell'amore, che sta al centro di tutto, e di là verso la promessa che un nuovo ed eterno patto donerà anche la possibilità di attenersi ad esso e di adempierlo in un cuore ormai unificato.

È la via che conduce dalla schiavitù sotto i molti precetti alla libertà dei « figli di casa », i quali hanno ricevuto, a causa del gesto d'amore di Dio, dell'Incarnazione e della Croce del Figlio, lo Spirito Santo dell'amore, riversato nei loro cuori.

Poiché era l'amore assoluto di Dio a rendersi noto, agendo e soffrendo, in Cristo, noi possiamo vedere da esso cosa significa superare il divario tra richiesta e legge ( del Padre ), tra consiglio e comando, dovere e potere.

Poiché il Figlio non ha nessun altro desiderio che quello di adempiere il desiderio e la volontà del Padre, egli ha oltrepassato la differenza tra tempo etico ed eternità amante.

Tutta l'opera di redenzione di Cristo si compie all'interno della sua obbedienza d'amore, della quale non possiamo dire se Egli adempie un « desiderio o un volere del Padre, o meglio detto: della quale dobbiamo dire che il desiderio del Padre, che umanamente parlando non contiene affatto comando o costrizione, non potrebbe venir compreso da Cristo, che ama sino alla fine, altrimenti che come comando.

« Il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare.

E io so che il suo comandamento è vita eterna.

Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me » ( Gv 12,49-50 ).

« Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato » ( Gv 14,31 ).

« Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.

Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo.

Questo comando ho ricevuto dal Padre mio » ( Gv 10,17-18 ).

l Figlio fa dunque liberamente ciò che il Padre gli ordina.

Egli lo fa liberamente: "dedit itaque humana natura Deo in ilio nomine sponte, et non ex debito, quod suum erat, [ … ] sola libera voluntate, [ .. .] nec ulla cogente oboedientia » ( S. Anselmo, Meditationes il, PL 158, 766 ).

« Habes igitur in voluntaria oboedientia voluntatum Patris adimpletionem, quas loco mandatorum ait esse apud se Filius.

Nam cum Patris consilia ut Verbum intelligat … voluntatem eius ad opus perdu-cit, mandati loco eam habens" ( S. Cirillo d'Alessandria, In Job 15, S'IO, PG 74, 373 ).

L'obbedienza d'amore di Cristo non è dunque né una obbedienza che esegua un semplice comando obbligatorio, giacché il Padre Lo lascia libero ( « Filium pati sivit »: S. Cirillo, In Ps 68, PG 69, 1173; « Potuit enim Christus non mori, si voluisset »: S. Ambrogio, PL 16, 1327 ), e nemmeno è l'esecuzione di un desiderio non obbligante, poiché Egli accetta la volontà del Padre come un « mandatum ».

È invece proprio qualcosa che possiede la sua unità e necessità al di là di comando e consiglio, nell'unità d'amore dell'essenza divina fra Padre e Figlio, cosicché Franzelin vede giusto quando dice: « Mandata haec esse consilia aeterna, quae Pater communicat Filio non praecipiendo, sed generando » ( De Verbo ine. 445 ).

Proprio questa obbedienza però, questa forma di dedizione amorosa, che scaturisce dalla più intima sorgente dell'amore di Dio, al di là della distinzione di obbligo e consiglio, di prescrizione stretta e di richiesta che lascia tutto aperto, proprio essa deve d'ora in avanti essere l'archetipo della dedizione e dell'amore cristiano: di un amore che si sa così assolutamente legato dal volere e dall'auspicio di Dio, che un rifiuto è impossibile ( « Si fuisset passus non ex oboedientia, non fuisset ita commendabilis »; S. Tommaso, In Phil 2,1 ), e che sul Monte degli Ulivi può sentire questa necessità addirittura come costrizione ( cosa che sarebbe impossibile se qui si volesse parlare, come alcuni recenti teologi, solo di un « Mandatum latum » ), un amore, però, che si lega fino all'estremo solo per amore e in favore dell'amore: « quod placita ei sunt, facio semper ( Gv 8,29 ).

Haec est enim perfecta et Uberrima humanae naturae oboedientia, cum voluntatem suam liberam sponte voluntati Dei subdit » ( Janssens, Summa Theol V, 722 ), cosicché si può dire altrettanto giustamente che il Padre lo consegna ( Rm 8,32 ), come pure che Egli ha consegnato se stesso ( Ef 5,2 ).

Qui diventa già visibile quanto sia vicina all'obbedienza d'amore cristologica la forma d'obbedienza propria dei voti religiosi, la quale per puro amore dà alla sua libertà forma di legame e lascia, come il Redentore nella sua relazione col Padre, che il potere divenga un dovere.

« Il suo respiro vitale è il dovere sempre di più ».

Naturalmente questa obbedienza del Figlio incarnato ci riconduce - e qui sta il superamento della polemica oggi condotta spesso così stoltamente contro Anselmo - nell'insondabile mistero della Trinità pretemporale, in cui il Figlio si è posto spontaneamente dall'eternità a disposizione del decreto uno e trino di coprire ogni rischio della creazione con la Sua croce.

Questa libera offerta d'amore colpisce centralmente nel cuore il Padre altrettanto quanto con l'Incarnazione e dopo di essa l'offerta accettata dal Padre e tramutata in un « comando » colpisce nel cuore il Figlio.

Così si comprende in che maniera lo Spirito Santo è la quintessenza del più libero come del più pressante amore.

Ed anche se il Figlio, a nostro favore, non ha disdegnato di conoscere addirittura la situazione della tentazione, di lasciarsi collocare là dove Adamo si è collocato, vale a dire in un punto da cui Dio e il diavolo diventavano abbracciabili con lo sguardo, questo tuttavia lo ha fatto solo per aggrapparsi da questo posto al volere del Padre con l'amore più completo, per rimanere appeso, per così dire, all'eternità etica nel tempo etico.

Questo lasciarsi trasferire di Gesù nella situazione del dover scegliere appartiene al mistero del Suo adeguamento alla « carne del peccato » ( Rm 8,3 ), adeguamento che si compirà più tardi sul Monte degli Ulivi e sulla croce.

Ma anche se Egli per redimerci volle provare e sopportare il peso e l'angoscia del puro e semplice « obbligo », e nascose per questo l'amore che sentiva e di cui era conscio, questo accadde solo perché in noi c'era il peccato e la lontananza da Dio e perché per amore verso di noi il Figlio diede al suo amore eterno la forma manifesta della piena obbedienza.

Da questo modo d'agire dell'amore riconosciamo ora però che questa obbedienza divenuta manifesta giaceva già da sempre nascosta nell'essenza dell'amore.

Chi ama, rinuncerà in misura crescente al proprio dispotico determinare e disporre circa il proprio fare e lasciar fare, pensare e sentire, e sempre più lascerà tutto all'amato e lo terrà pronto per lui.

Così facendo egli viene sempre più liberato dalla costrizione esterna delle leggi, poiché sempre più egli mette l'unica legge dell'amore a confronto con la propria legge di essere vivente, ma nello stesso tempo viene attratto in una sempre più stringente obbedienza, poiché ogni gesto d'amore lo obbliga più profondamente ad amare.

Su questa via la disobbedienza di uno che ama nei confronti delle sommesse richieste dell'amore può pesare maggiormente di quella di uno che si è allontanato, il quale intuisce appena qualcosa dell'amore e dei suoi comandamenti.

Le sue azioni, interne come esterne, vengono soppesate adesso con altri pesi; invano egli potrebbe richiamarsi alle rozze distinzioni che valgono per altri.

Una richiesta che Dio gli soffia all'orecchio ( poiché Egli sa che potrebbe venire udito ) e che però viene respinta, può ferire l'eterno amore di Dio più finemente della trasgressione di un grosso comandamento da parte di uno che non è mai stato toccato dalle regole di comportamento dell'amore.

D'altra parte, questo spostamento dei parametri etici ad opera della mutevole educazione di un uomo da parte del centro dell'amore non può venir demonizzata ( all' -- *-- nel senso della teologia dialettica ), come se con ravvicinarsi all'amore dovesse potenziarsi anche il peccato, e i pagani lontani fossero incolpevoli a confronto dei cristiani che sanno dell'amore e tuttavia gli si oppongono apertamente, e come se crescita nell'amore significasse anche crescita nel peccato.

Tale demonizzazione non corrisponde alle leggi dell'amore, poiché la regola non è che chi cammina verso l'amore finisca per questo nella tentazione di allontanarsi tanto più da esso.

Anzi egli volta le spalle, come fu mostrato, alla vera e propria situazione demonica in cui il serpente cercava di portare Adamo: la situazione della scelta indifferente fra il bene e il male.

Egli si reca con tutta la sua libertà sotto la protezione dell'amore, consegna questa libertà all'amato per ricevere da lui al suo posto la legge dell'amore.

Non c'è nessun camminare incontro all'amore senza almeno un accenno di questo gesto di consegna.

Amore non può mai accontentarsi di porre un atto d'amore solo per l'attimo presente.

Esso vuole definitivamente rimettersi, consegnarsi, affidarsi, racchiudersi.

Vuole depositare presso l'amato una volta per tutte la sua libertà di circolazione, per lasciargli un pegno d'amore.

Appena l'apre desta veramente alla vita, l'attimo temporale vuole essere superato in una forma di eternità.

Amore a tempo, amore ad interruzione non è mai vero amore.

Persino l'egoismo erotico non può far altro che giurare a se stesso « eterna fedeltà », e nell'attimo è proprio del suo godimento anche il fatto di crederci a questa eternità.

Tanto più l'amore autentico vuole durare oltre il tempo!

Per questo esso vuole disfarsi dell'avversario più pericoloso: la propria libertà di scelta.

Ogni vero amore -- * -- del voto: esso si lega all'amato -- * -- dell'amore e nello spirito dell'amore.

Ogni partecipazione all'amore verso Dio contiene in sé qualcosa come un voto: l'entrata nella vita cristiana attraverso il battesimo esige immediatamente la pronuncia dei voti battesimali come risposta del battezzando al dono dell'amore divino.

E quanto più intimamente un uomo viene incluso nell'amore, tanto più il suo amore acquista proprio la forma interiore di un voto, nel quale egli baratta la sua liberta senza legami -- * --.

Il vincolo, che all'inizio appariva solo una contrapposizione alla libertà dell'amore, cioè un peso e un obbligo, viene visto adesso sempre "Alia sunt communia vota Dei, scilicet sine quibus non est salus, ut vovere fidem in baptismo, et huiusmodi, [ … ] alia sunt vota propria singulorum, ut castitas, virginitas et huiusmodi.

Ad haec ergo nos invitai [ … ] Votum ergo quod dam est in praecepto, quoddam in consilio" ( S. Tommaso, De perfezione vitae spiritualis, e 12. Opuscula Theol. II, Marietti 1954 ).

Più come una sola cosa con la libertà dell'amore.

E se per la prima forma di etica, lontana dall'amore, il potere di Pietro di legare e di sciogliere appariva come un doppio potere, comprendente in sé funzioni opposte ( in cui il potere positivo di sciogliere solo per questo ne ha accanto a sé uno negativo di legare, perché altrimenti non sarebbe garantita la libertà dello sciogliere ), appare adesso anche questo potere di legare come positivo: cioè come la potestà di poter legare così forte uomini i quali vogliono legarsi volontariamente nell'amore, che la loro volontà d'amore viene in cielo riconosciuta e approvata.

Ma l'amore stesso, a dire il vero, si presenta con la sovrana pretesa di legare tutto a sé e proprio così di liberarlo.

Se esso è realmente l'assoluto, allora non può far altro che legare tutto per tutto sciogliere e redimere.2

Ciò che sorprende a proposito del comandamento principale è che esso richiede l'amore pieno a Dio e al prossimo non in forma di un'offerta a libera scelta, un semplice invito, ma espressamente come un comando ( mandatum ), un comando così stringente che porta in sé anche tutti gli altri, dietro i quali stanno le più gravi punizioni.

Non viene affatto comandato un amore fino a un certo grado, lasciando il rimanente, cioè la pienezza dell'amore, alla discrezione e al nobile spirito di emulazione di colui che ama.

Tutt'altro, il comandamento abbraccia tutto, sia l'intera strada che il traguardo: l'amore pieno.3

Abbraccia dunque ciò che a partire dall'amore incompleto si lascia distinguere come ambito dell' « obbligo » e ambito del « consiglio ».

Per l'amore perfetto questa distinzione cade, ed è l'amore assoluto stesso che ha impartito l'ordine.

Quando viene detto: « Forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! » ( Ct 8,6 ), morte e inferi appaiono semplicemente come sedimenti o rimanenze di una potenza che già da sempre li ha trascesi.

« Tutto diviene luce, ciò che prendo in mano, / tutto è carbone, ciò che io lascio: / certo io son fiamma. »

Oppure: « Non la morte uccide, ma la vita più viva ».

Indice

2 L'Autore fa qui giocare la significativa assonanza dei due verbi losen (sciogliere, slegare) e eriósen (liberare, redimere), (ndf)
3 Quindi a proposito del comandamento principale il detto: "finis legis non cadit sub lege" non può più venir impiegato. Si deve qui, dice Cathrein ( ZAM m, 1928, 135 ), "distinguere il comandamento dell'amore di Dio dai restanti comandamenti. Per il comandamento dell'amore di Dio l'unificazione con Dio attraverso l'amore è il fine, ma questo fine è allo stesso tempo il suo oggetto. Perdo in questo comandamento non si può distinguere tra fine e oggetto"