Gli stati di vita del cristiano

Indice

Il comandamento principale

Prima parte: Lo sfondo

A. La vocazione all'amore

« Maestro, qual è il comandamento più importante nella Legge? »

Gli rispose: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.

Questo è il primo e il più importante dei comandamenti.

E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come tè stesso.

Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti » ( Mt 22,36-40 ).

Così Gesù riassume il fine ultimo dell'esistenza, e dunque il suo significato.

Chi vuole andare verso la vita, chi vuole dunque raggiungere il suo destino, deve osservare i comandamenti ( Mt 19,17 ), che sono riassunti nel doppio comandamento dell'amore a Dio e al prossimo, a tal punto che chi osserva questo comandamento, sul quale riposano tutta la Legge e i Profeti, ha adempiuto tutto quanto ( Rm 13,10 ), mentre senza l'amore anche la perfetta osservanza dei comandamenti sarebbe inutile e senza senso ( 1 Cor 13,1-3 ).

Ciò se ne sta saldo e pacifico, se ne sta così al di sopra del tempo e così apparentemente indifferente nei confronti di qualsiasi potere o non potere, di qualsiasi speranza o disperazione, di qualsiasi sforzo e qualsiasi fallimento, addirittura nei confronti di qualsiasi consapevolezza che nessuno in questo mondo potrebbe seriamente ritenere di averlo mai osservato in tutta la sua assolutezza, al punto che propriamente lo si vorrebbe considerare più l'espressione di un sogno irrealizzabile, di un'ideale ma irraggiungibile stella polare, alta sopra le bassezze dell'umana miseria, piuttosto che ciò che in verità è: un comandamento.

Ma il Signore non lo chiama semplicemente un desiderio di Dio, neppure lo chiama un consiglio, senza il quale si potrebbe ugualmente, sebbene forse con difficoltà, raggiungere il proprio destino; Egli non parla di esso come di una strada ripida, accanto alla quale ce ne siano altre più comode; Egli lascia così pochi dubbi sul carattere di comandamento dell'amore, che Egli non solo assume questo comandamento principale dell'Antico Testamento ( Dt 6,5; Lv 19,18 ) come il primo impartito in ordine di tempo, ma lo assume in maniera rafforzata e approfondita quale comandamento Suo proprio: « Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri » ( Gv 13,34-35 ).

Il comandamento dell'amore al prossimo, che nell'Antico Testamento poteva apparire in qualche modo come secondario di fronte al comandamento dell'amore a Dio, si sposta ora addirittura in primo piano, ma in modo tale che la sua misura diviene lo stesso amore del Dio fatto uomo: « Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati » ( Gv 15,12 ), e in modo che esso perciò avanza sino a diventare criterio dell'amore a Dio: « Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva », vale a dire i comandamenti dell'amore, « questi mi ama » ( Gv 14,21 ).

Chi non ha l'amore è a tal punto caduto fuori dalla sua vocazione, da ciò a cui è destinato, che egli, pur vivente quanto al corpo, è morto: « Chi non ama, rimane nella morte » ( 1 Gv 3,14 ), egli stesso ha pronunciato su di sé il giudizio di condanna.

Poiché su nient'altro verrà giudicato nel giorno del Giudizio che sull'amore.

Questa sarà la sorpresa, per i buoni come per i cattivi.

Fino all'ultimo essi non avranno afferrato quanto seriamente, quanto alla lettera l'unità di amore a Dio e al prossimo era intesa dal Signore che ora fa da giudice.

All'affermazione del Signore i giusti porranno stupiti, non meno degli ingiusti, la domanda: « Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? ( … )

Ma il Signore risponderà loro: « In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me » ( Mt 25,34-40 ).

Chi ama cristianamente il prossimo ha amato Dio in lui, poiché in Cristo entrambe le due nature sono legate in una sola persona.

Perciò chi ha amato il prossimo ha amato, senza saperlo, Dio in lui, poiché « Dio è amore, e chi rimane nell'amore rimane in Dio, e Dio rimane in lui » ( 1 Gv 4,16 ), e chi così ama ha adempiuto al comandamento dell'amore e del Nuovo Testamento, ed entra nella vita eterna.

Così viene convalidata l'affermazione che la vocazione all'amore è assoluta, non tollera alcuna eccezione, è di tale necessità che il non adempimento di questa vocazione equivale ad un assoluto andare in rovina.

Dunque non c'è nessun dubbio: noi ci siamo per amare, amare Dio e il prossimo, e chi vuole indovinare il senso dell'esistenza deve fermarsi a questa semplice frase, dal cui centro si espande luce in tutte le oscurità della vita.

E l'amore, che è il destino a cui siamo chiamati, non lo è in una qualche forma misurata, limitata, ristretta forse corrispondentemente alle nostre deboli energie umane.

Non una parte soltanto della nostra vita deve venire occupata dall'amore, mentre le parti rimanenti possono essere occupate in qualche altro modo; non un periodo soltanto della nostra vita deve essere consacrato all'amore, mentre gli altri periodi potrebbero forse essere dedicati a noi stessi.

Il comandamento è universale, e precisamente in una forma concreta, che richiede e riserva per sé tutto della nostra natura: « Con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze ».

Il comandamento non ha dunque in alcun modo riguardo, così come viene enunciato, per la capacità dell'uomo di adempierlo.

L'importante è solo che esso venga adempiuto; come esso possa venire adempiuto è una seconda questione, che non tocca la prima.

Dovesse l'uomo non essere in grado da sé di adempierlo, Dio non mancherà di fornirgli il mezzo per questo.

Ma una cosa Dio non fa: non commisura il suo comandamento principale all'incapacità dell'uomo.

Giacché egli sa che l'amore sopporta tutto, tranne una cosa: che gli si pongano dei limiti.

Esso vive di movimento; se lo si frena, intristisce e muore.

Esso ha origine da Dio, e Dio è eterna vita senza limiti.

Un amore che non restasse vivo, aperto al di più e all'ulteriore, non sarebbe affatto amore.

Esso può respirare solo nell'infinità dell'amato e nel possibile superamento di se stesso.

« Con tutta la tua anima » non può mai significare per l'amore che una qualche volta si raggiunga il massimo della dedizione e che l'amore sia ora perciò condannato a perseverare eternamente in questo grado di saturazione.

Non può mai significare che esso si sappia pervenuto al margine estremo della sua capacità d'amare ( giacché l'anima, lo spirito, le forze sono pur sempre limitate ) e si possa accontentare del pensiero di aver adempiuto il suo dovere di amare.

Un amore tra due persone in cui affiorasse questo pensiero sarebbe già in corso di raffreddamento.

L'intima vita dell'amore non è affatto pensabile senza il ritmo del crescendo, della sempre nuova apertura e vivacità.

Mai esso si è donato a sufficienza, mai è alla fine della sua forza d'inventiva per preparare nuovi piaceri all'amato, mai è soddisfatto di sé e delle sue azioni al punto da non ricercare nuove prove d'amore, mai ha riconosciuto pienamente l'essenza dell'amato al punto da non essere bramoso di nuove scoperte e sorprese.

E anche se per coloro che osservano dall'esterno le quotidiane testimonianze d'amore degli amanti possono sembrare uguali fra loro, per essi stessi sono invece sempre nuove e sempre diverse, fintantoché il loro amore rimane vivo.

Per questo c'è una cosa che il puro amore non conosce: il dovere.

O meglio: il suo dovere è sempre un potere.

La necessità che esso avverte di amare, la sente come la più alta e perfetta libertà, che non sacrificherebbe mai per nessun bene al mondo.

Ciò che per uno che non ama appare come un freddo obbligo, per lui è una gioia: « tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta » ( 1 Cor 13,7 ), fede e speranza sono le sue maniere di comportarsi; coprire e sopportare non sono per l'amore un peso indesiderato, ma elemento vitale.

Esso accetta tutto, purché non gli si vieti una sola cosa: di amare.

Esso è così prezioso che è superiore ad ogni prezzo.

Non conosce grazia maggiore che quella di poter amare.

Uno che cominciasse a parlargli di confini tra dovere e potere, obbligatorio e donato in sovrappiù, lo guarderebbe stupito e senza capire, al massimo direbbe: costui che parla così non fa parte di coloro che amano.

Laddove si è convinti che all'amato spetta tutto, infinitamente di più di ciò che si è in grado di dargli, la parola « sovrappiù » non ha alcun senso.

Quale amante non vorrebbe porre ai piedi dell'amato il mondo intero?

Egli non conosce la differenza tra comando e desiderio; il desiderio dell'amato è per lui un ordine, una preghiera inespressa egli la legge dalle labbra e la adempie con la stessa premura con cui uno che non ama esegue degli stretti comandi.

Noi non vogliamo sapere adesso se gli uomini sono così, se e quanto a lungo essi sono in grado di amare in questa maniera.

Noi ci interroghiamo sull'essere ( Wesen ), sulla pura essenza ( Essenz ) dell'amore stesso.

E quando cerchiamo di coglierla nelle sue espressioni più pure, ci imbattiamo sempre nel mistero della dedizione di sé.

L'amore vorrebbe rinunciare a tutto ciò che è suo in favore dell'amato, onde arricchirlo.

Al punto che esso accetterà anche volentieri regali dall'amato se sà che egli si sente arricchito e contento in virtù dei gesti dì donazione.

Anche il suo ricevere sarà dunque una forma di dedizione; esso non vuole adornarsi per essere bello per se stesso, ma per apparire bello di fronte all'amato.

È si priverà di ogni ornamento, se così gli è possibile adornare l'amato: Esso si augura di dimenticare se stesso in favore dell'amato e di rimanere in vita solo fino a che l'amato è desideroso di avere di fronte a sé qualcosa di vivo e di personale.

Colui che veramente ama, che vive interamente per l'amore, non ha più alcuna sfera privata per se stesso, da sottrarre all'amore e al suo servizio.

Egli non può trattare l'amore come qualcosa di penultimo nella sua mente, non può assegnargli nella propria anima uno spazio ben delimitato, non può porgli a disposizione una parte limitata delle sue forze.

Egli deve lasciare che questo fuoco prenda possesso anche del punto centrale della propria anima.

Egli non può far altro che offrire in dono all'amato tutto il suo io unitamente a tutte le sue energie.

E per il futuro egli non vuole più avere come regola e legge della sua vita nient'altro che ciò che l'amato come regola e legge gli ridà.

Egli stimerà come la sua più alta ricchezza quella di possedere nient'altro che ciò che l'amato gli dona.

E vedrà, come sua massima fecondità quella di tenersi pronto esclusivamente come recipiente per ogni fecondante seme dell'amato.

Lo spirito dell'amore è uno spirito di pura dedizione e perciò uno spirito del poter fare, avere il permesso di fare.

Se l'amore è puro si volge a Dio e al fratello per proprio intimo movimento.

Esso non è nient'altro che questo volgersi.

Perciò non ha bisogno di nessun'altra legge che se stesso, e tutte le leggi sono in esso ad un tempo adempiute e superate.

A questo volgersi esso non abbisogna di venir incoraggiato e spronato con una necessità che sia al di sopra di lui, secondo la quale esso debba orientarsi per trovare la propria giusta direzione.

Esso stesso è la massima legge; esso ha bisogno solamente di svolgersi, per aver adempiuto tutto ciò che è adempibile.

Non ha alcuna autorità sopra di sé, ma è anzi la massima autorità per tutto ciò che sta sotto di lui.

Poiché esso non ha su di sé alcuna necessità, vengono in lui a coincidere il necessario e il libero.

Quando esso si decide per se stesso nella massima libertà, ogni necessità è adempiuta.

Poiché esso è l'unica cosa necessaria.

Ciò muta subito, appena un ente scende fuori dall'amore.

Nella misura in cui l'amore si raffredda, la lava della sua inafferrabile vitalità si irrigidisce in determinate forme limitate e in esse assume la figura di comandamenti singoli.

« Dove l'amore si irrigidisce, si accumula la legge ».

Chi si allontana dal nucleo dell'amore, si distanzia dall'amato e comincia a considerarlo con un nuovo sguardo, «"obiettivo », « non partitico ».

Non è detto che ciò significhi già che l'oggetto d'amore d'una volta ha già perso ogni valore.

l contrario esso può ancora apparire bello, meritevole d'esser desiderato e preferibile.

Ma adesso gli si sta dinnanzi come al possibile oggetto di una libera scelta.

Chi vive nel nucleo dell'amore non sceglie; la sua scelta è già dietro le sue spalle; egli ha scelto da sempre, da quando ha conosciuto l'amore, e se egli rafforza ad ogni momento della sua vita questo aver già scelto, non lo fa mai tuttavia nel senso di un aprire una nuova riflessione.

L'amante come tale non sta mai nel punto dell'indifferenza tra amare e non amare, non incorre mai nella tentazione di collocarsi su questo punto.

Egli sentirebbe come un'infedeltà nei confronti dell'amato il porsi mentalmente di fronte un secondo oggetto di possibile scelta estraneo, al fine di dare poi la preferenza al primo a partire da una sorta di calcolo mentale.

Una tale indifferenza di scelta può essere una situazione d'avvio che conduce all'amore; ma all'interno dell'amore stesso questo atteggiamento non è più possibile.

L'amore è così deciso che non ritorna mai nell'indifferenza antecedente alla decisione.

Esso rinuncia a questa « libertà di scelta » in favore della libertà dell'amore.1

Solo l'amore che si è raffreddato torna ad avvicinarsi di nuovo alla zona della libertà indifferente.

E nella misura in cui si avvicina a questo « punto mediano » tra amare e non amare, anche il carattere del poter amare si muta in un dover amare.

Adesso l'amore sta sopra di noi come un obbligo.

E l'unico comandamento dell'amore che tutto riassume in sé si scompone in tante sfaccettature e aspetti singoli; essi sono segni che noi siamo caduti fuori dall'unità dell'amore, ma allo stesso tempo anche vie per ritornare in essa.

Il contenuto dei comandamenti è positivo nella misura in cui esso indica la strada verso l'amore e vive dell'amore che in essi si realizza.

Il loro contenuto è invece negativo nella misura in cui essi offrono solo un aspetto limitato dell'amore, e quindi non annunciano più la mirabile unità di libertà e « non poter fare altrimenti », ma si presentano invece come barriere che esigono di essere obbligatoriamente rispettate.

Il fatto stesso che ci siano simili comandamenti è allora il segno che l'uomo non vive nell'amore perfetto.

« Noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa giustamente; sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori » ( 1 Tm 1 ,8-9 ).

Quanto più dunque ci si allontana dal punto centrale dell'amore, tanto più il comandamento acquista un carattere negativo e si tramuta in un divieto.

Solo attraverso ciò la doIce convinzione del poter amare acquista l'apparenza di una dura costrizione di dover tendere all'amore, costrizione che diventa ancor più dura quando colui che sta sotto la legge non è più immediatamente cosciente che scopo e fine di ogni comandamento è l'amore.

Nell'amore perfetto non c'è alcuna minaccia, poiché non sorge mai l'idea di deviare dalla volontà dell'amato, che è per me legge.

« Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore » ( 1 Gv 4,18 ).

Solo dove l'amore si raffredda deve entrare in campo una sanzione per il non amore.

Poiché la necessità dell'amore è così assoluta che esige necessariamente una tale sanzione per tutti quelli che non riconoscono la necessità dell'amore.

Indice

1 Nessuno ha espresso ciò meglio di Massimo il Confessore con la sua dottrina che "cosciente libertà di scelta" (gnòme) poteva esistere solamente dopo la caduta del peccato; prima l'uomo aveva solo bisogno di seguire il "Logos del suo essere", per pervenire al "Logos del suo esser buono" [Ambig., PG 91, 1353). "Gnòme" presuppone una "cattiva indifferenza", che neppure nel caso della tentazione di Cristo possiamo ammettere. (Cfr. il nostro libro "Kosmische Liturgie" (2) 1961, pp. 262ss. tr. it. Liturgia cosmica, ed. A.V.E., Roma 1976, pp. 271ss.; Lars Thun-berg. Microcosmi and Mediator, Lund 1965, p. 226.)