Gli stati di vita del cristiano

Indice

Amore e consiglio

Sebbene l'amore, quello perfetto, è comandamento, e sebbene come comandamento esso ha in sé anche il « consiglio » - poiché gli amanti non amano per « obbligo » e il desiderio dell'amato è per essi come un suo ordine, incontriamo nella Chiesa due forme di vita o « stati », che si distinguono l'uno dall'altro come « via dei comandamenti » e « via dei consigli » ( cfr. S. Ignazio, Esercizi, Nr. 135 ).

( Dello stato sacerdotale si parlerà più avanti ).

La via dei consigli ha presto ottenuto già una forma istituzionalizzata ed è stata designata come « via della perfezione ».

« I consigli evangelici della verginità consacrata a Dio, della povertà e dell'obbedienza » sono senza dubbio « fondati nella parola e nell'esempio del Signore » ( Vat. II, L.G. 45 ), da Lui però ( come da Paolo, 1 Cor 7,25 ) prescritti non come via di tutti i credenti, anche se possiamo ( con Luca ) osservare che ciò che alcuni prescelti per questo seguono alla lettera viene, in un senso più ampio, richiesto a tutti.

Questa differenziazione delle forme di vita ci pone davanti ad una difficile questione: come può il « consiglio », che sinora appariva come una parte integrante dell'incondizionato « comandamento » dell'amore, uscirne fuori per formare di fronte ad esso un contrastante momento?

Sarebbe forse possibile distinguere all'interno dell'amore perfetto, cui ogni cristiano è chiamato, dei gradi, dei quali i più bassi sarebbero rimessi all'obbligo e i più alti al libero afferrare dei consigli?

In questa direzione Tommaso d'Aquino cerca la soluzione della questione, ed è per questo consigliabile prendere in considerazione precisamente le sue riflessioni.

Tommaso parla nella sua opera su « La perfezione della vita spirituale » in primo luogo della forma più perfetta dell'amore, come solo Dio stesso può realizzarla.

Dio solo sa quanto Egli è degno d'amore, ed Egli solo può amarsi così come Egli lo merita.

Al secondo posto sta l'amore per Dio che hanno i beati nel Cielo, i quali adempiono il comandamento principale così perfettamente come è possibile a delle creature: essi stessi in quanto soggetti vengono con ciò riempiti dall'amore fino all'orlo, mentre Dio, l'oggetto infinito dell'amore, anche in Cielo sarà eternamente superiore ad essi.

Al terzo posto sta la perfezione dell'amore come è raggiungibile in questa vita e come il comandamento principale lo richiede: « In un'altra maniera amiamo Dio con tutto il cuore, con tutto lo spirito, con tutta l'anima e con tutte le forze quando nulla ci manca dell'amore divino che non riferiamo attualmente o abitualmente a Dio, e questa perfezione dell'amore divino viene presentata all'uomo in forma di comandamento.

Esso richiede in primo luogo che l'uomo riferisca tutto a Dio come al suo fine, secondo le parole dell'Apostolo: « Sia che mangiate o che beviate o che facciate qualsiasi cosa, fate tutto per la gloria di Dio » ( 1 Cor 10,31 ).

Questo viene adempiuto quando qualcuno pone la sua vita a servizio di Dio e quando a causa di ciò tutto quello che egli fa viene virtualmente ordinato a Dio, ad eccezione di tutto ciò che conduce lontano da Dio, come per esempio il peccato.

In questa maniera l'uomo ama Dio con tutto il cuore.

In secondo luogo esso richiede che l'uomo sottoponga il suo intelletto a Dio, credendo tutto ciò che da Dio viene proposto a credere, secondo le parole dell'Apostolo: « rendendo ogni intelligenza soggetta all'obbedienza al Cristo » ( 2 Cor 10,5 ).

E in questa maniera Dio è amato con tutto lo spirito.

In terzo luogo, che l'uomo ami in Dio tutto ciò che egli ama, e che in complesso riferisca all'amore per Dio tutte le sue inclinazioni ad amare.

Così diceva l'Apostolo: « Se siamo stati fuori di senno, era per Dio; se siamo assennati, è per voi; poiché l'amore del Cristo ci spinge » ( 2 Cor 5,13 ).

E in questa maniera Dio è amato con tutta l'anima.

Quarto, che tutto ciò che noi esterniamo, parole e azioni, viene determinato dall'amore divino, secondo quel detto dell'Apostolo: « Tutto ciò che fate, sia fatto nell'amore » ( 1 Cor 16,14 ).

E così Dio è amato con tutte le forze.

A questa terza forma di perfetto amore divino sono:4 « Comprehensionem ( … ) non secundum quod importai aut tenninationem com-prehensi, sic enim Deus imcomprehensibilis est omni creaturae, sed secundum quod comprehensio importai consecutionem eius quod in sequendo aliquis quae-siyit » ( De perfectione vitae spiritualis, cap. 4 ).

Tutti obbligati dalla necessità del comandamento ( Omnes ex necessitate praecepti obligantur ).5

Riassumendo ciò che Tommaso interpreta qui come contenuto universalmente obbligante del comandamento principale, nella misura in cui esso concerne l'amore di Dio, possiamo dire che al primo posto sta l'ordinazione dell'amore a Dio, cosa che comprende in sé l'esclusione di ogni disordine.

La prontezza a regolare tutto secondo il punto di vista del servizio di Dio è determinata in secondo luogo dalla fondamentale obbedienza dell'intelligenza che non si da da sé la regola di vita, ma la riceve da Dio.

Vivere all'interno di questa regola significa in terzo e in quarto luogo amare tutte le creature in Dio e far provenire ogni espressione della propria vita dall'amore di Dio.

Ora non c'è nessun dubbio che chi nella sua vita attua questa interpretazione del comandamento principale porta in sé la pienezza dell'amore verso Dio raggiungibile sulla terra.

Tanto più urgente si innalza allora la domanda in che rapporto stiano a questa interpretazione i consigli evangelici.

Può l'amore prescritto, quale lo abbiamo appena delineato, venir conseguito senza di essi o sono essi intimamente necessari per pervenire a questa pienezza?

Tommaso seguita: E poiché l'Apostolo ha detto: " Non come se già l'avessi raggiunto o fossi perfetto ", aggiunge: " Solo mi sforzo di correre per conquistarlo " e dice alla fine: " Quanti dunque siamo perfetti dobbiamo avere questi sentimenti " ( Fil 3,12.15 ).

Da ciò risulta chiaramente che anche se su questa terra non possiamo raggiungere ancora la perfezione dell'afferrare ( in cielo ) dobbiamo tuttavia tendervi, protenderci per quanto possibile verso l'unità di quella celeste perfezione.

E in questo consiste la perfezione di quella vita a cui siamo dai consigli invitati.

Poiché è chiaro che il cuore umano si indirizza tanto più intensamente verso l'Uno, quanto più si distoglie dai molti.

Così l'indole umana viene condotta verso l'amore di Dio tanto più perfettamente quanto più viene chiamata via dalla dipendenza da ciò che è temporale.

Per questo dice Agostino che la vista dei beni da ottenere o da mantenere è veleno per l'amore ( 83 Quest. ).

Ma la crescita dell'amore è la diminuzione della bramosia, la pienezza di esso è l'annientamento di questa.

Tutti i consigli attraverso

Sotto questo punto di vista i tre consigli che i voti abbracciano ( povertà, castità e obbedienza ) appaiono soprattutto come mezzo per un fine che per tutti rimane il medesimo: l'amore perfetto.

« Poiché non viene fissato l'amore a Dio e al prossimo semplicemente secondo una certa misura ( secundum aliquam mensuram ) come comandamento, mentre i gradi più alti sarebbero riservati per i consigli; ciò risulta dal tenore stesso del comandamento, che urge alla pienezza".6

Di fronte a questo fine comune i consigli appaiono come ciò che è secondario e accidentale ( secundario et accidentali ter ), strumentale ( instrumentaliter ),7 come ciò che prepara la strada ( dispositive ),8 che spazza via ( ad removendum ) non solo ciò che rende impossibile l'amore come tale, ma anche ciò che, pur senza eliminarlo, ne rende più difficile la messa in atto.

Così l'abbandono dei beni esteriori non è già per questo equivalente all'essenza della perfezione, poiché possediamo esempi come quello di Abramo, che malgrado la sua ricchezza camminava nella perfezione davanti a Dio, anche se la perfezione conquistata nella ricchezza è, secondo le parole del Signore, difficile e rara, così rara che è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno dei cieli ( Mt 19,24 ).

Ma ciò che è raro non 'è impossibile.

Lo stesso punto di vista prevale nel dibattito sulla verginità.

Tutte le forme di dipendenza dalla carne, in modo speciale l'amore sessuale, « scompigliano l'orientamento dello spirito e oscurano la sua nitidezza ».9

Riguardo all'obbedienza il punto di vista sembra spostarsi leggermente.

Tommaso inizia subito con la dichiarazione: « Per la perfezione dell'amore si richiede non solo che l'uomo compia da sé le cose esteriori, ma anche che egli in una certa misura abbandoni se stesso.

Poiché dice Dionigi [ … ] che l'amore divino è estatico, cioè sradica l'uomo da se stesso, non permettendogli di appartenere a se stesso, ma a ciò che egli ama ».

E vengono addotti a sostegno di tale tesi testi di S. Paolo: « Vivo non più io. Cristo vive in me » ( Gal 2,20 ); « voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio » ( Col 3,3 ); « Cristo è morto per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi » ( 2 Cor 5,15 ), e infine la parola del Signore: « Chi viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo » ( Lc 14,26 ).

Seguita Tommaso: « L'osservazione di questo salvifico rinnegamento di sé e di questo odio pieno d'amore è in parte necessario alla salvezza e comune a tutti coloro che vengono salvati, e in parte appartiene al completamento della perfezione ( perfectionis complementum ) [ … ]

Il rinnegamento di sé e l'odio di cui abbiamo parlato devono venir distinti a seconda del grado dell'amore divino ( divini amoris gradum ).

Necessario alla salvezza è che l'uomo ami Dio a tal punto da porLo quale fine del proprio tendere e da non permettere nulla che egli consideri contrapposto all'amore di Dio; [ … ] appartiene invece alla perfezione che l'uomo compia da sé, per amore a Dio, anche ciò che gli sarebbe permesso utilizzare per il proprio comodo, per essere così più libero per Dio ».

Così è allora « evidente, dal modo in cui il Signore parla, che la sua proposta riguarda la perfezione.

Poiché come egli ( Mt 19,21 ) dice: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri", non imponendo con questo alcuna necessità, ma lasciandolo alla libertà, così egli dice ora: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" ( Mt 16,24 ) ».10

Prototipo di questo rinnegamento di sé appare Cristo Signore, che rinunciò ad ogni gestione in proprio della sua volontà, per fare in tutto la volontà di colui che lo aveva mandato.

E da qui manca solo un passo ancora - che Tommaso compie nel capitolo successivo - per collocare tutti e tre i voti sotto il nuovo punto di vista del sacrificio, in cui l'uomo, per amore a Dio, pone tutto a Sua disposizione, tutto quanto egli possiede: beni esteriori, corporali e spirituali.

Con ciò la valutazione dei consigli come « perfectionis via » ( cap. 7 ), come puro mezzo per il raggiungimento di un fine per tutti egualmente auspicabile, si sposta ora decisamente verso una valutazione degli stessi come « amoris gradus » ( cap. 10 ), come grado più elevato d'amore, che in virtù di una dedizione più grande appare anche egli stesso come più grande.

Questa duplicità d'interpretazione viene ad essere, nella successiva considerazione dell'amore per il prossimo come comandamento e come consiglio, una vera e propria mutazione di prospettiva ( cap. 13 ).

Qui infatti l'analisi inizia subito con la constatazione che ci sono « molteplici gradi di perfezione riguardo all'amore del prossimo ».

« C'è infatti una certa perfezione che è necessaria alla salvezza e cade sotto un comandamento necessario.

C'è però anche, al di là di questa, una perfezione ulteriore, sovrabbondante, che cade sotto i consigli ».

L'amore del prossimo comandato viene descritto da Tommaso ( così come era per l'amore di Dio comandato ) tutt'altro che in termini minimalistici.

A questo amore egli richiede quattro qualità: esso deve in primo luogo essere vero.

Non deve dunque amare il prossimo ( che è da amare come se stessi ) per amore del proprio io e del suo vantaggio, altrimenti sarebbe soltanto mascherato egoismo.

« L'amore non cerca ciò che è proprio » ( 1 Cor 13,5 ).

Deve in secondo luogo essere retto e giusto, concedendo altruisticamente al prossimo e cercando di procurargli i beni spirituali più di quelli corporali, e quelli corporali più di quelli esteriori.

In terzo luogo deve essere santo.

Non è sufficiente che si ami il prossimo perché è nostro parente o appartiene allo stesso popolo o in generale alla razza umana.

Piuttosto l'amore al prossimo, che riposa su questi vincoli naturali, deve venir espressamente ordinato verso Dio.

È per amor di Dio e della nostra comune provenienza divina e patria celeste che si deve amare e apprezzare il prossimo.

E Tommaso adduce la frase di Giovanni ( 1 Gv 4,21 ): « Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello ».

In quarto luogo, deve essere operante ed efficace.

Al di là di questo amore del prossimo necessario per la salvezza va l'amore che non è comandato, ma consigliato ( cap. 14 ).

Esso oltrepassa il primo in tre direzioni.

Primo, nell'estensione.

Infatti esso comprende espressamente in sé anche l'amore per i nemici, che il Signore contraddistingue come appartenente alla perfezione dicendo in connessione a ciò: « Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro nei cieli » ( Mt 5,48 ).

« Che questo vada però al di là dell'abituale perfezione diventa chiaro dall'Enchiridion di Agostino, dove egli dice che ciò è una cosa tipica dei perfetti figli di Dio, per la quale certo ogni credente deve ( debet ) sforzarsi e alla quale deve, con la preghiera a Dio e la battaglia con se stesso, indirizzare il suo spirito umano.

È tuttavia questo bene così grande non viene raggiunto dalla gran massa, della quale però noi crediamo che viene esaudita, se preghiamo: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori ».

Tommaso stesso trova la soluzione in questo, che il cristiano non esclude espressamente il nemico dal generale amore del prossimo, mentre appartiene invece alla perfezione del consiglio l'includerlo espressamente.

Questa forma ultima di amore ai nemici ha origine direttamente dall'amore divino; essa non ha alcun fondamento naturale nella più o meno ampia simpatia umana.

In secondo luogo ci sono nell'amore del prossimo gradi di intensità; quanto più l'amore è forte, tanto più facilmente colui che ama rinuncia ad un proprio bene per darlo al prossimo.

Egli può lasciare i suoi beni esteriori, il suo corpo, ultimamente la sua vita al servizio del prossimo.

A questo ultimo passo accenna Giovanni: « Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi.

Quindi anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli » ( 1 Gv 3,16 ), la qual cosa deve valere espressamente come grado supremo dell'amore, secondo la parola del Signore: « Nessuno ha un amore più grande di colui che da la sua vita per i suoi amici » ( Gv 15,13 ).

Perciò possiamo dire che questo grado supremo cade sotto il comandamento solo allorché non rimane nessun'altra via per ottenere la salvezza dell'anima del prossimo, mentre appartiene alla perfezione del consiglio l'offrire volontariamente per amore dei fratelli anche il sacrificio della propria vita.

In terzo luogo, si può misurare l'amore dalla grandezza dei suoi effetti.

Così si possono fornire al prossimo beni corporali, gli si possono far pervenire beni spirituali, gli si possono infine donare, attraverso la consegna della dottrina celeste e la trasmissione della grazia sacramentale, beni divini.

Tommaso certamente parla stavolta non più dell'adempimento dell'amore come consiglio, poiché ciò che egli qui delinea non appartiene primariamente allo stato dei consigli, ma allo stato sacerdotale, soprattutto a quello episcopale.

Abbracciando con lo sguardo questa serie di riflessioni, diventa chiaro che in essa ha luogo più fortemente ancora che nell'esposizione che concerneva l'amore per Dio uno spostamento di visuale.

Sempre più avanza in primo piano la domanda a cosa sia obbligato l'uomo dal comandamento dell'amore, e cosa egli possa, al di là di questo, ancora fornire volontariamente.

Questa distinzione viene presa come filo conduttore per la differenziazione dei due stati.

Adesso però questa formulazione della domanda non sembra più essere, come dicevamo prima, attinente l'amore.

Esso non chiede più quali sono i confini, fino a dove esso può venir costretto ad andare.

Esso chiede soltanto quanto lontano gli è permesso di andare.

Non lo si deve spronare, ma semmai tenere a freno.

Se si volesse dunque giudicare lo stato contrassegnato dalla non obbligazione ai consigli unicamente dal punto di vista dell'amore che si dona, esso dovrebbe adesso starsene lì necessariamente come stato di un amore incompleto.

Ma proprio questo voleva radicalmente evitare Tommaso: « L'amore a Dio e al prossimo non viene limitato dal comandamento ad una determinata misura, lasciando ciò che l'oltrepassa allo stato dei consigli ».11

E tuttavia egli deve ammettere nello stesso articolo: « Per il fatto di non attenersi nella maniera più perfetta ad un comandamento, uno non diviene ancora trasgressore di esso.

Basta piuttosto che egli in qualche maniera vi si attenga [ … ]

Il grado più basso dell'amore a Dio sta però in questo, che non venga amato niente al di sopra di Dio, niente contro di lui, niente così fortemente come lui; se qualcuno scende al di sotto di questo grado di perfezione non adempie in nessun modo il comandamento.

C'è inoltre un grado di amore perfetto che sulla terra non può affatto venir raggiunto, e chi non lo adempie non è certamente un trasgressore del comandamento.

Così pure non infrange il comandamento colui che non raggiunge i gradi medi di perfezione, posto che egli raggiunga solo il grado più basso ».12

Porre così la questione significa ammettere implicitamente che per la distinzione dei due stati l'angolo visuale dell'amore come puro movimento di dedizione non è sufficiente.

Per l'amore la divisione tra comandamento e consiglio resta semplicemente incomprensibile.

Se i consigli permettono in un qualche rapporto più amore, allora chi non segue i consigli dovrà inevitabilmente venire addebitato di un meno d'amore, e i due stati si distingueranno necessariamente come lo stato dell'amore imperfetto e quello dell'amore perfetto.

Se dunque a partire dall'amore dell'uomo per Dio una tale distinzione nella struttura della Chiesa non può chiaramente venir fatta, si dovranno allora prendere per la sua fondazione altri angoli visuali.

1. C'è allora in primo luogo il fatto elementare che gli uomini, così come sono, non aspirano affatto al comandamento dell'amore, non pensano a vedere nell'adempimento di questo comandamento l'unico senso della loro esistenza.

Solo perché non hanno più l'amore, perché sono, caduti fuori dal suo nucleo incandescente, l'amore può venir presentato ad essi generalmente nella forma di un comandamento.

Il comandamento fondamentale, da cui dipendono tutta la Legge e i Profeti, chi lo osserva?

Chi può dire che egli ha amato Dio non con cuore a metà, ma con tutto il suo cuore, se questa interezza non gli viene sborsata in anticipo, per misericordia col peccatore, in modo che egli può acciuffare per il rotto della cuffia il suo « grado più basso »?

E lo acciuffa poi veramente questo grado più basso così come già Tommaso lo ha descritto: come ordinamento di tutta la vita a Dio, come sottomissione dell'intelletto a Dio, come amore di tutte le cose terrene in Dio, come lasciar sgorgare ogni espressione di sé dall'amore di Dio?

Il peccato regna talmente nei cuori degli uomini, che uno che orienti la sua vita secondo questo grado più basso, che è comandamento in senso stretto, viene considerato da essi già quasi come un essere soprannaturale.

Solo quando viene inclusa la realtà del peccato diventa chiaro il perché può venir posto un tale peso sui consigli come mezzo per l'allontanamento degli ostacoli.

Solo a partire di qui appare giustificato il loro carattere sussidiario: essi creano via libera per l'amore che è - come sottolinea Agostino - sin troppo ostacolato dalla concupiscenza egoistica.

Così solo diventa chiaro perché essi vengono designati come « consigli » e non come comandamenti, e perché la via dell'uomo appare tesa in questa maniera come una via che dal non amore conduce, attraverso tutti i gradi di amore imperfetto, sin dentro all'amore.

2. Ma questa considerazione abbisogna ancora di una radicalizzazione.

Non solo il fatto che l'uomo è in cammino dal peccato verso l'amore determina la forma mobile, dinamica per così dire, in cui il comandamento dell'amore gli è presentato, ma anche il fatto più profondo che egli, in quanto creatura che sta innanzitutto nella sua naturalità di fronte a Dio secondo rapporti e leggi del tutto determinati, viene attratto con la Grazia in una « partecipazione alla natura divina », alla comunione d'amore tra Padre e Figlio nello Spirito Santo, attraverso cui il suo rapporto all'amore si tinge ancora nuovamente di tinte dinamiche.

Se egli, considerato come peccatore ( quale di fatto è ), è continuamente nel pericolo di trattare i comandamenti dell'amore in termini minimalistici e di contrapporre all'eternamente incalzante esigenza dell'amore la fredda domanda, che certo è una domanda di non amore: « A quale grado di amore sono in caso estremo obbligato? », bisogna dire d'altra parte che, considerato come semplice creatura, sta di fronte al suo eterno creatore primariamente in un rapporto di rispetto, di « religio », di sottomissione, che giustamente viene collocata da Tommaso nella virtù della giustizia ( II II q 81 ).

Religione è, sul fondamento della semplice creaturalità, la direttiva per il giusto rapporto della creatura nei confronti del suo creatore, e in quanto dottrina contiene necessariamente quelle definizioni dei confini che sono date dalla distanza tra Dio e creatura e così pure dall'intima limitatezza della creatura.

E ci si può infatti qui chiedere se il concetto di un amore per Dio al di sopra di tutto, di un amore che dovrebbe essere pronto e capace di ogni dedizione, è richiesto già nel comandamento concernente il rapporto puramente naturale tra creatore e creatura.

Tommaso, che pronuncia la parola di un tale amore « naturale » ( amor Dei naturalis ), notoriamente non distingue ancora tra un ordo naturae « creatae » e un ordo naturae « elevatae »; l'amore a Dio completamente altruista che egli ascrive alla creatura in base alla natura, prende a prestito in fondo la sua forma e intensità dalla carità soprannaturale, quale solo la Rivelazione ce l'ha portata.

Ma proprio perché Tommaso qui non distingue chiaramente ordine naturale e soprannaturale, perché egli già nella sua descrizione della natura mischia momenti della soprannatura, farà giocare anche nella descrizione della relazione d'amore soprannaturale di nuovo momenti della natura.

L'idea di « giustizia » e con ciò di obbligo nel senso di un adempimento di prescrizioni lo accompagnerà sin nella struttura dell'amore perfetto e si incrocerà là con i punti di vista suggeriti nella trattazione del comandamento dell'amore dal fatto della caduta dell'uomo e della sua peccabilità.

Con ciò viene a sorgere un particolare mutamento all'interno della formulazione della domanda, nella misura in cui alle leggi dell'amore naturale vengono in duplice maniera accostati problemi che all'interno dell'amore non hanno alcun senso e alcuna validità.

L'amore stesso è qualcosa di esoterico, in quanto è compreso nella sua logica, nella sua necessità, solo da coloro che amano.

Quando per esempio Giovanni erige la necessità: poiché il Signore ha dato la sua vita per noi, « per questo dobbiamo anche noi dare la vita per i fratelli » ( 1 Gv 3,16 ), questo diventa ragionevole solo all'interno dell'amore, per uno che ama, mai invece per uno che si pone dal punto di vista della giustizia, cioè della « rettitudine » e « religione » naturale.

Se ci si colloca su questo piano non si potrà far altro - discorrendo dell'amore dall'esterno - che distinguere « comandamenti » e « consigli ».

Si distinguerà poi, sempre perché non ci si muove all'interno della vita e delle leggi dell'amore soltanto, tra ciò che si è « obbligati » a fare « ex iustitia » e « ex caritate ».

Il concetto di obbligo che si viene così ad introdurre nella formulazione della domanda non ha affatto origine da quell'ordine in cui il Signore adempie all'assoluta esigenza d'amore del Padre e la presenta senza indebolirla ai suoi discepoli come norma ( Gv 15,9-14 ), ma ha origine invece dall'ordine del « diritto naturale », anzi: del « diritto del peccato », nella misura in cui quest'ordine non è ancora compenetrato dall'amore perfetto.

Da questo collocarsi all'esterno, che ha certo una sua realtà, una realtà per la maggior parte degli uomini anche troppo evidente, traggono origine quelle distinzioni, giustificate per coloro che non amano ancora, tra obbligo o comandamento e consiglio lasciato alla libertà.

E nella misura in cui c'è non solo questo collocarsi « all'esterno », ma l'ancor più difficilmente fissabile collocarsi « tra » amore e non amore, c'è cioè la via verso l'amore, su cui gli uomini per lo più si trovano, è allora giusto che le leggi in vigore nell'amore perfetto, nell'amore per eccellenza, vengano presentate ad essi attraverso una rottura estranea, una ineliminabile deformazione.

Considerata in questa luce e su questo piano, è inoppugnabile la verità della proposizione che Tommaso insieme alla maggior parte dei teologi difende: cioè che l'uomo non è obbligato a compiere sempre ciò che è più perfetto, perché altrimenti la distinzione tra comandamento e consiglio si cancellerebbe ( de Ver. q 17 a 3 ad 2; ibid. q 23 a 8 ad 4; Quodiib. 3 a 14 ).

Su questo piano hanno poi reale valore anche quelle distinzioni che egli giunge a introdurre sin nel cuore del comandamento principale e che da una parte gli fanno dire che l'amore totale e perfetto è cosa del comandamento ( « perfectio [ … ] dilectionis [ … ] cadit sub praecepto, ita quod etiam perfectio patriae non excluditur ab ilio praecepto". II II q 184 a 3 ad 2 ), cioè per tutti: « sive sit religiosus, sive saecularis, sive clericus, sive laicus etiam matrimonio iunctus » ( Quodiib. 3 17 ), ma che poi però gli fanno di nuovo inserire all'interno della « perfezione dell'amore » gradi e livelli, dei quali quello più basso, il non compiere peccati gravi, viene considerato come possibile adempimento del comandamento dell'amore ( II II q 44 a 4 ad 2 ).

Poiché poi il comandamento dell'amore come legge affermativa non obbliga « prò semper », è sufficiente un abituale volgersi a Dio ( II II q 88 a 1 ad 2 ).

I confini che Tommaso introduce nel comandamento dell'amore si lasciano ricondurre a tre:

a) Il confine della creaturalità in generale, il quale impedisce che in un qualsiasi atto creaturale Dio venga amato come in sé meriterebbe di essere amato ( « prout Deus tantum diligitur quantum diligibilis est, et talis perfectio non est possibilis alieni creaturae ». S Th II II q 184 a 2; III Dist. 29 q 1 a 8 sol 2 ad 4 ).

Qui c'entra però anche la maniera in cui Tommaso comprende i voti come una forma di « religio » ( II II q 138 ), commisurando la forma di dedizione che per il cristiano è la più alta a qualcosa che ultimamente è espressione della ( creaturale ) analogia entis. -- * --

b) Il confine della condizione terrena, che non permette all'uomo di raggiungere la perfezione dell'amore prevista da Dio come traguardo ( II II q 44 a 5 ).

Questo confine si concretizza in molteplici modi: « [ … ] alioquin esset obligatio ad infinitum, cuna tamen natura et ars et omnis lex certos fines habeant » ( Quodiib. 1 q 7 ad 2 ).

c) Infine il confine tracciato dallo stato decaduto della natura umana, il quale ci fa rimanere per tutta la vita in una certa debolezza e imperfezione.

Però Tommaso non può del tutto accettare tranquillamente una così statica fissazione dei confini all'interno della sconfinatezza dell'amore.

Primo, perché l'amore che nel Nuovo Patto viene richiesto all'uomo ha la sua misura non nella limitatezza della natura umana, ma nel dono di grazia dell'amore divino, comunicatoci e riversato in noi, un amore che apre al di là di sé la creatura in sé limitata, la apre alla partecipazione alla sconfinatezza della vita divina: « amor autem vim transformativam habet, unde Dionysius ( 4 Div. Nom. ) dicit: est autem ex-stasis faciens divinus amor, non sinens sui ipsorum amantes esse, sed amatorum [ … ] lile perfecte caritatem habet, qui totaliter in Deum per amorem transformatur » ( Quodiib. 3 17 ).

Poiché però il comandamento dell'amore ottiene così una dinamica non più limitabile, in cui, nella misura in cui il comandamento stesso esprime il movimento, la distinzione tra comandamento e consiglio ultimamente cade, si dice conseguentemente: « Hoc quod dicitur: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde intelligitur esse praeceptum secundum quod totaliter exclu-dit omne illud quod impedii perfectam Dei inhaesionem, et hoc non est praeceptum, indicatur enim nobis per hoc non quid faciendum, sed potius quo tendendum sit » ( Quaest. disp. de Car. a 10 ad 1 ).

Proprio l'eliminazione di tutto ciò che ostacola la piena unione con Dio è oggetto dei consigli, cosicché veniamo qui riaccompagnati a quell'ardita e spensierata posizione sulla « perfezione della vita spirituale » ( Opusc. 17 cap. 6 ).

Tommaso non può fare a meno di lasciare i consigli in una certa tensione, in cui essi da una parte appaiono un mezzo per un fine che li trascende, poi però appaiono anche come una « partecipazione a » ed un « riposo in » questo fine, e infine come una rappresentazione e un'esperienza del fine stesso: « Religionis status potest considerari tri-pliciter: uno modo, secundum quod est quoddam exercitium tendendi in perfectionem caritatis; allo modo, secundum quod quietai animum humanum ab exterioribus sollicitudinibus [ … ], tertio modo, secundum quod est quoddam holocaustum, per quod aliquis totaliter se et sua offert Deo » ( S Th II II q 186 a 7 ).

Da tutto ciò dovrebbe esser diventato più chiaro come non semplicemente per il fatto del peccato, ma più profondamente ancora per il fatto del dualismo di natura e soprannatura, di ordine della « giustizia » e ordine dell' « amore », si giustifica una certa - anche se in maniera fluente - dinamica distinzione di comandamento e consiglio, di ciò che è dovuto e ciò che è in sovrappiù.

Con ciò non si è però ancora risposto alla nostra domanda di partenza: perché lo stato che non segue i consigli ( o perlomeno non li segue alla lettera ), che non afferra questo mezzo così essenziale per il raggiungimento dell'amore, non è tuttavia da considerare univocamente, di fronte allo stato dei consigli, come inferiore, come stato dell'amore imperfetto.

3. Qui deve entrare in gioco una seconda, del tutto diversa visione: quella che prevale negli « Esercizi » di Ignazio di Loyola e che ha gettato una nuova luce evangelica sulle forme di vita cristiana.

Finora abbiamo descritto l'amore come se esso fosse innanzitutto cosa dell'uomo soltanto.

Ma se è vero che l'uomo ama Dio, è pur vero che Dio stesso è amore ed è anche la misura dell'amore dell'uomo verso di Lui.

Dio non è mai un puro e semplice oggetto che si lascia amare, Egli è il soggetto infinito che, prima ancora che noi fossimo, si è liberamente deciso ad amarci, e che inoltre ci ha liberamente amato « quando noi eravamo ancora peccatori » ( Rm 5,8 ), ancora immersi nell'odio, volti lontano da Lui.

Egli è colui il cui amore possiede sotto ogni aspetto la priorità nei confronti dell'amore umano, e al cui amore ogni amore umano può essere sempre solo risposta.

Solo perché l'amore di Dio per noi è così infinito e indivisibile ci viene dato il comandamento di riamare questo eterno Amore con: tutte le forze del nostro essere.

Ma l'amore quando si dona non è invadente; esso domanda quali sono la volontà e il desiderio dell'amato, dai quali riceve la misura della sua donazione.

Amare con tutte le forze non significa portare in casa all'amato indiscriminatamente tutto ciò che in beni esteriori ed interiori si possiede e gettarglielo ai piedi.

Così facendo lo si potrebbe forse disturbare, si sarebbe in ogni caso indiscreti, e ci si dovrebbe aspettare che tutti questi regali inopportuni possano venir rifiutati e rimandati indietro.

Non che l'amore non possa anche occasionalmente offrire un regalo amichevole, come sorpresa.

Ma abitualmente il vero e proprio regalo consisterà nello stare con tutto ciò di cui si dispone a servizio dell'amato.

Egli solo stabilisce, egli solo fa la scelta di ciò che gli si può donare.

Ciò presuppone ora nell'amante un non meno perfetto atteggiamento di dedizione di quello che per propria decisione rinuncia letteralmente a tutto ciò che ha di proprio.

L'amore vero rinuncia radicalmente e fondamentalmente a tutto, secondo la disposizione inferiore, per tenere a disposizione ogni cosa al primo cenno.

Esso è pronto a percorrere ogni strada, la più ardua come la più agevole.

È pronto a percorrere la strada dei comandamenti come quella dei consigli.

Un tale amore è perfetto, anche se di fatto non gli viene richiesto tutto quanto sino all'estrema dedizione possibile.

È perfetto come quelle ancelle nel Vangelo, che stanno nella notte coi fianchi cinti e le fiaccole accese, che il padrone arrivi oppure no.

Esse tendono l'orecchio alla voce dell'amato, che la sua chiamata le raggiunga oppure no.

E sono contente anche se non poterono, come altre preferite, donare di più.

Accettano come un sacrificio il fatto di non aver sacrificato tutto ciò che avrebbero potuto sacrificare.

Se lo stato dei comandamenti avesse in sé questa disposizione interiore non sarebbe in alcuna maniera svantaggiato nei confronti dello stato dei consigli.

Ma ciò presupporrebbe che avesse in sé la disposizione dello stato dei consigli, cioè la completa indifferenza, a seconda della volontà del Signore di eleggere l'uno o l'altro stato.

Qualcosa di questa disposizione era rintracciabile nella descrizione che Tommaso fece dell'amore di Dio in quanto comandamento.

Colui che realmente ordina la sua vita al servizio di Dio, nella piena sottomissione della sua intelligenza sotto la regola della fede, colui che realmente non ama alcuna creatura fuori di Dio e tutto ciò che fa e dice lo ha misurato sul parametro dell'amore di Dio ( De perfezione, cap. 5 ), costui possiede anche la piena indifferenza, che gli permette di non opporre alcuna resistenza al volere di Dio quando questo gli viene reso noto, che Dio lo chiami ad uno stato o all'altro.

Ma proprio qui diventa ora di nuovo attuale il primo punto di vista, nella misura in cui esso accennava all'ostacolo del peccato.

Quando Ignazio di Loyola nei suoi Esercizi, che nella loro intenzione ultima non hanno altro scopo che il compimento della scelta dello stato di vita e in vista di ciò la chiarificazione di una eventuale vocazione allo « stato dei consigli », fonda tutto sin dall'inizio sull'atteggiamento dell'indifferenza, per poi introdurre sempre più profondamente in questo atteggiamento ( Nr 98, 155, 166 ), fa questo non senza eliminare, alla fine della « Prima Settimana », tutti coloro dai quali ritiene di non potersi aspettare quella forma di indifferenza da lui sperata: un'indifferenza anche nelle sempre maggiori esigenze dell'amore di Cristo, sino alla sequela nella croce.

Chi fosse privo di capacità di comprendere e di capienza spirituale per volere e aspettarsi di più che « un certo grado di tranquillizzazione della propria anima » ( Nr 18 ) non dovrebbe venir introdotto nelle cose riguardanti la « scelta ».

Costui non avrà certamente colto nel « principio e fondamento » ciò che per Ignazio indubitabilmente v'è, anzi a cui esso addirittura mira espressamente: le leggi del « consiglio » e del « sovrappiù », che per colui che vuole amare rientreranno nella sfera dell' « obbligo » altrettanto quanto i « comandamenti ».

Attraverso i suoi esercizi spirituali Ignazio non vuole affatto spazzare via forzatamente quella tensione esistente tra le due vie dei comandamenti e dei consigli, così come tra i due mondi dell'obbligo sotto il peccato e di ciò che al di là di questo è da fornire volontariamente.

Anche se egli cerca di costruire ponti dal primo al secondo per facilitare l'accesso, e se per lui, che vive nell'amore e nelle sue leggi, questo passaggio è la cosa più ovvia e vorrebbe comunicare ad ognuno e presupporre per ognuno questa per lui evidente necessità di una generosità che offre tutto di sé, egli conosce bene tuttavia i limiti: non tutti hanno accesso a questo mondo interiore e a questa logica dell'amore ( ed è bene allontanare per tempo coloro che non sono adatti, per non danneggiarli, confonderli o addirittura portarli ad una palese ostinazione ), e inoltre non tutti quelli che vi hanno accesso sono di fatto chiamati.

Così anche questa seconda ricognizione va a finire ultimamente in una impenetrabilità che rimane in sospeso.

Se da una parte la via dei consigli sembra chiaramente migliore della via dei comandamenti. ( Nr 14-15, 356-357), il compimento dell'amore sembra però riportato indietro nell'atteggiamento dell'indifferenza che amando è pronta a tutto, a tal punto che non si capisce più perché la via dei consigli debba essere « più perfetta » della via dei comandamenti.

E altrettanto poco si capisce ( come prima a proposito della riflessione sul peccato ) perché le vie dell'amore si dividano in due vie così fondamentalmente diverse che da questa separazione vengono a contrapporsi addirittura due « stati ».

Come nel passaggio dal peccato all'amore appaiono possibili innumerevoli punti di osservazione, così appaiono qui di nuovo pensabili innumerevoli chiamate da parte di Dio e vocazioni cristiane corrispondenti ad esse, tutte configurabili a partire dal medesimo punto della disponibilità umana e prontezza a rispondere.

Nel puro volere di Dio come tale ( anche nella sua volontà d'amore ) non si scorge alcun motivo del perché la Chiesa debba essere articolata in stati rigorosamente distinti.

Così la ricerca sembra per il momento essere rimasta senza risultati.

Partendo dall'essenza dell'amore, da cui avevamo preso le mosse, si può certamente giungere a comprendere che al di là del « doveroso » c'è una sfera in cui ci si lega liberamente, e che questa sfera, considerata a partire dall'obbligo, appare come « consiglio ».

Ma né a partire dall'amore dell'uomo per Dio, né a partire dall'amore di Dio che elegge l'uomo si possono far derivare in maniera soddisfacente le forme di vita ecclesiali menzionate, poiché l'invito all'amore perfetto è indirizzato a tutti.

Per questa deduzione sarà dunque necessaria una nuova impostazione di pensiero.

Indice

4 Quali siamo invitati alla perfezione hanno come scopo di trar via lo spirito dell'uomo dalla dipendenza dalle cose terrene per poter tendere più liberamente a Dio: contemplandolo, amandolo e facendo la sua volontà"
5 Ibid., cap. 5.
6 S Th II II q 184 a 3 e
7 II II q 184 a 3 e
8 II II q 186 a 2 e
9 De perf ectione vitae spiritudis, cap. 8
10 Ibid., cap. 10
11 S Th II II q 184 a 3 e
12 II II q 184 ad 2