Summa Teologica - II-II

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Articolo 7 - Se sia giusto dire che la perfezione religiosa consiste in questi tre voti

I-II, q. 108, a. 4; C. G., III, c. 130; De perf. vitae spir., c. 11; C. impugn., c. 1

Pare che non sia giusto dire che la perfezione religiosa consiste in questi tre voti.

Infatti:

1. La perfezione va cercata più negli atti interni che in quelli esterni, secondo le parole di S. Paolo [ Rm 14,17 ]: « Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo ».

Ora, con i voti religiosi uno si obbliga alla pratica della perfezione.

Perciò alla religione dovrebbero appartenere più i voti che si riferiscono agli atti interni, come la contemplazione e l'amore di Dio e del prossimo, che non i voti di povertà, castità e obbedienza, i quali riguardano gli atti esterni.

2. Le tre pratiche suddette sono oggetto dei voti religiosi in quanto costituiscono un esercizio per raggiungere la perfezione.

Ma i religiosi hanno molti altri esercizi: come l'astinenza, le veglie e altre cose del genere.

Quindi non è giusto affermare che i tre voti suddetti costituiscono essenzialmente lo stato religioso.

3. Con il voto di obbedienza uno si obbliga a fare tutto ciò che rientra nell'esercizio della perfezione, secondo il comando dei superiori.

Quindi basta il voto di obbedienza, escludendo gli altri due.

4. Rientrano nei beni esterni non solo le ricchezze, ma anche gli onori.

Se dunque con il voto di povertà i religiosi rinunziano alle ricchezze, dovrebbe esserci anche un altro voto col quale rinunziare agli onori del mondo.

In contrario:

« L'osservanza della castità e la rinunzia alla proprietà », dicono le Decretali [ 3,35,6 ], « sono inseparabili dalla regola monastica ».

Dimostrazione:

Lo stato religioso può essere considerato sotto tre aspetti:

primo, in quanto è un esercizio per raggiungere la perfezione della carità;

secondo, in quanto acquieta l'animo dalle preoccupazioni esterne, in conformità con il desiderio di S. Paolo [ 1 Cor 7,32 ]: « Io vorrei vedervi senza preoccupazioni »;

terzo, in quanto è un certo olocausto, con il quale uno offre a Dio interamente se stesso e i propri beni.

E sotto questi tre aspetti lo stato religioso risulta costituito dai tre voti suddetti.

Prima di tutto perché, quanto all'esercizio della perfezione, è indispensabile che uno si liberi da quelle cose che possono impedire al suo affetto di tendere totalmente a Dio, nella quale tendenza consiste la perfezione della carità.

E si tratta di tre cose.

La prima è la cupidigia dei beni esterni.

E questa viene eliminata dal voto di povertà.

- La seconda è la concupiscenza dei piaceri sensibili, tra i quali i più violenti sono i piaceri venerei.

E questi vengono esclusi dal voto di castità.

- La terza poi è il disordine della volontà umana.

E questo viene tolto dal voto di obbedienza.

Così pure anche il turbamento delle preoccupazioni secolari deriva nell'uomo da tre cose.

Primo, dall'amministrazione dei beni esterni.

E questa preoccupazione viene tolta dal voto di povertà.

- Secondo, dal governo della moglie e dei figli.

E questo viene eliminato dal voto di castità.

- Terzo, dal dover decidere della propria condotta.

E ciò viene eliminato dal voto di obbedienza, per cui ci si affida alle deliberazioni di un altro.

Parimenti anche « l'olocausto », dice S. Gregorio [ In Ez hom. 20 ], « si ha quando uno offre a Dio tutto ciò che possiede ».

Ora, l'uomo è in possesso di tre beni, come nota il Filosofo [ Ethic. 1,8 ].

Primo, dei beni esterni.

E questi vengono offerti totalmente a Dio con la povertà volontaria.

- Secondo, dei beni del corpo.

E questi vengono offerti a Dio specialmente con il voto di castità, con cui si rinunzia ai più grandi piaceri del corpo.

- Terzo, dei beni dell'anima.

Beni questi che vengono offerti totalmente a Dio con l'obbedienza, con la quale si offre a Dio la propria volontà, mediante la quale l'uomo è padrone di tutte le potenze e di tutti gli abiti dell'anima.

Giustamente quindi lo stato religioso risulta dai tre voti suddetti.

Analisi delle obiezioni:

1. Lo stato religioso è ordinato, come si è visto [ nel corpo; a. 1, s. c.; a. 2 ], alla perfezione della carità, a cui si riallacciano tutti gli atti interiori delle virtù, che hanno nella carità la loro madre, secondo l'affermazione di S. Paolo [ 1 Cor 13,4ss ]: « La carità è paziente, è benigna », ecc..

Perciò gli atti interni delle virtù, cioè dell'umiltà, della pazienza e simili, non sono oggetto dei voti religiosi, poiché costituiscono il fine stesso di tali voti.

2. Tutte le altre osservanze della vita religiosa sono ordinate ai suddetti tre voti principali.

Quelle infatti che mirano ad assicurare la sussistenza, come il lavoro o la mendicità, sono ordinate alla povertà, per la cui tutela i religiosi si procurano il vitto nei modi suddetti.

- Quelle invece che sono fatte per macerare il corpo, come le veglie, i digiuni e altre cose del genere, sono direttamente ordinate alla custodia del voto di castità.

- Le altre osservanze poi che nella vita religiosa riguardano gli atti umani con i quali si tende al fine della medesima, cioè all'amore di Dio e del prossimo, come la lettura, la preghiera, la cura degli infermi e altre opere del genere, rientrano nel voto di obbedienza, che interessa la volontà, la quale viene così a ordinare i propri atti al fine secondo le deliberazioni di un altro.

- L'abito poi si riferisce a tutti e tre i voti, quale segno degli obblighi assunti.

Ed è per questo che l'abito religioso è dato o benedetto nell'atto della professione.

3. Con l'obbedienza si offre a Dio la propria volontà, alla quale sono soggetti tutti gli atti umani, alcuni però in modo speciale ed esclusivo, vale a dire le azioni esterne: le passioni infatti appartengono anche all'appetito sensitivo.

E così per reprimere le passioni relative ai piaceri carnali e ai beni esterni che ostacolano la perfezione erano necessari i voti di castità e di povertà, mentre per regolare le azioni esterne secondo quanto esige lo stato di perfezione si richiede il voto di obbedienza.

4. L'onore, come dice il Filosofo [ Ethic. 4,3 ], propriamente e realmente non è dovuto che alla virtù: siccome però i beni esterni servono strumentalmente a certi atti virtuosi, un certo onore ridonda anche sulle grandi fortune; specialmente da parte del volgo, il quale sa apprezzare solo la grandezza esterna.

All'onore quindi che viene prestato a Dio e ai santi per la loro virtù, secondo le parole del Salmo [ Sal 139,17 Vg ]: « Oltremodo onorati sono per me i tuoi amici, o Dio », i religiosi che tendono alla perfezione delle virtù non devono rinunziare.

Invece all'onore che viene prestato alla grandezza esteriore essi rinunziano per il fatto stesso che abbandonano la vita secolare.

Non si richiede quindi un voto speciale per questo.

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