Summa Teologica - I-II

Indice

Articolo 7 - Se siano richieste delle opere buone perché l'uomo ottenga da Dio la beatitudine

I, q. 62, a. 4; Comp. Theol., c. 172

Pare che non si richiedano opere umane per ottenere da Dio la beatitudine.

Infatti:

1. Dio, essendo un agente di potenza infinita, non richiede la materia o le disposizioni della materia per agire, ma può produrre tutto in un istante.

D'altra parte le opere dell'uomo, non essendo richieste come causa efficiente per la beatitudine, possono servire solo come disposizioni.

Quindi Dio, il quale non ha bisogno di predisposizioni per agire, assegna la beatitudine senza opere precedenti.

2. Dio è causa immediata della beatitudine come è stato causa immediata della natura.

Ora, nella creazione della natura Dio produsse le creature senza il presupposto di disposizioni o di operazioni delle creature stesse, ma costituì immediatamente ogni essere perfetto nella sua specie.

Quindi egli conferisce la beatitudine all'uomo senza presupporre operazione alcuna.

3. L'Apostolo [ Rm 4,6 ] dice che la beatitudine appartiene all'uomo « al quale Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere ».

Quindi per conseguire la beatitudine non sono richieste delle opere umane.

In contrario:

Sta scritto [ Gv 13,17 ]: « Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica ».

Quindi si raggiunge la beatitudine mediante le opere.

Dimostrazione:

Per la beatitudine è richiesta, come si è già detto [ q. 4, a. 4 ], la rettitudine della volontà, consistente nel debito ordine del volere rispetto all'ultimo fine; e viene richiesta per il conseguimento dell'ultimo fine come la buona disposizione della materia per la ricezione della forma.

Ma ciò non basta a dimostrare che la beatitudine dell'uomo deve essere preceduta da una sua operazione: infatti Dio potrebbe produrre una volontà che tende al fine e che simultaneamente lo raggiunge, come fa talora quando simultaneamente dispone la materia e dà la forma.

Ma l'ordine della divina sapienza esige che così non avvenga: poiché, come osserva Aristotele [ De caelo 2,12 ], « tra gli esseri che sono capaci di possedere il bene perfetto alcuni lo possiedono senza moto, altri con un moto solo e altri con molti moti ».

Ora, possedere il bene perfetto senza moto appartiene a colui che lo possiede per natura.

E possedere per natura la beatitudine è soltanto di Dio.

Quindi è proprio soltanto di Dio non muoversi verso la beatitudine con un'operazione che la preceda.

Nessuna pura creatura invece raggiunge la beatitudine in maniera conveniente senza un moto operativo col quale tenda a raggiungerla.

L'angelo tuttavia, che in ordine di natura è superiore all'uomo, l'ha raggiunta, secondo l'ordine della sapienza divina, con un solo moto del suo agire meritorio, come fu spiegato nella Prima Parte [ q. 62, a. 5 ].

Gli uomini invece la raggiungono con i moti molteplici delle loro operazioni, cioè con i meriti.

Per cui la beatitudine, come dice il Filosofo [ Ethic. 1,9 ], è anche il premio delle azioni virtuose.

Analisi delle obiezioni:

1. L'azione umana non è richiesta al conseguimento della beatitudine per l'insufficienza della virtù divina a rendere beati, ma per rispettare l'ordine nelle cose.

2. Dio produsse subito le prime creature nella loro perfezione, senza presupporre disposizioni od operazioni del creato, perché si trattava di formare i primi individui delle specie, dai quali la natura si sarebbe propagata nei posteri.

E allo stesso modo, per il fatto che da Cristo, uomo Dio, doveva derivare agli altri la beatitudine - secondo l'espressione dell'Apostolo [ Eb 2,10 ]: « volendo portare molti figli alla gloria » -, fin dal principio del suo concepimento, senza alcuna azione meritoria precedente, l'anima di Cristo fu subito beata.

Ma questa è una condizione singolare per lui: infatti nel caso dei bambini battezzati interviene il merito di Cristo per il conseguimento della beatitudine, sebbene manchino i meriti personali: poiché con il battesimo essi sono divenuti membra di Cristo.

3. L'Apostolo parla della beatitudine della speranza, che si ha mediante la grazia della giustificazione, che non è concessa per le opere precedenti.

Questa infatti non ha il carattere di termine di un moto, come la beatitudine, ma è piuttosto il principio del moto con cui si tende alla beatitudine.

Indice