Summa Teologica - II-II

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Articolo 10 - Se la carità possa diminuire

In 1 Sent., d. 17, q. 2, a. 5; De Malo, q. 7, a. 2

Pare che la carità possa diminuire.

Infatti:

1. I contrari si attuano in un medesimo soggetto.

Ma la diminuzione e l'aumento sono contrari.

Dal momento quindi che la carità può aumentare, come si è dimostrato [ a. 4 ], è evidente che può anche diminuire.

2. Nelle Confessioni [ Conf 10,29.40 ] S. Agostino così parla a Dio: « Ama meno te chi con te ama qualche altra cosa ».

E altrove [ Lib. LXXXIII quaest. 36 ] afferma che « il nutrimento della carità è la diminuzione della concupiscenza »: da cui pare che, al contrario, l'aumento della concupiscenza sia una diminuzione della carità.

Ora la concupiscenza, con la quale si ama ciò che non è Dio, può crescere nell'uomo.

Quindi la carità può diminuire.

3. Come insegna S. Agostino [ De Gen. ad litt. 8,12.25 ], « Dio non giustifica l'uomo in maniera da far durare in lui ciò che vi ha prodotto, se egli si allontana »: dal che si arguisce che Dio, nel conservare in un uomo la carità, opera come nella prima infusione di essa.

Ma nella prima infusione della carità Dio infonde una carità minore in chi si è meno preparato.

Perciò anche nella conservazione di essa Dio conserva una minore carità in chi meno si prepara.

Quindi la carità può diminuire.

In contrario:

La carità nella Scrittura [ Ct 8,6 ] viene paragonata al fuoco: « Le sue vampe », cioè della carità, « sono vampe di fuoco ».

Ma il fuoco, finché dura, tende sempre a salire.

Quindi la carità, finché dura, può salire ma non discendere, ossia diminuire.

Dimostrazione:

La grandezza che la carità possiede in rapporto al proprio oggetto non può né diminuire né aumentare, come si è già visto [ a. 4, ob. 1; a. 5 ].

Ma dato che essa aumenta nella grandezza che possiede in rapporto al soggetto, qui dobbiamo esaminare se da questo lato essa possa diminuire.

Ora, se diminuisce, bisogna che diminuisca o per un atto o per la sola cessazione dell'atto.

Per la cessazione dell'atto diminuiscono, e talora periscono, le virtù acquisite, come sopra [ I-II, q. 53, a. 3 ] si è detto: infatti a proposito dell'amicizia il Filosofo [ Ethic. 8,5 ] afferma che « molte amicizie le ha già sciolte il silenzio », cioè il non ricordare e il non trattare con l'amico.

E ciò avviene per il fatto che la conservazione di una cosa dipende dalla sua causa.

Ora, la causa della virtù acquisita è l'atto umano, per cui col cessare degli atti umani la virtù acquisita decresce, e alla fine si corrompe totalmente.

Ma ciò non può aver luogo nella carità: poiché la carità non è causata dagli atti umani, bensì da Dio soltanto, come si è visto sopra [ a. 2 ].

Perciò anche col cessare dell'atto essa non diminuisce e non si corrompe, se in questa cessazione non c'è un peccato.

Rimane dunque stabilito che la diminuzione della carità può essere causata o da Dio o dal peccato.

Ma Dio non produce in noi una privazione se non come castigo, sottraendo la grazia in pena del peccato.

Quindi a lui non si addice il far diminuire la carità se non per punizione.

Ma la punizione è dovuta al peccato.

Se dunque la carità diminuisce, la causa di tale diminuzione non può essere altro che il peccato, come causa o efficiente o meritoria.

Ora, il peccato mortale in nessuno dei due modi fa diminuire la carità, ma la distrugge totalmente: come causa efficiente poiché ogni peccato mortale, come vedremo in seguito [ a. 12 ], è incompatibile con la carità; e anche come causa meritoria, poiché chi peccando mortalmente agisce contro la carità, merita da Dio la sottrazione della medesima.

Parimenti non può far diminuire la carità neppure il peccato veniale: né come causa efficiente, né come causa meritoria.

Non come causa efficiente, poiché esso non tocca la carità.

Infatti quest'ultima ha per oggetto il fine, mentre il peccato veniale è un disordine relativo ai mezzi.

Ora, l'amore del fine non diminuisce per il fatto che si commette un disordine relativo ai mezzi: come capita che alcuni infermi, pur amando molto la guarigione, sono disordinati nell'osservare la dieta prescritta; e così pure in campo speculativo le false opinioni ammesse nelle deduzioni dai princìpi non diminuiscono la certezza dei princìpi stessi.

- Inoltre il peccato veniale non può meritare la diminuzione della carità.

Infatti quando uno manca in cose piccole non merita di soffrire menomazioni in cose grandi.

Poiché Dio non si allontana dall'uomo più di quanto questi si allontana da lui.

Perciò chi commette un disordine in rapporto ai mezzi non merita una menomazione nella carità, con la quale viene ordinato al fine ultimo.

Concludendo: la carità propriamente non può diminuire in alcun modo.

Tuttavia in senso improprio si può chiamare diminuzione della carità la predisposizione alla sua perdita: predisposizione che deriva dai peccati veniali, o anche dalla cessazione degli atti di carità.

Analisi delle obiezioni:

1. I contrari si attuano in una medesima cosa quando il soggetto ha il medesimo rapporto con entrambi.

Ma la carità non ha lo stesso rapporto con l'aumento e con la diminuzione: infatti essa può avere una causa che la aumenti, ma non può avere una causa che la sminuisca, come si è spiegato [ nel corpo ].

Quindi l'argomento non regge.

2. Ci sono due tipi di concupiscenza.

Una con la quale si mette il fine nelle creature.

E questa uccide totalmente la carità essendo, come dice S. Agostino nello stesso luogo, « il veleno » di essa.

E ciò fa sì che Dio sia amato meno di quanto deve esserlo con l'amore di carità non già diminuendo la carità, ma eliminandola del tutto.

Ed è così che vanno intese le parole: « Ama meno te chi con te ama qualche altra cosa »: infatti si aggiunge: « che non ama per te ».

Ora, ciò non avviene nel peccato veniale, ma solo nel mortale: infatti ciò che nel peccato veniale si ama, lo si ama per Dio, in modo abituale anche se non attuale.

- C'è invece un'altra concupiscenza, propria del peccato veniale, che diminuisce grazie alla carità: ma una tale concupiscenza non può sminuire la carità, per le ragioni indicate [ nel corpo ].

3. Nell'infusione della carità si richiede un moto del libero arbitrio, come si è visto [ I-II, q. 113, a. 3 ].

Perciò quanto sminuisce l'intensità del libero arbitrio contribuisce come disposizione a far sì che la carità che poi verrà infusa sia minore.

Ma per la conservazione della carità non si richiede un moto del libero arbitrio: altrimenti essa cesserebbe nel sonno.

Perciò la carità non viene sminuita dagli ostacoli che riducono l'intensità del libero arbitrio.

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