Summa Teologica - II-II

Indice

Articolo 4 - Se con la carità dobbiamo amare noi stessi più del prossimo

Infra, q. 44, a. 8, ad 2; In 3 Sent., d. 29, q. 1, a. 5; De Virt., q. 2, a. 9; In 2 Tim., c. 3, lect. 1

Pare che con la carità non dobbiamo amare noi stessi più del prossimo.

Infatti:

1. L'oggetto principale della carità è Dio, come sopra [ a. 2 ] si è detto.

Ma talora il nostro prossimo è più unito a Dio di quanto lo siamo noi stessi.

Quindi in tal caso dobbiamo amare più il prossimo che noi stessi.

2. Noi evitiamo con più attenzione il danno di colui che maggiormente amiamo.

Ora, l'uomo è sollecitato dalla carità a sopportare dei danni per il prossimo: dice infatti la Scrittura [ Pr 12,26 Vg ]: « È giusto chi non cura il proprio danno a vantaggio dell'amico ».

Quindi l'uomo deve amare con la carità più gli altri che se stesso.

3. S. Paolo [ 1 Cor 13,5 ] afferma che la carità « non cerca il proprio interesse ».

Ora, è certo che noi amiamo di più l'essere di cui maggiormente cerchiamo il bene.

Quindi non è vero che uno con la carità ama se stesso più del prossimo.

In contrario:

Sta scritto [ Lv 19,18; Mt 22,39 ]: « Amerai il prossimo tuo come te stesso »; dal che si dimostra che l'amore dell'uomo verso se stesso è il modello dell'amore verso gli altri.

Ma il modello è superiore alla copia.

Quindi l'uomo deve amare con la carità più se stesso che il prossimo.

Dimostrazione:

Ci sono nell'uomo due componenti: la natura spirituale e la natura corporea o materiale.

Ora, si dice che l'uomo ama se stesso per il fatto che si ama secondo la sua natura spirituale, come sopra [ q. 25, a. 7 ] si è detto.

E da questo lato l'uomo deve amare se stesso, dopo Dio, più di chiunque altro.

E ciò appare chiaro in base al motivo stesso di questo amore.

Come infatti si è già notato [ a. 2; q. 25, a. 12 ], Dio viene amato quale principio del bene su cui si fonda l'amore di carità; l'uomo poi con la carità ama se stesso in quanto partecipa a tale bene, mentre il prossimo viene amato in forza della sua compartecipazione allo stesso bene.

Ora, la compartecipazione è un motivo di amore in quanto costituisce un'unione in ordine a Dio.

Come quindi l'unità è più dell'unione, così il fatto di partecipare personalmente il bene divino è un motivo di amore superiore al fatto di avere associata a sé un'altra persona in questa partecipazione.

Per cui l'uomo deve amare se stesso con la carità più del prossimo.

- E ne abbiamo un indizio nel fatto che uno non deve mai rassegnarsi al male della colpa, che è incompatibile con la partecipazione alla beatitudine, per liberare il prossimo dal peccato.

Analisi delle obiezioni:

1. L'amore di carità non viene misurato solo in base all'oggetto, che è Dio, ma anche in base al soggetto, cioè all'uomo stesso che ha la carità: poiché la grandezza di ogni atto dipende sempre in qualche modo dal soggetto.

Perciò, sebbene i prossimi per la loro bontà superiore possano essere più vicini a Dio, tuttavia non ne segue che uno debba amarli più di se stesso, non essendo essi così vicini al soggetto come questo lo è a se stesso.

2. Uno deve sopportare per gli amici dei danni materiali: e anche in ciò egli mostra di amare maggiormente se stesso secondo la parte spirituale, poiché ciò rientra nella perfezione della virtù, che è un bene dell'anima.

Ma nei beni spirituali l'uomo non deve tollerare alcun danno, non deve cioè peccare per liberare il prossimo dal peccato, come si è detto [ nel corpo ].

3. Come spiega S. Agostino [ Epist. 211 ], « quando si dice che la carità non cerca i propri vantaggi, si intende che preferisce quelli comuni ai propri ».

Ora, il bene comune è sempre più amabile del bene proprio, essendo preferibile per la parte il bene del tutto al bene parziale di se stessa, come si è spiegato [ a. prec. ].

Indice