Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se la detrazione sia un peccato mortale

In Rom., c. 1, lect. 8

Pare che la detrazione non sia un peccato mortale.

Infatti:

1. Nessun atto di virtù è un peccato mortale.

Ma svelare un peccato occulto, il che costituisce, come si è detto [ a. prec., ad 3 ], la detrazione, è un atto di virtù: cioè di carità, quando uno denunzia la colpa di un fratello per emendarlo, oppure di giustizia, quando uno lo accusa in tribunale.

Quindi la detrazione non è un peccato mortale.

2. A proposito di quel detto dei Proverbi [ Pr 24,1 Vg ]: « Non ti immischiare coi detrattori », la Glossa [ ord. di Rabano ] spiega: « È questo un peccato in cui cade tutto il genere umano ».

Ora, nessun peccato mortale si riscontra in tutto il genere umano, poiché molti si astengono dal peccato mortale, ma sono piuttosto i peccati veniali che si riscontrano in tutti.

Perciò la detrazione è un peccato veniale.

3. Tra i « peccati minuti » S. Agostino [ Serm. 104 ] mette « il fatto di dir male con grande facilità e temerità », il che rientra nella detrazione.

Quindi la detrazione è un peccato veniale.

In contrario:

S. Paolo [ Rm 1,30 ] scrive: « Maldicenti, nemici di Dio »; aggiunta questa che, secondo la Glossa [ ord. e P. Lomb. ], è fatta « perché questo peccato non venga considerato leggero in quanto si riduce a delle parole ».

Dimostrazione:

Come si è già detto [ q. 72, a. 2 ], i peccati di lingua vanno giudicati specialmente dalle intenzioni.

Ora la detrazione, o maldicenza, è ordinata a denigrare la fama del prossimo.

Per cui fa propriamente della maldicenza colui che parla di una persona in sua assenza per denigrarne la fama.

Ma togliere la fama a un uomo è cosa assai grave: poiché fra tutti i beni temporali la fama è il più prezioso, e per la sua perdita un uomo viene impedito dal compiere molte cose buone.

Per cui si legge [ Sir 41,12 ]: « Abbi cura del nome, perché esso ti resterà più che mille tesori d'oro ».

Quindi la maldicenza è di per sé un peccato mortale.

Tuttavia capita talora che uno dica delle parole che intaccano la fama del prossimo non perché lo vuole, ma per altri motivi.

E questa non è una detrazione in senso vero e proprio, ma lo è solo materialmente e come per accidens.

Anzi, se uno proferisce parole lesive della fama altrui per un fine buono o necessario, rispettando le debite circostanze, non è un peccato e non si può parlare di maldicenza.

- Se poi uno dice queste cose per leggerezza d'animo, o per motivi non necessari, il suo peccato non è mortale; a meno che le parole dette non siano così gravi da menomare notevolmente la fama di una persona, in modo particolare su cose che riguardano l'onestà della vita: poiché questo fatto, per l'intrinseca gravità delle parole, ha natura di peccato mortale.

E uno è tenuto alla restituzione della fama, come è tenuto a restituire qualsiasi cosa rubata: cioè nel modo che abbiamo indicato sopra [ q. 62, a. 2, ad 2 ] parlando della restituzione.

Analisi delle obiezioni:

1. Svelare i peccati occulti di una persona denunziandoli per il suo emendamento, o per il pubblico bene, non è fare della maldicenza, come si è spiegato [ nel corpo ].

2. In quel testo della Glossa non si dice che la detrazione è in tutto il genere umano, ma c'è l'aggiunta di un quasi.

E ciò sia perché « infinito è il numero degli stolti » [ Qo 1,15 Vg ], e pochi sono quelli che camminano per la via della salvezza, sia perché sono pochi, ammesso che ve ne siano, coloro che in qualche modo per leggerezza non dicano talvolta delle cose che compromettono la fama di qualcuno: poiché, secondo S. Giacomo [ Gc 3,2 ], « se uno non manca nel parlare, è un uomo perfetto ».

3. S. Agostino parla del caso di uno che dice male di altri non con l'intenzione di nuocere, ma per leggerezza d'animo o per un trascorso di lingua.

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