Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se la perseveranza richieda l'aiuto della grazia

I-II, q. 109, a. 10; In 2 Sent., d. 29, expos.; C. G., III, c. 155; De Verit., q. 24, a. 13; q. 27, a. 5, ad 3, 4; In Psalm., 31

Pare che la perseveranza non richieda l'aiuto della grazia.

Infatti:

1. La perseveranza, come si è visto [ a. 1 ], è una virtù.

Ma la virtù, come afferma Cicerone [ De invent. 2,53 ], agisce come una seconda natura.

Quindi la sola inclinazione della virtù basta a perseverare.

E così non si richiede un nuovo aiuto della grazia.

2. Il dono della grazia di Cristo è maggiore del danno arrecato da Adamo, come dice S. Paolo [ Rm 5,15ss ].

Ora secondo S. Agostino [ De corr. et gratia 11.29 ] prima del peccato l'uomo era stato creato « in modo che potesse perseverare mediante ciò che aveva ricevuto ».

A maggior ragione dunque l'uomo redento dalla grazia di Cristo può perseverare senza l'aiuto di una nuova grazia.

3. Le opere peccaminose talora sono più difficili di quelle virtuose; la Scrittura [ Sap 5,7 ] infatti riferisce queste parole degli empi: « Abbiamo percorso deserti impraticabili ».

Ma alcuni perseverano nelle azioni peccaminose senza l'aiuto di altri.

Quindi nelle azioni virtuose l'uomo può perseverare senza l'aiuto della grazia.

In contrario:

S. Agostino [ De persev. 1 ] ha scritto: « Affermiamo che la perseveranza è un dono di Dio, con il quale si rimane in Cristo sino alla fine ».

Dimostrazione:

La perseveranza, secondo le spiegazioni date [ a. 1, ad 2; a. 2, ad 3 ], può essere intesa in due sensi.

Primo, come l'abito stesso della perseveranza in quanto essa è una virtù.

E in questo senso essa ha bisogno della grazia abituale, come anche le altre virtù infuse.

- Secondo, può essere intesa come l'esercizio della perseveranza che dura sino alla morte.

E in questo senso essa ha bisogno non solo della grazia abituale, ma anche di un altro dono gratuito che conservi l'uomo nel bene sino alla fine della vita, come si è spiegato nel trattato sulla grazia [ I-II, q. 109, a. 10 ].

Essendo infatti il libero arbitrio per se stesso mutevole, e non essendo ciò tolto dalla grazia abituale nella vita presente, non è in potere del libero arbitrio, anche se riparato dalla grazia, di stabilirsi immobilmente nel bene, pur essendo in suo potere il proporselo: infatti il più delle volte è in nostro potere il proposito, ma non l'esecuzione.

Analisi delle obiezioni:

1. La virtù della perseveranza di per sé inclina a perseverare.

Ma poiché l'abito è qualcosa « di cui si fa uso quando si vuole », non ne viene necessariamente che chi ha l'abito di una virtù ne faccia stabile uso fino alla morte.

2. Come S. Agostino aggiunge [ c. 12 ], « al primo uomo fu dato non di perseverare, ma di poter perseverare, mediante il libero arbitrio »: poiché nella natura umana non c'era alcuna deficienza che rendesse difficile il perseverare.

« Ora invece la grazia di Cristo dà ai predestinati non solo di poter perseverare, ma di perseverare.

Cosicché il primo uomo, senza minaccia alcuna, usando il libero arbitrio contro il comando e le minaccie di Dio non seppe rimanere in una così grande felicità, pur avendo una così grande facilità di non peccare.

Questi [ i martiri ] invece, sotto le minacce del mondo che li spingeva a cadere, rimasero saldi nella fede ».

3. L'uomo può da sé cadere nel peccato, ma da sé non può risorgere dal peccato senza l'aiuto della grazia.

Cadendo infatti nel peccato l'uomo, per quanto dipende da lui, si rende perseverante nel peccato, se non viene liberato dalla grazia di Dio.

Invece nel fare il bene egli non si rende perseverante nel bene: poiché di per sé è capace di peccare.

Per cui in questo caso ha bisogno dell'aiuto della grazia.

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