Summa Teologica - II-II

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Articolo 8 - Se la vita religiosa dei cenobiti sia più perfetta della vita dei solitari

Pare che la vita religiosa dei cenobiti sia più perfetta della vita dei solitari.

Infatti:

1. Nella Scrittura [ Qo 4,9 ] si legge: « Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un migliore compenso nella fatica ».

Perciò la vita religiosa vissuta in comunità è più perfetta.

2. Nel Vangelo [ Mt 18,20 ] si legge: « Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro ».

Ora, non ci può essere nulla di superiore all'amicizia cristiana.

Perciò vivere in comunità è meglio che condurre una vita solitaria.

3. Tra i voti religiosi quello più eccellente è il voto di obbedienza; e l'umiltà è quanto vi è di più gradito a Dio.

Ma l'obbedienza e l'umiltà si osservano maggiormente nella vita comune che nella solitudine.

Scrive infatti S. Girolamo [ Epist. 125,9 ]: « Nella solitudine subentra subito la superbia: uno dorme quando vuole, e fa quello che vuole ».

Così invece egli istruisce chi vive in comunità [ib., n. 15 ]: « Non fare quello che vuoi: mangia come ti è comandato, prendi quel che ti danno, sottomettiti a chi non vuoi, servi i confratelli, temi il superiore del monastero come Dio stesso, amalo come un padre ».

Quindi la vita religiosa dei cenobiti è più perfetta di quella dei solitari.

4. Il Signore [ Lc 11,33 ] ha affermato: « Nessuno accende una lucerna e la mette in luogo nascosto, o sotto il moggio ».

Ma i solitari sono in luoghi nascosti, senza alcuna utilità per gli uomini.

Quindi la loro vita religiosa non è quella più perfetta.

5. Ciò che è contrario alla natura umana non può appartenere alla perfezione della virtù.

Ora, « l'uomo è per natura un animale socievole », come dice il Filosofo [ Polit. 1,1 ].

Quindi condurre una vita solitaria non è una cosa più perfetta che vivere una vita di comunità.

In contrario:

S. Agostino [ De op. monach. 23.30 ] insegna che « sono più santi coloro che, separati dagli uomini, non permettono ad alcuno di avvicinarli, dedicandosi interamente alla preghiera ».

Dimostrazione:

La solitudine, come anche la povertà, non costituisce l'essenza della perfezione, ma è un mezzo per raggiungerla: per cui l'Abate Mosé, come si legge nelle Conferenze dei Padri [ 1,7 ], diceva che « la solitudine va cercata per la purezza del cuore », al pari dei digiuni e di altre cose del genere.

Ora, è evidente che la solitudine non è un mezzo adatto per l'azione, bensì per la contemplazione, secondo le parole di Osea [ Os 2,14 ]: « La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore ».

Essa quindi non si addice agli istituti che sono ordinati alle opere della vita attiva, sia corporali che spirituali: a meno che non la si cerchi per un certo tempo, sull'esempio di Cristo il quale, come dice il Vangelo [ Lc 6,12 ], « se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione ».

Essa è invece adatta per gli istituti ordinati alla contemplazione.

Si deve però notare che un solitario deve essere autosufficiente.

E tale è solo « colui al quale non manca nulla »: il che significa perfezione [ Phys. 3,6 ].

Perciò la solitudine si addice al contemplativo che ha ormai raggiunto la perfezione.

Il che può avvenire in due modi.

Primo, per il solo dono di Dio: come è evidente nel caso di S. Giovanni Battista, il quale fu « pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre », cosicché sin da fanciullo « viveva in regioni deserte », come riferisce S. Luca [ Lc 1,15.80 ].

- Secondo, mediante l'esercizio della virtù, come accenna S. Paolo [ Eb 5,14 ]: « Il nutrimento solido è per gli uomini fatti, quelli che hanno le facoltà esercitate a distinguere il buono dal cattivo ».

Ora, in tale esercizio l'uomo viene aiutato dalla compagnia degli altri in due modi.

Primo, nell'ordine intellettivo, venendo istruito nell'oggetto da contemplare.

Da cui le parole di S. Girolamo [ Epist. 125,9 ] al monaco Rustico: « Desidero che tu abbia una santa compagnia, e che non impari da te stesso ».

Secondo, nell'ordine affettivo, reprimendo cioè i cattivi sentimenti grazie all'esempio e alla correzione altrui; poiché, come dice S. Gregorio [ Mor. 30,23 ] commentando quel testo [ Gb 39,6 Vg ]: « A cui diedi una dimora nella solitudine »: « A che serve la solitudine del corpo se manca la solitudine del cuore? ».

Quindi per esercitarsi nella perfezione è necessaria la vita cenobitica, mentre la solitudine è indicata per chi è già perfetto.

Scrive infatti S. Girolamo [ l. prox cit. ]: « Non intendo affatto restringere la vita solitaria, che ho sempre lodata, ma voglio che escano dall'esercitazione dei monasteri dei soldati che non si lasciano spaventare dai primi assalti, avendo dato per lungo tempo dei saggi della propria condotta ».

Come dunque chi è perfetto è superiore a chi si esercita per raggiungere la perfezione, così la vita dei solitari, debitamente abbracciata, è superiore alla vita cenobitica.

Se però questa vita viene abbracciata senza preparazione, allora è pericolosissima: a meno che la grazia divina non supplisca a quanto altri ottengono con l'esercizio, come avvenne nel caso di S. Antonio e di S. Benedetto.

Analisi delle obiezioni:

1. Salomone mostra che è meglio essere in due che in uno a motivo dell'aiuto che l'uno può ricevere dall'altro « per risollevarsi, rianimarsi o riscaldarsi » spiritualmente [ l. cit. nell'ob., vv. 10 s. Vg ].

Ma di questo aiuto quelli che hanno già raggiunto la perfezione non hanno più bisogno.

2. Scrive l'Apostolo S. Giovanni [ 1 Gv 4,16 ]: « Chi sta nell'amore dimora in Dio, e Dio dimora in lui ».

Come quindi Cristo sta in mezzo a quelli che sono uniti tra loro mediante l'amore del prossimo, così « abita nel cuore » [ Ef 3,17 ] di colui che mediante l'amore di Dio attende alla divina contemplazione.

3. L'obbedienza attuale è indispensabile a coloro che hanno bisogno di esercitarsi nell'acquisto della perfezione sotto la direzione di altri.

Ma quelli che sono già perfetti sono « mossi dallo Spirito Santo » [ Rm 8,14 ] con tanta efficacia da non avere bisogno dell'obbedienza attuale.

Essi però hanno l'obbedienza come predisposizione d'animo.

4. Come dice S. Agostino [ De civ. Dei 19,19 ], « uno non può mai essere impedito di dedicarsi allo studio della verità, che è un lodevole riposo ».

Che invece uno « venga posto sul candelabro » [ cf. l. cit. nell'ob. ] non spetta a lui, ma ai suoi superiori.

« E se questo peso non viene imposto, si deve attendere alla contemplazione della verità », per la quale è indicatissima la solitudine.

Quelli pertanto che fanno vita solitaria sono molto utili all'umanità.

Scrive infatti in proposito S. Agostino [ De mor. Eccl. 1,31 ]: « Contenti solo dell'acqua e del pane, che è loro fornito a intervalli regolari, abitano le terre più deserte, godendosi il colloquio con Dio, al quale hanno aderito con animo puro.

Ad alcuni pare che essi abbiano abbandonato le cose umane più del necessario, non riuscendo a capire quanto il loro spirito ci aiuti con la preghiera, e la loro vita con l'esempio, anche se non ci è concesso di vederne il corpo ».

5. Un uomo può vivere nella solitudine per due motivi.

Primo, perché non sopporta la società umana per la ferocia dell'animo: e ciò è bestiale.

Secondo, perché è totalmente immerso nelle cose di Dio: e ciò è al disopra dell'umano.

Per questo il Filosofo [ Polit. 1,1 ] afferma che « colui che si apparta dalla società o è una bestia o è un dio », cioè un uomo divino.

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