Summa Teologica - III

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Articolo 3 - Se la genealogia di Cristo sia ben redatta dagli Evangelisti

In Matth., c. 1

Pare che la genealogia di Cristo non sia ben redatta dagli Evangelisti [ Mt 1; Lc 3,23ss ].

Infatti:

1. Isaia [ Is 53,8 ], parlando di Cristo, si domanda: « Chi potrebbe narrare la sua generazione? ».

Quindi non si doveva descrivere la genealogia di Cristo.

2. È impossibile che un uomo abbia due padri.

Ora, S. Matteo scrive che « Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria », mentre S. Luca dichiara che Giuseppe era figlio di Eli.

Sono perciò in contraddizione tra loro.

3. Fra le due genealogie si notano delle discordanze.

Infatti S. Matteo, all'inizio del suo Vangelo, cominciando da Abramo e discendendo fino a Giuseppe, conta quarantadue generazioni.

S. Luca invece dopo il battesimo di Cristo ne fa la genealogia cominciando da Cristo e risalendo a Dio attraverso settantasette generazioni, computati gli estremi.

Essi dunque non descrivono bene la genealogia di Cristo.

4. Nell'antico Testamento [ 2 Re 8,24 ] si legge che Ioram generò Ocozia; a cui successe Ioas, suo figlio; al quale successe il figlio Amasia; poi regnò il figlio di questi Azaria, che viene chiamato Ozia, e a lui successe il figlio Joatam.

Invece S. Matteo dice che « Ioram generò Ozia ».

Quindi egli, omettendo i tre re intermedi, non descrive bene la genealogia di Cristo.

5. Tutti coloro che entrano nella genealogia di Cristo ebbero un padre e una madre, e molti di essi anche dei fratelli.

Ora, S. Matteo nella genealogia di Cristo ricorda tre madri soltanto: Tamar, Rut e la moglie di Uria.

I fratelli poi li nomina per Giuda e per Ieconia, oltre ai fratelli Fares e Zara.

E di tutti questi tace S. Luca.

Quindi gli Evangelisti non hanno ben descritto la genealogia di Cristo.

In contrario:

Basta l'autorità della Scrittura.

Dimostrazione:

Come afferma S. Paolo [ 2 Tm 3,16 ], « tutta la Scrittura è ispirata da Dio ».

Ora, Dio fa le cose con ordine perfetto: « Le cose che vengono da Dio sono ordinate » [ Rm 13,1 ].

Quindi la genealogia di Cristo fu descritta dagli Evangelisti con il debito ordine.

Analisi delle obiezioni:

1. Isaia, come ritiene S. Girolamo [ In Mt 1 ], parla della generazione della divinità di Cristo.

Invece S. Matteo descrive la genealogia di Cristo secondo la sua umanità, non intendendo spiegare il modo dell'incarnazione, poiché anch'esso è inesprimibile, ma elencando i patriarchi da cui Cristo discese secondo la carne.

2. A questa obiezione, mossa da Giuliano l'Apostata, furono date diverse risposte.

Alcuni, come scrive S. Gregorio Nazianzeno, ritengono che i due Evangelisti indichino con nomi diversi le medesime persone, come aventi ciascuna due nomi.

- Questa però è una spiegazione inaccettabile, poiché S. Matteo ricorda uno dei figli di Davide, cioè Salomone, e S. Luca un altro, cioè Natan, che erano fratelli [ cf. 2 Sam 5,14 ].

Altri pensano che S. Matteo abbia trasmesso la vera genealogia di Cristo, e S. Luca quella putativa, per cui inizia con le parole: « Figlio, come si credeva, di Giuseppe ».

Infatti tra i Giudei alcuni ritenevano che, a causa dei peccati dei re di Giuda, Cristo dovesse nascere da Davide non attraverso i re, ma attraverso una serie di uomini privati.

Secondo altri invece S. Matteo elenca i padri carnali di Cristo, e S. Luca i padri spirituali, cioè quei giusti che possono essere considerati padri per la loro somiglianza nell'onestà.

Nel libro poi Questioni del Nuovo e dell'Antico Testamento [ 56 ] si risponde che S. Luca non dichiara Giuseppe figlio di Eli, ma tutti e due contemporanei di Cristo e discendenti di Davide in maniera diversa.

Per cui di Cristo si dice che « lo si credeva figlio di Giuseppe », e che era pure « figlio di Eli »: il che significa che per la medesima ragione che lo faceva dire figlio di Giuseppe lo si poteva anche dire figlio di Eli e di tutti i discendenti di Davide; ossia l'Evangelista si esprimerebbe come fa l'Apostolo [ Rm 9,5 ] quando dice che « da essi », cioè dai Giudei, « proviene Cristo secondo la carne ».

S. Agostino [ De quaest. evang. 2,5 ] invece propone tre possibili spiegazioni: « Si presentano tre prospettive, fra cui gli Evangelisti hanno scelto.

Può darsi che mentre un Evangelista indica il padre carnale di Giuseppe, l'altro indichi il suo avo materno o qualche altro suo antenato.

- Oppure può darsi che mentre uno era il padre naturale di Giuseppe, l'altro ne fosse quello adottivo.

- Oppure, secondo l'uso ebraico, può darsi che essendo uno dei due morto senza figli, l'altro come parente ne abbia preso in sposa la vedova e abbia dato al morto il figlio da lui generato ».

E anche questa è una specie di adozione legale, come dice lo stesso S. Agostino.

E quest'ultima spiegazione è quella più verosimile, ed è accettata anche da S. Girolamo [ In Mt 1, su 1,16 ] e da Eusebio di Cesarea [ Hist. eccl. 1,7 ], il quale dice di averla desunta dallo storiografo Giulio Africano.

Dicono infatti costoro che Natan e Melchi in tempi diversi ebbero un figlio per ciascuno da una medesima moglie, di nome Esta.

L'ebbe prima per moglie Natan, il quale discendeva da Salomone e morì lasciando un figlio di nome Giacobbe; dopo la morte di Natan, poiché la legge non vietava a una vedova di passare ad altre nozze, Melchi, che discendeva da Natan, e che quindi apparteneva alla stessa tribù ma non alla stessa famiglia di Natan, sposò la vedova di Natan ed ebbe anch'egli da lei un figlio, di nome Eli: per cui Giacobbe ed Eli risultano fratelli uterini di due padri diversi.

Giacobbe poi a norma di legge avrebbe sposato la vedova di suo fratello Eli, morto senza figli, e avrebbe generato Giuseppe, che era suo figlio naturale, ma per legge era figlio di Eli.

Perciò S. Matteo dice che « Giacobbe generò Giuseppe », mentre Luca, che traccia la genealogia legale, non parla mai di generazione.

E sebbene il Damasceno [ De fide orth. 4,14 ] dica che la Beata Vergine Maria era parente di Giuseppe per la linea di Eli, poiché discendeva da Melchi, tuttavia bisogna ritenere che in qualche modo fosse in linea anche con Salomone attraverso gli ascendenti elencati da S. Matteo, il quale descrive la genealogia carnale di Cristo, specialmente se pensiamo che secondo S. Ambrogio [ In Lc 3, su 3,28 ] Cristo discende « dalla stirpe di Ieconia ».

3. Secondo S. Agostino [ De cons. evang. 2,4.8 ], « S. Matteo intendeva presentare Cristo come re, S. Luca invece come sacerdote.

Perciò nella genealogia di S. Matteo il Signore nostro Gesù Cristo si carica dei nostri peccati »: poiché nella sua origine carnale egli assunse « una carne somigliante a quella del peccato » [ Rm 8,3 ].

« Invece nella genealogia di S. Luca si esprime la nostra liberazione dai peccati », che Cristo compì con il suo sacrificio.

« Per questo S. Matteo elenca le generazioni in linea discendente, e S. Luca in linea ascendente ».

- Conseguentemente « S. Matteo discende da Davide attraverso Salomone, con la cui madre Davide peccò; S. Luca invece ascende allo stesso Davide attraverso Natan, che è il nome del profeta di cui Dio si servì per fargli espiare il suo peccato ».

- Per questo dunque « S. Matteo, volendo mostrare che Cristo era sceso alla nostra natura mortale, elenca le generazioni all'inizio del suo Vangelo discendendo da Abramo fino a Giuseppe, e fino alla nascita di Cristo stesso.

S. Luca invece non descrive la genealogia di Cristo all'inizio del suo Vangelo, ma dopo il battesimo di Cristo, e non discendendo, ma ascendendo: per presentare Cristo soprattutto come il sacerdote che espia i peccati, secondo la testimonianza di Giovanni: "Ecco colui che toglie il peccato del mondo".

Inoltre S. Luca, attraverso Abramo, risale fino a Dio, perché è con lui che ci dobbiamo riconciliare con il perdono e l'espiazione.

- E giustamente S. Luca sale fino a Dio per la via dell'adozione: è infatti per adozione che diventiamo figli di Dio, mentre il Figlio di Dio si è fatto figlio dell'uomo per generazione carnale.

E con ciò fa chiaramente capire che non intendeva chiamare Giuseppe figlio di Eli per generazione, ma per adozione, dal momento che chiama figlio di Dio lo stesso Adamo, per quanto fosse stato creato da Dio ».

Il numero quaranta poi sta a indicare la vita presente, che noi viviamo nelle quattro parti del mondo sotto il regno di Cristo.

Ora, quaranta è quattro volte dieci, e dieci è la somma dei numeri che vanno dall'uno al quattro.

E si potrebbe anche riferire il dieci al decalogo e il quattro alla vita presente, oppure ai quattro Vangeli, mediante i quali Cristo regna su di noi.

Per questo « S. Matteo, presentandoci la figura regale di Cristo, enumera, esclusa questa, quaranta personaggi » [ Agost., De cons. evang. 2,4.8 ].

- E il computo è esatto se si identifica lo Ieconia di dopo l'esilio babilonese con lo Ieconia di prima dell'esilio, come vuole S. Agostino, secondo il quale ciò sta a significare che « attraverso Ieconia si compì come un trapasso a gente straniera, con l'esilio di Babilonia: il che simboleggiava anche il passaggio di Cristo dai Circoncisi agli Incirconcisi ».

Al contrario S. Girolamo [ In Mt 1, su 1,12ss ] sostiene che sono due gli Ioachim, o Ieconia, cioè il padre e il figlio, che vengono inseriti nella genealogia di Cristo, e ciò per completare il numero delle generazioni, che l'Evangelista divide in tre gruppi di quattordici.

Per cui il totale è di quarantadue.

E anche questo numero si addice alla Santa Chiesa.

Esso infatti viene dal sei, che indica il lavoro della vita presente, moltiplicato per sette, che indica il riposo della vita futura.

Infatti sei per sette fa quarantadue.

E anche il quattordici, che è la somma di dieci e quattro, può avere il medesimo significato simbolico della moltiplicazione del sei per sette.

Il numero che S. Luca adopera per le generazioni di Cristo simboleggia invece l'universalità dei peccati.

« Infatti il dieci, come numero della giustizia, si trova nei dieci precetti della legge. Il peccato sta invece nell'oltrepassare la legge, e il numero che oltrepassa il dieci è l'undici » [ Agost., De cons. evang. 2,4.8 ].

Il sette poi indica la totalità, poiché « tutto il tempo si svolge nel giro di sette giorni ».

Ora, undici per sette fa settantasette.

E così questo numero sta a indicare la totalità dei peccati che vengono tolti per mezzo di Cristo [ De cons. evang. 2,4.8 ].

4. Rispondiamo con le parole di S. Girolamo [ In Mt 1, su 1,8 ]: « Poiché il re Ioram aveva contratto relazioni con la scellerata Gezabele, la sua memoria viene cancellata per tre generazioni dalla genealogia della sacra natività ».

Quindi, come spiega il Crisostomo [ Op. imp. in Mt, hom. 1 ], « quante benedizioni discesero su Iehu, per avere egli fatto giustizia della casa di Acab e di Gezabele, altrettante maledizioni si rovesciarono sulla casa di Ioram, attirate dalla figlia dell'empio Acab e di Gezabele, tanto che i suoi figli furono radiati dal numero dei re fino alla quarta generazione, secondo la minaccia dell'Esodo [ Es 20,5 ]: "Punirò l'iniquità dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione" ».

Bisogna poi considerare che anche altri re, inseriti nella genealogia di Cristo, furono peccatori, ma la loro empietà non fu continua.

E lo rileva il libro Questioni del Nuovo e dell'Antico Testamento [ 85 ] dicendo: « Salomone conservò il regno per i meriti di suo padre, Roboamo per i meriti di suo nipote Asa, figlio di Abia.

L'empietà invece dei tre re [ Ioas, Amasia e Azaria ] non ebbe interruzioni ».

5. Come dice S. Girolamo [ In Mt 1, su 1,3 ], « nella genealogia del Salvatore non si ricordano donne sante, bensì donne che la Scrittura condanna, a significare che egli venendo per i peccatori e nascendo da peccatrici, avrebbe cancellato i peccati di tutti ».

E così viene ricordata Tamar, riprovevole per il peccato con il suocero; Raab, che era una prostituta; Rut, che era una straniera; infine Betsabea, moglie di Uria, che fu adultera.

Quest'ultima però non viene ricordata col suo nome, ma con quello del marito, sia per indicare il suo peccato, essendo essa consapevole dell'adulterio e dell'omicidio, sia per richiamare il peccato di Davide rammentando il marito della donna.

S. Luca invece non fa cenno di queste donne perché intende presentare Cristo come espiatore dei peccati.

S. Matteo poi ricorda i fratelli di Giuda per mostrare che appartengono al popolo di Dio, mentre mancano nella genealogia di Cristo Ismaele, fratello di Isacco, ed Esaù, fratello di Giacobbe, in quanto esclusi da tale popolo.

E anche per condannare l'orgoglio nobiliare.

Infatti molti dei fratelli di Giuda erano nati da schiave, ma ciò nonostante furono ugualmente Patriarchi e capi di tribù.

- Fares e Zara vengono poi nominati insieme poiché, come scrive S. Ambrogio [ In Lc 3, su 3,23 ], « rappresentano la duplice vita dei popoli: una secondo la legge », raffigurata da Zara, « l'altra secondo la fede », raffigurata da Fares.

- S. Matteo infine ricorda i fratelli di Ieconia inquantoché tutti regnarono in tempi diversi, il che non era accaduto per gli altri re.

Oppure perché furono simili nel peccato e nella sventura.

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