Veggente

Sommario

I. Un fenomeno attuale.
II. Veggenti e visioni alla luce della bibbia:
1. Nell'AT;
2. Nel NT:
a. Rapporto tra fede e visione,
b. Cristo suprema e definitiva rivelazione,
c. Visioni e carismi.
III. Continuità e vicende lungo la storia della chiesa:
1. Periodo patristico;
2. Nel medio evo;
3. Nei sec. XVI-XVIII;
4. Dal sec. XIX ad oggi.
IV. Orientamenti spirituali:
1. Verificare la propria precomprensione;
2. Accogliere i segni di Dio nel loro significato esistenziale;
3. Ricondurre tutto a Cristo e al suo messaggio.

I - Un fenomeno attuale

Nel nostro tempo non è difficile incontrare persone che si credono dotate di particolari carismi e doni straordinari.

Visioni, locuzioni, lacrimazioni, guarigioni, profezie, messaggi si susseguono a ritmo accelerato fino a farci costatare una vera esplosione di carismi straordinari, o presunti tali: « Il fatto carismatico è divenuto quasi un fatto di costume ».1

Troviamo veggenti che asseriscono di avere apparizioni sul tipo di quelle di Lourdes o di Fatima; anzi oggi assistiamo ad una proliferazione di apparizioni mariane non riconosciute: più di 200 dal 1930 al 1971.2

Un caso tipico è costituito dalla signora Rosa Quattrini, che dal 1964, a S. Damiano Piacentino, avrebbe regolari appuntamenti e colloqui con la Madonna: numerosi pellegrini, soprattutto svizzeri e francesi, vi accorrono, nonostante i ripetuti divieti del vescovo diocesano.

Inoltre, a livello di ( v. ) religiosità popolare, dove è più difficile distinguere fede cristiana ed elementi magico-sacrali, si notano parecchi leaders religiosi che creano intorno a sé un movimento più o meno vasto: Giuseppina Gonnella ( + 1972 ) riteneva di essere come l'incarnazione del nipote Alberto, cui si tributa un culto religioso a Serradace ( Salerno ), e di parlare a suo nome raccontando ciò che succede nell'aldilà;3 Natuzza Evolo di Paravati ( Catanzaro ) suda sangue, dice di essere in rapporto con le anime dei defunti e fornisce ai parenti di costoro notizie sulla loro vita ultraterrena;4 a Stornarella ( Foggia ) dal 1959 un contadino di umili condizioni, Domenico Masselli, afferma di parlare con la Madonna, mentre una folla sempre numerosa attende di conoscere le risposte date dalla Vergine ai problemi che angustiano i singoli presenti.5

Infine a raggio più collettivo si sono formati dei "cenacoli carismatici", nei quali i veggenti ricevono messaggi i cui destinatari sono interi gruppi.

Dal 1967 il movimento neo-pentecostale cattolico si diffonde in oltre cento nazioni contando un mezzo milione di aderenti.

Nelle loro riunioni essi parlano in lingue, operano guarigioni, pronunciano profezie, soprattutto pregano confessando il nome del Signore Gesù.6

Questo revival carismatico dai risvolti tanto complessi non può passare inosservato al cristiano che intende vivere secondo lo Spirito e costruire la propria spiritualità nell'apertura ai segni di Dio nella storia.

Se presterà attenzione ad evitare ogni fraintendimento o sopravvalutazione del fenomeno per non cadere in uno stato mentale avido di prodigi e mal protetto dall'irruzione della superstizione, egli si guarderà bene dalla chiusura scettica e dal disprezzo ipercritico verso le possibili manifestazioni di Dio nel nostro tempo, per non trasformare in ostacolo ciò che potrebbe essere stimolo ed aiuto nel cammino di fede.

Per un orientamento sicuro è necessario un confronto con la parola di Dio, trasmessa nella chiesa e attualizzata lungo i secoli.

Alla fonte genuina della rivelazione, sarà più agevole liberarsi da pregiudizi correnti e ritrovare il giusto orientamento.

Secondo l'enunciato della voce fermeremo la nostra riflessione sul veggente, che presenta una ricca problematica nella bibbia e nella storia della chiesa, rimandando alla trattazione sui ( v. ) carismatici la valutazione globale dei fenomeni straordinari.

II - Veggenti e visioni alla luce della Bibbia

1. Nell'AT

Il desiderio di vedere Dio è fra le più tenaci aspirazioni religiose dell'umanità.

Per l'alta considerazione in cui tenevano la vista, « il più acuto dei sensi permessi al nostro corpo » ( Platone ), i greci furono in modo tutto particolare « un popolo dell'occhio » ( Rudberg ): il vedere presso di loro raggiunse una notevole importanza religiosa, al punto che la religione greca fu definita « una religione della vista ».7

Da Omero a Piotino, il divino è per propria natura non un qualcosa da credere o da ascoltare, ma da vedere.

Sebbene gli dèi si rivelino soltanto a pochi eletti, che sono colti da pauroso stupore, manca tra i greci l'idea che chi ha visto la divinità debba morire.

La religione dell'AT è invece la religione della parola ascoltata: « L'espressione "parola di Jahve" resta l'espressione privilegiata, la più frequente e la più significativa per esprimere la comunicazione divina.

Nelle teofanie la manifestazione sensibile è al servizio della parola.

L'importante non è il fatto di vedere la divinità, ma quello di ascoltare la sua parola…

Questo prevalere dell'ascoltare sul vedere è uno dei caratteri essenziali della rivelazione biblica ».8

La preminenza del momento uditivo su quello visivo è conseguenza necessaria della concezione di Dio e dell'uomo nell'AT: esiste un abisso tra la santità di Dio e l'indegnità dell'uomo che può essere valicato solo per grazia e iniziativa di Dio: « Nessun uomo può vedermi e restare vivo » ( Es 23,20 ).

Il vedere va ricondotto all'eros, cioè alla tentazione umana di prendere possesso di Dio provocandone la rivelazione, mentre l'udire è atteggiamento recettivo che salva l'iniziativa di Dio e conduce all'obbedienza di fede.

Perciò la fede biblica si esprime nella preghiera più cara alla pietà giudaica: « Ascolta, Israele » ( Dt 6,4 ), che si traduce in amore e obbedienza cordiale a Dio ( Dt 6,5-6 ).

Bisogna tuttavia riconoscere anche alla vista una funzione dialettica in ordine alla rivelazione e alla fede.

L'AT parla spesso di « uomini che si arrogano il privilegio di aver sentito colui che non si può sentire e di aver visto colui che non si può vedere e del quale si presentano come ambasciatori ».9

Sono i ( v. ) profeti o uomini di Dio, che vengono chiamati anche veggenti.

Samuele gode del dono di chiaroveggenza e la gente va da lui per avere informazioni: « Su, andiamo dal veggente » ( 1 Sam 9,9 ).

Su un piano più alto i profeti in sogni e visioni vengono a contatto con qualcosa che non è di questo mondo ( Nm 24,4.16-17; 2 Cr 18,18; Am 9,1; Is 6,1-13; Ez 1-3 ).

La forma più privilegiata di visione di Dio è riservata a Mosè.

Dice il Signore: « Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non con enigmi ed egli guarda l'immagine [ o gloria ] del Signore » ( Nm 12,8 ).

Ma come per Abramo, Isacco, Giacobbe ( Es 6,3 ) ed Elia ( 1 Re 19,13 ), anche per Mosè non si tratta di visione diretta di Dio, ma di una comunicazione particolarmente intima: i testi biblici o sono procedimenti letterari o attutiscono il senso della visione immediata affermando che il profeta vide l'angelo o la gloria del Signore ( Gdc 6,11; Sal 27,4; Sal 96,6 ) oppure le sue spalle ( Es 33,23 ) o il luogo in cui si trovava il Dio d'Israele ( Es 24,10, traduzione dei LXX ).

Circa le manifestazioni visibili dell'AT si delineano alcuni orientamenti significativi:

a. Nessuna visione di Dio è in grado di darne una descrizione completa che appaghi il desiderio umano e tanto meno la curiosità.

Dio rimane invisibile e inaccessibile all'uomo peccatore: è il Dio nascosto ( Is 45,15 ) e ogni sua immagine o visione è sempre approssimativa e simbolica.

Rimane pertanto l'affermazione neotestamentaria: « Dio nessuno l'ha mai visto » ( Gv 1,18 ).

b. Il momento visivo della rivelazione è in funzione della comunicazione del messaggio: esso è occasione o semplice sfondo in cui Dio fa conoscere la propria volontà mediante la parola.

L'immagine è sempre accompagnata dalla parola, cui si rivendica un'indubbia preponderanza: essa è il distintivo dei profeti, gli uomini della parola ( 1 Re 17,2-8; 1 Re 18,1; 1 Re 21,17-28 ), che introducono gli oracoli divini con la formula: « Così parla Jahve » ( Nm 22,16; Gdc 6,8; Os 1,1-2; Am 1,3.6.9.11.13 ).

c. Infine le visioni « non costituiscono l'obiettivo supremo della pietà e della fede, il culmino dell'ascesi e della mistica, ma al contrario un punto di partenza: non il fine, ma l'intervento primo di Dio che si rivela con potenza per trascinare il suo popolo nella storia della salvezza ».10

I veggenti vengono rincuorati, dopo lo spavento di fronte al divino, colmati di grazia e incaricati di una missione ( Gen 15,1; Dn 7,13; Es 3,10-12; Gdc 6,12-14; Ger 1,4-10 ): le visioni sono all'origine della rivelazione verbale e della missione.

Solo in alcuni testi si prospetta l'apparizione finale di Dio ( Is 60,2; Is 40,5; Is 52,10; soprattutto Gb 19,26-27: « Vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso » ); ma è solo con molte limitazioni che si può definire la visione di Dio come evento escatologico.

La manifestazione della gloria di Dio si realizza, comunque, anticipatamente nell'adorazione cultuale e nella contemplazione del Signore nel tempio ( Sal 63,3; Sal 27,4 ).

2. Nel NT

Il vedere assume un rilievo quantitativo maggiore dell'ascoltare ( 680 volte contro 425 ): questo dato statistico invita a considerare più attentamente il significato del momento visivo nella rivelazione neotestamentaria, senza peraltro attribuirgli in partenza un primato qualitativo.

a. Rapporto tra fede e visione

Se la fede cristiana sorge dall'ascolto ( Rm 10,17 ) essa presuppone però l'esperienza oculare dei testimoni della parola ( Lc 1,2; 2 Pt 1,8; 1 Gv 1,1 ).

Il processo fisico del vedere esprime la concretezza della manifestazione di Gesù contro ogni docetismo ( Gv 7,29; Gv 10,24-28; Gv 12,19 ), ma in se stesso rimane insufficiente a produrre la fede: può sfociare sia nel rifiuto di Cristo ( « Mi avete visto e non credete » Gv 6,36 ), sia nell'accoglienza di lui ( Gv 1,12 ) mediante la penetrazione del significato della sua persona ( « Chiunque vede il Figlio e crede… » Gv 6,40 ).

I vangeli oscillano tra la valorizzazione del vedere come propedeutica alla fede ( « Beati i vostri occhi perché vedono » Mt 13,16 ) e il suo superamento nell'accoglienza della parola di Gesù senza basarsi sui segni ( Gv 4,48-53 ): « Beati quelli che pur non avendo visto crederanno » ( Gv 20,29 ).

Si può stabilire pertanto una graduatoria ascendente dei vari tipi di fede: quella imperfetta che risponde ad una ricerca insaziabile di « segni e prodigi » ( Gv 4,48 ), quella intermedia che passa dai segni alla percezione della gloria di Dio in Cristo ( Gv 1,14 ), quella perfetta che, senza basarsi sui segni, consiste in un incontro esistenziale e in un abbandono fiducioso alla persona e alla parola di Gesù ( Mt 8,10-12; Gv 3,17-18 ).

Sono beati in definitiva coloro che hanno il contenuto del vedere, il significato degli eventi: che attraverso "gli occhi della mente" giungono ad una più profonda conoscenza di Cristo e del piano della salvezza ( Ef 1,18-23 ).

Pur prescindendo dalla visione come sua base, la fede mantiene un elemento conoscitivo e contemplativo.

Percezione interiore della persona di Cristo, la fede è uno sguardo: « Guarderanno a colui che hanno trafitto » ( Gv 19,37 ); « Corriamo… tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede » ( Eb 12,1-2 ).

Lo statuto di fede e non di visione ( 2 Cor 5,7 ) implica un conoscere opaco e indiretto ( 1 Cor 13,12 ), cui succederà la conoscenza perfetta e chiara nella vita eterna ( 1 Gv 3,2; 2 Cor 3,18 ).

b. Cristo suprema e definitiva rivelazione

Anche per il NT Dio rimane invisibile ( Gv 6,46; 1 Tm 1,17; 1 Tm 6,16; Col 1,15 ); tuttavia egli, oltre che nella creazione e nella storia del suo popolo, si rivela in modo definitivo nel Cristo, « immagine del Dio invisibile» ( Col 1,15 ).

La gloria divina « rifulge sul volto di Cristo » ( 2 Cor 4,6 ) in modo da poter essere contemplata dai discepoli ( Gv 1,14 ): rivelazione suprema del Padre, Cristo è ormai la via obbligatoria per giungere a lui ( Gv 14,6-11 ).

Dio non è più accessibile se non in Gesù, unico luogo di incontro con lui ( Gv 4,21-24 ): vederlo, contemplarlo, è vedere il Padre.

Al di là delle manifestazioni del Cristo risorto e della sua ultima apparizione ( 2 Ts 2,8; 1 Tm 6,14; Tt 2,13 ), la sua conoscenza è attingibile attraverso l'apertura allo Spirito, l'adesione alla sua parola ( Gv 14,20-21.23-26 ) e soprattutto mediante l'amore: « Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io l'amerò e mi manifesterò a lui » ( Gv 14,21 ).

c. Visioni e carismi

Il NT riferisce parecchie comunicazioni divine tramite visioni:

angelofanie ( nei racconti dell'infanzia Mt 1,20; Mt 2,13-19; Lc 1,11-28; Lc 2,9-13;

della risurrezione Mt 28,2-7; Mc 16,5; Lc 24,4-23; Gv 20,12;

e dell'ascensione At 1,10 … ),

cristofanie ( nella trasfigurazione Mt 17,1-8;

apparizioni di Cristo risorto Mt 28,9-10; Lc 24,15-16.36-51; Gv 20; Gv 21;

a Stefano At 7,55;

a Paolo At 9,4-5;

ad Anania At 9,10-15);

immagini simboliche ( At 10,9-16; Ap 4,1-22,5 ).

Questa lunga lista attesta l'importanza che le visioni hanno avuto nella chiesa primitiva.

Degne di nota « le visioni e rivelazioni » di Paolo ( 2 Cor 12,1-6 ), specialmente il suo incontro con Cristo risorto sulla via di Damasco, così determinante per la sua vocazione e per la sua dottrina ( At 9,4-5; At 22,5-16; At 26,9-18; Gal 1,12-17 ).

Tutte queste visioni sono unite ad un messaggio e ad una missione, che costituiscono il loro scopo: « Le apparizioni sono costantemente connesse con una rivelazione, verbale e in nessun caso è messo in evidenza unicamente il momento visivo.

Possiamo concludere che la rivelazione verbale è un elemento costitutivo delle apparizioni ».11

Sia gli angeli che Cristo sono sempre latori di un messaggio e affidano un incarico: le visioni conducono al riconoscimento di Cristo, ad una fede più autentica, alla testimonianza e alla missione.

Altre volte esse si limitano a indicare il cammino missionario o il comportamento da tenere in particolari circostanze ( At 10,9-16; At 16,10; At 27,23 ), oppure comunicano i segreti della storia, il trionfo di Cristo e la condizione escatologica della chiesa ( Apocalisse ).

Circa la valutazione delle visioni non esiste nel NT parametro diverso da quello dei carismi, in particolare della profezia alla quale esse sono legate in quanto comportano sempre un messaggio verbale.

S. Paolo, beneficiario di personali visioni e rivelazioni, si guarda dalla diffidenza o disprezzo dei doni provenienti dallo Spirito; perciò ammonisce: « Non spegnete lo Spirito, non disprezzate la profezia » ( 1 Ts 5,19-20 ) e positivamente: « Aspirate pure ai beni dello Spirito, soprattutto alla profezia » ( 1 Cor 14,1 ).

Trovandosi tuttavia di fronte ai Corinzi, tentati di apprezzare soprattutto i doni più spettacolari e di utilizzarli in atmosfera anarchica come in certe cerimonie pagane, s. Paolo reagisce stabilendo alcune norme precise:

- Bisogna sottoporre ad esame i vari carismi per verificarne l'autenticità attraverso « il dono di distinguere gli spiriti » ( 1 Cor 12,10 ).

Criterio fondamentale di discernimento è il fatto che il vero carisma porta a confessare che Gesù è il Signore ( 1 Cor 12,3 ): esso è essenzialmente cristocentrico, poiché lega a Cristo nella fede [ v. Discernimento ].

- Occorre inoltre relativizzare i carismi, specie i doni vistosi, perché la « via migliore di tutte » ( 1 Cor 12,31) è la ( v. ) carità.

S. Paolo traccia quindi una gerarchia di valori, in cima alla quale si trova l'amore fraterno, fatto di sincerità, dimenticanza e dono di sé ( 1 Cor 13,1-13 ), poi viene la profezia in ragione della sua utilità riguardo all'assemblea ( 1 Cor 14,1-5 ), l'ultimo posto è riservato al carisma più spettacolare, la glossolalia ( 1 Cor 12,28; 1 Cor 14,5 ).

Costretto a vantarsi delle sue visioni, Paolo confessa che ciò può portare alla superbia: è solo con ritrosia che egli parla di queste cose ( 2 Cor 12,1-6 ).

- I carismi infine sono ordinati all'edificazione della comunità ( 1 Cor 14,12 ): « A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune » ( 1 Cor 12,7 ).

Ogni dono spirituale deve essere insieme un servizio responsabile per il bene della chiesa.

A differenza degli altri autori del NT l'ecclesiologia di 1 Gv non contiene l'elenco di molti carismi.

Uno solo è il dono: la rivelazione del Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito ( 1 Gv 2,20.23 ); i ministeri sono sostituiti da una unica situazione fondamentale: il discepolato che non ha bisogno di maestri ( 1 Gv 2,21 ).

« Si tratta di proposizioni estreme, che andrebbero inserite in un contesto che purtroppo è difficile da ricostruire: esse vanno comunque comprese come estrema punta critica all'interno dello stesso quadro ecclesiologico ed ecclesiale neotestamentario ».12

In conclusione il NT conferma due dati dell'AT circa le visioni e il loro significato: Dio rimane invisibile e inaccessibile anche quando si manifesta, le visioni sono in funzione del messaggio e della missione.

In più, il NT acutizza la tensione tra fede e visione, prospetta la visione di Dio come termine definitivo del cammino cristiano, presenta Cristo come immagine del Dio invisibile e pienezza di rivelazione, inserisce i doni straordinari nella dottrina dei carismi.

Le visioni sono tenute in onore nel NT, ma il loro valore è relativo; è affermato infatti il primato dell'ascolto, della carità, del vedere spirituale e della visione escatologica.

III - Continuità e vicende lungo la storia della Chiesa

I secoli cristiani presentano una serie quasi ininterrotta di veggenti, portatori di messaggi e rivelazioni.

Discontinua è invece la valutazione a loro riguardo, che passa dall'entusiasmo alla diffidenza secondo i vari periodi.

1. Periodo patristico

Le comunità cristiane del II sec. vivono il passaggio dalla struttura apostolica-profetica a quella pastorale-gerarchica.

L'istituto carismatico entra in crisi, ma continua ad essere privilegiato e preferito, per es. dalla Didachè, per la quale i vescovi e i diaconi « compiono lo stesso ministero dei profeti e dei dottori » ( XV, 1 ); lo stesso documento suppone un numero rilevante di profeti, perché mette in guardia dal falso profeta che descrive come « uno che fa commercio di Cristo » ( XII, 5 ).

In linea con l'apocalittica, sia il Pastore di Erma che l'Ascensione di Isaia, ambedue della metà del II sec., si presentano come racconti di visioni, cui si chiede di prestare attenzione per sfuggire alle prevaricazioni precedenti la parusia ( Asc. di Isaia III, 31 ); lo pseudoprofeta è invece da evitare perché agisce come uno stregone, « che non ha in sé lo spirito divino… e non sa rispondere alle domande rivoltegli se non secondo l'umana vanità…: è possibile che lo Spirito divino si faccia pagare per profetizzare? » ( Pastore, precetto XI ).

Circa l'anno 172 scoppia in Oriente la "nuova profezia" di Montano e di alcune donne, che credevano di essere visitati in modo unico e definitivo dallo Spirito santo e di parlare in suo nome durante l'agitazione estatica.

Come osserva L. Volken « sarebbe stato facile, col pretesto di combattere efficacemente la nuova profezia, condannare ogni specie di profetismo.

Ma le chiese non cedettero a questa tentazione ».13

Verso il 180-192, s. Ireneo recensisce le visioni tra i doni fatti ai cristiani: « I veri discepoli del Figlio di Dio in virtù del suo nome e della grazia ricevuta operano a beneficio degli altri secondo il dono che Gesù ha impartito a ciascuno di essi.

Alcuni fugano i demoni, …altri hanno la prescienza del futuro, visioni e parole profetiche ».14

Lo stesso s. Ireneo afferma che quei « poveri spiriti che per non voler ammettere i falsi profeti, negano anche alla chiesa la grazia della profezia » cadono nel peccato imperdonabile contro lo Spirito.15

All'epoca patristica, precisamente a S. Gregorio Nisseno ( + 394 ), risale il primo racconto di un'apparizione mariana: la Vergine sarebbe apparsa a s. Gregorio Taumaturgo ( + 270 ) per istruirlo intorno ai misteri della fede.16

Le visioni costellano la vita di s. Cipriano di Cartagine ( + 258 ), che documenta tra l'altro l'esistenza di veggenti fanciulli: « Da noi l'età innocente riceve dallo Spirito santo visioni notturne e altre in pieno giorno e nell'estasi vede con i propri occhi, ascolta e dice quelle cose per mezzo delle quali il Signore si degna avvertirci e istruirci ».17

S. Gregorio Magno ( + 604 ) narra che Maria è apparsa, di notte ad una fanciulla per annunciarle la sua prossima morte;18 similmente s. Gregorio di Tours ( + 594 ) riferisce due visioni della Madre di Gesù, di cui una a s. Martino morente;19 inoltre il racconto di un'apparizione mariana si trova nella vita di s. Ildefonso di Toledo ( + 567 ).20

2. Nel medio evo

Il medio evo è un periodo particolarmente adatto alla proliferazione di visioni e profezie: vi si trova abbondante messe di miracoli, leggende e apparizioni.21

In particolare il movimento gioachimita privilegiando la missione dello Spirito santo ha favorito un pullulare di veggenti e profeti, contro cui reagirono i teologi del tempo.

Il francescano David d'Augusta osservò: « Sembra che la rivelazione di cose segrete e future sia sempre più frequente, onde moltissimi sono sedotti da essa, come è accaduto per le visioni di cui sopra, e credono che sia opera dello Spirito santo ciò che hanno creato per suggestione dei sensi o è stato loro suggerito dallo spirito di errore.

Perciò siamo sazi fino alla noia degli innumerevoli vaticini… ».22

La corriva accettazione delle rivelazioni non pregiudica tuttavia la loro possibilità e utilità nella chiesa: « In ogni periodo - ammette s. Tommaso - non sono mancati uomini dotati di spirito profetico, non già per sviluppare una nuova dottrina di, fede, ma per guidare l'attività umana ».23

È da notare che per s. Tommaso la profezia più perfetta è quella che avviene mediante il dialogo tra due persone, come è il caso delle apparizioni.24

Oltre alle vicende di s. Giovanna d'Arco ( + 1431 ) con le sue "voci" e visioni, vasta risonanza ebbero nel medio evo le rivelazioni di parecchie sante, come s. Caterina da Siena ( + 1380 ), s. Angela da Foligno ( + 1309 ), s. Gertrude ( + 1302 ) e soprattutto s. Brigida ( + 1373 ).

Le rivelazioni di quest'ultima hanno esercitato un grande influsso alla fine del medio evo, tanto da essere paragonate alla s. scrittura; esse hanno pure provocato una disputa teologica fra Gersone ( + 1429 ), cancelliere dell'università di Parigi, e Torquemada ( + 1498 ), maestro dei sacri palazzi a Roma.

Il primo era contrario ad ogni fanatismo per le rivelazioni, mentre il secondo era favorevole alle opere della mistica svedese; ambedue elaborarono le prime esposizioni sistematiche sul discernimento delle vere rivelazioni.

Bonifacio IX ( 1389-1404 ), canonizzando la santa, ne approvò pure le rivelazioni,25 ma la problematica medioevale si prolungherà nei secoli seguenti.

3. Nei sec. XVI-XVIII

In nome del principio della "sola Scriptura" la Riforma assume un atteggiamento negativo circa le rivelazioni.

Lutero le mette in ridicolo e si mostra severo nei loro confronti: « Ora che possediamo la scrittura degli apostoli, non c'è più nulla da rivelare dopo ciò che essi hanno scritto.

Non abbiamo bisogno di nessuna rivelazione particolare, né di miracoli ».26

Ugualmente Calvino asserisce: « È certo che quando abbiamo la s. scrittura, nulla può mancarci; soprattutto nella chiarezza del vangelo abbiamo, come dice s. Paolo, la perfezione della sapienza.

Stando così le cose, coloro che sono ancora solleticati dal vano desiderio di avere visioni dimostrano chiaramente che non hanno mai capito che cosa sia la sacra scrittura ».27

Di diverso parere è T. Muntzer ( + 1525 ), che respinge l'argomento di Lutero: « Quasi tutti affermano: noi siamo paghi della scrittura, non vogliamo credere a nessuna rivelazione, Dio non parla più.

Pensi che se tal gente fosse vissuta al tempo dei profeti avrebbe creduto loro o li avrebbe battuti a morte?

Sì, sono talmente ciechi nella s. scrittura da non voler vedere o udire con quanta fermezza essa insiste sul fatto che si può e si deve essere ammaestrati solo da Dio ».28

Proprio in base alla scrittura, che recensisce molte visioni, si dovrebbe concludere: « Sì, è un vero spirito apostolico, patriarcale e profetico aspettare le visioni e ottenerle con dolorosa tribolazione ».29

La posizione muntzeriana avrà la meglio su quella di Lutero; i movimenti spirituali o illuministi, dai battisti ai mormoni, agli avventisti e ai pentecostali, si susseguiranno nel contesto protestante attirando numerosi adepti [ v. Protestantesimo ].

Anche in campo cattolico si riscontrano i due schieramenti pro e contro le rivelazioni.

I fenomeni straordinari punteggiano la vita di santi come Ignazio di Loyola ( + 1556 ) e Teresa d'Avila ( + 1582 ) e alcuni teologi ritengono che le rivelazioni private possono determinare un assenso di fede.30

S. Giovanni della Croce ( + 1591 ) al contrario mostra verso le visioni una severità quasi uguale a quella di Lutero.

Pur ammettendo la possibilità e l'utilità di rivelazioni particolari come "mezzo e modo" di cammino spirituale, il dottore mistico li ritiene fenomeni non necessari e da superare.31

Un celebre testo della Salita del monte Carmelo ci svela la mentalità di s. Giovanni della Croce: « Poiché in quest'età di grazia la fede in Cristo è diventata stabile e la legge evangelica si è manifestata, non v'è nessuna ragione che si interroghi Dio e che egli parli e risponda come allora.

Infatti dandoci il Figlio suo, che è la sua parola, l'unica che egli pronunzi, in essa ci ha detto tutto in una sola volta e non ha più niente da manifestare…

Perciò chi oggi volesse interrogare il Signore e chiedergli qualche visione o rivelazione non solo commetterebbe una sciocchezza, ma arrecherebbe un'offesa a Dio, non fissando i suoi occhi interamente in Cristo per andare in cerca di qualche altra cosa o novità.

Invero il Signore gli potrebbe rispondere in questo modo: Se io ti ho detto tutta la verità nella mia parola, cioè nel mio Figlio, e non ho altro da manifestarti, come ti posso rispondere o rivelare qualche altra cosa?

Fissa gli occhi su lui solo, nel quale io ti ho detto e rivelato tutto, e vi troverai anche più di quanto chiedi e desideri.

Tu infatti domandi locuzioni e rivelazioni che sono soltanto una parte, ma se guarderai lui, vi troverai il tutto… ».32

Il movimento riduttivo del valore delle apparizioni e fatti straordinari si nutre delle prescrizioni dei concili Lateranense V ( 1516 ) e Tridentino ( 1563 ), che riservano al vescovo e in ultima analisi alla sede apostolica l'esame di ogni nuovo miracolo; esso sfocia nel classico trattato di Prospero Lambertini, poi Benedetto XIV ( + 1758 ), secondo cui « alle rivelazioni anche approvate dalla chiesa non si deve e non si può accordare un assenso di fede cattolica».33

In Francia il rinnovamento religioso post-tridentino prende un'andatura mistica, con manifestazioni di gusto per il meraviglioso e perfino per il diabolico.

La venerazione dei fedeli circonda durante il XVII sec. parecchie mistiche, le cui estasi e rivelazioni ci sono state tramandate: Marie de Valence, Mme Acarie, Marie des Vallées, suor Agnese di Langeac sono tra le più illustri.

Le superò in fama s. Margherita M. Alacoque con le apparizioni del ( v. ) s. Cuore degli anni 1673-1675.

Gli autori spirituali di quel secolo accettano facilmente racconti di miracoli e leggende; anzi ve ne sono alcuni tra loro, come 0lier, che si fidano di visioni e rivelazioni come messaggi inviati da Dio per aiutarli a prendere le giuste decisioni.34

Tuttavia a partire dal 1660 l'atmosfera cambia e la posizione dei mistici si fa più delicata: l'intellettualismo e lo psicologismo invadono la pietà, si diffida di tutto ciò che non è ragione, lo spirito critico fa piazza pulita delle leggende medioevali, il movimento unionista chiede ai cattolici minore credulità di fronte alle apparizioni.35

Nello scorcio finale del XVII sec. la condanna di Mme Guyon, delle Massime dei Santi di Fénelon e della Mistica città di Dio di Maria d'Agreda segna il trionfo dell'antimisticismo e del predominio dell'istituzione sui carismi, come appare da una frase incisiva di L. Tronson ( + 1700 ): « Il seminario di s. Sulpizio né per visione, né per rivelazioni.

La fede e le regole comuni della chiesa ci bastano ».36

In Italia nel XVIII sec. riprende la polemica con L. A. Muratori ( + 1750 ) il quale da grande erudito ammonisce i predicatori a non spacciare "miracoli falsi" e a non sopravvalutare quelli veri, poiché la chiesa ha canonizzato i santi per le loro virtù: « I miracoli sono il meno dei santi ».37

S. Alfonso de' Liguori ( + 1787 ) è invece propenso ad accettare racconti o esempi di miracoli e di rivelazioni, come si costata nella sua nota opera Le glorie di Maria; in essa, alla raccolta di 89 esempi premette una dichiarazione che precisa il suo pensiero: « Taluni pregiandosi d'essere spregiudicati si fanno onore di non credere altri miracoli se non quelli che stanno registrati nelle sacre scritture, stimando gli altri quasi che novelle e favole da femminucce.

Ma… conforme è debolezza il dar credito a tutte le cose, così all'incontro il ributtare i miracoli che vengono attestati da uomini gravi e pii, o sente d'infedeltà, pensando che a Dio siano impossibili, o sente di temerità, negando il credito a tal sorta d'autori ».38

4. Dal sec. XIX ad oggi

Proprio in questo periodo, che sotto le pressioni del razionalismo e del controllo scientifico avrebbe dovuto registrare una eclissi delle rivelazioni, si nota un aumento di apparizioni, alcune delle quali danno origine a continui pellegrinaggi e esercitano un influsso profondo nella vita dei fedeli.

È l'èra delle grandi apparizioni mariane, esaminate e approvate a livello diocesano, accettate o raccomandate dai pontefici romani; esse prendono il via con le visioni di s. Caterina Labouré ( 1803 ), continuano con quelle di La Salette ( 1846 ), Lourdes ( 1858 ), Pontmain ( 1871 ), Fatima ( 1917 ), Beauraing ( 1932 ), Banneux ( 1933 ).

Queste apparizioni, a differenza della lacrimazione mariana di Siracusa ( 1953 ), non legata a nessuna rivelazione verbale, sono sempre unite a dei messaggi e talvolta a dei "segreti"; inoltre i veggenti non appartengono alle categorie degli apostoli e profeti come nei primi tempi, né ai religiosi e alle donne come dal medio evo in poi, ma sono generalmente bambini di infima estrazione sociale.

Se il popolo ha sintonizzato immediatamente con loro e ne ha accolto il messaggio, i teologi si sono preoccupati di stabilire il tipo di fede che si doveva prestare a tali veggenti.

Ordinariamente si è restati fedeli al pensiero di Benedetto XIV, che ammetteva, circa le rivelazioni, solo « un assenso di fede umana secondo le regole della prudenza »; ma nel 1949 K. Rahner avanza la tesi secondo la quale le rivelazioni che con troppa leggerezza sono denominate private, esigono un assenso di fede divina: « Secondo i principi della teologia abituale, non si vede perché una "rivelazione privata" non s'impone alla fede di quanti ne hanno avuto conoscenza e ammettono con sufficiente certezza che essa viene da Dio; non si può esigere per la rivelazione privata una certezza più grande di quella giudicata sufficiente per garantire la rivelazione ufficiale…

Non si comprende perché l'origine divina di parecchie rivelazioni private non potrebbe essere riconosciuta da tutti, e perché questo riconoscimento non comporterebbe per tutti il diritto e il dovere dell'adesione di fede divina ».39

In una prospettiva spirituale si colloca un'importante affermazione di Giovanni XXIII: « Al seguito dei papi che da un secolo raccomandarono ai cattolici di rendersi attenti al messaggio di Lourdes, vi spingiamo ad ascoltare con semplicità di cuore e rettitudine di spirito gli avvisi salutari - e sempre attuali - della Madre di Dio.

Nessuno si meravigli di ascoltare i romani pontefici che insistono su questa grande lezione spirituale trasmessa dalla fanciulla di Massabielle.

Costituiti custodi e interpreti della divina rivelazione, contenuta nella s. scrittura e nella tradizione, essi si fanno un dovere di raccomandare all'attenzione dei fedeli - quando dopo maturo esame lo giudicano opportuno per il bene comune - le luci soprannaturali che a Dio piace dispensare liberamente a certe anime privilegiate, non per proporre nuove dottrine, ma per guidare la nostra condotta… ».40

Questa linea di accoglienza dei carismi dovrà essere valorizzata se si vogliono evitare atteggiamenti troppo entusiastici o troppo riduttivi.

IV - Orientamenti spirituali

Raramente si è verificata una contrapposizione di tendenze di fronte ai veggenti o ai racconti di visioni e rivelazioni come quella registrata nel nostro tempo.

In genere, l'uomo del XX sec. è allergico ai miracoli, perché ritiene inverosimile che Dio rompa le leggi naturali da lui poste; i veggenti sarebbero sempre dei visionari e i fenomeni prodigiosi sarebbero ritenuti tali perché ancora non si è scoperta la loro spiegazione scientifica.

A livello popolare invece si è propensi a ricercare ed ammettere tali interventi straordinari, a propagarli con entusiastica convinzione ed a lasciarsi da essi interpellare fino a trasformare la propria esistenza.

Per un adeguato atteggiamento di fronte alle visioni, quale deriva dalla rivelazione biblica, dalla tradizione ecclesiale e dal progresso scientifico del nostro tempo, si possono proporre i seguenti orientamenti spirituali:

1. Verificare la propria preconversione

Il primo passo da compiere consiste nel rendersi conto della propria cultura e mentalità, di quella serie di atteggiamenti e opzioni riassunti nella parola "precomprensione".

Nelle due tendenze sopra ricordate la precomprensione ha un carattere riduttivo: nella prima si limita lo spazio per un intervento di Dio nella storia, nell'altra si disattendono le mediazioni critico-scientifiche.

Un incontro in profondità esige due convergenze ideologiche:

a. Bisogna ammettere che Dio, signore dell'universo, è libero di intervenire nella storia, non per il gusto di umiliare l'ordine dell'universo o infrangere la creazione, ma per manifestarsi all'uomo e attirarlo ad un dialogo religioso di salvezza.

Più che rottura delle leggi naturali il miracolo è liberazione dell'universo fisico dai limiti cui è normalmente sottomesso perché possa inserirsi meglio in un ordine superiore e totale.

« Da una parte è perfettamente intelligibile che l'universo fisico trovi il suo senso abituale nel determinismo delle sue leggi; dall'altra parte non è meno intelligibile che Dio manifesti, con un'iniziativa del tutto gratuita nella storia e nel cosmo, l'iniziativa ancora più gratuita della salvezza comunicata in Gesù Cristo ».41

In linea di principio è dunque possibile che Dio si riveli in visione, dando all'uomo la facoltà di percepire cose normalmente inaccessibili alla sua esperienza visiva e uditiva.

Il trincerarsi dietro l'affermazione che il miracolo è un fatto culturale, legato alla visione particolare del mondo e dell'uomo, contraddice l'esperienza biblica di Dio, che è il centro irrinunciabile della rivelazione vetero-testamentaria: « L'israelita non aveva l'idea di un cosmo con leggi fisse, quasi un orologio caricato, che poi prosegue da solo il suo corso.

Aveva invece, vivissima, l'idea di un Dio che agisce nella natura ».42

Rifiutare i gesti insoliti di Dio è in ultima analisi sottrarre a Dio la conduzione della storia e farne un essere senza inventiva o indifferente.

Tutto si riduce in fondo alla domanda: la storia è solo opera dell'uomo oppure è storia di salvezza nella quale Dio, pur rispettando l'autenticità dell'uomo, è protagonista?

Solo chi accetta una storia della salvezza può scorgere i segni che Dio vi ha disseminato.

L'allergia al miracolo deve essere sostituita da un'apertura a Dio e ai vari modi in cui vorrà rivelarsi.

b. Occorre, d'altra parte, rinunciare ad ogni entusiasmo acritico, che rischia di prendere come segni di Dio fenomeni riducibili a cause del tutto naturali e addirittura a errore o inganno.

Già la bibbia mette in guardia contro i falsi profeti ( Mt 7,15; Mc 13,22; 1 Gv 4,1 ) e s. Paolo richiama l'esigenza di esaminare i carismi ( 1 Ts 5,12.19-21 ); il ( v. ) discernimento è particolarmente necessario oggi, quando il progresso delle scienze umane offre più ampio spazio per una verifica critica dei fenomeni straordinari e per un esame psicologico dei veggenti.

Se la tradizione ecclesiale rimanda alla santità della vita, all'ortodossia del messaggio e ai frutti di vita cristiana per giudicare sulla veridicità o meno delle apparizioni, oggi bisogna attendere anche alla personalità, ai condizionamenti e all'equilibrio psichico dei veggenti.

A partire dalla totalità dei fenomeni si procede ad un'analisi delle singole componenti e delle varie interpretazioni finché, dopo un continuo movimento dialettico dal fatto al contesto, si giunga a ritenere unica ipotesi coerente quella di un intervento divino.

Nel caso di una persona che afferma di avere avuto delle apparizioni, lo spirito critico moderno si pone subito delle domande: « Si tratta di un caso di soperchieria o di inganno?

È un soggetto patologico, isterico o mitomaniaco? ».

L'ipotesi dell'inganno deliberato può cadere dopo l'esame circa la sincerità abituale del veggente in questione, l'assenza di secondi fini come il guadagno o l'affermazione di sé, la convergenza sostanziale delle sue varie deposizioni.

Così pure la diagnosi patologica può essere accantonata qualora si riscontrino nel veggente segni diversi da quelli dei malati psichici: senso della realtà, tranquillità d'animo, esclusione di esibizionismo.

Dal punto di vista fenomenologico è appurato tuttavia che « le visioni e audizioni di tipo immaginario non offrono nessuna differenza quanto al loro meccanismo nel mistico e nel comune allucinato »;43 esse cioè rientrano nel meccanismo allucinatorio nel quale « l'inconscio del soggetto si esprime utilizzando simboli visuali per esprimere il suo desiderio profondo…

Si tratta di un fenomeno soggettivo condizionato da tutto un mondo culturale, emozionale, familiare, inconscio; fenomeno soggettivo in cui l'inconscio si esprime, sia isolatamente, sia in modo collettivo e contagioso.

Ciò corrisponde a meccanismi elettrochimici molto complessi, che si producono nel cervello e lo modificano a livello di cellule occipitali ».44

Circoscrivere tali fenomeni all'analisi clinico-psicologica sarebbe - secondo un paragone di Jung - come studiare il duomo di Colonia fermandosi all'analisi chimica delle pietre che lo compongono.

È importante esaminarli nel contesto religioso immediato, dove possono assumere valore di segni divini che autenticano una missione o coronano una vita santa, nel contesto più vasto del cristianesimo come storia di salvezza.

Anche se mancherà sempre una certezza matematica, è possibile al credente raggiungere la convinzione che un fenomeno, sia o no spiegabile naturalmente, rappresenta un autentico intervento di Dio nella storia.

Esso si diversifica da analoghi eventi estranei alla stretta logica della fede, nel suo principio e nelle sue conseguenze.

Si è quindi ricondotti al contesto generale della storia della salvezza: veggente, messaggio ed effetti devono essere una chiara testimonianza del Cristo e una parola omogenea con la rivelazione biblica.

2. Accogliere i segni di Dio nel loro significato esistenziale

Talvolta è prevalso nella chiesa un atteggiamento severo e repressivo circa i veggenti, le apparizioni e ogni genere di profetismo, soprattutto nel periodo post-tridentino, quando si doveva proteggere l'istituzione dai possibili abusi del carisma.

Dopo il Vat II si concede più largo spazio all'elemento carismatico, poiché « lo Spirito santo… "distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui" ( 1 Cor 12,11 ), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della chiesa » ( LG 12 ).

Se la chiesa è creatura dello Spirito, il quale risveglia o suscita i carismi nei fedeli, negarli o chiudersi di fronte ad essi è negligere il piano di Dio e le sue premurose attenzioni.

Perciò il Vat II, pur richiamando la necessità di un esame dei carismi straordinari da parte dell'autorità ecclesiastica, invita ad un atteggiamento di prudente e gioiosa accoglienza: « Questi carismi, straordinari o anche più semplici e più comuni, siccome sono soprattutto adattati e utili alle necessità della chiesa, si devono accogliere con gratitudine e consolazione.

I doni straordinari però non si devono chiedere imprudentemente, né con presunzione si devono da essi sperare i frutti dei lavori apostolici; ma il giudizio sulla loro genuinità e ordinato uso appartiene all'autorità ecclesiastica, alla quale spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare e ritenere ciò che è buono ( 1 Ts 5,12.19-21 ) » ( LG 12).

Sembra dunque decretata la fine della lotta negativa con cui si reagiva a visionari, veggenti e illuminati.

Il metodo repressivo, oltre a non essere evangelico né in linea con la libertà religiosa ( DH 1-2 ), non ha successo, poiché conduce alla formazione di sette o gruppi chiusi e non alla loro eliminazione; esso inoltre trascura il contenuto positivo e i valori di cui sono portatori i veggenti, privando la comunità di utili stimoli per ovviare alle mancanze e anormalità della prassi ecclesiale in una data epoca storica.

Tali stimoli, è vero, provengono oggi nella chiesa da quel nuovo tipo di profetismo che scopre la volontà di Dio e i suoi appelli nei "segni della terra", ossia nei ( v. ) "segni dei tempi".

Sono note le interpellanze di personalità religiose del nostro secolo che hanno letto profeticamente la storia, ne hanno indicato in anticipo il movimento, hanno inquietato le coscienze perché uscissero dal tranquillo perbenismo per un impegno concreto e attuale.

Poiché « la sfiducia nient'affatto cristiana verso i profeti, ce l'abbiamo nel sangue », dobbiamo « aver molta paura di non fare attenzione ai profeti, di deriderli e di ucciderli »,45 accontentandoci di onorarli dopo la morte con una facile glorificazione postuma.

Anche se più problematico per la nostra epoca secolarizzata, esiste un profetismo di tipo mistico che legge piuttosto i "segni del cielo": alla ricerca laboriosa della presenza di Dio nella storia sostituisce la recettività nell'accogliere i messaggi divini, e la trasparenza per interferire il meno possibile nel loro contenuto da trasmettere agli uomini.

Nella vita spirituale del veggente l'esperienza delle rivelazioni non può essere sottovalutata o ridotta ad accessoria: essa segna profondamente l'itinerario religioso come una svolta decisiva e determinante.

Un esempio classico ci è offerto da s. Teresa d'Avila: « Una sola di quelle visioni bastava per trasformarmi in altra, e lo vedevo chiaramente…

Non mi è mai dispiaciuto di aver veduto quei divini spettacoli, né avrei cambiato uno solo di essi con tutti i beni e i piaceri del mondo.

Li ho sempre ritenuti per una grande grazia di Dio, per tesori senza prezzo, della cui eccellenza Dio stesso mi aveva più volte assicurata.

Sentivo che il mio amore per lui andava crescendo di giorno in giorno ».46

Mutamenti radicali simili a questi si verificano in quanti vengono a contatto con fenomeni di rivelazioni, qualora dallo shock iniziale si passi ad approfondire il significato profondo di tali eventi: segni interpellanti di Dio che si interessa personalmente della salvezza umana, appelli di stile profetico che scuotono dall'inerzia e infondono speranza, richiami alla conversione e alla vita evangelica, spesso manifestazioni della materna sollecitudine di Maria verso i suoi figli in particolari momenti storici.

Essi rispondono pure all'insopprimibile bisogno umano di fatti, di interventi concreti ed esistenziali di Dio nel mondo: a quella sete di prodigi che costituisce un approccio imperfetto ma autentico alla fede richiesta al cristiano.

3. Ricondurre tutto a Cristo e al suo messaggio

Accogliere le interpellanze delle rivelazioni non significa assolutizzarle e isolarle dal complesso della vita cristiana: sarebbe dispersivo e irrispettoso della gerarchia dei valori non collegarle con la rivelazione definitiva compiuta da Dio nel Cristo, parola ultima ed evento finale in cui soltanto si ha « la via, la verità e la vita » ( Gv 14,16 ).

Operando una concentrazione cristologica, il Vat II supera la dottrina pre-conciliare della chiusura della rivelazione con la morte dell'ultimo apostolo47 e afferma che in Cristo « trova compimento tutta intera la rivelazione del sommo Iddio » ( DV 7 ).

Se rimane preclusa la via ad una rivelazione più perfetta o in contrasto con l'economia cristiana « in quanto è alleanza nuova e definitiva » ( DV 4 ), non è da dimenticare l'opera dello Spirito santo che introduce nella piena verità ( Gv 16,13 ), sempre in sintonia con il vangelo di Cristo ( Gv 14,16 ).

La rivelazione biblica rimane normativa, anche se non è un messaggio chiuso, ma un annuncio cui ogni cristiano è chiamato a dare la forma rispondente alle nuove esigenze dei tempi.

Le apparizioni devono quindi risolversi in ultima analisi in un incontro personale con Cristo e nell'adesione piena alla sua parola: « Da questo potete conoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio » ( 1 Gv 4,2-3 ).

Una discriminante tra le vere e le presunte apparizioni è che le prime fanno rivivere il vangelo: nei santuari ad esse legati si rinnovano i prodigi, ricompaiono le folle, rinascono la speranza e la gioia, i peccati vengono perdonati, si riascolta il messaggio di Cristo, si riaffermano gli impegni cristiani.

Tali apparizioni « sono come segni e mediazioni spirituali, che ci permettono di avvicinarci e di ricevere l'unico dono della grazia nel Signore Gesù.

A modo loro, esse ci rendono presente il vangelo ».48

I rischi più grandi che minacciano una spiritualità nutrita di apparizioni sono un atteggiamento pessimistico e timoroso e un comportamento intimistico ed evasivo.

A tali pericoli si ovvierà con un assiduo ricorso all'insegnamento biblico circa la vita filiale nella libertà e nella gioia, che nessuna previsione per quanto cupa può turbare, e circa il primato della carità sui carismi e della fede sulla visione.

Soprattutto non si dovrà cadere in un affidamento a veggenti o a messaggi che confinino con il « naufragio della stessa presenza individuale » o con « la, esperienza di essere-agito-da » propri della esistenza magica:49 il ricorso a Dio, a Maria o ai veggenti non deve tendere ad una fiducia deresponsabilizzante, ma a stabilire una comunione d'amore che impegni alla realizzazione del regno di Dio nella giustizia e nella carità.

La presenza di Dio nel mondo non deve essere vista in termini di evasione, ma di compimento storico dell'uomo e di trasformazione della realtà.

Se è vero che « l'uomo non vive senza visioni »,50 è anche certo che esse non bastano alla salvezza: questa si raggiunge solo in una fede espressa nell'amore ( Gal 5,6; 1 Cor 13,1-13 ), ossia in una presenza religiosa significativa di storia.

Visionarie Storia III,12
Storia III,14
Visioni simboliche Contestazione I
Visioni paramistiche Patologia III

1 D. Grasso, Il fatto carismatico in Segno dei tempi? I fatti straordinari del popolo di Dio, Brescia. Megalini 1974, 29
2 B. Billet, Le fait des apparitions non reconnues par l'Eglise in Vraies et fausses apparitions dans l'Eglise, Parigi-Montréal, Lethielleux-Bellarmin 1973, 6; Le dossier des apparitions non reconnues par l'Eglise in Cahiers mariais n. 77, aprile 1971, 93-123; G. Lambertini, Fenomenologia dei fatti straordinari di questi ultimi decenni in Italia in Segno dei tempi?… o. c., 41-105
3 A. Rossi, Un caso di magia tra i monti picentini (poligrafato), Salerno, Università degli Studi 1976, 121
4 A. Rossi, Le feste dei poveri, Bari, Laterza 1971, 67-69
5 R. Cipriani, La religiosità popolare in Italia: due ricerche su magia e politica nel Mezzogiorno in Religione e politica. Il caso italiano, Roma, Coines 1976, 61-78
6 R. Laurentin, Pentecótisme chez les catholiques. Risques et avenir, Parigi, Beauchesne 1974, 264 (e bibliografia ivi citata)
7 W. Michaelis, orno in GLNT (Kittel) VIII, 896
8 R. Latourelle, Teologia della rivelazione, Assisi, Cittadella 1967, 14 e 38
9 N. Lohfink, I profeti ieri e oggi, Brescia, Queriniana 1973, 13-14
10 M. Bouttier, Vedere in Dizionario biblico (von Allmen), Roma, AVE 1969, 513
11 W. Michaelis, a. c., 1003
12 P. C. Bori, La chiesa primitiva, Brescia, Queriniana 1977, 74
13 L. Volken, Le rivelazioni nella chiesa, Roma, Edizioni Paoline 1963, 66
14 S. Ireneo, Adversus haereses II, 49. 3
15 Ivi, III, 11, 9
16 S. Gregorio Nisseno, Vita S. Gregarii Thaumaturgi, PG 46, 909-913
17 S. Cipriano, Epistola 16, 4, CSEL III-2, 520
18 S. Gregorio M., Dialoga IV, 17, PL 77, 348-349
19 S. Gregorio di Tours, De miraculis s. Martini I, 5, PL 71, 928; De gloria martyrum I, 10; PL 71, 714-715
20 Vita s. Ildephonsi a Cixilano edita, PL 96, 43-48
21 Famose particolarmente la Legenda aurea di Jacopo da Voragine e la Legenda Theophili; per le apparizioni mariane, oltre a quella raccontata nella Vita Odonis Cluniacensis II, 20, PL 133, 72, cf G. M. Besutti, Saggio di ricerca sull'origine dei santuari mariani in Italia in De cultu mariano saeciilis VI-XI, Roma, Pont. Acad. Mar. intern. 1972, v. V, 275-305
22 David d'Augusta, De exterioris et interioris hominis compositione…, 1. 3, e. 67, Quaracchi 1899, 260-261
23 S. Th. II-II, q. 174, a. 6, ad 3
24 Ivi II-II, q. 171, a. 1, ad 4; q. 174, a. 3
25 L. Volken, o. c., 95-102
26 M. Lutero, Werke (Weimar), 46, 65
27 J. Calvini opera, XVI sermone su Giobbe, Corpus reform., 61, 203
28 T. Mùntzer, Esplicita messa a nudo della falsa fede… in Scritti politici, Torino, Claudiana 1972, 158
29 T. Mùntzer, Spiegazione del II capitolo del Profeta Daniele, ivi, 112
30 F. Suarez, De fide, disp. 3, sect. 10, n. 1, in Opera omnia, Parigi 1859, 90
31 S. Giovanni della Croce, Salita del monte Carmelo, I. 2, c. 22, n. 19, in Opere, Roma 1963, 183
32

Ivi, 173-174

33 De servorum Dei beatificatione, 1.2, e. 32, n. 11
34 L. Cognet, La spiritualité moderne, I. L'esser: 1500-1650, Parigi, Aubier-Montaigne 1966,406
35 L. Cognet. Crépuscule des mystiques, Tournai, Desclée 1958; P. Hoffer, La dévotion a Marie au déclin du XVII siede. Autour du Jansénisme et des "Avis salutaires de la B. V. Marie a ses dévots ìndiscrets", Parigi, Cerf 1938
36 L. Bertrand, Correspondance de M. L. Tronson, Parigi, Lecoffre 1904, t. II, 311
37 Lamindo Pritanio (L. A. Muratori), Della regolata divozion de' cristiani, Venezia, AIbrizzi 1747, 281 (nuova ed.. Roma, Edizioni Paoline 1957)
38 S. Alfonso M. De' Liguori, Opere ascetiche, voi. VII: Le glorie di Maria, parte II, Roma 1937, 359
39 K. Rahner, Les révélations privées in RAM 25 (1949) 508
40 Giovanni XXIII, Messaggio radiofonico ai fedeli convenuti a Lourdes nel I centenario delle apparizioni, 18.2.1959
41 R. Latourelle, Miracolo in NDT 932
42 B. Maggioni, Miracolo in Dizionario Teologico (Bauer-MoIari), Assisi, Cittadella 1974, 431, che rimanda a W. Eichrodt, Theotogie des Alten Testament 2/3, Gottinga 1961, HOss
43 R. Zavalloni, De apparitionum phaenomenologia in Maria et ecclesia, Roma, Pont. Acad. Mar. intern. 1962, vol. XII, 327
44 M. Oraison, Le point de vue du médecin psychiatre clinicien sur les apparitions in Vraies et fausses apparitions…, o. c. alla nota 2, 134-135
45 N. Lohfink, I profeti ieri e oggi, o. c. alla nota 9, 88-89
46 S. Teresa di Gesù, Vita… scritta da lei stessa in Opere, Roma, Postulazione generale O.C.D. 1963, 276, 280-281
47 A. Mattioli, Realtà e senso della pienezza della rivelazione di Dio in Cristo in Costituzione conciliare Dei Verbum (Atti della XX settimana biblica). Broscia, Paideia 1970, 57-110; K. Rahner, Sul problema dell'evoluzione del dogma in Saggi teologici, Roma, Edizioni Paoline 1965, 278-279
48 L. Lochet, Apparitions, Parigi, Desclée De Brouwer 1968, 64
49 E. De Martino, Sud e magia, Milano, Feltrinelli 1976, 71-73
50 R. A. Knox, Illuminati e carismatici. Una storia dell'entusiasmo religioso, Bologna, Il Mulino 1970, 802