Summa Teologica - II-II

Indice

I doni dello Spirito Santo

Nella Somma Teologica S. Tommaso parla dei doni dello Spirito Santo nella I-II q 68, in senso generale, e nella II-II in senso particolare; egli fa corrispondere ad ogni virtù un dono dello Spirito Santo e i vizi ed i peccati contrari ( II-II qq 1-170 ); così si ha il seguente schema nel quale per brevità si pongono a fianco le virtù e i corrispettivi doni dello Spirito Santo, tralasciando i vizi e i peccati.

- Rispetto alle virtù teologali:

1- virtù della fede ( II-II qq 1-16 ) - doni dell'intelletto ( q 8 ) e della scienza ( q 9 )

2- virtù della speranza ( II-II qq 17-22 ) - dono del timore ( q 19 )

3- virtù della carità ( II-II qq 23-46 ) - dono della sapienza ( q 45 )

- Rispetto alle virtù cardinali:

1- virtù della prudenza ( II-II qq 47-56 ) - dono del consiglio ( q 52 )

2- virtù della giustizia ( II-II qq 57-122 ) - dono della pietà ( q 121 )

3- virtù della fortezza ( II-II qq 123-140 ) - dono della fortezza ( q 139 )

4- virtù della temperanza ( II-II qq 141-170 ) - dono del timore ( II-II q 19; cf. II-II q 141 a 1 ad 3 )

Sono poco numerosi altri testi della Somma Teologica inerenti ai doni dello Spirito; alle volte questi sono citati in relazione ad altre realtà: ad esempio analizzando la grazia di Cristo ( III q 7 ), Tommaso in un articolo mostra come in lui ci fossero i doni dello Spirito ( III q 7 a 5 ) e in un altro articolo il dono del timore ( III q 7 a 6 ); i doni dello Spirito sono ricordati e enumerati nell'analisi del battesimo di Cristo sul quale scende lo Spirito Santo sotto forma di colomba ( III q 39 a 6 ad 4 ); un altro testo tratta del rapporto tra la grazia conferita dai sacramenti e quella delle virtù e dei doni ( III q. 62 a 2 ).

Questi passi non apportano elementi di rilievo per la comprensione della natura e della funzione dei doni dello Spirito.

In questa sezione innanzitutto considereremo quanto Tommaso espone nella I-II q 68, per cogliere i dinamismi fondamentali di carattere generale intorno ai doni dello Spirito Santo ( par. 1 ); in secondo luogo cercheremo di evidenziare quale sia l'essenza e la funzione specifica dei medesimi doni sia riferendoci a quanto emerge nella I-II q 68 e da quanto è contenuto nella II-II ( par.2 ).

1 - I doni dello Spirito Santo nella I-II q 68: prospettive emergenti

Per comprendere in modo completo e organico la dottrina tommasiana, studieremo innanzitutto il contesto della q 68 ( A ); in secondo luogo affronteremo l'analisi degli otto articoli che compongono la q 68 sotto l'angolatura del rapporto tra i doni dello Spirito e la vita morale; per questo alcuni dati rimarranno in ombra o poco sviluppati ( B ).

Infine raccoglieremo i dati fondamentali della dottrina sui doni emersi dall'analisi della q 68 ( C ).

A - Il contesto della q 68

La q 68 è inserita in quella sezione della I-II riservata allo studio dei principi interni degli atti umani considerati in generale, che sono gli abiti ( I-II qq 49-89 ).

Tommaso studia prima gli abiti in generale: la loro natura, la loro sede psicologica, la loro causa e la distinzione ( I-II qq 49-54 ); successivamente studia gli abiti in senso specifico.

Prima quelli buoni: le virtù e gli abiti affini, con cui l'uomo può conseguire la beatitudine ( I-II qq 55-70 ); poi quelli cattivi: i vizi e i peccati, che ostacolano il conseguimento del fine ultimo ( I-II qq 71-89 ).

La sezione dedicata agli abiti buoni è articolata in questo modo: prima Tommaso studia le virtù ( I-II qq 55-67 ), poi i doni dello Spirito ( I-II q 68 ), infine prende in esame le beatitudini ( I-II q 69 ) e i frutti dello Spirito ( I-II q 70 ).

La sezione dedicata agli abiti cattivi appare meno articolata; prima Tommaso tratta i vizi e peccati assieme, mostrando come il peccato sia frutto dell'esercizio di un abito vizioso ( I-II qq 71-74 ); successivamente studia le cause del peccato ( I-II qq 75-84 ) e infine gli effetti di esso ( I-II qq 85-89 ).

Lo studio dei doni dello Spirito Santo viene distinto da quello delle virtù e inserito in una trilogia comprendente i doni, le beatitudini e i frutti dello Spirito Santo, come emerge chiaramente dal prologo alla I-II q 55: « Di conseguenza si deve riflettere sugli abiti in particolare.

E poiché gli abiti, come si è detto, si distinguono attraverso il bene e il male, prima si deve parlare delle disposizioni buone, che sono le virtù e le altre cose aggiunte ad esse, cioè i doni, le beatitudini e i frutti; poi si deve trattare delle disposizioni malvagie, cioè dei vizi e dei peccati ».

Lo studio dei doni dello Spirito Santo viene quindi distinto da quello delle virtù e inserito in una trilogia comprendente i doni, le beatitudini e i frutti dello Spirito Santo.

In questa sistemazione S. Tommaso dipende da S. Agostino; infatti, dal VI al XIII secolo, il commento di S. Agostino al Discorso della Montagna di Mt. 5 costituisce la fonte principale di ispirazione per la comprensione di quel testo programmatico della vita cristiana.

Anche S. Tommaso lo utilizza in modo particolare nella compilazione della Somma Teologica.

Egli riflette profondamente sull'insegnamento di S. Agostino per vedere il legame tra le beatitudini, le virtù teologali e i doni dello Spirito Santo.

S. Agostino è il primo scrittore cristiano che stabilisce il rapporto tra le beatitudini del testo matteano e i doni dello Spirito enumerati nel capitolo undicesimo del profeta Isaia secondo la versione dei LXX.

Egli è consapevole che la perfezione cristiana sta propriamente nel vivere le beatitudini e i doni dello Spirito.

S. Tommaso fa sua l'intuizione di S. Agostino, sviluppandola ulteriormente in conformità alla sistematizzazione più speculativa della sua opera.

Tommaso afferma che i doni si distinguono dalle virtù: « É chiaro che le virtù umane perfezionano l'uomo in quanto l'uomo è nato per muoversi per mezzo della ragione nelle cose che compie nei suoi atti interni e esterni.

É necessario dunque che nell'uomo ci siano delle perfezioni più alte, secondo le quali sia disposto a essere mosso per ispirazione divina.

E queste perfezioni sono chiamate doni: non solo perché sono infusi da Dio: ma poiché da esse l'uomo è disposto ad essere mosso prontamente dall'ispirazione divina, così come dice Isaia 50,5: "Il Signore mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro".

Lo stesso concetto è esposto in un altro passo: "Se paragoniamo i doni alle altre virtù intellettuali o morali, i doni superano le virtù.

Infatti i doni perfezionano le facoltà dell'anima in rapporto allo Spirito Santo che muove, mentre la virtù perfeziona o la ragione o le altre facoltà in ordine alla ragione".

Da ciò emerge che i doni si distinguono dalle virtù poiché dispongono l'uomo ad assecondare prontamente la mozione di Dio; per questo gli atti dei doni sono più nobili di quelli delle virtù.

Per quanto concerne la distinzione dei doni dalle beatitudini e dai frutti dello Spirito, vi è un brano preciso: "Una persona si muove e si avvicina al fine della beatitudine attraverso gli atti delle virtù; e soprattutto attraverso gli atti dei doni, se parliamo della beatitudine eterna per la quale la ragione non è sufficiente, ma ad essa conduce lo Spirito Santo, all'obbedienza e alla sequela del quale siamo perfezionati attraverso i doni".

E perciò le beatitudini si distinguono certamente dalle virtù e dai doni, non come abiti distinti da quelli, ma come gli atti si distinguono dagli abiti ».

I doni quindi sono abiti, mentre le beatitudini sono atti perfetti eseguiti soprattutto mediante i doni dello Spirito Santo.

Anche i frutti dello Spirito sono atti, ma sono meno perfetti ed eccellenti rispetto alle beatitudini, così che si distinguono da esse.

Va rilevato che l'uomo con i doni, seguendo la mozione dello Spirito Santo, compie, con gioia e piacevolmente, degli atti ordinati al conseguimento della beatitudine futura, come i frutti dello Spirito; oppure pone degli atti che dispongono alla felicità eterna, o già da ora ne anticipano il premio, come le beatitudini: « Quelle cose che nelle beatitudini si gustano come meriti, sono in certo qual modo preparazioni o disposizioni alla beatitudine o perfetta o iniziale.

Invero quelle cose che si pongono come premi, possono essere o la stessa beatitudine perfetta, e così si riferiscono alla vita futura, oppure un inizio di beatitudine, come è negli uomini perfetti, e così i premi sono pertinenti alla vita presente.

Infatti quando qualcuno inizia a progredire negli atti delle virtù e dei doni, si può sperare da ciò che giungerà sia alla perfezione come viatore, sia alla perfezione della patria ».

É detto ancora: « Si richiede di più alla natura della beatitudine che alla natura del frutto.

Infatti per la natura del frutto è sufficiente che essa sia qualcosa che ha la qualità di ultimo e di piacevole: ma per la natura della beatitudine, si richiede inoltre che essa sia qualcosa di perfetto ed eccellente.

Per cui tutte le beatitudini possono essere chiamate frutti, ma non viceversa.

Sono infatti frutti tutte le opere virtuose, nelle quali l'uomo trova diletto.

Ma beatitudini sono dette solo opere perfette, le quali, anche a motivo della propria perfezione, sono attribuite più ai doni che alle virtù ».

La trilogia dei doni, beatitudini e frutti, non solo costituisce il coronamento degli abiti virtuosi, ma rappresenta il culmine della vita morale.

Questa si consuma negli atti, e gli atti, che formano l'apice della vita morale, sono precisamente le beatitudini e i frutti dello Spirito ai quali l'uomo giunge seguendo prontamente le mozioni dello Spinto Santo verso cui è stato predisposto da Dio mediante i doni.

Tutto questo fa capire l'importanza dei doni dello Spirito per la vita morale, che nel suo svolgersi e compiersi è intesa da S. Tommaso quale docilità alle mozioni dello Spirito Santo che permettono di attuare le beatitudini e i frutti.

B - Analisi della q. 68

Prendiamo in esame ogni singolo articolo come viene proposto dalla Somma Teologica, poiché dall'insieme di tutti gli articoli, tra loro complementari, si può ricavare l'organicità e la sostanza della dottrina di S. Tommaso.

Tuttavia l'analisi non consiste nella traduzione letterale del testo, ma nel cogliere quegli aspetti eh sono più attinenti e significativi per il nostro tema.

a - La distinzione dei doni dalle virtù ( a 1 ).

Per rispondere alla questione, Tommaso, nel corpus dell'articolo, afferma che stando al significato di ciò che esprimono i nomi di virtù e di dono non c'è alcuna opposizione reciproca che possa farne cogliere la loro specifica differenza: « Infatti la nozione della virtù è ricavata dal fatto che perfeziona l'uomo perché possa agire rettamente, come si è detto prima: invece la nozione di dono è ricavata in base al rapporto con la causa da cui deriva.

Niente poi impedisce che ciò che deriva da un altro come dono perfezioni qualcuno per agire rettamente; tanto più che abbiamo detto prima che certe virtù sono infuse in noi da Dio.

Per cui, secondo questo aspetto, il dono non si può distinguere dalla virtù ».

Tommaso passa poi ad esporre i vari tentativi fatti per distinguere i doni dalle virtù, ma mostra come essi siano tutti insufficienti per una giusta comprensione della loro distinzione.

Allora egli osserva che bisogna seguire il modo di esprimersi della Scrittura secondo la quale i doni sono presentati sotto il nome di "spiriti"; Tommaso cita il testo di Is 11,2-3 affermando che da questo si può facilmente capire come i doni siano conferiti a noi per "ispirazione", ed aggiunge che ispirazione indica sempre una mozione dall'esterno.

Tommaso, partendo dal concetto di mozione, ricorda che nell'uomo si hanno due principi di moto: il primo è interiore, ed è la ragione; il secondo è esterno ed è Dio.

Per quanto riguarda Dio, il principio esterno, Tommaso afferma che ciò che è mosso deve essere, proporzionato al principio motore e che la sua perfezione consiste nella disposizione ad essere ben mosso dal medesimo motore.

Da ciò segue che: « Quanto più chi muove è elevato, tanto più è necessario che ciò che è mosso sia proporzionato ad esso secondo una disposizione più perfetta ».

A questo punto Tommaso delinea con esattezza la distinzione tra i doni e le virtù: « É chiaro che le virtù umane perfezionano l'uomo per il fatto che l'uomo è nato per essere mosso dalla ragione nei suoi atti interni ed esterni.

É necessario allora che nell'uomo siano presenti delle perfezioni superiori, secondo le quali sia disposto ad essere mosso per ispirazione divina.

E queste perfezioni sono chiamate doni, non solo perché sono infusi da Dio; ma perché grazie ad essi l'uomo è disposto lasciarsi muovere senza indugi dall'ispirazione divina ».

Il paragone che Tommaso pone tra i doni dello Spirito e le virtù si riferisce propriamente alle virtù acquisite e non direttamente alle virtù teologali e morali infuse.

Esso ha valore tanto esplicativo ed esemplare, poiché Tommaso in questo testo non si preoccupa delineare il rapporto che i doni hanno con i vari tipi di virtù, ma di definire la differenza dei doni da ogni genere di virtù; solo dopo, nell'a. 8, egli chiarisce il rapporto dei doni con le varie virtù.

Si può dire così che le virtù nel loro complesso perfezionano l'uomo solo in quanto è mosso dalla ragione nel compiere gli atti interni ed esterni, mentre i doni dello Spirito Santo dispongono l'uomo ad assecondare prontamente la mozione di quel principio motore esterno all'uomo, e più alto della ragione umana, che è Dio; per questo motivo i doni si distinguono dalle virtù e sono abiti più eccellenti di queste e consentono all'uomo di compiere atti più i e perfetti.

Inoltre la diversità del principio motore dal quale l'uomo è mosso, determina anche un modo diverso di operare tra i doni e le virtù.

In tal modo Tommaso delinea la funzione specifica dei doni dello Spirito in seno alla vita morale, quella di disporre l'uomo ad assecondare prontamente la mozione e guida divina; ciò costituisce il nucleo centrale da cui Tommaso svilupperà gli otto articoli che compongono la q 68 e l'argomento di fondo per risolvere le varie questioni.

Tommaso inoltre evidenzia, citando Aristotele, che: « A coloro che sono mossi per istinto divino, non conviene che deliberino secondo la ragione umana, ma che seguano l'ispirazione interiore, poiché sono mossi da un principio migliore di quanto sia la ragione umana.

E questo è ciò che certi affermano, che i doni perfezionano uomo per atti più elevati di quanto siano gli atti delle virtù.

Tale affermazione e di sorprendente forza e getta nuove fondamenta per la comprensione dell'agire morale dell'uomo, pur suscitando problemi di non facile soluzione.

Essa mette in rilievo che nella vita morale avviene un fatto nuovo: Dio attraverso i doni dello Spirito Santo si fa guida dell'agire dell'uomo nel cammino che lo conduce a lui.

L'uomo non è lasciato al suo consiglio, ma lo Spirito Santo viene in soccorso all'indigenza umana e mediante i suoi doni diviene la sua guida, il suo consigliere, l'ispiratore dei suoi atti.

Ciò si attua non nel senso che lo Spinto si sostituisce alla deliberazione umana, poiché lo Spirito Santo muove l'uomo in maniera da farlo agire secondo il libero arbitrio.

Anzi proprio per questo l'uomo ha bisogno di abiti operativi cioè dei doni dello Spirito per essere ben disposto verso la guida divina; gli abiti infatti consentono il "buon uso del libero arbitrio".

L'uomo quindi anche sotto la mozione divina, rimane principio delle sue azioni, secondo quanto annunciato nel prologo della I-II, sebbene in modo nuovo.

D'altra parte, se Dio deve guidare l'uomo verso il fine ultimo della sua esistenza, l'uomo deve essere ben disposto e docile alla sua guida; benché partecipi della natura divina mediante la grazia, le virtù infuse teologali e morali, l'uomo non possiede perfettamente tale natura tanto da poter operare senza l'aiuto di colui che la possiede in pienezza, cioè di Dio.

L'uomo senza l'aiuto divino non potrebbe compiere atti perfetti e nemmeno conseguire la salvezza eterna.

Da qui la necessità dell' infusione dei doni che dispongono l'uomo a seguire le ispirazioni divine e a farlo seguire l'istinto interiore e non quanto indica la ragione umana.

Fermiamoci ora a chiarire che cosa Tommaso intenda per "instinctum".

Questo termine nella q 68 ricorre 16 volte, di cui 12 nei primi due articoli, ed è usato in prevalenza in riferimento allo Spirito Santo.

Ciò indica che siamo di fronte a un termine assai significativo della prospettiva teologica di S. Tommaso, che non ha mancato di mettere in imbarazzo commentatori e traduttori moderni.

S. Tommaso con questo termine intende evidentemente un istinto spirituale.

Esso non è altro che l'ispirazione con la quale Dio muove l'uomo predisposto dai doni dello Spirito.

Ora mediante le mozioni Dio produce nelle facoltà, perfezionate dai doni, un movimento interiore, un'inclinazione intima, simile a un istinto spirituale, come una spinta interiore.

La deliberazione dell'uomo dovrà attuarsi in conformità a queste inclinazioni, a questi moti; solo così l'uomo si fa collaboratore di Dio.

I doni dello Spirito aprono l'uomo all'iniziativa divina, non alla propria; per questo le ispirazioni divine sono come un istinto soprannaturale con il quale l'uomo fa propria, sente come sua, l'iniziativa e la mozione divina, che lo guida verso un adempimento superiore alle aspettative e alle possibilità umane; ma ciò avviene in modo conforme al modo di essere della natura umana.

Infatti Dio agisce nell'uomo in quanto è principio responsabile dei propri atti: per questo vengono infusi i doni dello Spirito, ed egli può liberamente determinarsi in ordine alle ispirazioni ricevute e aprirsi sempre di più alla realizzazione del piano di Dio su di lui.

Con i doni dello Spirito l'uomo si può abbandonare all'iniziativa divina diventando docile alla sua mozione: deve sapersi perdere in Dio per ritrovarsi in lui in modo nuovo, poiché Dio diviene il primo principio motore e regolatore degli atti umani, il criterio supremo dell'attività umana.

Ciò significa che l'uomo deve passare da uno stato di passività iniziale ad uno stato di attività massima per assecondare l'iniziativa divina e cooperare assieme a Dio; infatti nel dono non è solo Dio che agisce né solo l'uomo, né prima l'uno e poi l'altro, ma Dio e l'uomo operano insieme uniti formando come un "solo spirito".

S Tommaso in tal senso si esprime: « La sapienza è definita virtù dell'intelletto per il fatto che procede dal giudizio della ragione e definita dono per il fatto che opera per ispirazione divina.

E ugualmente si deve dire degli altri doni ».

I doni dello Spirito quindi abilitano l'uomo a seguire un principio motore superiore alla ragione che è Dio.

Essi consentono il superamento dei limiti dell'umana natura, anche se già partecipe di Dio con la grazia e perfezionata dalle virtù teologali e morali infuse, per poter accedere a una dimensione non più ancorata a tali limiti, ma ormai trasferita in Dio e partecipe in modo speciale di lui, della sua sapienza, del suo amore, della sua potenza.

Ciò comporta che gli atti che l'uomo compirà seguendo docilmente la mozione e l'ispirazione divina saranno superiori e più nobili di quelli compiuti mediante le virtù: tali atti sono quelli delle beatitudini e dei frutti dello Spirito. In questo si capisce la differenza tra i doni e le virtù.

b - La necessità dei doni per la salvezza ( a 2 )

Nella presente questione ci chiediamo se i doni scaturiscano dalla sovrabbondante bontà di Dio che nulla esige dall'uomo, oppure se essi siano necessari per il conseguimento del fine ultimo della vita umana.

In altre parole: sono realtà accidentali in ordine alla salvezza, e di conseguenza gli atti compiuti con essi non sono chiesti a tutti, oppure sono necessari all'uomo affinché mediante particolari atti possa ottenere la vita eterna?

Tommaso pensa che essi siano necessari per giungere alla salvezza, così lo sono gli atti compiuti per mezzo dei doni.

Egli argomenta par dall'elemento distintivo dei doni rispetto alle virtù evidenziato nell'articolo precedente, cioè dal fatto che i doni perfezionano l'uomo predisponendolo ad assecondare prontamente l'ispirazione di Dio; ora i doni dello Spirito sono necessari là dove non bastano i suggerimenti della ragione.

Tommaso procede in analogico in base a quanto ha fatto nell' a 1, considerando i due principi motori dell'uomo: uno interno che è la ragione, l'altro esterno che è Dio; in tal modo la necessità dei doni è inscindibilmente collegata alla necessità della mozione speciale di Dio della quale i doni dispongono l'uomo a seguire gli impulsi.

La ragione umana è condotta da Dio a una duplice perfezione: perfezione naturale mediante la luce della ragione; a una perfezione soprannaturale mediante le virtù teologali; ora per quanto questa seconda perfezione sia superiore alla prima, l'uomo possiede pienamente la prima poiché essa è acquisita mediante le capacità naturali.

Per tale ragione al raggiungimento del fine connaturale può agire da sé con il giudizio della ragione senza la necessità di un aiuto supplementare esterno, cioè la mozione divina; ma ciò non esclude l'azione generica di Dio che opera in ogni agente.

Non si può dire ugualmente per le operazioni soprannaturali, perché con le virtù teologali l'uomo conosce e ama Dio imperfettamente; Tommaso aggiunge: « L' essere che possiede imperfettamente una qualche natura o forma o virtù non può operare da sé, se non mosso da un altro.

L'uomo nella grazia partecipa della natura divina, ma non ha di essa il pieno possesso: in lui rimane sempre una radicale indigenza propria del carattere della grazia creata.

Per questo la mozione della ragione in quanto perfezionata dalle virtù teologali non può essere un principio motore adeguato al conseguimento della salvezza eterna.

L'uomo quindi necessita della mozione speciale di Dio che lo guida e aiuta; ne deriva la necessità dei doni per la salvezza perché essi hanno la funzione di rendere le facoltà umane disponibili alle mozioni divine.

Nella prima metà del nostro secolo è sorta una discussione teologica sulla interpretazione da dare alla esposizione di Tommaso.

Si trattava di intendere la necessità dei doni dello Spirito, cioè se essi fossero necessari per l'esecuzione di ogni atto umano soprannaturale o solamente per alcuni atti più perfetti.

I commentatori di S. Tommaso hanno preso posizioni contrastanti.

Non possiamo entrare nel dettaglio di questa disputa teologica tra specialisti, tuttavia è importante fare alcune considerazioni ai fini del nostro studio.

Innanzitutto riteniamo che occorre prendere le affermazioni di Tommaso in modo forte e apodittico.

Egli parla della insufficienza e imperfezione della mozione della ragione, perfezionata dalle virtù teologali, in modo assoluto e intrinseco; pertanto è necéssaria la mozione particolare di Dio, intesa anch'essa in senso forte e assoluto: di conseguenza la necessità dei doni dello Spirito.

Dunque questi sono assolutamente necessari al conseguimento della salvezza né più né meno della grazia, delle virtù teologali e morali infuse.

In secondo luogo bisogna considerare che tutti gli atti dell'uomo che vive nella grazia sono posti sul piano soprannaturale e ordinati alla salvezza eterna e non solo alcuni.

Quindi tutti gli atti umani possono essere vivificati dai doni i quali in ogni genere di opere ma ciò non significa che in senso assoluto e totalizzante ogni atto esiga di essere posto nell'esercizio dei doni dello Spirito.

S. Tommaso nell'articolo non vuole sostenere che i doni siano necessari per ciascun atto soprannaturale, ma che essi sono necessari alla salvezza.

Tale necessità, quindi va intesa per l'insieme della vita umana in vista del conseguimento della salvezza.

Un'altra interessante riflessione nasce dalla risposta di Tommaso alla prima obiezione: « I doni superano la comune perfezione delle virtù, non quanto al genere delle opere, nel modo in cui i consigli superano i precetti, ma quanto al modo di operare, per il fatto che l'uomo è mosso da un principio superiore ».

Con questa precisazione Tommaso fa vedere chi dei doni non dipende dal genere di opere alle quali essi abilitano l'uomo, poiché le virtù infuse teologali e morali predispongono l' uomo a compiere le medesime cose ma dal modo diverso di operare.

É importante chiarire ulteriormente che cosa Tommaso intenda per modo di operare e dove risieda la specificità propria dei doni.

La caratteristica del modo di agire proviene dal principio motore che muove l'uomo all'atto: se tale principio è interno all'uomo, cioè la ragione, in quanto le facoltà sono perfezionate dalle virtù, sia quelle acquisite sia quelle infuse teologali e morali, allora si dice che questo è il modo umano di agire; infatti le virtù perfezionano le facoltà operative affinché l'uomo possa agire dalla mozione della ragione.

Se invece il principio motore è esterno, cioè Dio, al quale tutte le facoltà sono predisposte con i doni ad assecondare prontamente la sua mozione e guida, questo è un modo di agire diverso e superiore al modo umano poiché il principio motore divino è superiore alla ragione umana e può essere detto "modo sovrumano" o "divino".

Nella Somma Teologica Tommaso sostiene che il modo umano è proprio di ogni genere di virtù.

Nelle virtù acquisite il principio motore è la ragione che orienta a operare bene per conseguire il fine connaturale dell'uomo; e la sostanza di tali disposizioni si produce dalle capacità naturali per la ripetizione degli atti.

Nelle virtù infuse la sostanza di tali disposizioni deriva da Dio per infusione ed e costituita da una partecipazione soprannaturale alla verità e bontà divina quindi la regola o misura del loro agire non è commisurata alle capacità naturali dell'uomo, ma a Dio: in tal senso sia le virtù teologali sia quelle morali infuse hanno Dio stesso quale misura dei loro atti.

Non di meno queste virtù restano soggette alla ragione quale principio motore dell'agire, senza togliere nulla al fatto che esse hanno per regola o misura Dio stesso.

Riguardo alle virtù teologali va notato che esse hanno due tipi di misura o regola: la prima è data dalla ragione o oggetto formale che Dio stesso, misura che sorpassa la capacità di ogni essere umano; quindi l'uomo non potrà mai né amare Dio né credere e sperare in lui quanto deve: questo è il limite proprio della realtà umana creata che, per quanto partecipi di Dio, rimane nella condizione di imperfezione e limitatezza.

Per tale ragione le virtù teologali non sono un "giusto mezzo" per amare, credere o sperare in Dio; l'uomo dovrà tendere al massimo in queste cose, cioè senza misura e senza limiti.

Per questo le virtù teologali sono possedute tanto più perfettamente quanto più si avvicinano al sommo senza però poterlo mai possedere perfettamente perché è Dio stesso.

La seconda misura o regola delle virtù teologali è desunta dalla condizione del limite concreto dell'uomo che le possiede.

Tuttavia l'uomo deve tendere senza limiti alla piena unione con Dio; da questo punto di vista le virtù teologali possono aumentare la loro perfezione.

Resta il fatto che la mozione della ragione, anche se perfezionata dalle virtù morali infuse e dalle virtù teologali, è sempre imperfetta, come imperfetto è l'esercizio di esse.

Da qui la necessità di una mozione superiore ed esterna alla ragione, che Dio conferisce, e la necessità di abiti capaci di rendere l'uomo docile a tale mozione; questi sono i doni, i quali conducono ad atti commisurati al modo divino e necessari per ottenere la salvezza.

c - i doni sono disposizioni o abiti dell'anima ( a 3 )

Tommaso mostra come i doni siano delle disposizioni permanenti nell'anima a guisa di abiti, tanto da essere considerati principi operativi intrinseci degli atti umani.

Nel corpus dell'articolo egli usa dell'analogia esistente tra i doni e le virtù morali, affermando che: « I doni dello Spirito Santo si rapportano all'uomo nei confronti dello Spirito Santo, come le virtù morali si rapportano alla facoltà appetitiva nei confronti della ragione ».

Poiché le virtù morali sono abiti che predispongono le facoltà appetitive a obbedire alla ragione, si può concludere che anche i doni dello Spirito sono abiti che predispongono l'uomo a obbedire prontamente allo Spirito Santo.

I doni così hanno la medesima proprietà degli abiti: sono predisposizioni permanenti con la particolarità, come avremo modo di vedere, di esigere lo stato di grazia, senza del quale non possono essere posseduti.

Come gli abiti acquisiti e infusi i doni dello Spirito non eliminano il libero arbitrio quale facoltà della volontà e della ragione ma lo rispettano; Dio non agisce nell'uomo come fosse uno strumento meccanico nelle sue mani, ma quale creatura libera, principio dei propri atti.

Anzi proprio perché dotato di libero arbitrio l'uomo ha bisogno di abiti operativi come i doni per poter agire sotto la mozione divina e insieme conservare la propria responsabilità e consapevolezza.

In quanto abiti dell'anima, i doni costituiscono una qualità permanente, disposizione stabile che dona docilità e propensione costante verso la guida e l'iniziativa di Dio, dilatando l'essere e l'agire alla misura di Dio stesso.

Con i doni l'uomo si assimila a Dio, viene immerso nel mistero del suo amore infinito, cosicché ogni sua attività è svolta in unità con Dio nella totale docilità alla sua volontà e alla sua direzione.

L'uomo è chiamato a perdersi in Dio, ma per ritrovarsi in lui in nuovo.

d - il numero settenario dei doni ( a 4 )

Tommaso si sofferma a esaminare se i doni dello Spirito Santo siano sette o in numero diverso.

Egli adduce a conferma del numero sette l'autorità della S Scrittura, poiché secondo la versione dei LXX di Is 11,2-3, sono enumerati sette doni.

A noi non interessa tanto precisare il numero esatto, ma cogliere il significato del numero settenario in relazione alle virtù umane.

Tommaso sembra collocarsi in questa prospettiva poiché risponde alla questione servendosi dell'analogia esistente tra i doni e le virtù.

Egli conclude: « Appare chiaro che questi doni si estendo tutte le cose su cui si estendono le virtù tanto intellettuali quanto morali ».

I doni come le virtù, sono presenti nelle facoltà che possono essere principio degli atti umani, perfezionano tutte le virtù umane e dispongono l'uomo ad assecondare la mozione di Dio.

Tommaso poi, nella seconda sezione, divide i doni dello Spirito secondo le facoltà intellettive e appetitive.

La facoltà intellettiva o ragione comprende la speculativa e la pratica, nelle quali l'apprensione della verità si distingue dal giudizio su di essa; così la ragione speculativa nel momento dell'apprensione è illuminata dal dono dell'intelletto e, nel giudizio, dal dono della sapienza, mentre la ragione pratica è ordinata dal dono del consiglio per l'apprensione e dal dono della scienza per il giudizio.

A sua volta la facoltà appetitiva, per compiere i doveri verso gli altri, è perfezionata dal dono della pietà, mentre per compiere i doveri verso se stessi è sostenuta dal dono della fortezza nelle difficoltà e dal dono del timore per superare la concupiscenza disordinata dei piaceri.

Tutto ciò mostra come le facoltà, quali primi degli atti umani, siano predisposte dai doni per assecondare le movenze dello Spirito secondo gli oggetti propri delle loro operazioni in parallelismo alle virtù.

Ora poiché le virtù hanno una struttura settenaria, ne segue che anche i doni dello Spirito si adeguano a tale numero.

e - La connessione dei doni dello Spirito ( a 5 )

Anche in questo articolo Tommaso parte dall'analogia esistente tra i doni dello Spirito e le virtù morali, per mostrare come i doni siano connessi tra loro dalla carità a similitudine delle virtù morali coniugate dalla prudenza.

La breve risposta di Tommaso è densa di significato.

Per poterla intendere in tutto il suo valore, è necessario considerare dapprima il posto che la virtù della prudenza occupa tra le virtù.

Le virtù morali predispongono le facoltà volitive a obbedire alla ragione che le governa, poiché "la ragione è principio primo di tutte le azioni umane, e qualsiasi altro principio delle azioni umane in qualche modo obbedisce alla ragione".

La ragione presiede la sfera appetitiva mediante la virtù della prudenza, in cui trova la propria perfezione e le virtù morali ricevono la loro connessione.

La vita morale virtuosa consiste nel ben operare per giungere mediante gli atti, quali mezzi necessari, al conseguimento del proprio fine soprannaturale.

Ora le azioni virtuose si compiono per mezzo delle virtù intellettuali, che perfeziona l'intelletto per la conoscenza del vero, e per mezzo delle virtù morali, che dispongono la volontà ad attuare il bene.

Ma l'uomo non può compiere un'operazione veramente virtuosa se non con la virtù della prudenza; S. Tommaso così si esprime: « La prudenza è una virtù sommamente necessaria per la vita umana.

Infatti vivere rettamente consiste nell'agire rettamente.

Perché poi uno agisca rettamente, non solo si richiede che cosa faccia, ma anche in che modo lo faccia; modo tale che chiaramente operi secondo una scelta retta, non solo secondo l'istinto o la passione.

E poiché la scelta riguarda quelle cose che sono ordinate al fine, la rettitudine della scelta richiede due cose: il debito fine e ciò che è convenientemente ordinato al debito fine.

L'uomo poi viene ordinato al debito fine per mezzo di quelle virtù che perfezionano la parte appetitiva dell'anima, il cui oggetto è il bene ed fine.

Ma è necessario che l'uomo direttamente sia disposto a ciò che è convenientemente ordinato al fine per mezzo di un abito della ragione, poiché deliberare e scegliere, che hanno per oggetto le cose in ordine al fine, sono atti de ragione.

É perciò necessario che ci sia nella ragione una virtù intellettuale per mezzo della quale la ragione sia perfezionata a disporsi per quelle cose che riguardano il fine.

E questa virtù è la prudenza.

Per cui la prudenza è una virtù necessaria per vivere rettamente ».

La virtù della prudenza quindi è una virtù intellettuale sommamente necessaria per l'operare dell'uomo ed è il perfezionamento della ragione, la quale per suo mezzo guida e dirige la volontà.

In tal senso la prudenza viene ad essere « la retta ragione delle cose da compiere », poiché porta a ben deliberare intorno a ciò che interessa tutta la vita dell'uomo e all'ultimo fine di essa.

Per questo non si può avere alcuna vera virtù morale senza la prudenza.

Ne segue che essa assume la funzione di regola o misura delle virtù morali, poiché « misura e regola del moto appetitivo rispetto l'oggetto, è la stessa ragione ».

Il bene delle virtù morali consiste nell'adeguarsi alla misura della ragione e in questo modo esse divengono il giusto mezzo con cui l'uomo è ordinato al bene.

La prudenza pertanto costituisce anch'essa il "giusto mezzo" con cui l'uomo viene a essere ben disposto per il conseguimento del bene.

Tommaso afferma che: « Rispetto agli appetiti ( il giusto mezzo ) ha la funzione di regola o misura.

Perciò lo stesso giusto mezzo, che è delle virtù morali, è anche della prudenza, cioè la rettitudine della ragione, ma alla prudenza questo giusto mezzo appartiene come elemento misurante e regolante; mentre alle virtù morali in quanto misurate e regolate ».

A loro volta le virtù morali, partecipando della retta ragione, causano una retta elezione « essendo abiti elettivi; ma per l'elezione retta non è solamente sufficiente l'inclinazione verso il debito fine, cosa che avviene direttamente attraverso l'abito della virtù morale; ma è necessario anche che uno scelga direttamente quelle cose ordinate al fine, e ciò è fatto per mezzo della prudenza che consiglia, giudica e comanda quelle cose che sono pertinenti al fine ».

Non solo, la prudenza designa anche il fine stesso, colto in concreto, nella situazione.

In tal modo l'uomo mediante le virtù morali può deliberare con rettitudine scegliendo i mezzi idonei, presentati dalla ragione tramite l'esercizio della prudenza, per giungere al fine voluto.

Per tale ragione le virtù morali trovano la loro connessione nella prudenza.

S. Tommaso concepisce una simile connessione tra i doni dello Spirito in orza della carità.

Il punto di partenza è il seguente: « Come le facoltà appetitive sono disposte attraverso le virtù morali in rapporto al governo della ragione, così tutte le facoltà dell'anima sono disposte per mezzo dei doni all'azione dello Spirito Santo ».

Ciò significa che allo stesso modo in cui la ragione è guida delle facoltà appetitive mediante le virtù morali, così lo Spirito è guida di tutte le facoltà umane mediante i doni dello Spirito.

Ora, come si è visto precedentemente, la ragione umana guida le facoltà appetitive per mezzo della prudenza, da qui il secondo passo di Tommaso: « Lo Spirito Santo abita in noi per mezzo della carità, secondo quanto detto in Rm 5,5: « L'amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato ».

Pertanto lo Spirito Santo può governare l'uomo quale suo principio motore, superiore alla ragione umana, mediante la carità, poiché con essa lo Spirito inabita nell'uomo e infonde i suoi doni così da predisporre tutte le facoltà umane ad assecondare la sua mozione.

La carità e il primo effetto della missione invisibile dello Spirito; con essa l'uomo si unisce a Dio e può essere mosso da lui: « L'animo dell'uomo e mosso dallo Spirito Santo solo se è unito a lui in qualche modo, così come uno strumento non è mosso dall'artista se non per contatto, o tramite qualche altra unione.

D'altra parte la piena unione dell'uomo ( con Dio ) avviene tramite la fede, la speranza e la carità.

Perciò queste virtù sono presupposte ai doni, in certo qual modo quali radici dei doni.

Quindi tutti i doni si riferiscono a queste tre virtù, in certo qual modo come derivazioni delle suddette virtù ».

Per tale ragione solo chi è unito a Dio nella carità, cioè in stato di grazia, possiede tutti i doni necessari alla propria salvezza, mentre senza la carità, cioè in peccato mortale, non si può possedere alcun dono.

Con ciò appare chiara la conclusione di Tommaso sulla connessione tra i doni: « Come le virtù morali sono connesse reciprocamente nella prudenza, così i doni dello Spirito Santo sono connessi reciprocamente nella carità ».

Di conseguenza la virtù della carità, a similitudine della virtù della prudenza, viene ad essere la regola e misura dei doni dello Spirito ai quali dà forma, così come la prudenza da forma regola e misura alle facoltà appetitive

Poiché la regola e misura delle virtù teologali è lo stesso Dio, in quanto soprannaturalmente partecipato, i doni possiedono la medesima regola e misura delle virtù teologali.

f - La permanenza dei doni nella patria eterna ( a 6 )

Riguardo alla loro essenza i doni rimarranno in patria e inoltre perfettissimamente, in quanto la funzione dei doni è quella di predisporre l'anima umana ad assecondare le mozioni dello Spirito Santo, e nella patria celeste l'uomo sarà sottomesso totalmente a Dio; così i doni che ora proteggono l'uomo dal male, nella patria celeste lo stabiliranno nel bene.

Ma rispetto alle azioni che i doni svolgono nella vita presente, bisogna dire che alcune operazioni non permarranno nella patria celeste, similmente a quanto avviene per le virtù cardinali.

Nell'a 5 ad 2, Tommaso seguendo S. Gregorio, enumera per ogni dono ciò che passa e ciò che rimane nella patria beata.

La dignità dei doni segue l'enumerazione di Isaia ( a 7 )

Tommaso riprende le affermazioni di S. Agostino sulla corrispondenza tra ciò che viene enumerato nel Discorso della Montagna intorno alle beatitudini secondo la redazione di S. Matteo e la settiforme operazione dello Spirito Santo di cui parla Isaia; ma Agostino evidenzia come l'ordine secondo cui sono enumerati i doni in Isaia parte dai gradi più alti, mentre in S. Matteo si comincia dai gradi più bassi.

Da ciò Tommaso afferma che la dignità dei doni può essere considerata sotto due aspetti diversi: in senso assoluto, cioè in rapporto all'atto corrispondente ai propri principi; in senso relativo, cioè in relazione alla materia intorno alla quale essi operano.

In senso assoluto la gerarchia dei doni è identica a quella della virtù, e segue l'enumerazione di Isaia al c 11.

Come le virtù che predispongono le facoltà intellettive sono superiori a quelle che predispongono le facoltà appetitive, così i doni che predispongono le facoltà intellettive sono superiori a quelli che predispongono le facoltà appetitive.

Rispetto alle facoltà intellettive la gerarchia delle virtù è la seguente: sapienza, intelletto, scienza, prudenza; rispetto alle virtù la gerarchia è: giustizia, fortezza e temperanza.

Similmente la gerarchia dei dello Spirito è: sapienza, intelletto, scienza e consiglio, per le facoltà, intellettuali; pietà, fortezza e timore per le facoltà appetitive.

In senso relativo la dignità dei doni si presenta in modo inverso, così che il dono del consiglio e della fortezza sono da preferirsi alla scienza e alla pietà; Tommaso attribuisce tale preferenza al fatto che tali doni sono posti in atto intorno alle cose ardue, mentre la scienza e la pietà riguardano le realtà comuni.

h - La preferenza dei doni sulle virtù ( a 8 )

In questo articolo Tommaso chiarisce il posto dei doni dello Spirito in seno alle virtù.

Egli considera le funzioni diverse delle virtù e dei doni.

Il corpus dell'articolo può essere diviso in tre sezioni: nella prima Tommaso espone quali siano i vari generi di virtù e la funzione specifica di esse e quella dei doni; nella seconda coglie quale sia la relazione dei doni con le virtù teologali; nella terza infine coglie la relazione dei doni verso le virtù intellettuali e morali

Nella prima sezione Tommaso elenca tre generi di virtù: quelle teologali, quelle intellettuali e quelle morali, e mostra la loro specifica funzione: le virtù teologali hanno la funzione di unire l'anima umana a Dio, quelle intellettuali di affinare la ragione e quelle morali di predisporre le facoltà appetitive ad assecondare il comando della ragione.

In ultimo ricorda che la funzione specifica dei doni è quella di predisporre tutte le facoltà dell'anima ad assecondare la mozione divina.

Dopo tali premesse Tommaso studia, nella seconda sezione, il rapporto dei doni con le virtù teologali, in analogia alla relazione tra le virtù morali e quelle intellettuali: « Sembra che sia uguale il rapporto dei doni con le virtù teologali, per mezzo delle quali l'uomo è unito allo Spirito Santo che muove, al rapporto delle virtù morali con le virtù intellettuali, per mezzo delle quali è perfezionata la ragione la quale è principio motore delle virtù morali ».

Da tale analogia Tommaso ricava che: « Come le virtù intellettuali precedono le virtù morali e le regolano, così le virtù teologali precedono i doni dello Spirito Santo e li regolano.

« Poiché le virtù teologali uniscono l'uomo allo Spirito Santo, esse sono superiori ai doni; infatti tale unione è il presupposto perché lo Spirito possa infondere i suoi doni e guidare l'uomo con le sue mozioni.

Va ricordato che tra le virtù teologali un posto speciale è riservato alla carità che la "forma di ogni virtù", ed è mediante essa che lo Spirito inabita nell'uomo infondendo i suoi doni.

Nella terza sezione Tommaso confronta i doni dello Spirito con le virtù intellettuali e morali; rispetto a esse i doni sono superiori poiché predispongono le facoltà dell'uomo ad assecondare la mozione dello Spirito, mentre le virtù predispongono la ragione o le facoltà appetitive ad assecondare il comando della ragione; ora poiché lo Spirito è un "motore" più alto rispetto alla ragione, si richiede che il soggetto, mosso da esso, sia predisposto da perfezioni superiori rispetto a quelle che perfezionano la ragione o che predispongono a seguire il "motore" della ragione.

Quindi i doni dello Spirito sono superiori sia alle virtù intellettuali che morali.

Occorre precisare che la superiorità dei doni rispetto alle virtù morali e intellettuali è una superiorità di perfezione e di dignità, anche se inferiore a quella delle virtù teologali; tuttavia le virtù intellettuali e morali possono precedere i doni, in quanto l'uomo mediante le buone disposizioni della ragione si prepara a ben disporsi nei confronti di Dio.

In conclusione possiamo ricapitolare schematicamente la gerarchia tra i doni e le virtù presentateci da S. Tommaso: al primo posto vengono le virtù teologali, al secondo i doni dello Spirito, al terzo le virtù intellettuali e morali.

Tutto ciò significa che per S. Tommaso i doni non vanificano le virtù teologali né morali, ma costituiscono una loro ulteriore perfezione affinché l'uomo possa agire dietro la mozione e la guida divina.

Nella seconda parte del nostro studio, verrà chiarita ulteriormente la posizione che i doni assumono nei confronti degli abiti operativi infusi da Dio.

2 - L'essenza e l'operazione dei doni dello Spirito nella Somma Teologica Dopo l'analisi delle prospettive fondamentali sui doni dello Spirito nella I-II q 8, è utile ora evidenziare con maggior esattezza quale sia l'essenza e la funzione, propria dei doni, al fine di raccogliere quegli elementi che possono essere utili per raffrontare le prospettive contenute nella Somma Teologica con quelle di altri scritti.

In primo luogo prenderemo in esame l'essenza dei doni dello Spirito Santo ( A ) ed in secondo luogo la loro funzione ( B ).

A - L'essenza dei doni dello Spirito

S. Tommaso, presentando nella I-II q 68 la dottrina dei doni dello Spirito Santo li designa col termine "perfectiones".

« É chiaro che le virtù umane perfezionano l'uomo per il fatto ch egli è nato per essere mosso tramite la ragione …

É necessario dunque che siano presenti nell'uomo delle perfezioni superiori, secondo le quali sia disposto ad essere mosso per ispirazione divina

E queste perfezioni sono chiamate doni: non solo perché sono infusi da Dio; ma perché grazie ad essi l'uomo è disposto a essere mosso prontamente dall'ispirazione divina ».

I doni quindi hanno la loro causa in Dio che li infonde e sono delle perfezioni più alte delle virtù, sia di quelle umane acquisite sia di quelle infuse teologali e morali; ciò per il fatto che dispongono l'uomo a seguire prontamente le mozioni dello Spirito.

Nell' a 3 Tommaso dimostra che i doni, quali perfezioni infuse da Dio, sono degli abiti cioè delle disposizioni stabili dell'uomo ordinate alla mozione dello Spirito.

Nell' a 4 mostra come gli abiti dei doni, similmente alle virtù, si inseriscono in tutte le facoltà operative che possono essere principi degli atti umani ».

Pertanto la sede psicologica dei doni sta nelle facoltà dell'anima.

Oltre le virtù infuse teologali e morali e i doni dello Spirito non vi sono altri abiti infusi per ordinare la vita umana; i doni quindi sono le perfezioni ultime e più alte date all'uomo in rapporto al suo agire.

Anche nella II-II Tommaso usa espressioni che ripropongono il concetto dei doni quali perfezioni stabili infuse nelle facoltà dell'anima che dispongono l'uomo alla mozione dello Spirito: « I doni dello Spirito Santo sono in certo qual modo perfezionamenti stabili delle facoltà dell'anima, dai quali esse sono facilmente mosse dallo Spirito Santo »; « I doni dello Spirito Santo … sono in certo qual modo disposizioni mediante le quali l'anima è facilmente mossa dallo Spirito Santo »; « I doni dello Spirito Santo sono certe disposizioni stabili dell'anima, grazie alle quali essa è prontamente mossa dallo Spirito Santo ».

Avendo affermato che i doni dello Spirito sono disposizioni interiori o abiti, ora occorre capire in che cosa consista la loro sostanza.

Nella I-II q 68 a 5 ad 1, Tommaso afferma: « La sapienza la scienza si possono considerare in un primo modo come grazie concesse gratuitamente …

In secondo modo possono essere comprese quali doni dello Spirito Santo.

E così la sapienza e la scienza non sono altro che, in certo qual modo, perfezionamenti della mente umana, secondo le quali essa è disposta a seguire l'ispirazione dello Spirito Santo nella conoscenza delle cose divine o umane.

Da questo passo emerge che i doni dello Spirito non sono altro che delle perfezioni stabili di ordine conoscitivo e volitivo che Dio conferisce alle facoltà in forza delle quali l'uomo viene disposto ad assecondare la guida o mozione dello Spirito.

In tal modo la sostanza dell'abito dell'intelletto è la penetrazione e comprensione intima delle cose proposte mediante la fede; quella del dono di sapienza è la certezza nel giudizio sulle cose divine, così da aderirvi pienamente o fuggire ciò che vi si oppone; la sostanza del dono di scienza è il giudizio sulle cose create, mentre quella del dono del consiglio è il giudizio inerente ai singoli atti.

« Per quanto riguarda i doni che dispongono la volontà, la sostanza del dono della pietà è quel perfezionamento nell'amore che dispone l'uomo ad essere docile alla guida dello Spirito per compiere doveri verso gli altri; nei doveri dell'uomo verso sé stesso, la sostanza dell'abito della fortezza sta nel rafforzamento della volontà contro la paura dei pericoli nelle cose ardue e nel superamento di esse, mentre la sostanza del dono del timore consiste nel moto di fuga dal male che scaturisce dall'amore verso Dio per superare i disordinati moti della concupiscenza.

Detto questo, non si vede ancora come la sostanza dei doni possa differenziarsi in eccellenza di perfezione dalla sostanza degli abiti delle virtù infuse, anzitutto quelle morali.

Queste dispongono le facoltà umane a compiere lo stesso genere di opere a cui dispongono i doni dello Spirito Santo, sebbene in modo diverso da essi: « I doni superano la comune perfezione delle virtù, non in rapporto al genere delle opere, allo stesso modo con cui i consigli superano i precetti: ma in rapporto al modo di operare per il fatto che l'uomo è mosso da un principio superiore.

Inoltre i doni, per certi aspetti, vengono in aiuto alle virtù teologali portandole alla perfezione.

Di fatto Tommaso afferma con chiarezza che i doni sono perfezioni più alte delle virtù: « Le virtù umane perfezionano l'uomo in quanto è nato per essere mosso dalla ragione.

É necessario dunque che siano presenti nell'uomo perfezioni superiori, secondo le quali egli sia disposto ad essere mosso dall'ispirazione divina ».

Oppure: « É chiaro che per un principio motore più alto è necessario che chi è mosso sia disposto da una perfezione superiore.

Perciò i doni sono più perfetti delle virtù ».

Tale perfezione maggiore dei doni è richiesta dal fatto che essi permettono all'uomo di essere mosso da un motore più alto, che è Dio.

Ora bisogna dimostrare in che senso la perfezione dei doni differisce da quella delle virtù.

Per ottenere ciò prendiamo in considerazione i doni intesi nella loro singolarità, secondo lo svolgimento della II-II.

Abbiamo poc'anzi detto che i doni intellettivi perfezionano la facoltà intellettiva riguardo alle cose inerenti alla fede.

Nella fede l'intelletto umano è chiamato ad aderire a delle verità che sorpassano le capacita naturali dell'uomo; l'oggetto primario pertanto è Dio stesso, conosciuto mediante le formulazioni concettuali proposte nelle espressioni di fede.

Dio cioè costituisce l'oggetto conosciuto secondo il modo di conoscere connaturale all'uomo.

Di conseguenza al credente si chiede che aderisca alle formulazioni della fede e insieme aderisca anche alla realtà in essa espressa, cioè a Dio.

Il dono dell'intelletto ha lo stesso oggetto della fede, ma in modo diverso: « Spetta alla fede aderire ai primi principi della conoscenza soprannaturale: mentre spetta al dono dell'intelletto penetrare con la mente quelle cose che sono dette.

Il dono quindi comporta la percezione della verità contenuta nelle espressioni di fede, poiché la luce naturale della ragione non è in grado di percepire e comprendere le verità soprannaturali proposte all'assenso di fede; per questo occorre una luce supplementare, derivante da Dio.

La conoscenza umana infatti penetra fino all'essenza delle cose, ma partendo dalla percezione sensibile: « Sotto gli accidenti è nascosta la natura sostanziale delle cose, sotto le parole sono nascosti i significati delle parole, sotto le similitudini e le allegorie è nascosta la verità così raffigurata; anche le cose intelligibili sono in qualche modo interiori rispetto alle cose sensibili che sono percepite esteriormente e nelle cose sono nascosti gli effetti e viceversa.

Perciò in relazione a queste cose si può parlare di intelletto ».

Ora le verità della fede sono proposte all'uomo mediante parole concetti, figure e similitudini, e comunque sempre con la mediazione di cose sensibili che l'uomo deve penetrare con il suo intelletto per cogliere la verità in esse contenuta; poiché la luce naturale dell'intelletto è limitata, è necessaria una luce soprannaturale infusa da Dio con il dono dell'intelletto: « Per mezzo della luce naturale posta dentro di noi immediatamente si conoscono certi principi universali noti per natura.

Ma poiché l'uomo è ordinato verso una beatitudine soprannaturale … è necessario che l'uomo oltre a ciò raggiunga realtà più elevate e per questo si richiede il dono dell'intelletto ».

Tutto ciò fa capire come lo Spirito Santo comunichi all'uomo una luce superiore alla capacità naturale dell'intelletto per intendere profondamente le verità accolte con la fede e come il dono perfezioni la fede.

Per tale ragione il dono dell'intelletto ha la capacità di purificare la mente umana dalle immagini concettuali con le quali si rappresenta Dio.

Tommaso lo afferma: « Tanto più perfettamente in questa vita abbiamo conosciuto Dio, quanto più abbiamo compreso che egli supera qualunque cosa viene compresa con l'intelletto ».

Per questo il dono prepara l'uomo alla visione beatifica dove Dio sarà visto dall'intelletto così come egli è senza la mediazione delle immagini concettuali.

All'intelletto umano non si richiede solo che capisca profondamente la verità di fede, e a questo scopo è deputato il dono dell'intelletto, ma che formi su di esse un sicuro e retto giudizio così da distinguere le credersi da quelle da non credersi.

Per questa funzione è dato il dono de a scienza.

Questo giudizio non frutto della riflessione umana né deriva da una a umana, ma è infuso da Dio, come dice Tommaso: « La certezza della conoscenza nelle varie nature si attua in diversi modi, secondo la diversa condizione di ciascuna natura.

Infatti l'uomo ottiene un giudizio sicuro sulla verità con l'argomentazione della ragione, e perciò conoscenza umana si acquisisce per mezzo della ragione dimostrativa.

Ma in Dio presente un sicuro giudizio sulla verità senza alcuna argomentazione attraverso la semplice intuizione e perciò la conoscenza divina non è discorsiva o raziocinativa, ma perfetta e immediata.

Ad essa è simile la conoscenza causata dal dono dello Spirito Santo, essendo questa una partecipazione e una somiglianza di essa.

Da ciò appare che la sostanza del dono della scienza, come quella del dono dell'intelletto, non è delimitata dalle capacità umane come lo sarebbe il giudizio prodotto dalla ragione per quanto illuminata dalla fede, ma proviene direttamente da Dio che si fa partecipe all'uomo; il dono della scienza non è altro che una somiglianza e una partecipazione della scienza divina.

« Anche per quanto riguarda la sostanza del dono della sapienza, possiamo rilevare come essa non provenga da un qualcosa di umano, ma da Dio in quanto si rende partecipe all'uomo.

Il giudizio della sapienza infatti non promana dalle considerazioni della ragione umana per quanto informata dalla fede sulle cose divine, ma è emesso per una certa connaturalità con esse ».

Tale connaturalità si attua in forza dell'amore di carità che unisce l'uomo a Dio, così che l'uomo "forma un solo spirito con lui".

Unendosi a Dio nella carità, l'uomo riceve dallo Spirito Santo una particolare somiglianza al Figlio eterno, che è la sapienza increata.

Da tale partecipazione procede il giudizio effettuato dal dono della sapienza.

Similmente per quanto concerne il dono del consiglio bisogna notare come la sua sostanza non deriva dalle considerazioni a ragione umana per quanto perfezionata dalle virtù infuse.

Il dono del consiglio corrisponde alla virtù della prudenza con la quale l'uomo mediante la ricerca della ragione si determina nel compiere questa o quell'altra azione.

Ora il consiglio che procede dalla prudenza e fallace poiché la ragione umana è limitata e non può abbracciare tutti i casi particolari e le singole contingenze; con il dono del consiglio Dio che conosce ogni cosa illumina l'uomo intorno a ciò che deve compiere.

Il dono del consiglio quindi I opera con la luce che proveniente direttamente da Dio.

Le medesime considerazioni vanno fatte per i doni che perfezionano la volontà.

Riguardo il dono della fortezza, Tommaso afferma che l'uomo può ricevere la fermezza nel superare le difficoltà ardue nel sopportare il male sia nel fare il bene in due maniere: in un primo modo quando la virtù della fortezza perfeziona l'uomo nella maniera propria e connaturale alla sua natura; in un secondo modo quando: « L'animo dell'uomo è mosso dallo Spirito Santo per giungere al fine di qualsiasi opera intrapresa e sfuggire a tutti i pericoli incombenti.

Ciò certamente supera la natura umana poiché non è in potere dell'uomo raggiungere il fine della sua opera o sfuggire ai mali o ai pericoli, dal momento che prima o poi è oppresso da essi per la morte.

Ma lo Spirito Santo opera questo nell'uomo, mentre lo conduce alla vita eterna, che è il fine di tutte le buone opere e l'evasione da tutti i pericoli ».

Dunque Dio viene in aiuto all'uomo con il dono della fortezza che consente di superare ogni difficoltà, anche quelle che eccedono le capacità umane, in quanto trae la propria determinazione dalla potenza stessa di Dio che viene comunicata all'uomo.

Anche questo dono è costituito da una particolare partecipazione di Dio e supera ciò che appartiene alla condizione umana.

In riferimento alla fuga dal male causata dal dono del timore vediamo che l'uomo è mosso non partendo da qualcosa di umano, ma da Dio.

Il moto di fuga dal male può essere causato dal timore delle pene che Dio infligge all'uomo per la colpa, come nel timore servile.

Tale moto è prodotto dall'amor proprio in quanto la pena produce la diminuzione o privazione del proprio bene: « Il timore servile è causato dall'amore verso se stesso, poiché è timore della pena quale perdita del proprio bene ».

Invece il timore filiale o casto, che è il dono dello Spirito, a causa dell'amore verso Dio non teme il male della pena ma quello della colpa perché con essa l'uomo si separa da Dio.

Quindi la causa del timore filiale è l'amore stesso verso Dio; così più cresce l'amore, più cresce il timore filiale, come pure il timore servile scompare del tutto rispetto alla servilità aumentando la carità.

Ne segue che la sostanza del dono del timore si fonda in Dio stesso, in quanto maggiormente partecipato nell'amore di carità.

Rispetto al dono della pietà, Tommaso afferma che con esso l'uomo è mosso dallo Spirito Santo per avere un affetto filiale verso Dio, in modo da prestare culto a Dio come Padre.

Tale culto è superiore a quello svolto con la virtù della religione in cui Dio viene onorato quale creatore, cioè principio dell'esistenza delle cose e del loro governo; è onorato cioè per i benefici arrecati all'uomo: « L'uomo in diversi modi è reso debitore verso gli altri secondo la loro diversa dignità e i diversi benefici da loro ricevuti.

Ma in entrambi i casi Dio occupa il posto più elevato, e perché è eccellentissimo e perché è primo principio del nostro essere e del nostro governo.

In verità al secondo posto sono principio del nostro essere e del nostro governo i genitori e la patria, dai quali e nella quale siamo stati allevati.

E perciò dopo Dio l'uomo è debitore soprattutto verso i parenti e la patria.

Perciò come alla religione spetta offrire il culto a Dio, così in secondo luogo spetta alla pietà mostrare ossequio verso i genitori e la patria ».

Quindi la virtù della religione esprime un culto offerto a Dio in modo umano, mentre con il dono della pietà l'uomo dà onore a Dio come Padre, cioè come fonte della grazia, per mezzo della quale si attua una particolare partecipazione a Dio che trascende i limiti naturali; tale culto trae da Dio la misura del suo atto; ed esprime un amore superiore a quello della religione che è commisurato a quanto si è ricevuto da Dio.

Per concludere possiamo dire che le virtù infuse teologali e morali sanando e perfezionando l'uomo per compiere azioni soprannaturali, non lo rinnovano completamente così da non aver bisogno dell'aiuto e della guida divina.

Solo con i doni dello Spirito Santo l'uomo riceve un potenziamento tale che può operare senza più alcuna limitazione derivante dalla sua condizione e conseguire quella perfezione operativa che rende il suo agire deiforme e capace di portarlo al conseguimento della salvezza eterna

Tutto ciò mostra che gli abiti operativi infusi formano un organismo soprannaturale dove ogni disposizione operativa ha un suo ruolo e una sua funzione specifica che concorre, secondo la propria ragione d'essere, alla perfezione dell'agire umano sul piano soprannaturale.

B - L'operazione dei doni dello Spirito

La funzione precipua dei doni dello Spirito Santo è quella di perfezionare le facoltà operative dell'anima affinché l'uomo possa seguire docilmente, con prontezza e facilità la guida dello Spirito Santo, cioè le mozione con le quali Dio dirige l'uomo nelle sue svariate operazioni.

Questo elemento, che caratterizza i doni e li distingue dalla funzione delle virtù, lo ritroviamo espresso numerose volte nel corso degli otto articoli che compongono la I-II q 68; è ricordato anche nella I-II q 69 dedicata allo studio delle beatitudini nell' ar.l; inoltre è indicato anche nella II-II durante la trattazione di alcuni doni dello Spirito Santo.

Anche nella III q 7 a 5, Tommaso ricorda questa caratteristica saliente e specifica quando parla della presenza dei doni in Cristo.

Possiamo quindi dire che questa concezione è presente con continuità nel pensiero tommasiano della Somma Teologica e rappresenta un elemento di primaria importanza per comprendere la sua dottrina sui doni e l'incidenza che essi hanno nei confronti dell'agire morale.

La funzione specifica dei doni svolge un duplice ruolo: uno in rapporto a Dio ed uno in rapporto all'uomo.

Nei doni Dio diviene il primo principio motore dell'uomo sul piano della vita soprannaturale in modo del tutto particolare: l'uomo a sua volta opera con perfezione sotto la guida divina.

Dio infatti muove l'uomo in modo da farlo anche operare quale principio dei suoi atti.

Egli non distrugge la natura né va contro di essa, ma la perfeziona elevandola.

L'uomo è responsabile delle sue azioni mediante la libera scelta quale atto derivante dall'intelletto e dalla volontà; ora i doni perfezionando queste facoltà consentono all'uomo di rimanere principio dei propri atti mediante la propria deliberazione e nello stesso tempo di essere mosso da Dio.

Pertanto i doni dello Spirito Santo permettono all'uomo di operare in modo nuovo; come dice chiaramente Tommaso: « La virtù distoglie dalla sequela delle passioni dell'irascibile, affinché l'uomo non si disperda in esse, secondo la regola della ragione ma il dono compie ciò in modo superiore affinché l'uomo sicuramente, secondo la volontà divina sia lasciato totalmente tranquillo da esse.

Tutte le operazioni umane possono essere compiute in modo nuovo, più alto che non con le virtù, poiché i doni sono infusi in tutte le facoltà che sono principio degli atti umani e hanno tutta l'estensione delle virtù morali ed intellettuali.

In forza dei doni l'uomo può conseguire la salvezza, in quanto: « In ordine al fine ultimo soprannaturale, verso il quale muove la ragione per il fatto che in qualche modo è imperfettamente formata attraverso le virtù teologali, non è sufficiente la stessa mozione della ragione, senza l'ispirazione e la mozione dello Spirito Santo … poiché certamente nessuno può giungere all'eredità di quella terra dei beati, se non è mosso e guidato dallo Spirito Santo.

E perciò per raggiungere quel fine, è necessario per l'uomo avere i doni dello Spirito Santo ».

In questo modo i doni svolgono anche la funzione di venire in aiuto alle virtù eliminando quelle imperfezioni che esse non possono togliere.

Così l'uomo può agire in modo perfetto: « La ragione umana non può né comprendere, né conoscere tutte le cose sia che venga considerata perfetta per perfezione naturale, sia che la si consideri perfetta per le virtù teologali.

Perciò non può in rapporto a tutte le cose respingere la stoltezza e altre cose di questo genere …

Ma Dio, alla cui conoscenza e al cui potere tutte le cose sono sottomesse con la sua mozione ci rende sicuri da ogni stoltezza, ignoranza, ottusità, durezza e dalle altre cose di questo genere.

E perciò i doni dello Spirito Santo che ci rendono capaci di seguire prontamente l'istinto dello Spirito Santo, si dice che sono dati contro i difetti di questo genere.

Pertanto i doni dello Spirito non solo offrono la perfezione alle virtù infuse, ma tolgono quei difetti dati dalle cattive disposizioni dell'uomo.

In ultimo va ricordato che la funzione dei doni è orientata al compimento di atti perfetti, quelli delle beatitudini, i quali rappresentano la perfezione della vita cristiana e con i quali l'uomo si prepara alla beatitudine futura o ne riceve un'anticipazione storica.

( G. KOSTKO, Doni dello Spirito Santo e vita morale, Roma 1997,pp 39-65 )

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