La vita religiosa e l'insegnamento della Chiesa  

Indice

III. Alcune norme fondamentali

Il nuovo Codice di Diritto Canonico traduce in norme canoniche il ricco insegnamento conciliare e postconciliare della Chiesa sulla vita religiosa.

Insieme ai documenti del Concilio Vaticano II e alle dichiarazioni fatte dai successivi Pontefici in questi ultimi anni, il Codice offre perciò il materiale di base su cui poggia la prassi corrente della Chiesa riguardo alla vita religiosa.

L'evoluzione naturale propria di ogni vita, non cesserà di progredire nella stessa vita consacrata, ma il periodo di speciali sperimentazioni previste dal Motu Proprio « Ecclesiae Sanctae » per gli istituti religiosi, si conclude con la celebrazione del secondo capitolo generale ordinario che segue il capitolo speciale di rinnovamento.

Ora, il Codice di Diritto Canonico, nella sua recente revisione, costituisce il fondamento giuridico della Chiesa riguardo alla vita religiosa sia per la valutazione del periodo di esperimento che per le prospettive del futuro.

Le seguenti norme fondamentali contengono un'adeguata sintesi delle disposizioni della Chiesa.

I. La chiamata e la consacrazione

1. La vita religiosa è una forma di vita alla quale alcuni cristiani, sia chierici che laici, sono chiamati da Dio, perché possano godere di uno speciale dono di grazia nella vita della Chiesa e contribuire, ognuno in modo proprio, alla missione evangelica della Chiesa ( cfr. LG 43 ).

2. Il dono della vocazione religiosa si radica nella consacrazione battesimale, ma non è elargito a tutti i battezzati.

Esso è del tutto gratuito, offerto da Dio a quanti egli liberamente sceglie nel suo popolo e per il bene del suo popolo ( cfr. PC 5 ).

3. Accettando il dono della vocazione, i religiosi rispondono alla chiamata divina morendo al peccato ( cfr. Rm 6,11 ), rinunciando al mondo e vivendo unicamente per Dio.

La loro vita è interamente votata al suo servizio.

Essi cercano e amano al di sopra di tutto « Dio che per primo ha amato noi » ( cfr. 1 Gv 4,10; PC 5 e PC 6 ).

Il perno centrale della loro vita è, pertanto, una più stretta sequela di Cristo ( cfr. ET 7 ).

4. L'intera vita del religioso dedita al servizio di Dio stabilisce una consacrazione speciale ( PC 5 ): la consacrazione della persona nella sua globalità che rivela nella Chiesa un patto sponsale effettuato da Dio, un segno della vita futura.

Questa consacrazione avviene mediante voti pubblici, perpetui o temporanei.

Questi ultimi da rinnovare alla loro scadenza.

Mediante i voti, i religiosi assumono l'obbligo di osservare i tre consigli evangelici, sono consacrati a Dio tramite il ministero della Chiesa ( can. 607 e can 654 ), sono incorporati nel loro istituto con diritti e doveri definiti giuridicamente.

5. Le condizioni per la validità della professione temporanea, la sua durata e l'eventuale proroga sono determinati nelle costituzioni di ciascun istituto a norma del diritto comune della Chiesa ( can. 655-658 ).

6. La professione religiosa viene emessa mediante la formula dei voti approvata dalla Santa Sede per ogni istituto.

La formula è comune a tutti i membri, in quanto essi assumono gli stessi obblighi e, quando sono inseriti integralmente, hanno gli stessi diritti e doveri.

Individualmente il religioso ha facoltà di aggiungere un'introduzione e/o una conclusione, se queste sono approvate dall'autorità competente.

7. Conformemente al proprio carattere e scopo, ogni istituto è tenuto a definire, nelle relative costituzioni, le modalità in cui i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza devono essere osservati nello specifico stile di vita ( can. 598 §1 ).

II. La Comunità

8. La vita comunitaria - caratteristica di un istituto religioso ( can. 607 §2 ) - è propria di ogni famiglia religiosa.

Riunisce tutti i membri in Cristo e sarà strutturata in modo da essere fonte di aiuto per tutti e per ciascuno nella fedeltà alla vocazione religiosa.

Sarà esempio di riconciliazione in Cristo e della comunione fondata nella carità ( can. 602 ).

9. La comunità religiosa deve abitare in una casa legittimamente costituita, sotto l'autorità di un superiore designato a norma del diritto ( can. 608 ).

Detta casa viene eretta previo il consenso scritto del vescovo diocesano ( can. 609 ).

Sarà strutturata in modo da rispondere convenientemente alle esigenze dei membri ( can. 610 §2 ), consentendo alla vita comunitaria di espandersi ed evolversi con la comprensione e la cordialità che generano fiducia ( cfr. ET 39 ).

10. Le singole case devono avere almeno un oratorio, in cui si celebri e si conservi l'Eucaristia, in modo che sia veramente il centro della comunità ( can. 608 ).

11. In ogni casa religiosa, conformemente all'indole e alla missione dell'istituto e secondo le determinazioni del diritto proprio, ci sia sempre una parte riservata esclusivamente ai religiosi ( can. 667 §1 ).

Questa espressione di separazione dal mondo conforme alla finalità dell'istituto, fa parte della testimonianza pubblica che i religiosi sono tenuti a rendere a Cristo e alla Chiesa ( can. 607 §3 ).

La separazione si rende necessaria anche per osservare il silenzio e il raccoglimento che favoriscono la preghiera.

12. I religiosi abitino nella propria casa religiosa osservando la vita comune.

Non devono vivere da soli senza seri motivi, soprattutto se una comunità del loro istituto si trova nelle vicinanze.

Nel caso, tuttavia, di assenza prolungata, con il consenso del suo consiglio il superiore maggiore può permettere a un religioso di vivere fuori della casa dell'istituto, entro i limiti consentiti dal diritto comune ( can. 665 §1 ).

III. L'identità

13. I religiosi abbiano come suprema regola di vita la sequela di Cristo proposta dal vangelo ed espressa nelle costituzioni del proprio istituto ( can. 602 ).

14. L'intendimento dei fondatori, sancito dalla competente autorità della Chiesa, relativamente alla natura, al fine, allo spirito e all'indole dell'istituto, così come le sane tradizioni, devono essere fedelmente custoditi da tutti ( can. 578 ).

15. Per custodire più fedelmente la vocazione e l'identità dei singoli istituti, le costituzioni di ciascuno devono contenere - oltre a ciò che è stabilito da osservare al § III 14 - le norme fondamentali relative al governo dell'istituto e alla disciplina dei membri, alla loro incorporazione e formazione, e anche l'oggetto specifico dei voti ( can 587 §1 ).

16. Le costituzioni sono approvate dalla competente autorità ecclesiastica.

Per gli istituti diocesani, l'approvazione spetta all'Ordinario del luogo, per quelli pontifici alla Santa Sede.

Le successive modifiche e interpretazioni autentiche sono parimenti riservate alle stesse autorità ( can. 576 e can 787 §2 ).

17. Mediante la professione religiosa, i membri di un istituto si impegnano a osservare le sue costituzioni con fedeltà e amore, perché vi riconoscono lo stile di vita approvato dalla Chiesa per il loro istituto, l'espressione autentica del suo spirito, della sua tradizione e della sua legge.

IV. La castità

18. Il consiglio evangelico di castità, abbracciato per il Regno dei cieli, è segno della vita futura e fonte di una più copiosa fecondità nel cuore indiviso.

Esso comporta l'obbligo della perfetta continenza nel celibato ( can. 599 ).

19. Si osservi la necessaria discrezione in tutto quanto possa nuocere alla castità della persona consacrata ( cfr. PC 12; can. 666 ).

V. La povertà

20. Il consiglio evangelico di povertà, a imitazione di Cristo, postula una vita povera di fatto e di spirito, operosa e frugale, distaccata dai beni terreni.

La sua professione mediante il voto, comporta per i religiosi la dipendenza e la limitazione nell'usare e nel disporre dei beni temporali, conformemente al diritto proprio dell'istituto ( can. 600 ).

21. Mediante il voto di povertà i religiosi rinunciano all'uso libero e a disporre dei beni materiali.

Avanti la prima professione essi cedono l'amministrazione dei propri beni a chi preferiscono e, qualora le costituzioni non determinino diversamente, essi dispongono liberamente del loro uso e usufrutto ( can. 668, §1 ).

Qualunque cosa il religioso ottiene per la sua propria industria o per dono o a motivo dell'istituto, è acquisito per l'istituto stesso.

Anche ciò che riceve come pensione, sussidio o assicurazione è a favore dell'istituto, a meno che il diritto proprio stabilisca altrimenti ( can. 668 §3 ).

VI. L'obbedienza

22. Il consiglio evangelico di obbedienza, vissuto nella fede, è una sequela d'amore di Cristo che fu obbediente fino alla morte.

23. Mediante il voto di obbedienza i religiosi promettono di sottomettere la propria volontà ai superiori legittimi quando comandano secondo le costituzioni ( can. 601 ).

Le costituzioni stesse stabiliscono chi può dare un ordine formale di obbedienza e in quali circostanze.

24. Gli istituti religiosi sono soggetti alla suprema autorità della Chiesa per un titolo peculiare ( can. 590 §1 ).

I singoli membri sono tenuti a obbedire al Santo Padre, come loro supremo superiore, in forza del voto di obbedienza ( can. 590 §2 ).

25. I religiosi non possono accettare incarichi o uffici fuori del proprio istituto senza il permesso del superiore legittimo ( can. 671 ).

Come gli ecclesiastici, essi non possono assumere uffici pubblici che comportano l'esercizio del potere civile ( can. 285 §3; cfr. anche can. 672 con i canoni cui ivi si fa riferimento ).

VII. La preghiera e l'ascesi

26. Primo e principale dovere dei religiosi è la costante unione con Dio nella preghiera.

Quotidianamente, per quanto è possibile, essi partecipano al Sacrificio eucaristico e di frequente si accostano al sacramento della penitenza.

Fanno parte della preghiera dei religiosi: la lettura della Sacra Scrittura, la preghiera mentale, la degna celebrazione della liturgia delle Ore secondo le prescrizioni del diritto proprio, la devozione alla Beata Vergine, il ritiro annuale ( can. 663, can 664 e can 1174 ).

27. La preghiera deve essere sia individuale che comunitaria.

28. Un'ascesi generosa è necessaria costantemente per la conversione quotidiana al vangelo ( cfr. Poenitemini II, III, I C ).

Pertanto, le comunità religiose devono essere non solo gruppi di preghiera, ma anche comunità penitenti nella Chiesa.

Oltre a una forma interiore e personale, deve esserci anche una penitenza esterna e comunitaria ( cfr. DmC 14; SC 110 ).

VIII. L'apostolato

29. L'apostolato di tutti i religiosi consiste innanzitutto nella testimonianza della loro vita consacrata; essi hanno il dovere di alimentarla con la preghiera e la penitenza ( can. 673 ).

30. Negli istituti dediti alle opere di apostolato, l'azione apostolica rientra già nel loro carisma particolare.

La vita dei membri sia perciò impregnata di spirito apostolico e l'azione apostolica, a sua volta, sia animata da spirito religioso ( can. 675 §1 ).

31. La missione essenziale di questi istituti impegnati nell'apostolato consiste nel proclamare la parola di Dio a quanti egli pone sul loro cammino per condurli alla fede.

Una simile grazia richiede una profonda unione con il Signore; lui solo rende i religiosi capaci di trasmettere il messaggio del Verbo incarnato in termini che il mondo di oggi sia in grado di comprendere ( cfr. ET 9 ).

32. L'azione apostolica si esercita in comunione con la Chiesa, a nome della Chiesa e per suo mandato ( can. 675 §3 ).

33. Superiori e membri mantengano con fedeltà la missione e le opere proprie dell'istituto; le adattino con prudenza alle necessità dei tempi e dei luoghi ( can. 677 §1 ).

34. Nei rapporti di apostolato con i vescovi, i religiosi si attengano alle norme dei canoni 678-683.

In modo particolare essi sono tenuti a rispettare il magistero della gerarchia, ad agevolare i vescovi nell'esercizio del loro ministero di insegnamento e di testimonianza autentica della verità divina ( cip. MR 33; LG 25 ).

IX. La testimonianza

35. La testimonianza dei religiosi è pubblica.

Questa è resa a Cristo e alla Chiesa e comporta quella separazione dal mondo che è propria dell'indole e delle finalità di ciascun istituto ( can. 607 §3 ).

36. Gli istituti religiosi devono tendere a una testimonianza in un certo modo collettiva di carità e di povertà ( can. 640 ).

37. I religiosi indossino l'abito dell'istituto, fatto a norma del diritto proprio, quale segno di consacrazione e testimonianza di povertà ( can. 669 §1 ).

X. La formazione

38. Nessuno può essere ammesso alla vita religiosa senza un' adeguata preparazione ( can. 597 §2 ).

39. Le condizioni per la validità dell'ammissione e del noviziato, per la professione temporanea e perpetua, sono indicate nel diritto comune della Chiesa e in quello proprio di ogni istituto ( can. 641-658 ), così pure il luogo, il tempo, il programma e la guida del noviziato, i requisiti per il maestro dei novizi.

40. Il periodo di formazione tra i primi voti e quelli perpetui è stabilito nelle costituzioni a norma del diritto comune ( can. 655; can 659 §2 ).

41. Per tutta la vita i religiosi proseguano assiduamente la propria formazione spirituale, dottrinale e pratica, profittando del tempo e dei mezzi offerti a questo scopo dai superiori ( can. 661 ).

XI. Il governo

42. Spetta alla competente autorità ecclesiastica costituire una forma stabile di vita mediante l'approvazione canonica ( can. 576 ).

Alla stessa autorità sono anche riservate le aggregazioni ( can. 580 ) e l'approvazione delle costituzioni ( can. 587 §2 ).

Le fusioni, le unioni, le federazioni, le confederazioni, le soppressioni e le modifiche di qualsiasi elemento, già approvato dalla Sede Apostolica, spettano a questa stessa Sede ( can. 582-584 ).

43. L'autorità che governa gli istituti religiosi risiede nei superiori; essi devono esercitarla a norma del diritto universale e di quello proprio ( can. 617 ).

Questa autorità è ricevuta da Dio mediante il ministero della Chiesa ( can. 618 ).

L'autorità di un superiore, a qualsiasi livello, è personale e non può essere sostituita da un gruppo.

Per un tempo e un fine particolare può essere delegata a una persona designata a questo scopo.

44. I superiori devono svolgere il loro servizio con sollecitudine.

Insieme ai membri dell'istituto si sforzino di costruire in Cristo una comunità, nella quale Dio è cercato e amato al di sopra di tutto.

Nel loro compito i superiori hanno il particolare dovere di governare in conformità alle costituzioni del loro istituto e di promuovere la santità dei suoi membri.

La loro persona deve essere esempio di fedeltà al magistero della Chiesa, al diritto e alla tradizione del proprio istituto.

Siano, inoltre, solleciti nell'incrementare la vita consacrata dei religiosi mediante vigilanza e correzione, sostegno e prudenza ( cfr. can. 619 ).

45. Le condizioni per la nomina o l'elezione, il periodo di durata dell'ufficio, la procedura dell'elezione canonica per il superiore generale, sono determinate nelle costituzioni ( can. 623-625 ).

46. I superiori abbiano un proprio consiglio che li assista nell'adempimento delle loro responsabilità.

Oltre ai casi prescritti dal diritto universale, il diritto proprio determini i casi in cui per procedere validamente, è richiesto il consenso oppure il parere del consiglio ( can. 627 §1e2 ).

47. Il capitolo generale deve essere segno del vincolo di carità che intercorre tra i membri dell'istituto.

Esso rappresenta l'intero istituto quando in sessione esercita l'autorità suprema a norma del diritto comune e delle costituzioni ( can. 631 ).

Il capitolo generale non è un organo permanente: la sua composizione, la frequenza e le funzioni sono stabilite nelle costituzioni ( can. 631 §2 ).

Un capitolo generale non può modificare la sua propria composizione, ma può proporre modifiche per i capitoli successivi.

Tali modifiche richiedono l'approvazione dell'autorità ecclesiastica competente.

Il capitolo generale, tuttavia, può modificare quegli elementi del diritto proprio che non siano soggetti all'approvazione ecclesiastica.

48. I capitoli non devono essere convocati con una frequenza tale da interferire nel buon funzionamento dell'autorità ordinaria del superiore maggiore.

La natura, l'autorità, la composizione, il modo di procedere e la frequenza della convocazione di capitoli o altre assemblee degli istituti, sono determinate con esattezza dal diritto proprio ( can. 632 ).

In pratica, i principali elementi a questo riguardo devono essere previsti nelle costituzioni.

49. Le disposizioni concernenti i beni temporali ( can. 634-640 ) e la loro amministrazione, come pure le norme inerenti all'allontanamento di membri dall'istituto per passaggio, uscita o dimissione ( can. 684-704 ) si trovano nel diritto comune della Chiesa; siano però incluse, anche se brevemente, nelle costituzioni.

Conclusione

Le suddette norme, basate sull'insegnamento tradizionale, sul Codice di Diritto Canonico recentemente revisionato, e sulla prassi corrente, non esauriscono le disposizioni della Chiesa circa la vita religiosa.

Esprimono piuttosto la sua autentica sollecitudine perché la vita degli istituti dediti alle opere di apostolato possa avere sempre un incremento più fecondo, quale dono di Dio alla Chiesa e alla famiglia umana.

Con il presente testo, approvato dal Santo Padre, questa Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari desidera aiutare questi istituti ad assimilare le norme della Chiesa, revisionate per loro, e a inserirle nel proprio contesto dottrinale.

Possano essi trovarvi un incoraggiamento per una più autentica sequela di Cristo, nella speranza e nella gioia della loro vita consacrata.

Dal Vaticano, Festa della Visitazione della Beata Vergine Maria 31 maggio 1983.

Indice