Trento

Concilio di ...

Diciannovesimo concilio ecumenico della serie seguita nella Chiesa cattolica, svoltosi dal 1545 al 1563.

I prodromi

Le aspirazioni verso un concilio generale che avviasse un processo di riforma della Chiesa risuonarono più volte sullo scorcio del sec. XV.

La fase di crisi e di sviluppo dei primi decenni del '500 ( v. Riforma protestante; Riforma cattolica ) sembrò a molti rendere improcrastinabile la celebrazione di tale assemblea.

Vi si era appellato nell'estate 1518 anche Martin Lutero e, d'altra parte, l'affermarsi del movimento da lui ispirato poneva alla cristianità problemi teorici e pratici ardui da sciogliere.

Molte voci, tra cui particolarmente autorevole quella dell'imperatore Carlo V, sollecito nel promuovere iniziative atte ad appianare le divergenze religiose tra i suoi sudditi, insistevano per l'apertura dell'assise.

Tuttavia il papato faticava a superare diffidenze, esitazioni, indugi verso l'attivazione di un istituto che avrebbe potuto riproporre le dottrine conciliariste ( v. conciliarismo ) e porre in discussione le prerogative assolute del vescovo di Roma.

Lo svolgimento del concilio

Vincendo timori e opposizioni, papa Paolo III, dopo una prima convocazione a Mantova ( 1537 ), indisse quattro anni dopo il concilio a Trento, sede in certa misura "neutra" per cattolici e luterani, perché ubicata in territorio imperiale, quindi al di fuori dello Stato della Chiesa.

Dopo il rinnovarsi di opposizioni da parte della Curia Romana e anche del re di Francia Francesco I, che paventava l'accrescersi del prestigio di Carlo V, il 13.XII.1545 iniziarono i lavori assembleari.

Questi si distribuirono in tre fasi: durante il pontificato di Paolo III fino al 1548, con un trasferimento
dal 1547 a Bologna, causa di attriti per la scelta di una città dello Stato della Chiesa; sotto Giulio III dal 1551 al 1552; infine, dal 1561 al 1563 sotto papa Pio IV.

Le lunghe pause lasciano intravedere i continui ostacoli di ordine religioso e politico incontrati dai lavori conciliari.

Durante la seconda fase la partecipazione di rappresentanti luterani, recatisi a Trento dopo vive pressioni dell'imperatore, naufragò a motivo di pregiudiziali che accesero insuperabili dissensi.

Il numero dei partecipanti aventi il diritto di votare, all'inizio assai esiguo ( tra i 34 e i 42 ), andò progressivamente aumentando, per arrivare a 225 nella sessione conclusiva.

Nuclei maggioritari nella composizione del concilio furono lo spagnolo e l'italiano, ma anche i vescovi francesi, che intervennero nella terza fase, e prelati di altre nazionalità, come il cardinale inglese Reginaid Polo, offrirono efficaci contributi.

Molto significativo fu l'apporto del generale degli agostiniani Girolamo Seripando.

Fra i teologi, che collaboravano a titolo consultivo, ma spesso sostanzialmente decisivo, vanno ricordati i gesuiti Lainez e Canisio, i domenicani Cano e Soto, i francescani Castro e de Vega.

L'influsso papale, esercitato dai cardinali legati, ebbe un indubbio peso determinante.

Le decisioni del concilio

Tra le decisioni adottate, spesso dopo vivaci discussioni, vanno anzitutto ricordate quelle dottrinali.

Le formulazioni talvolta tradiscono il ritmo argomentativo proprio della teologia scolastica: tuttavia il profilo biblico e patristico delimitano e descrivono un orizzonte che lascia ai margini molte sottili dispute di scuola.

Sebbene parecchie definizioni mantengano un tono antiprotestante, non furono emesse condanne nominative contro singole persone.

Da ciò si deduce che i padri conciliari non intendevano fornire loro stessi un'interpretazione autentica del pensiero dei riformatori.

Sul problema della giustificazione si sottolineò che essa consiste in un rinnovamento interiore, causato dall'imprescindibile azione della grazia divina, alla quale però l'uomo collabora con la sua libera volontà, lesa ma non distrutta dal peccato originale ( v. ).

La Sacra Scrittura fu dichiarata centrale nella Chiesa, purché affiancata dalla Tradizione ( v. ), garantita dal Magistero ( v. ).

L'importanza della mediazione ecclesiale tra il fedele e Dio era rimarcata anche dalla posizione attribuita al sacerdozio ordinato, distinto per essenza da quello dei semplici fedeli, e nel ruolo assegnato ai sette sacramenti, quali segni efficaci della grazia, in particolare all'eucaristia come "sacrificio" atto a soddisfare per i peccatori.

Sul versante disciplinare venne ribadito il dovere della residenza dei vescovi nelle loro diocesi e la necessità che essi si comportassero da pastori dediti alla cura animarum ( cura d'anime ), così come i sacerdoti.

A questi si procurò di garantire una formazione adeguata con l'istituzione dei seminari ( v. seminario ).

Gli ordini religiosi furono oggetto di decreti riformatori, cosi come altri lati della vita cristiana, quali il culto, le celebrazioni salienti per rilievo religioso e sociale ( per esempio, vennero proibite le nozze clandestine ), gli indirizzi etici e, in genere, il costume ( per esempio fu proscritto, sotto pena di scomunica, il duello ).

In sintesi, fu intrapresa un'imponente opera di chiarificazione a livello dei principi, e di riassestamento organizzativo-pragmatico, destinata a modellare, attraverso e oltre le sue rigidità, il volto della Chiesa cattolica per molti secoli.

v. Controriforma; Riforma cattolica