Inferno

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È trasposizione dall'infernus ( locus ), "sotterraneo", che, per convenzione, venne considerato il luogo dei morti: la rappresentazione suggeriva tenebre ed oppressione, in opposizione all'immensa libertà luminosa del cielo che fu sentito come emblema di Dio.

È il luogo, o meglio lo stato, in cui sono eternamente puniti gli angeli e gli uomini che si ribellarono a Dio e morirono in peccato mortale.

La pena essenziale che vi domina è la separazione dall'infinita bellezza ed amabilità di Dio, che provoca una disperazione, una rabbia, un rodio che brucia le anime come un fuoco spirituale, che ormai tormenta senza più purificare.

Gesù ne proclamò l'esistenza con una categorica incisività: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli … e costoro andranno nel castigo eterno" ( Mt 25,41-46; Mc 9,43-48 ).

Non si tratta di vendetta divina, ma di scelta umana: per evitare agli uomini la dannazione Gesù morì sulla croce, istituì la Chiesa ed i sacramenti: il cosciente rifiuto è responsabilità di ciascuno: la vita è una cosa profondamente seria!

"Inferno" è parola di derivazione latina che significa "luogo che sta sotto", e dunque tomba, o condizione di estrema degradazione e rovina, in una situazione di contrapposizione a Dio.

Ma non è propriamente un luogo, bensì una situazione di rifiuto dell'amore di Dio avviata e sviluppata dal peccato nell'aldiqua, e conclusa, se non vi fu pentimento, nell'aldilà.

Con l'asserzione della realtà dell'inferno eterno, chiamato anche "dannazione" per dire che si tratta del danno supremo dell'uomo, la rivelazione cristiana propone il mistero della fede più difficile da intendere e accettare.

Inferno e peccato

L'inferno è il peccato divenuto definitivo: rappresenta infatti il punto terminale del peccato che non fu combattuto e vinto.

Poiché il peccato sta all'inferno come il seme alla pianta, i caratteri del primo, pur con la grande differenza indotta dal loro completamento, si trovano anche nel secondo.

In concreto, se il peccato è la devastazione dei rapporti-chiave dell'uomo ( con Dio, con gli altri e con se stesso ) causata dal farsi arbitri ( al posto di Dio ) del bene e del male, l'inferno è l'atroce situazione conclusiva di chi sceglie di assolutizzare se stesso, facendosi prigioniero della propria presunzione.

La Bibbia, con parole accorate di minaccia e di ammonimento, presenta la triste possibilità di dannarsi con immagini di morte, di fallimento, di abominio e di disperazione per indurre a opporsi con tutte le forze al male.

La serietà di queste immagini ( Mt 10,28; 1 Cor 3,17; Gal 6,7; Fil 3,19; Ap 2,11; Ap 20,6.14; Ap 21,8 ) va certamente interpretata, ma non sminuita: il rifiuto ostinato di Dio da parte del peccatore lo priva per sempre della visione di Dio e tale pena si ripercuote su tutto il suo essere.

L'inferno è dunque la sofferenza di non poter amare a causa del rifiuto totale e definitivo di Dio, degli altri, del mondo e di se stessi, in contrasto con la vocazione originaria a vivere in comunione.

Inferno, opera dell'uomo

L'inferno è opera non di Dio ma dell'uomo, perché non Dio ma l'uomo lo costruisce, mediante il peccato.

Dio mira esclusivamente alla salvezza; che però non può imporre ma soltanto offrire e proporre, sotto pena di cambiare l'amore in violenza.

Così, mentre il cielo è ciò che Dio vuole, l'inferno è la possibilità contro la quale Dio combatte fino all'estremo, ossia sino al limite del rifiuto della libertà umana di assecondare le sue iniziative di amore.

L'annuncio della possibilità della dannazione, lungi dal ridursi alla gelida comunicazione di ciò che capiterà ai malvagi, è un atto della misericordia di Dio, è la proclamazione appassionata del suo amore che si fa pressante appello alla conversione di fronte al rischio di ciò che può succedere all'uomo peccatore ma che non deve assolutamente accadere.

La Scrittura non fa alcuna previsione ma presenta il rischio reale di una vita completamente falsata e di un fallimento definitivo.

Sollecita in tal modo l'uomo a tener presente il rischio per superarlo a costo di qualsiasi sacrificio, escludendo una qualsiasi attuazione dell'amore di Dio che prescinda dal consenso della libertà umana.

La dottrina della Chiesa prende le mosse da questo insegnamento.

Mentre Agostino, e con lui la tradizione, a partire dalla sua dottrina della predestinazione come elezione di alcuni - i chiamati -, parla dell'inferno come di quel luogo di pena a cui sono destinati tutti gli altri, la teologia recente invita a non superare il dato biblico.

Se già J. Ratzinger aveva ricondotto l'esistenza dell'inferno al rispetto della libertà del peccatore, considerandola come decisione globale che investe tutto l'esistere umano, K. Rahner e soprattutto H.U. von Balthasar proporranno la legittimità della speranza di una salvezza universale: si può sperare che Cristo, morto per tutti, non sia morto invano.

Il senso di una simile affermazione non o di negare l'inferno ma di distinguere tra la sua reale possibilità e la sua reale esistenza: al credente non è dato di superare l'affermazione della sua reale possibilità.

Se mai il credente può dubitare che qualcuno meriti l'inferno, questo qualcuno è lui stesso.

La legittimità di questa opinione permette di concludere che la volontà salvifica di un Dio fedele a se stesso e la libertà cristiana che vi si fonda rimangono il cuore del pensiero credente.

Eternità dell'inferno

Fatta salva l'opinione dell'universale speranza di salvezza, l'aspetto più inquietante della rivelazione dell'inferno e certamente quello della sua eternità, o irreversibilità.

Per questo si e cercato di mettere in dubbio, fino a rifiutarla, l'eternità dell'inferno, o facendo propria un'antica posizione che ipotizza un momento finale di liberazione per tutti, detto dell'"apocatàstasi" ( in greco: restaurazione ), o interpretando la dannazione in termini di annichilazione ( o riduzione del dannato al niente ).

Ma chiaro e costante è l'insegnamento della Chiesa che afferma l'eternità dell'inferno.

Anzitutto, perché la Bibbia l'attesta ripetutamente, ponendola sullo stesso piano della durata del cielo.

Poi, perché ne l'idea dell'apocatàstasi, ne, tanto meno, quella dell'annichilazione trovano qualche fondamento nei testi della Scrittura.

Infine, perché nessuna delle due ipotesi riesce a rispettare la serietà della vita terrena, la verità della libertà umana e la gravita del peccato, messe inconfutabilmente in luce dall'altissimo prezzo pagato da Dio con la redenzione operata dalla Croce di Cristo.

Se Dio finisse con l'aggiustare unilateralmente ogni cosa, nulla farebbe più differenza, e l'insieme della storia prenderebbe le fattezze di una colossale commedia giocata sulla pelle degli uomini; se optasse per l'annichilazione dei perduti, non rispetterebbe la loro scelta, approdando a una conclusione analoga.

v. Peccato; Salvezza

Non si deve confondere con gli inferi ( detti in ebraico anche sheol ), il regno dei morti, in cui si pensava che le ombre degli uomini vivessero una vita di larve umane.

La parola « inferno » appare nel NT per indicare una condizione di pena - da intendere come lontananza eterna dall'amore di Dio e sofferenza per il peccato - in cui l'uomo che si ostina in una radicale chiusura a Dio e alla sua offerta di salvezza rischia di trovarsi eternamente bloccato.

Le immagini che vengono usate per descrivere l'inferno risentono di una cultura o di un'altra: molto spesso il fuoco, talvolta il freddo o la grandine, a volte il silenzio, a volte le urla…

Mentre comunque si afferma la possibilità di cadere in tale situazione, non si può dire che qualcuno vi sia certamente caduto, poiché il giudizio di Dio su una persona è insondabile.

Concilio Ecumenico Vaticano II

E fuoco eterno Lumen gentium 48

Catechismo della Chiesa Cattolica

Ogni Chiesa particolare è « cattolica » 834
L'inferno 1033ss
La gravità del peccato: peccato mortale e veniale 1861
Comp. 74; 125; 212; 213