Apostolato

IndiceA

Sommario

Introduzione:
1. Crisi e rinnovamento dell'apostolato;
2. Definizione del concetto.
I. Dimensione missionaria di tutta la chiesa:
1. Le tre fonti della missione;
2. Le tre funzioni dell'unica missione.
II. Il ricupero dei valori biblici dell'apostolato:
1. Fede, non opere;
2. Evangelizzazione, non sacramentalizzazione;
3. Spontaneità, non istituzione;
4. Irraggiamento, non ghetto;
5. Martirio, non successo.
III. Il contenuto del messaggio: salvezza integrale:
1. La nuova scoperta teologica;
2. Conseguenze operative.
IV. I destinatari dell'apostolato:
i lontani,
gli scristianizzati,
i fedeli,
i non credenti,
i non praticanti.
V. Gli operai dell'evangelizzazione:
la gerarchia,
i religiosi,
i laici,
la gioventù,
la famiglia,
le comunità ecclesiali di base.
VI. L'evangelizzazione nel contesto delle culture:
1. Il postulato;
2. La sua attuazione nelle chiese vecchie;
3. La sua attuazione nelle chiese giovani.
VII. Spiritualità apostolica:
1. Il senso trinitario dell'invio;
2. Il sì a Dio e al mondo;
3. Il valore dell'azione;
4. La testimonianza della vita.

Introduzione

1. Crisi e rinnovamento dell'apostolato

Il cristiano odierno fa volentieri del termine apostolato un sinonimo parziale di invadenza, importunità, settarismo e, inoltre, ha smarrito in ampia misura la sicurezza di sé, che nei tempi passati era nascosta dietro tale termine.

Nel medioevo si procedeva con il fuoco e con le torture contro coloro che la pensavano diversamente e si proclamavano con entusiasmo crociate contro i saraceni.

Nel periodo coloniale si consideravano gli uomini degli altri continenti come selvaggi, pagani, idolatri e si partiva per strappare le loro anime all'inferno.

Nei decenni antecedenti il Vat II, caratterizzati dalla fioritura delle organizzazioni cattoliche, si è scambiato non di rado la confessione cristiana con le parate e il trionfalismo.

Tutto ciò è cambiato.

È cambiata la cornice esterna e, soprattutto, sono affiorate nuove idee ( chiesa come mistero, la libertà di coscienza, la nuova teologia delle religioni non cristiane, ecc. ), le quali hanno avuto degli effetti che non corrispondevano sempre alla realtà effettiva e che hanno provocato una crisi dell'apostolato.

Comunque è già stata avviata una sana reazione.

In un mondo, in cui tutte le religioni e tutte le ideologie sostengono da destra e da sinistra la loro convinzione, dovrebbero essere proprio i cristiani a non aver il coraggio di confessare la loro fede?

Il loro apostolato va ovviamente rinnovato, ma non eliminato.

Dato il pluralismo culturale e filosofico in cui viviamo, la chiesa si vedrà sempre più costretta ad entrare nella situazione concorrenziale tipica del mercato libero.

Chi offrirà di più, si imporrà.

2. Definizione del concetto

a. Il termine

Apostolo deriva dal greco e significa inviato.

Apostolato significa quindi invio, ufficio, azione di un apostolo nel senso più vasto del termine.

Missionario e missione indicano etimologicamente la medesima cosa, ma derivano dal latino.

A partire dal Vat II si è introdotto nel linguaggio cattolico il termine evangelizzazione, che poi è stato ulteriormente diffuso e consolidato dal Sinodo dei vescovi del 1974 e nel documento « Evangelii nuntiandi »1 dell'8 dicembre 1975.

Mentre i primi due termini esprimono l'invio in se stesso, quello di evangelizzazione sottolinea lo scopo dell'invio: la predicazione del vangelo in tutto il mondo.

b. La realtà

L'apostolato cristiano consiste nel partecipare all'apostolato di Gesù o nella preoccupazione per la salvezza degli uomini e del mondo,2 oppure ancora in ogni attività del corpo mistico orientata ad attuare il fine della chiesa.3

Esso riempie il tempo che va dalla prima alla seconda venuta di Cristo e aiuta tutto a raggiungere la propria pienezza.

L'elemento decisivo non è quindi costituito dalle forme esteriori, dalle organizzazioni e dalle strutture, bensì dalla presenza della chiesa stessa nel mondo sempre in evoluzione.

In non pochi paesi l'apostolato è ufficialmente proibito, ma ciononostante la presenza della chiesa può risultare tanto più irraggiante.

I - Dimensione missionaria di tutta la Chiesa

1. Le tre fonti della misisone

La missione in senso teologico cristiano non è sinonimo di invadenza, bensì di dinamismo, di comunicazione, di scambio dei propri beni.

Il modello originario di ogni missione è quello che ci viene offerto dalla vita intratrinitaria, dall'« amore fontale » del Padre, che si dona completamente al Figlio, mentre ambedue si donano poi a loro volta completamente allo Spirito santo.

Questo Dio trinitario è la realtà originaria.

Egli non può non essere ed è l'unica realtà che esiste in maniera pura, semplice e necessaria.

Questo Dio, « nella sua immensa misericordia e bontà », ha inviato "liberamente" in seno all'umanità ( caduta ) il proprio Figlio, che con la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione ha compiuto le azioni salvifiche ed è diventato il sacramento del nuovo incontro con Dio.4

Cristo è il primo e più grande « apostolo, a cui dobbiamo guardare » ( Eb 3,1 ), l'autore e il modello dell'evangelizzazione.5

Dal Cristo evangelizzatore il cammino porta necessariamente alla chiesa evangelizzatrice.6

Attraverso l'invio dello Spirito egli ha voluto che la sua opera continuasse nella chiesa.

Questa, « in quanto sacramento universale della salvezza, è inviata da Dio al mondo dei popoli » ed è di conseguenza « per sua natura missionaria».7

La sua esistenza è la proclamazione continua della salvezza fatta dall'unico Dio a tutti gli uomini.

La chiesa non esiste per se stessa, ma in ordine alla sua missione.

Pertanto non dovremmo parlare della missione e della chiesa, bensì della missione della chiesa.

Tutti questi sono dati di fatto della storia della salvezza a noi preesistenti, che non possiamo annullare e che dobbiamo semplicemente riconoscere con fede.

Ma se la chiesa è missionaria in quanto tale, allora deve esser missionario anche ogni individuo che vive nel suo seno.

Pietro chiama i cristiani nel loro complesso « un popolo acquisito per annunciare le gesta di Dio » ( 1 Pt 2,9; Ef 1,6 ).

Essere chiamato alla chiesa non significa in prima linea essere privilegiato in maniera particolare, bensì essere impegnato in maniera particolare a rendere testimonianza davanti agli altri.

La ( v. ) sequela di Gesù non ci pone semplicemente in un rapporto maestro-discepolo nei suoi confronti.

Tale vocazione è fondata nel potere indeducibile e nella coscienza messianica di Gesù.

Egli chiama come Dio ha chiamato i ( v. ) profeti veterotestamentari e rivolge la sua chiamata sempre in ordine alla sovranità di Dio che sta per venire.

Egli invita ogni chiamato a spezzare incondizionatamente ogni legame e ogni impedimento, a prender parte alla sua vita e al suo destino e a porsi di conseguenza al servizio della causa del regno di Dio.

Esiste quindi un intimo nesso tra sequela e missione.

Ciò spiega perché sia necessariamente sorto il primitivo movimento missionario cristiano quale primo fenomeno di questo tipo.8

Mentre prima del Vat II l'impegno per la missione tra i pagani veniva subdelegato agli istituti missionari e ai "cooperatori" missionari loro associati e l'impegno per l'apostolato in patria era riservato ai sacerdoti e a una élite organizzata nell'Azione Cattolica, il concilio ha di nuovo posto chiaramente in luce l'indissolubile legame che esiste tra il fatto di essere cristiano e quello di essere apostolo.

Sullo sfondo di questa teologia cessa ogni discussione circa la questione se la missione debba esistere o meno e rimane solo più la questione di sapere come bisogna attuarla.

2. Le tre funzioni dell'unica missione

L'unica missione salvifica della chiesa e di tutti nella chiesa non viene esercitata sempre e dappertutto nel medesimo modo.

Le condizioni in cui essa viene attuata possono essere diverse.

La chiesa stessa conosce vari stadi di sviluppo, da quello iniziale, insufficiente, fino a quello della piena espansione.

Similmente gli uomini, le comunità e i popoli tra i quali essa opera possono presentare presupposti diversi.

Così possiamo distinguere l'attività missionaria, il cui scopo vero e proprio è quello di evangelizzare e di impiantare la chiesa tra i popoli e le comunità in cui essa non ha ancora posto radice; l'attività pastorale, che viene svolta tra coloro che credono già in Cristo al fine di approfondire la loro fede e di espanderla in tutta la loro vita cristiana; l'attività ecumenica, che mira a promuovere il ristabilimento dell'unità cristiana.9

Questa definizione e suddivisione teologico-pastorale andrebbe ora concretizzata in maniera sociologico-religiosa al fine di riconoscere quale attività vada praticamente esercitata.

Allora vedremmo che esistono sempre più luoghi in cui vengono in questione tutte e tre le attività.

Non esistono più come una volta paesi e regioni cattolici, protestanti, pagani nettamente distinti.

Una città come Roma, accanto alle molte chiese cattoliche, possiede anche un numero notevole di templi protestanti, nonché molti gruppi e centri non cristiani, e presto avrà anche una delle più grandi moschee del mondo.

Nella città "cattolica" di Monaco di Baviera la frequenza domenicale della chiesa oscilla tra il 10-15% ( nelle città italiane con più di 300.000 abitanti tra il 16-27%, a seconda che si tratti della periferia o del centro ), e nel 1974 il numero delle fuoriuscite ufficiali dalla chiesa ( 6079 ) ha superato per la prima volta il numero dei battesimi.10

In pratica quindi tutte e tre le attività vanno esercitate in tutti e sei i continenti.

Ognuno si dedicherà apostolicamente di più all'uno o all'altro aspetto a seconda del proprio carisma.

II - Il ricupero dei valori biblici dell'apostolato

L'apostolato cristiano deve sempre orientarsi e rinnovarsi alla luce dei suoi inizi.

Guardando alle comunità cristiane antiche11 impariamo a porre gli accenti giusti, che potremmo formulare così ( tenendo naturalmente presente che la priorità accordata al primo concetto non esclude il secondo ).

1. Fede, non opere

La fede in Cristo è l'elemento decisivo ( Rm 10,9; Fil 2,5ss ).

Tale fede libera, mentre la legge, che insisteva sulle opere, opprime.

Nella lettera ai Romani Paolo tenta di tutto per dimostrare che la giustificazione si ha soltanto sulla base della fede, quasi volesse impedire in anticipo un influsso pregiudizievole da parte della mentalità giuridica del popolo romano sulla comunità cristiana.

Nella lettera ai Galati polemizza duramente contro quegli uomini che stravolgono di nuovo il vangelo di Cristo come se la cosa importante fossero le opere, mentre invece coloro che languivano sotto la legge sono stati redenti, hanno ricevuto la condizione di figli e possono invocare nello Spirito di Dio: Abba, Padre! ( Gal 4,6; Gal 5,5s ).

Questa lettera ci mostra in maniera definitiva che la decisione cristiana presa una volta può essere posta in pericolo non solo dalla caduta morale nel peccato, dalla leggerezza morale, bensì anche dal rigorismo morale.

2. Evangelizzazione, non sacramentalizzazione

Cristo ha certamente ordinato in maniera chiara di battezzare e il battesimo stabilisce un rapporto reale con la morte e la risurrezione del Signore ( Rm 6,2-8 ).

Ma il medesimo Apostolo, che ha insegnato così, dice anche: « Ringrazio Dio di non aver battezzato nessuno di voi, eccetto Crispo e Gaio… Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo » ( 1 Cor 1,14.17 ).

Il sacramento è il sigillo della fede, non il suo surrogato.

In un'epoca missionaria successiva missionari piccoli e grandi, animati da uno zelo poco illuminato per le anime, hanno invece battezzato sconsideratamente.

E le età susseguenti hanno poi avuto il loro da fare per trasformare - quando ciò è stato possibile - questi battezzati in cristiani.

È stato dimostrato che non soltanto nell'America latina, ma anche nei paesi occidentali la maggioranza dei cristiani desidera far battezzare i figli, anche se più della metà di essi conosce poco di Cristo e non crede ne alla di lui ne alla propria risurrezione.

È evidente che in queste condizioni occorre nuovamente riflettere sulla priorità dell'evangelizzazione, come si sta appunto facendo.12

3. Spontaneità, non istituzione

Le questioni riguardanti l'ufficio e l'autorità nella chiesa vanno annoverate tra le questioni più spinose dell'esegesi neotestamentaria.

Cristo ha indubbiamente comandato di diffondere il suo messaggio.

Di qui sono sorte con il tempo le strutture ufficiali concrete, che stanno completamente al servizio del messaggio.

Il principio dominante è stato lo Spirito di Gesù, che ha fatto crescere la giovane chiesa ( At 2,47; At 6,7 ), che ha guidato il cammino missionario di Paolo ( At 16,9; At 19,21 ) e che ha fatto arridere il successo alla sua attività ( At 19,11; 2 Cor 2,3ss; Rm 15,17ss ).

Il medesimo Spirito ha edificato anche l'ordine che deve regnare nella vita della comunità ( 1 Cor 3,9ss; 2 Cor 12,19; Ef 4,12-16 ).

Di conseguenza tale ordine è stato accettato dalla comunità e non è stato sentito come qualcosa che contraddicesse all'azione libera di colui che è dotato di carismi, perché è il medesimo Spirito che vuole ambedue le cose.

L'entusiasmo e l'ordinamento procedono mano nella mano, anche se Paolo indirizza determinati ammonimenti a coloro che sono ripieni di Spirito ( 1 Cor 14 ).

Tutta la storia della chiesa fino ai nostri giorni è percorsa dalla tensione tra istituzione e libertà, una tensione che può essere attenuata nella misura in cui ambedue si lasciano guidare dallo Spirito di Dio.13

Lo Spirito ha guidato non solo la vita della comunità, bensì anche la diffusione del vangelo.

La missione cristiana primitiva non è stata posta in atto e organizzata da una centrale, ma è sorta spontaneamente attraverso l'azione di singoli cristiani e di singole comunità che hanno trasmesso la parola di bocca in bocca.

4. Irraggiamento, non ghetto

Le prime comunità cristiane erano sorrette dalla certezza che Dio aveva mantenuto le sue promesse e che agiva in mezzo a loro attraverso il suo Spirito.

Esse non potevano riservare per sé tale certezza, ma si sono sentite costrette a portarla e a predicarla in piazza, come la mattina di Pentecoste.

L'assemblea della comunità, il suo incontro con il Signore nella parola e nel pane della cena costituivano la preparazione per la missione.

L'accento veniva posto sulla missione.

Le comunità non rimangono dei circoli chiusi in se stessi, dove ognuno pensa solo a soddisfare le proprie necessità spirituali; al contrario, esse stesse diventano la miglior forma di predicazione.

« Guardate come si amano », dicevano gli altri nei loro confronti.

Questi gruppi cristiani conglobano ebrei e pagani, uomini e donne, padroni e schiavi.

Le differenze, che separano gli uomini nel mondo, non avevano più valore là dove il battesimo aveva reso tutti mèmbri dell'unico popolo di Dio.

Questa vita comunitaria, dove tutti facevano parte agli altri dei propri beni ( At 4,34ss; At 2,42-47 ), irraggiava.

Oltre a ciò si permetteva anche ai non battezzati e ai semplici curiosi di prender parte alla liturgia della parola.

Costoro udivano, rimanevano pieni di meraviglia, erano conquisi e confessavano: « Dio è veramente tra di voi » ( 1 Cor 14,25 ).

La missione pertanto non si proponeva di convincere e ancor meno di esercitare una violenza morale, ma presentava piuttosto il carattere di un invito.

Naturalmente non dobbiamo idealizzare quel tempo.

Già allora esistevano delle tensioni per i più diversi motivi.

Ciononostante vigeva l'unità nell'ascolto della parola del Signore, nel possesso dello Spirito santo, nell'unica fede e nella comunione con le altre chiese.14

5. Martirio, non successo

Mentre i grandi condottieri della storia hanno conquistato i loro adepti a suon di denaro e di promesse.

Cristo ha fatto balenare non solo a sé, ma pure a tutti coloro che intendevano seguirlo, la prospettiva della croce ( Lc 9,23 ).

Egli ha dichiarato beatitudine il fatto che « gli uomini vi oltraggeranno e perseguiteranno per causa mia » ( Mt 5,11 ), perché, « se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi » ( Gv 15,20 ).

Gli apostoli e la moltitudine dei martiri hanno sperimentato la serietà di queste parole, ma anche la verità del mistero, secondo il quale il chicco di grano deve morire per poter portare molto frutto ( Gv 12,24 ).

Perdendo la vita, essi l'hanno guadagnata ( Mt 10,39 ).

Si sono perfezionati e realizzati in quanto hanno saputo accettare come dotato di senso anche l'insuccesso.15 [ v. Croce ].

III - Il contenuto del messaggio: salvezza integrale

1. La nuova scoperta teologica

Se l'apostolato ha lo scopo di rendere presente sempre e dappertutto l'opera salvifica di Cristo, dobbiamo anche vedere questa salvezza, questa pace ( shalom ), questa speranza in tutto il loro significato.

Poiché nel corso del tempo, invece, il messaggio è stato ridotto alla sua dimensione semplicemente soprannaturale, fino ad intendere per salvezza il fatto di accogliere la fede, di ricevere i sacramenti e di sperare nella vita eterna ( benché la chiesa nella sua prassi, soprattutto nelle missioni, si sia sempre presa cura di tutto l'uomo ).

Sotto l'impulso della "teologia politica" elaborata in Europa16 - secondo la quale la teologia non è una faccenda per eruditi da tavolino, ma deve svolgere una influenza sulla vita pubblica - abbiamo assistito allo sviluppo di una teologia della liberazione in America latina, dove la religione viene sperimentata come alienazione in misura maggiore che non in altri luoghi.17

Tale teologia è stata vigorosamente patrocinata e promossa anche dal concilio ecumenico delle chiese nelle sue assemblee plenarie di Uppsala nel 1968 e di Nairobi nel 1975.18

La chiesa, collocandosi tra i due estremi di una riduzione alla fede pura, al culto e alla salvezza individuale, da un lato, e all'impegno sociale radicale fino all'uso della violenza e alla rivoluzione, dall'altro, deve annunciare la salvezza integrale o la liberazione totale dell'uomo attraverso Gesù Cristo.

La liberazione dal peccato e dalla morte obbliga il cristiano a impegnarsi senza riserve contro le conseguenze del peccato, cosi come esse si manifestano nella struttura del mondo.

La chiesa non può tacere di fronte ai problemi del mondo, di fronte ai pericoli che minacciano la sopravvivenza dell'umanità, di fronte al divario crescente tra paesi poveri e paesi ricchi, di fronte alla discriminazione e al misconoscimento dei diritti umani elementari.

Questa forte accentuazione della salvezza terrena e storica non va vista semplicemente come reazione contro il soprannaturalismo del passato, ma è anche frutto di una nuova riflessione sulla forma più importante della presenza di Cristo.

Noi non dobbiamo semplicemente predicare il Cristo storico e glorificato, non dobbiamo semplicemente onorare il Cristo eucaristico, ma dobbiamo soprattutto prendere seriamente il Cristo mistico, che ci viene incontro nel « più piccolo dei fratelli » ( Mt 10,42 ).

È in questa luce che Madre Teresa spiega l'attività svolta dalle sue suore in India: « Quel medesimo Cristo, che il sacerdote tocca, noi lo possiamo toccare per ventiquattro ore, quando aiutiamo i derelitti».19

Qui non è in gioco un'alternativa, non si tratta di verticalismo o di ( v. ) orizzontalismo, bensì di una sintesi, di capire la salvezza e di conseguenza l'evangelizzazione nel loro significato pieno, senza che ciò metta minimamente in pericolo la gerarchia delle speranze.

La speranza intramondana e storica fa essenzialmente parte della speranza integrale, ma non presenta il medesimo carattere di incondizionatezza della speranza escatologica assoluta.

Qui non esiste alcun "o questo - o quello" e neppure semplicemente "una cosa e l'altra", bensì un'integrazione delle due speranze: non è possibile parlare in maniera credibile e piena dell'una senza parlare anche dell'altra.20

Prima e durante il Sinodo dei vescovi del 1974, dedicato al tema dell'evangelizzazione, si è potuto percepire chiaramente la tensione esistente fra queste due speranze.

La dichiarazione comune dei vescovi del Sinodo ha poi adoperato un linguaggio chiaro a questo riguardo21 e l'esortazione apostolica Evangelii Nutiandi ha quindi aiutato definitivamente questa visuale integrale ad imporsi:22 «É noto in quali termini abbiano parlato [ di un messaggio di liberazione] , al recente sinodo, numerosi vescovi di tutti i continenti, soprattutto i vescovi del terzo mondo, con un accento pastorale in cui vibrava la voce di milioni di figli della chiesa che formano quei popoli.

Popoli impegnati… con tutta la loro energia nello sforzo e nella lotta di superare tutto ciò che li condanna a restare ai margini della vita: carestie, malattie croniche, analfabetismo, pauperismo, ingiustizie nei rapporti internazionali e specialmente negli scambi commerciali, situazioni di neocolonialismo economico e culturale…

La chiesa… ha il dovere di annunziare la liberazione di milioni di esseri umani ».23

2. Conseguenze operative

Nell'apostolato non si tratta quindi in prima linea di riportare nuovamente un cristiano tiepido alla prassi religiosa, bensì di fare in modo che tutti i "praticanti" vengano spinti dalla religione a cambiare il mondo e a donargli una speranza.

La differenza tra i due atteggiamenti viene bene alla luce in due opere classiche: J. B. Chautard, L'ame de tout apostolat,24 e R. Voillaume, Au coeur des masses.25

Non con le parole dobbiamo dimostrare ai marxisti che la religione non è oppio.

Dobbiamo controbattere con i fatti questo giudizio non del tutto infondato.

Il culto ha certamente il compito permanente di orientarci al senso ultimo della vita e di onorare Dio.

Ma nel contempo, attraverso il confronto con la parola di Cristo e con Cristo stesso, dobbiamo prepararci a donarci agli altri, così come lui si è donato per noi.

Oggi le virtù politiche ( = che esercitano un influsso sulla vita pubblica ) devono stare in primo piano nella predicazione.

Per es. non dobbiamo spiritualizzare subito il vangelo della guarigione del lebbroso, individualizzarlo e pregare per la « liberazione dalla lebbra del peccato », ma dobbiamo prenderlo così com'è; Cristo ha guarito i lebbrosi, cioè coloro che sono disprezzati e emarginati dal punto di vista sociale e psicologico, al fine di integrarli di nuovo nella società.

Oggi noi dobbiamo fare la stessa cosa.

Anche i movimenti ( v. ) carismatici di tutte le specie non devono risolversi in una fuga di te al mondo, bensì armare gli oranti in ordine al loro impegno nel mondo.26

Dobbiamo inoltre evitare una specie di dicotomia, come se solo ciò che è esplicitamente religioso fosse pienamente valido e il profano fosse secondario e marginale.

Anche la realtà profana è implicitamente religiosa.

La chiesa non ha semplicemente il compito di predicare la parola di Dio in quanto tale, bensì anche quello di interpretare profeticamente alla luce di questa parola salvifica tutta la storia e tutti i valori, le aspirazioni e le speranze umane, e quindi anche quello di sottolineare l'unità tra amore di Dio e amore del prossimo, tra realtà religiosa e realtà profana.

Ovunque l'uomo si protende o aspira a qualcosa al di là di se stesso, ovunque egli esperimenta e accetta la nascita in mezzo ai dolori, il lavoro accompagnato dalla fatica, la morte velata di tristezza, ovunque egli, dopo aver soddisfatto la propria aspirazione, sente nostalgia di qualcos'altro, là tutto ciò si verifica già all'interno della dimensione della salvezza e quindi della speranza.27

La chiesa di conseguenza non appare più tanto come il luogo della salvezza contrapposto al mondo quale luogo della perdizione, quanto piuttosto la comunità di coloro che predicano e celebrano l'azione di Dio nel mondo.

Questa concezione integrale ci permette di evitare che i marxisti insegnino una storia senza speranza e i cristiani una speranza senza storia, e che arriviamo a un mondo senza chiesa e a una chiesa senza mondo.

IV - I destinatari dell'apostolato

Il vangelo non è un'ideologia che vogliamo imporre agli altri, bensì un messaggio che offriamo loro, non perché desideriamo aver « successo », bensì perché gli altri ne hanno bisogno nel loro intimo più profondo.

Questi "altri" sono semplicemente tutti gli uomini, suddivisi dalla vangelii Nutiandi nei seguenti gruppi:

I lontani: sono coloro che non conoscono ancora Cristo e il suo vangelo, coloro cui si rivolge l'attività missionaria della chiesa.28

Pur con tutta la riserva che dobbiamo avere nello stabilire liste di priorità nell'apostolato ( dato che la chiesa non può escludere alcun gruppo dalla propria sollecitudine ), non v'è dubbio che la prima predicazione da farsi agli uomini delle religioni non cristiane presenta una priorità assoluta.

Questo è il compito primo e autentico della chiesa ( Mt 28,19 ).

Nel 1965 i non cristiani erano 2.272 milioni; per il 2.000 si calcola che saranno 4.214 milioni ( a motivo della forte esplosione demografica nei paesi non cristiani ).

Tali cifre brutali rappresentano per la chiesa una sfida inaudita.

Essa è sempre tentata di occuparsi troppo di se stessa, anziché concentrarsi coraggiosamente sull'evangelizzazione verso l'esterno, anziché « raggiungere coloro che non sono ancora stati raggiunti »29 e espandersi in tal modo al di là di se stessa.

In questo contesto dobbiamo dire una parola sulle religioni non cristiane.

Mentre una volta le vedevamo poste soltanto nell' "ombra della morte", il Vat II ha riconosciuto i loro punti luminosi e i loro valori e ha ammesso che gli uomini viventi in esse possono salvarsi.30

L'ulteriore chiarificazione del valore salvifico vero e proprio delle religioni non cristiane in quanto tali è un compito che è stato demandato ai teologi.

La questione suona concretamente così: quegli uomini possono salvarsi grazie alla loro religione o nonostante la loro religione?

Un gran numero di teologi oggi riconosce almeno un parziale valore salvifico alle religioni, il che non elimina affatto il senso e il dovere dell'evangelizzazione.31

Bisogna offrire « ai missionari di oggi e di domani nuovi orizzonti nei loro contatti con le religioni non cristiane », ciò però non può affatto rappresentare per la chiesa un invito a « tacere l'annuncio di Cristo di fronte ai non cristiani».32

Gli scristianizzati: sono coloro che sono stati battezzati, ma che vivono completamente al di fuori della sfera e della vita cristiana, si tratti di persone semplici che non sanno nulla della fede, o di intellettuali che si sono fermati alle nozioni religiose loro impartite durante gli anni della fanciullezza.33

I fedeli: sono le 99 pecore viventi all'interno dell'ovile, di cui la chiesa si è occupata troppo finora, senza pensare in misura sufficiente alle 901 che stanno fuori.

Naturalmente oggi i fedeli hanno bisogno più di prima di essere aiutati in maniera particolare, al fine di « approfondire, consolidare, nutrire e rendere sempre più matura » la loro fede.

Questa infatti oggi « è esposta alle prove e minacciata: di più, è una fede assediata e combattuta ».34

Si tratta qui di aiutarsi reciprocamente nella fede.

La prova della fede non viene risparmiata neppure ai sacerdoti e ai vescovi.

Oggi ogni cristiano deve essere per gli altri un Pietro che, grazie alla preghiera del Signore, non vacilla nella fede e ha il compito di confermare a sua volta i fratelli ( Lc 22,32 ).

I non credenti: costoro costituiscono il grande peso della chiesa nei paesi "cristiani".

L'allarme è stato suonato per la prima volta in Francia, dichiarando quel paese "terra di missione" e bisognoso di essere rinnovato con "metodo missionario".35

Una situazione del genere è poi venuta creandosi nella maggior parte degli altri paesi in seguito all'ondata del secolarismo.

L'esortazione Evangelii Nutiandi non parla tanto della "secolarizzazione", che è il divenire mondano del mondo, « lo sforzo in sé giusto e legittimo, per nulla incompatibile con la fede o con la religione, di scoprire nella creazione, in ogni cosa o in ogni evento dell'universo, le leggi che li reggono con una certa autonomia…

Il recente concilio ha affermato, in questo senso, la legittima autonomia della cultura e particolarmente delle scienze.36

Noi [invece] vediamo qui un vero secolarismo: una concezione del mondo nella quale questo si spiega da sé senza che ci sia bisogno di ricorrere a Dio, divenuto in tal modo superfluo e ingombrante ».37

Così la pensano gli atei e gli agnostici militanti o pratici.

I non praticanti: si tratta del « gran numero di battezzati che, in larga misura, non hanno rinnegato formalmente il loro battesimo, ma ne sono completamente al margine e non lo vivono…

Essi cercano di spiegare e di giustificare la loro posizione in nome di una religione interiore, dell'autonomia o dell'autenticità personali ».38

L'evangelizzazione di fronte a tutti questi gruppi della "cultura non cristiana" non è facile, però non è senza speranza.

Naturalmente occorre trovare nuove vie e un nuovo linguaggio.

Pur con tutto il suo progresso, l'uomo in fondo non giunge mai alla propria perfezione.

Egli rimane sempre uno che chiede, uno che cerca, uno che guarda al di là di sé.

La contingenza e l'esperienza dei limiti del proprio essere ( tanto nella gioia che nel dolore ) invocano sempre qualcosa di più.

Questo di più, che soddisfa pienamente, non può essere un "qualcosa", bensì un "qualcuno".

Per uscire dal vuoto inferiore, dalla frustrazione e dalla "nostalgia infernale",39 sentita da così tanti uomini, esiste una sola via: la via che porta a Dio.

In questo senso possiamo dire che il mondo moderno invoca potentemente e, nel contempo, in maniera tragica, di essere evangelizzato.40

Gli evangelizzatori debbono stare vicino a quegli uomini e pronunciare nella loro vita la parola giusta nel momento giusto e nel modo giusto ».41

V - Gli operatori dell'evangelizzazione

Se la chiesa possiede in quanto tale il compito di evangelizzare [ sopra, I ], tutti coloro che vivono nel suo seno debbono prender parte ad esso, anche se in un ordine è secondo priorità determinate.

La gerarchia: il papa, i vescovi e i preti [ v. Ministero pastorale ] occupano una posizione preminente a motivo della loro consacrazione e del loro ufficio.

Essi sono maestri della fede.

Ciò è sempre stato sottolineato ed è vero ora come una volta.42

Tale compito va visto come "servizio" da rendere al popolo di Dio.43

Affinché la gerarchia parli la lingua desiderata, capace di essere intesa dagli uomini di oggi, deve per così dire amalgamarsi con queste persone, « nonché con le aspirazioni, le ricchezze, i limiti, i modi di pregare, di amare, di considerare la vita e il mondo che contraddistinguono un determinato ambito umano »,44 in breve deve dialogare con il popolo di Dio e partecipare concretamente alla sua vita.

I religiosi [ v. Vita consacrata ]: essi devono svolgere una duplice funzione specifica al servizio dell'evangelizzazione: anzitutto, grazie alla loro « totale disponibilità verso Dio e verso la chiesa »,45 nel corso della storia della missione hanno avuto « una parte importantissima nella evangelizzazione del mondo ».46

D'altro lato e soprattutto, « attraverso una più intima consacrazione a Dio, quale avviene nella chiesa », essi esprimono chiaramente « l'intima natura della vocazione cristiana ».47

«Con la stessa intima natura del loro essere si collocano nel dinamismo della chiesa, assetata dell'Assoluto di Dio, chiamata alla santità.

Di questa santità essi sono testimoni ».48

Il loro contributo più importante non sta perciò nei piccoli servizi che prestano qua e là nelle parrocchie, bensì nella loro vita secondo il vangelo, che devono continuamente sforzarsi di vivere in maniera credibile.49

I ( v. ) laici: mentre una volta si sottolineava soprattutto la dipendenza dei laici dalla gerarchia,50 il Vat II dice che il loro apostolato è fondato nella loro stessa vocazione cristiana, ch'essi partecipano in maniera specifica e necessaria alla missione della chiesa, che la nuova coscienza che hanno della loro propria responsabilità è frutto dell'azione innegabile dello Spirito santo.51

Tale loro apostolato si svolge in due campi: « Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale e anche di altre realtà accessibili all'evangelizzazione, quali l'amore, la famiglia, l'educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza, ecc.

Più ci saranno laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà e esplicitamente impegnati in esse… tanto più queste realtà, senza nulla perdere ne sacrificare del coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio… della salvezza in Gesù Cristo ».52

Qui ci viene indicata la via per superare la dicotomia tra sacro e profano [ sopra. III, 2 ].

Oltre a ciò i laici possono sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare nel servizio della comunità ecclesiale.

In questo campo essi possono assumersi varie funzioni ministeriali, per es. lavorare come catechisti, come guida nella preghiera comunitaria, come responsabili della caritas ecclesiale, nei movimenti apostolici o nei gruppi di base.

La Evengelii Nutiandi ringrazia tutti i laici che dedicano parte del loro tempo a questi compiti, e incoraggia i vescovi a prendere seriamente la preparazione corrispondente a tali mansioni, al fine di accrescere in essi la « sicurezza indispensabile, nonché l'entusiasmo per annunziare Gesù Cristo oggi ».53

La gioventù [ v. Giovani ] : ad essa viene riservata un'attenzione particolare; tutti sanno a quanti pericoli oggi sia esposta; d'altra parte si sottolinea il fatto che i giovani devono diventare apostoli nei confronti degli altri giovani.54

In tal modo si fa luce un cambiamento, che si era già verificato durante il Sinodo dei vescovi del 1974: inizialmente si è parlato dei gruppi da evangelizzare, nella seconda metà invece dei gruppi evangelizzatori.

I destinatari dell'evangelizzazione diventano i protagonisti di essa; in altre parole: solo coloro che sono stati evangelizzati possono evangelizzare a loro volta, però è vero anche il contrario: evangelizzando uno viene evangelizzato.

L'evangelizzazione non viene effettuata tanto attraverso gli individui, quanto piuttosto in seno a comunità.

La Evangelii Nutiandi mette in risalto in modo particolare due luoghi privilegiati dell'evangelizzazione: La ( v. ) famiglia: è qui che va anzitutto ricercato lo « spazio in cui il vangelo viene trasmesso e da cui il vangelo si irradia ».55

La famiglia quale « chiesa domestica»56 diventa via via sempre più importante, in quanto in molti paesi le strutture della chiesa sono state distrutte o viene ad esse impedito di svolgere la loro attività.

Le comunità ecclesiali di base: questo fenomeno, che è comparso nel cielo ecclesiale come un segno di speranza, ha maturato i suoi frutti più tangibili nell'America latina.

Là sono innumerevoli i gruppi di persone il più delle volte semplici, che si radunano per leggere la bibbia, per meditare e per plasmare meglio la loro vita concreta in una ricerca comune alla luce della parola di Dio.

Anche in Europa sono sorti gruppi del genere per le motivazioni più diverse, soprattutto per il bisogno di superare l'anonimità della parrocchia tradizionale e di costituire una genuina comunità di fede.57

Ad essi, qualora rimangano sulla linea del vangelo e della chiesa, viene riconosciuto un grande ruolo per il rinnovamento di quest'ultima58 [ v. Comunità di vita VIII,2 ].

VI - L'evangelizzazione nel contesto delle culture

1. Il postulato

L'evangelizzazione non consiste solo nel convertire questo e quello, bensì in un processo molto più vasto, e cioè nel convertire, « in virtù della sola potenza divina del messaggio… la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l'attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l'ambiente concreto loro propri…, i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità ».59

In altre parole essa consiste nell'evangelizzare in maniera vitale e in profondità le culture dell'umanità: « La rottura tra vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca…

Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura o, più esattamente, delle culture ».60

2. La sua attuazione nelle chiese vecchie

Nei paesi occidentali, caratterizzati da un cristianesimo secolare, la chiesa si trova posta di fronte a situazioni nuove e assai diverse tra loro, situazioni che deve prendere molto seriamente al fine di predicare il messaggio agli uomini odierni nel linguaggio odierno.

Possiamo indicare così le linee fondamentali delle culture moderne: si tratta di una cultura tecnico-scientifica, laica, atea o fortemente secolarizzata, di stampo marxista o liberale; esiste una cultura fatta di ( v. ) religiosità popolare, ancor sempre ricca di valori, ma non di rado frammista a magia, superstizione e spiritismo e che va quindi purificata e demitizzata; ci troviamo di fronte a una civiltà dell'immagine ( cinema-televisione ), con le sue suggestioni corrispondenti, le sue possibilità educative, da un lato, e i suoi pericoli, dall'altro; notiamo una sensibilità per la discussione teolo-gica, che oggi interessa molti cristiani, ma che sovente finisce anche per disorientarli.61

Di fronte a simili situazioni non è più possibile predicare una teologia tradizionale, monocordo, metafisica.

Dobbiamo mettere la teologia a confronto con la realtà empirica delle varie culture e elaborarla nel loro seno.

Diventa così necessario, pur con tutta l'unità della fede, un pluralismo di teologie che corrisponde alla grandezza e alla trascendenza di Cristo stesso e che ci fa di nuovo presagire in misura maggiore l'ampiezza illimitata e il mistero inconcepibile del mondo della fede"62

3. La sua attuazione nelle chiese giovani

Molte delle situazioni ora menzionate esistono anche nelle chiese giovani.

Queste però si trovano ancora in una condizione caratterizzata da questi fatti: i cristiani rappresentano il più delle volte una minoranza; nel passato abbiamo portato loro un "cristianesimo europeo" che li ha resi culturalmente stranieri nella propria terra natale; oggi in esse si cominciano a scoprire i valori genuini delle religioni e delle culture non cristiane per lungo tempo disprezzati e si riconosce che occorre impiantare il cristianesimo in tali valori e non accanto ad essi.

« Dopo aver cristianizzato l'Africa, occorre ora africanizzare il cristianesimo » dicevano i vescovi africani nel Sinodo del 1974.

In una dichiarazione comune emessa al termine di quell'assemblea essi affermavano che fino ad allora si era parlato di adattamento del cristianesimo, cioè di un adeguamento in cose esteriori insignificanti, ma che d'ora in poi si sarebbe trattato di incarnarlo e quindi di predicare il vangelo all'interno di quelle culture, di permettergli di derivare di là la propria forma e la propria carne e di avere là una propria storia.63

La richiesta è stata avanzata e viene riconosciuta anche nella Evangelii Nutiandi.

Speriamo che la sua concreta realizzazione non abbia a urtare contro un'opposizione troppo grande da parte di quei circoli che identificano l'unità della chiesa con l'uniformità.

VII - Spiritualità apostolica

La nuova coscienza della dimensione missionaria della chiesa influisce efficacemente nell'elaborazione di una spiritualità apostolica, valida non solo per i missionari e gli operatori di pastorale, ma anche per tutti i cristiani del nostro tempo.

Le moderne acquisizioni teologiche e delle scienze umane hanno prodotto dei cambiamenti nel modo di impostare la missione e di vivere la spiritualità.

Si sono prese le distanze da un proselitismo poco rispettoso della libertà di religione, dalla trascuratezza dei valori culturali dei popoli, dalla occidentalizzazione forzata dell'annuncio cristiano.64

La spiritualità, dal canto suo, ha vissuto un passaggio da un'impostazione ascetica e individualistica ad una mistica della comunità, dalla fuga alla presenza nel mondo, dalla diffidenza per l'azione ad una valorizzazione di essa come espressione d'amore, da una concezione di apostolato / travaso a quella di apostolato / spazio di incontro con Dio, fonte di contemplazione e stimolo di perfezione.

Alcuni orientamenti entrano ormai a fare parte della spiritualità cristiana, specificandone il carattere essenzialmente apostolico in forma attuale.

1. Il senso trinitario dell'invio

L'apostolato fu visto talvolta come vocazione eccezionale o atto di generosità derivante da slancio personale o partecipazione alla missione dell'autorità ecclesiastica.

Il Vat II collega invece l'apostolato dei fedeli immediatamente al battesimo, con il quale essi partecipano alla missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo,65 e in ultima analisi al mandato missionario che Gesù ha ricevuto dal Padre ed ha trasmesso ai discepoli perché fosse attuato nello Spirito ( Gv 20,21-22; Mt 28,19-20 ).66

In tal modo la missione apostolica dei cristiani « prende origine e alimento, attraverso la mediazione storica di Gesù, nella ricchezza trascendente del mistero trinitario ».67

Il cristiano non può dunque considerarsi un essere gettato nell'esistenza, ma un figlio inviato dal Padre nel mondo perché vi attui la salvezza.

Egli deve attingere il senso della sua esistenza missionaria da uno stretto e vitale riferimento alla Trinità, partendo da un intimo rapporto con Cristo: « Siccome la fonte e l'origine di tutto l'apostolato della chiesa è Cristo, mandato dal Padre, è evidente che la fecondità dell'apostolato dei laici dipende dalla loro vitale unione con Cristo, secondo il detto del Signore: "Chi rimane in me ed io in lui, questi produce molto frutto, perché senza di me non potete fare niente" ( Gv 15,5 )».68

Da Cristo, apostolo e messaggero del Padre ( Eb 1,2; Gv 6,29 ), il cristiano assimilerà l'autentico spirito missionario come è espresso nella vita e nell'insegnamento del Signore: l'intimità con il Padre, la ricerca degli uomini, specie dei peccatori e degli oppressi, il superamento delle crisi, la veracità nel proclamare il regno di Dio contro ogni contraffazione religiosa, soprattutto l'amore fino al dono supremo di sé.

Tra le parole di Gesù assumono importanza paradigmatica i discorsi di missione ( Lc 9,1-5; Lc 10,1-20 ), che al di là dei riferimenti a particolari situazioni storiche disvelano le caratteristiche dei veri discepoli di Gesù: inerme mansuetudine, povertà, totale dedizione alla missione, neutralizzazione delle forze del male, annuncio urgente e instaurazione del regno di Dio.

Se la chiesa « per sua natura è missionaria in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine »,69 il cristiano vive apostolicamente solo se si inserisce con consapevolezza nella dinamica fontale dell'amore trinitario. Co-me potrebbe il cristiano rinchiudersi nel proprio io quando vibra in lui l'amore del Padre per il mondo da salvare ( Gv 3,16-17 )?
Come potrebbe limitare il suo orizzonte se risuona in lui il comando di Cristo: « Andate in tutto il mondo » ( Mc 16,15 )?

Come infine potrebbe restare indifferente di fronte ai fratelli se è tempio dello Spirito santo, forza che lancia fino alle estremità della terra ( At 1,8 )?

Il dialogo d'amore con le tre persone divine è fondamentale al cristiano perché svolga il suo compito apostolico secondo il disegno divino di salvezza, le cui linee essenziali sono fissate nella testimonianza biblica.

Il cristiano vi attingerà un sempre rinnovato senso dell'invio, l'universalismo che fa cadere ogni barriera discriminatrice, la trasparenza che non oscura la Parola nel trasmetterla, la fedeltà nell'impegno, l'iniziativa e la tempestività, la certezza della corona di giustizia, soprattutto il senso trinitario dell'invio, che unifica l'esistenza dandole il significato di una missione ricevuta da Dio perché la sua gloria si diffonda nel mondo [ v. Eucaristia II,2 ].

2. Il si a Dio e al mondo

Il cristiano non può svolgere in tranquillità di spirito la sua missione apostolica se non risolve il classico problema dell'unità da raggiungere nella vita spirituale onde risolvere la divisione del cuore, sempre sollecitato dal giogo dei due padroni.

L'aspirazione a unificare la vita spirituale costituisce talvolta per l'apostolo un vero dramma: nelle zone più profonde del suo essere « si alternano i flussi e i riflussi contrari generati dall'attrazione dei due astri rivali…: Dio e il mondo ».70

L'ascetica tradizionale talvolta ha risolto la tensione quasi eliminando il mondo o assorbendolo nell'amore di Dio [ v. Ascesi ].

Il tema della "fuga dal mondo", che percorre la letteratura cristiana, si fonda su una visione pessimista delle creature, considerate occasioni di peccato o ostacolo all'unione con Dio.

S. Bernardo propone la vita monastica come ideale cui tendere: « Fuggite da Babilonia e salvate le vostre anime, correte alle città di rifugio [ i monasteri ], dove possiate fare penitenza del passato, ottenere la grazia nel presente e ripromettervi la gloria futura ».71

L'Imitazione di Cristo valuta negativamente la convivenza umana quando afferma: « I più grandi santi evitavano quanto potevano il consorzio umano e sceglievano di vivere con Dio nel nascondimento.

Disse un tale: "Ogni volta che sono stato tra gli uomini sono tornato meno uomo"…

Chi dunque vuole diventare uomo interiore e spirituale deve con Gesù allontanarsi dalla folla…

Dio con i santi angeli si avvicinerà a colui che si separerà dai conoscenti e amici ».72

Un tipico esempio della stessa mentalità è rappresentato da J.-J. Surin ( 1665 ), che unifica la vita spirituale nell'amore di Dio solo, ossia nel trasferimento di ogni affetto dalle creature al Creatore.

Poiché « Dio non sopporta che noi dividiamo il nostro amore tra lui e le creature », è necessario operare uno « sganciamento assoluto dal mondo e da tutte le creature », fino a rompere i contatti « con ogni persona, anche con i più intimi amici ».73

Il nostro secolo ha abbandonato ormai questa cultura di sapore manicheo per recuperare il valore della creazione e soprattutto il centro del messaggio cristiano: l'amore verso il prossimo ( Gal 6,2; 1 Cor 12,31; 1 Cor 14,1; 1 Gv 3,11 ).

L'antropologia teologica ha appurato che Dio non è il rivale dell'uomo e che - secondo le intuizioni di Teiihard de Chardin - l'appassionarsi alle realtà terrestri e la loro massima valorizzazione non solo non si oppone all'amore di Dio, ma è un mezzo di unione con lui.74

Ne consegue che « l'amore di Dio e quello delle creature non debbono essere concepiti come se fossero in concorrenza fra loro, in modo che aumentando l'uno, diminuirebbe necessariamente l'altro.

L'amore di Dio deve diventare l'anima di tutti gli altri affetti, e lungi dall'impedirli deve piuttosto potenziarli.

L'amore del mondo pregiudica l'amore di Dio, soltanto se uno non ama il mondo come un valore finito, partecipazione del supremo valore, ma lo pone sullo stesso piano di Dio ».75

Senza dubbio il cristiano non ignora le consegne restrittive della scrittura, che invitano a non conformarsi alla mentalità del secolo ( Rm 12,2 ) o perfino ad odiare il mondo ( 1 Gv 2,15 ) e a non pensare alle cose della terra ( Col 3,2 ).

L'interpretazione di questi passi è tuttavia lontana da un disprezzo del mondo o delle realtà terrene; essi si limitano a mettere in guardia contro i costumi pagani e contro il mondo nel suo significato peggiorativo, cioè « l'umanità in ribellione contro Dio, l'insieme della realtà umana in quanto qualificata da questa ribellione e votata al giudizio ».76

Similmente "le cose della terra", cui Paolo invita a non pensare, non sono le occupazioni temporali o professionali, ma i peccati e i vizi in genere e la pleonexia in specie, che consiste nel volere possedere sempre di più ed è l'origine dei disordini sociali.77

Perciò l'Apostolo enuncia a tre riprese il principio: « Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato » ( 1 Cor 7,17.20.24 ).

Ma la scrittura contiene altri passi dove il rapporto con il mondo è visto in termini positivi.

Abbiamo l'affermazione chiara che Dio ama il mondo ( Gv 3,16 ); Cristo prega non perché i suoi discepoli vengano tolti dall'ambiente umano, ma perché siano custoditi dal male ( Gv 17,15 ).

A differenza di Qumran; Gesù non insegna nessuna segregazione sociologica: « Egli non vive in un convento e nemmeno nel deserto…

La sua azione si svolge in pubblico, nei villaggi e nelle città, in mezzo agli uomini, in contatto persino con chi ha una pessima reputazione sociale, con chi secondo la legge è impuro ».78

Del resto l'importanza centrale che ha l'amore fraterno nel NT ( Col 3,14; Rm 13,10; Gv 13,35; Mt 25,34-46 ) testimonia la necessità di un contatto con gli uomini, pena l'inadempimento di questo compito essenziale e della missione evangelizzatrice ricevuta dal Signore.

Perciò, con Paolo, il cristiano compie l'opzione fondamentale per il prossimo, preferendo restare sulla terra per aiutarlo a progredire in una fede gioiosa piuttosto che raggiungere Cristo nella vita beata ( Fil 1,23-24 ).

Se talora il regno di Dio fu concepito come realtà ultraterrena o ultramondana, oggi si comprende che « Gesù esige che l'uomo si occupi così totalmente della causa del regno di Dio nel mondo che, al suo confronto, le preoccupazioni per se stesso e per i propri beni devono passare in seconda linea ».79

Ogni spiritualità che accetta il messaggio di Gesù circa il regno di Dio e l'amore del prossimo deve essere una spiritualità orientata verso il mondo.

Giustamente il Vat II, ponendosi in prospettiva pastorale, auspica che i fedeli « vivano in strettissima unione con gli uomini del loro tempo »,80 anzi ritiene che esista un legame profondo tra consacrazione e missione, tale da esigere una vita in mezzo agli uomini: « I presbiteri del NT… sono in un certo modo segregati in seno al popolo di Dio: ma non per rimanere separati da questo stesso popolo o da qualsiasi uomo, bensì per consacrarsi interamente all'opera per la quale li ha assunti il Signore ».81

In sintesi, il cristiano non può disgiungere l'amore di Dio dal sì al mondo, perché proprio questo sì è voluto da Dio e fu attuato da Cristo.

« La chiesa quindi, - conclude il Vat II - per essere in grado di offrire a tutti i misteri della salvezza…, deve cercare di inserirsi in tutti questi raggruppamenti [ umani ] con lo stesso metodo con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò a quel certo ambiente socio-culturale degli uomini, in mezzo ai quali visse ».82

L'incarnazionismo missionario deve portare a considerare il mondo come luogo di incontro con Dio e ambiente adatto ad un'esperienza dell'amore creatore e redentore di Dio.

3. Il valore dell'azione

Accanto alla diffidenza per il mondo, un altro atteggiamento minaccia la spiritualità apostolica: la svalorizzazione dello stesso apostolato.

Prima ancora della reazione contro l'attivismo o la cosiddetta "eresia dell'azione", si era imposta tra gli autori spirituali una concezione unilaterale e intimista della vita cristiana: questa era ritenuta essenzialmente come vita interiore, contemplativa, rivolta al proprio perfezionamento, nutrita di pratiche di pietà.

Tutto il resto, comprese le opere di zelo o il lavoro professionale, era considerato azione esteriore, che veniva ammessa, tollerata o condannata secondo il suo rapporto con la vita interiore.

« Dobbiamo avere - afferma il Lallemant -, innanzitutto dentro di noi e per noi stessi, una vita perfettissima attraverso una continua applicazione della nostra mente e della nostra volontà a Dio.

Poi potremo uscire fuori per il servizio del prossimo, senza pregiudizio per la nostra vita interiore…

La nostra principale occupazione sarà sempre la vita interiore ».83

Si suppone, in questo contesto, che l'apostolato costituisca una eccezione o un rischio da fuggire appena è possibile per ritornare alla quiete interiore dell'unione con Dio: « Dobbiamo essere come l'aquila che vola via nell'aria appena ha preso la preda.

Così noi dobbiamo ritirarci nella preghiera, dopo avere svolto le nostre funzioni verso il prossimo e mai ingerirci in esse a meno di esservi destinati dall'obbedienza ».84

Un simile orientamento nullifica o attutisce la dedizione al prossimo rasentando l'egoismo spirituale: « Voi dovete dare di più alla vostra anima che a tutti i poveri del mondo - dice un direttore spirituale del sec. XVII - …

La carità ben regolata vuole che voi preferiate non solo la vostra salvezza, ma anche la vostra perfezione spirituale al conforto, alla consolazione e alla soddisfazione di tutti gli uomini ».85

Il Vat II supera questa dicotomia tra vita spirituale e apostolato affermando chiaramente che il secondo è parte essenziale della prima: « La vocazione cristiana… è per sua natura anche vocazione all'apostolato ».86

Si ha qui una visione dinamica dell'esistenza cristiana, perché « la missione non si configura più semplicemente come un'attività esteriore, sovrapposta quasi accidentalmente ad un cristianesimo statico; essere cristiani significa di per sé spingersi al di là della propria persona, è perciò caratterizzato da una impronta missionaria e si deve quindi esprimere necessariamente - in ogni tempo e in ogni vero credente - in un'attività esterna, atta a realizzarne la sua natura più profonda ».87

Se il dedicarsi a procurare la gloria di Dio e l'avvento del suo regno rientra a pieno diritto nella vita cristiana, non vi è ragione di esercitare l'apostolato con inquietudine, quasi rubasse il tempo riservato a Dio.

L'attività apostolica è un modo di realizzare l'unione con Dio, come avviene attraverso la preghiera, poiché appunto la si compie per adeguarsi al volere divino.

L'apostolato, oltre che conseguenza dell'amore cristiano e della contemplazione del Dio della salvezza, è pure mediazione privilegiata di santità in quanto promuove direttamente il regno di Dio ed è continuazione dell'attività redentrice di Cristo: è comunione con Dio, atto di culto e forma di partecipazione al dinamismo divino nella storia ( 1 Cor 3,9; 1 Tm 3,2; 2 Tm 4,2; Rm 1,9 ).

Si comprende ora l'insistenza dei documenti conciliari sul valore dell'azione in ordine alla vita spirituale.

I laici non devono prima raggiungere un alto grado di perfezione e poi essere lanciati nell'apostolato, ma sono esortati « a tutto vedere, giudicare ed agire nella luce della fede, a formare e perfezionare se stessi con gli altri mediante l'azione, ed entrare cosi nell'operoso servizio della chiesa ».88

Ai religiosi dediti all'apostolato è ricordato che « l'azione apostolica e caritativa rientra nella natura stessa della vita religiosa in quanto costituisce un ministero sacro e un'opera di carità che sono stati affidati loro dalla chiesa… ».89

I sacerdoti, come pure i vescovi, devono considerare il proprio ministero un eccellente mezzo di santificazione: « Anziché essere ostacolati alla santità dalle cure apostoliche, dai pericoli e dalle tribolazioni, ascendano piuttosto per mezzo di esse ad una maggiore santità ».90

Essi pertanto sanno che per armonizzare la vita inferiore con l'azione esterna « non bastano ne l'ordine puramente esterno delle attività pastorali, ne la sola pratica degli esercizi di pietà, quantunque siano di grande utilità.

L'unità di vita può essere raggiunta invece dai presbiteri seguendo nello svolgimento del loro ministero l'esempio di Cristo Signore, il cui cibo era il compimento della volontà di Colui che lo aveva inviato a realizzare la sua opera ».91

Per comunicare in Cristo con la volontà del Padre il cristiano deve rendersi docile agli impulsi dello Spirito, accrescere la sua carità nell'incontro sacramentale con il Signore, discernere i ( v. ) segni dei tempi, ossia leggere la storia in dimensione religiosa.

È necessario oggi aggiungere alla meditazione tradizionale dei misteri divini, rivelati nella bibbia, quella che viene definita « meditazione ad occhi aperti » e che « trova Dio non abbandonando il mondo…, bensì rivolgendosi con amore e rispetto alle cose del mondo ».92

Si tratta di ricongiungersi alla grande tradizione biblica, che concepiva la preghiera come una celebrazione delle vicende della storia della salvezza: stupore dell'anima di fronte alle opere di Dio, sguardo di fede penetrante gli eventi e attento a leggere i segni della presenza e dell'azione divina nel mondo, volontà di cooperare all'alleanza inserendosi nel solco del disegno salvifico.

4. La testimonianza della vita

Se si esamina il mandato missionario di Gesù notiamo che l'espressione: « Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo » ( Mc 16,15 ) coincide con l'altra: « Mi sarete testimoni… fino agli estremi confini della terra » ( At 1,8 ).

Esiste cioè un'equivalenza o un nesso tra evangelizzazione e testimonianza, in quanto quella non è trasmissione di idee, ma diffusione di un « messaggio di salvezza, cioè di un complesso di valori destinati a dare un senso alla vita.

E i valori si trasmettono per testimonianza ».93

Oggi in modo particolare si ha un'allergia a credere alle parole non sostenute e garantite dalla vita di chi le pronuncia: non si distingue tra la predica e il predicatore, si accettano o si rifiutano insieme.

La testimonianza della vita è il segno più importante di credibilità, poiché attesta la sincerità dell'apostolo e la presenza della forza divina trasformatrice dell'esistenza.

Una grave responsabilità si assume il cristiano quando con la sua vita è occasione di scandalo e addirittura di ateismo, non rivelando ma nascondendo il vero volto di Dio e della religione.94

La storia documenta che quando è mancata la santità negli evangelizzatori si è compromessa la conversione dei popoli al cristianesimo.

Riferendosi alla predicazione agli indios nel sec. XVI, il teologo De Viteria osservava: « Non ho sentito parlare di nessun segno o miracolo ne di esempi di vita religiosa; anzi, al contrario, di numerosi scandali, di orrendi delitti e di molte empietà.

Perciò non sembra che la religione cristiana sia stata predicata in modo adatto e pio perché quelli [ gli indiani ] siano tenuti ad accettarla ».95

Indubbiamente l'efficacia della testimonianza non va esagerata: « La testimonianza infatti da una parte, nella vita presente, non potrà mai godere di totale trasparenza, per il fatto che la chiesa abbraccia insieme i giusti e i peccatori, e solo nella fase escatologica potrà risplendere di perfetta purezza.

D'altra parte si deve notare che nemmeno una testimonianza perfettissima da assoluta efficacia all'evangelizzazione, e Cristo Signore resterà sempre segno di contraddizione ».96

Nonostante questi limiti i cristiani devono sforzarsi di seguire l'esempio di Cristo, «il testimone fedele» ( Ap 1,5; Ap 3,14 ), dando a loro volta testimonianza di coerenza evangelica:

« Tutti i cristiani sono tenuti a manifestare con l'esempio della loro vita e la testimonianza della loro parola l'uomo nuovo, di cui sono stati rivestiti nel battesimo, e la virtù dello Spirito santo, da cui sono stati rinvigoriti nella cresima; sicché gli altri, vedendone le buone opere, glorifichino Dio Padre… ».97

In particolare la spiritualità apostolica include un complesso di disposizioni e di virtù, sulle quali le lettere paoline ritornano con insistenza: la parresia o il coraggio nell'annunziare il vangelo con libertà di parola ( 1 Ts 2,2; 1 Cor 3,12; 2 Cor 3,12; Ef 6,19-20 ), l'accettazione delle prove e persecuzioni che contrassegnano quanti vogliono vivere in Cristo e testimoniarlo ( 2 Tm 3,12; 1 Cor 4,9-13; 2 Cor 4,7-11 ), il servizio della parola ( Rm 15,16; Col 1,23; Fil 2,22 ).

Soprattutto caratterizza l'apostolo una dinamica di amore in cerca di comunicazione ( 2 Cor 5,14-15 ), che assume toni materni: « Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature » ( 1 Ts 2,7 ).

Poiché l'apostolo tende alla rigenerazione nel Cristo, « anche nella sua opera apostolica la chiesa giustamente guarda a Colei, che generò Cristo…

La Vergine infatti nella sua vita fu modello dì quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli, che nella missione apostolica della chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini ».98

Il riferimento a ( v. ) Maria, oltre a ricordare lo scopo essenziale e il carattere materno dell'apostolato,99 offre il paradigma dell'unità di vita del cristiano, poiché la Vergine « mentre viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro, era sempre intimamente unita al Figlio suo, e cooperava in modo del tutto singolare all'opera del Salvatore ».100

L'amore del prossimo si esprime oggi con l'azione a favore della giustizia e con la partecipazione alla trasformazione del mondo: forse è la testimonianza maggiormente stimata ed esigila nel nostro tempo, il segno di credibilità che l'annuncio del regno di Dio trova rispondenza nella trasformazione della realtà.

Evangelizzazione
Missione
Servizio
Testimonianza
Significato Apostolato
Eucaristia II
… come amicizia caritativa Amicizia VIII
Eucaristia II
… e disciplina Ascesi III
… e vita cristiana Celebrazione II
Laico III
Laico IV
… e fede Credere IV
… e contemplazione Contemplazione II
… e preghiera Ascesi III
Contemplazione II
Simbolizzato nell'eucaristia Eucaristia II
… e povertà affettiva Amicizia IX
… dell'anziano Anziano II
Anziano III
Proselitismo Celebrazione II

S. G. B. de La Salle

Necessità dell'obbedienza MD 7,1
Riusciremo sempre, se agiremo per obbedienza MD 57,1-3
San Gregorio Nazianzeno MF 126,2
San Barnaba MF 134,3
San Pietro apostolo MF 139,3
San Cassiano vescovo e martire MF 155,1-3
San Bartolomeo apostolo MF 159,1
San Pietro di Alcantara MF 179,1
I Santi apostoli Simone e Giuda MF 182,2

1 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi
2 F. KIostermann, Das christliche Apostatai, Innsbruck, Tyrolia 1962, 1133; Y. Congar, Apostolicità e apostolo, in Mysterium Salutis ( a cura di J. Feiner e M. Lohrer ), Brescia, Queriniana, 1972, VII, 678s
3 Apostolicam Actuositatem 2
4 Ad Gentes 2
5 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 12
6 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 6-16
7 Ad Gentes 1, 2
8 M. Hengel, Nachfolge una Charisma, Berlino 1968. 96-99
9 Ad Gentes 6;
Unitatis edintegratio 4
10 Herder Korrespondenz. 29 (1975) 428-430; S. Burgalassi, II comportamento religioso degli italiani, Firenze 1967, 17; E. Pin e E. Cavallin, La religiosità dei romani, Roma, CIRIS 1970
11 L. Cerfaux, La communauté apostoUque, Parigi, Cerf 1956; H. Frohnes e U. W. Knorr (a cura di), Kirchengeschichte als Missionsgeschichte, I, Monaco, 1974, 3-17, 94-128; H. Jedin ( a cura di ), Handbuch der Kirchengeschichte, I, Friburgo i. Br., Herder, 1962, 125-131
12 C. Floristan Samanes, Il catecumenato. Una chiesa in stato di missione, Alba, Edizioni Paoline 1976
13 L. J. Suenens, Lo Spirito Santo, nostra speranza, Alba, Edizioni Paoline 1976, 15s, 31ss
14 B. Papa, Tensioni e unità della chiesa, Bari, Ecumenica Editrice 1976
15 F. X. Durrwell, Le mystère pascal, Parigi, Ouvrières 1970, 297-320; H. von Campenhausen, Das Martyrium in der alten Mission, in H. Frohnes e U. W. Knorr, o. e., 71-85
16 H. Peukert, Diskussion zur « politischen Theologie », Monaco Magonza 1969
17 P. Gutiérrez, Teologia della liberazione, Brescia, Queriniana 1972
18 N. Goodall (a cura di), Rapport d'Uppsala, Ginevra, Conseil Oecumén. des Eglises 1968; H. Kriiger e W. MiiIler-Romheld (a cura di), Bericht aus Nairobi 1975, Francoforte, Lembeck 1976
19 M. Muggeridge, Qualcosa di bello per Dio, Roma, Edizioni Paoline 1974; J. Gonzales, I fioretti di Madre Teresa di Calcutta, Roma, Edizioni Paoline 1975
20 D. Wiederkehr, Perspektiven der Eschatotogie, Zurigo, Benziger 1974, 203
21 L'Osservatore Romano, 27 ott. 1974; Il Regno. Documenti 19 (1974) 531-533
22 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 25-39
23 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 30
24 Lione-Parigi 1920 (vers. it.: L'anima di ogni apostolato, Roma, Edizioni Paoline 1968)
25 Parigi, Cerf 1966 (vers. it.: Come loro. Mei cuore, delle masse, Roma, Edizioni Paoline 19789)
26 L. J. Suenens, o. e., 102s, 157-165
27 K. Rahner, Unità dell'amore di Dio e del prossimo, in Nuovi Saggi, I, Roma, Edizioni Paoline 1968, 385-412; Id., Rapporto tra natura e grazia, in Saggi di antropologia soprannaturale, Roma, Edizioni Paoline 1965, 43-77
28 Ad Gentes 6;
Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 51
29 E. C. Pentecost, Reaching thè unreached, South Pasadena, William Carey Library 1974; W. Biihimann, La terza chiesa alle porte, Alba, Edizioni Paoline 1976, 164-188
30 Nostra Aetate;
Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 53
31 W. Biihimann, o. e, 251-269; K. Rahner, Valore salvifico delle religioni non cristiane, in Congresso Internaz. di Missiolpgia, Roma, Pontif. Univ. Urbaniana 1976
32 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 53
33 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 52
34 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 54
35 H. Godin et Y. Daniel, La France, pays de mission? Lione, Ed. de l'Abeille 1943; J. F. Six, Cheminements de la mission de Franco, Parigi 1967; G. Michonnau, Paroisse, communauté missionnaire, Parigi, Cerf 1945; M. Deibrél, Ville marxiste: terre de mission, Parigi, Cerf 1958
36 Gaudium et Spes 59
37 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 55
38 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 56
39 P. P. Pasolini, La divina mimesis, Torino, Einaudi 1976
40 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 55
41 G. Cristaldi, Contemporaneità di Cristo, Roma, Studium 1973; W. Biihimann, o. e., 327-335; D. L. Edwards, Religion in einer verdnderten Welt, Monaco, Kósel 1975
42 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 67s
43 Lumen Gentium 18
44 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 63
45 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 69
46 Ad Gentes 40;
Ad Gentes 27
47 Ad Gentes 18;
Lumen Gentium 31;
Lumen Gentium 44
48 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 69
49 Perfectae Caritatis
50 F. KIostermann, in LTK 1 (1957) 755-757; Id., Das christliche Apostolat, o. e., 588-759. Per l'Azione Cattolica in Italia cf Statuto dell'Azione Cattolica Italiana, Roma 1969; F. Franceschi e L. Di Giannicola, Le scelte e gli impegni dell'Azione Cattolica, in Presenza Pastorale, 1974, 941-991
51 Apostolicam Actuositatem 1, 3
52 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 70
53 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 73
54 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 72
55 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 71
56 Lumen Gentium 11
57 E. Pin, o. e. alla nota 3, 69-71; D. Barbe, Demain, les communautés de base, Parigi, 1970; W. Biihimann, o. e., 225-232
58 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 58
59 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 18-19
60 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 20
61 Il documento La catechesi nel tempo di oggi, del Segretariato per il Sinodo dei vescovi, Roma 1976
62 Commissione Teolog. Internaz., Unità della fede e pluralismo teologico, Bologna, Dehoniane 1974; B. Lonergan, Theologie im Pluralismus heutiger Kulturen, Friburgo in Br., Herder, 1975
63 G. Butturini (a cura di). Le nuove vie del vangelo. I Vescovi africani parlano a tutta la chiesa, Bologna, EMI 1975; M. Zago (a cura di), I semi del vangelo.
Studi e interventi dei vescovi d'Asia, Bologna, EMI 1975; W. Biihimann, o. e., 309-321; A. Shorter, African christian theology. Adaptation or incarnation? Londra, Chapman 1975
64 Lettera di Paolo VI al card. Renard in occasione della Conferenza internazionale missionaria di Lione, 9-12 nov. 1973
65 Lumen Gentium 31;
Apostolicam Actuositatem 2-3
66 Lumen Gentium 17
67 P. Rossano, Teologia della missione in Mysterium salutis v. VII, Brescia, Queriniana 1972, 608
68 Apostolicam Actuositatem 4
69 Ad Gentes 2
70 P. Teiihard de Chardin, L'ambiente divino, Milano, Mondadori 1968, 33
71 S. Bernardo, Agli studenti di Parigi, PL 182, 855
72 Imitazione di Cristo, 1. I, e. XX
73 J.-J. Surin, Lettres spirituelles, Lione-Parigi, Perisse 1843, t. I, 77, 132, 81
74 Teiihard de Chardin, L'ambiente divino, o. e., 40-59
75 M. Flick, Santità laicale nell'impegno temporale in Aa. Vv., Spiritualità dei laici. Contributi di studio, Roma, Sales 19672, 120
76 C. Senft, Mondo in Vocabolario biblico (von Allmen), Roma, AVE 1969, 293
77 S. Lyonnet, Perfection chrétienne et action dans le monde selon saint Paul in Sainteté et vie dans le siede, Roma, Herder 1965, 17
78 H. Küng, Essere cristiani, Milano, Mondadori 1976, 213
79 T. Sartory, Evoluzione della spiritualità cristiana, Brescia, Queriniana 1969, 16
80 Gaudium et Spes 62
81 Presbyterorum Ordinis 3
82 Ad Gentes 10
83 La doctrine spirituelle du P. Louis Lallemant (a cura di A. Pottier), Parigi, Téqui 1936, 243-244
84 Ivi, 262
85 L. Le Valois, Lettres chrétiennes sur la necessitò de la retraite dans chaque état, Parigi 1684, 342-343
86 Apostolicam Actuositatem 2
87 Ratzinger, Il nuovo popolo di Dio, Brescia, Queriniana 1971, 418
88 Apostolicam Actuositatem 29
89 Perfectae Caritatis 8
90 Lumen Gentium 41
91 Presbyterorum Ordinis 14
92 T. Sartory, Evoluzione della spiritualità cristiana, o. e., 33
93 D. Grasso, L'annuncio della salvezza. Teologia della predicazione, Napoli, D'Auria 1965, 256
94 Gaudium et Spes 19
95 F. De Vitoria, De Indis, sect. II, n. 14 (citato da D. Grasso, L'annuncio della salvezza…, o. e., 254)
96 Evangelizzazione e mondo contemporaneo (Il documento preparatorio al Sinodo dei vescovi) in Il Regno/Documenti 19 (1974) n. 294, 459
97 Ad Gentes 11
98 Lumen Gentium 65
99 K. Rahner, Maria e l'apostolato in Missione e grazia, Roma, Edizioni Paoline 1964, 189-220
100 Apostolicam Actuositatem 4