Oriente

IndiceA

… Cristiano

Sommario

I. Introduzione.
II. Spiritualità antropologica:
1. La vita naturale ( kata physin );
2. L'immagine e la rassomiglianza a Dio.
III. Dialogo con Dio:
1. Preghiera e sue definizioni;
2. Gradi della preghiera;
3. La preghiera continua.
IV. La contemplazione:
1. L'Oriente contemplativo;
2. L'essenza della contemplazione;
3. Gradi della contemplazione;
4. La mistica della "luce" e delle "tenebre".
V. L'organo della contemplazione: il cuore puro:
1. L'importanza del "cuore" nella spiritualità orientale;
2. La "sobrietà" del cuore;
3. Apatheia.
VI. La cosmologia spirituale:
1. Vita nel mondo - fuggire il mondo;
2. Il mondo al servizio dell'uomo e il compito dell'uomo verso il mondo;
3. Il culto delle icone.
VII. La società umana:
1. La solitudine e la vita comune;
2. La carità;
3. La chiesa.

I - Introduzione

L'espressione Oriente cristiano designa qui le chiese della parte orientale dell'impero romano e le comunità sorte in dipendenza di esse, sia ortodosse sia unite con Roma.

Ciò che oggi colpisce di più nella situazione dell'Oriente cristiano è la varietà e diversità dei riti, delle giurisdizioni e spesso anche dei dogmi.

Al contrario la dottrina spirituale manifesta una sorprendente unità, quantunque non si possa racchiudere in formule rigide.

Nata dall'ispirazione evangelica, la spiritualità orientale appare come tipicamente tradizionale.

Gli orientali non hanno mai dimenticato che gli scritti dei padri della chiesa sono primariamente fonti di vita spirituale.

Non sentirono quindi mai un vero bisogno di scrivere un manuale di spiritualità; questa deve restare una vita « in accordo con le divine scritture »,1 intendendo con questo termine anche gli scritti dei padri e degli scrittori spirituali.2

Soltanto quando le incursioni dei Saraceni costrinsero i monaci ad abbandonare i loro monasteri e le biblioteche, si sentì il bisogno di avere un riassunto della dottrina spirituale dei padri.

Così sorsero i Pandektai del monaco Antioco ( sec. VII) ( PG 89, 1419-78 ), la Synagoge di Paolo Evergetino ( sec XI ),3 i Pandektai di Nicone della Montagna Nera ( sec. XI ).4

In tempi più recenti divenne famosa la Philocalia di Nicodemo Agioritas.5

Chi aspira ad uno studio approfondito della spiritualità orientale deve ricorrere alle sue fonti, principalmente ai padri della chiesa.

Alcune opere sono indispensabili a questo scopo: La vita di s. Antonio di Atanasio ( un'istruzione essenziale per i monaci ), le Regole di s. Basilio ( fondamento di tutte le regole cenobitiche dell'Oriente ), gli Apoftegmi dei padri ( sorgente di più complete informazioni sui diversi aspetti della vita spirituale in forma aforistica ), le diverse Centurie ( raccolta di centinaia di sentenze, fra le quali emergono le Centurie sulla carità di s. Massimo Confessore ), la Scala del Paradiso di s. Giovanni Climaco, le Catechesi di Teodoro Studita.

Fra gli autori bizantini notevole è l'influsso del grande mistico Simeone Nuovo Teologo ( + 1020 ), di Gregorio Sinaita ( sec. XIV ), del monaco Niceforo ( + dopo il 1363 ) e più recentemente di Nicodemo Agiorita ( + 1809 ).

Fra i numerosi autori di lingua siriaca citiamo Afrate, Efrem, Giacomo di Sarug ( + 521 ), Isacco Siro di Ninive ( sec. VII ).

La letteratura armena e georgiana è quasi esclusivamente religiosa.

In traduzioni parziali è accessibile il classico "Pindaro armeno": Gregorio di Narek.6

Nell'Etiopia troviamo numerosi apocrifi, inni biblici, poesie mariane, documenti biografici.

Per avere un'idea della spiritualità russa in mancanza di fonti di prima mano, bisogna ricorrere ad alcuni studi.7

II - Spiritualità antropologica

1. La vita naturale ( Kata Physin )

« L'uomo creato ad immagine ( di Dio ) - scrisse V. Losskij - è la persona capace di manifestare Dio nella misura in cui la sua natura si lascia penetrare dalla grazia deificante ».8

Nell'antichità gli stoici propagarono il principio: la vita morale è la vita "secondo la natura".

Gli autori spirituali dell'Occidente ricorrono raramente a questo programma, perché prendono spessissimo il termine "natura" nel senso peggiorativo: la natura lapsa, con le inclinazioni perverse.

Quindi insegnano a far « violenza alla natura », a « mortificare la natura ».9

Per gli Orientali, al contrario, la natura ( in greco physis, da phyein = crescere ) significa tutto ciò che Dio ha piantato, creato e che siamo obbligati a coltivare.

"Naturali" sono quindi le virtù, come la fede e la carità; "contro la natura" sono i peccati e le passioni malvagie ( pathe ), "naturale" è l'apatheia, l'assenza dei movimenti sensibili disordinati.

Ma nella terminologia degli Orientali appartiene alla natura anche tutto ciò che nel vocabolario occidentale viene chiamato grazia, la vita spirituale nella sua pienezza.

Il concetto di "spirituale" ( in greco pneumatikos ) ha una lunga storia, comporta le sfumature più diverse, dalle esagerazioni eretiche fino ad un concetto laicizzato.10

Grande merito di s. Ireneo di Lione è di aver contribuito alla fissazione del significato di questa voce per la tradizione orientale.

Il cristiano è "spirituale" perché lo Spirito santo fa parte della sua vita: « L'uomo perfetto è composto da tre elementi: la carne, l'anima e lo Spirito » ( Contro le eresie V, 9, 1-2, PG 7, 1144s ).

Le più belle pagine della tradizione orientale espongono questo grande mistero della vita cristiana che consiste nelle relazioni variate e molteplici fra lo spirito umano e lo Spirito santo, nella penetrazione della vita divina nell'attività umana, nella divinizzazione dell'uomo.

Teofano Recluso, autore russo del sec. scorso ( + 1894 ), riassume così l'insegnamento tradizionale: « L'essenza della vita in Gesù Cristo, della vita spirituale, consiste nella trasformazione dell'anima e del corpo e nell'introdurli nella sfera dello Spirito, cioè nella spiritualizzazione dell'anima e del corpo ».11

Il pensiero cristiano prolunga l'ideale di Platone della syngeneia o connaturalità con Dio ( Protagoras 322 a ), ma nello stesso tempo evita di vedere nelle nozioni puramente psicologiche le proprietà umane che sono conseguenze della filiazione divina, derivanti dalla presenza dello Spirito.

Così la spiritualità, l'immortalità e la libertà non sono considerate come prerogative dell'anima umana in se stessa, ma dello Spirito, ossia dell'anima umana divinizzata.12

2. L'immagine e la rassomiglianza a Dio

L'origine di questo tema risale alla filosofia platonica, che obbliga a cercare la rassomiglianza con Dio secondo le proprie possibilità ( Platone, Leggi IV, 716 bc ).

I padri però ricorrono ai testi biblici, specie a Gen 1,26-27 e Sap 7,24-28, e svolgono questo argomento in modo caratteristico per la mentalità d'Oriente, in ricerca della causa esemplare piuttosto che di quella efficiente.

I mistici occidentali del medioevo seguono spesso s. Agostino che vede le tracce della ss. Trinità nella struttura dell'anima umana.

Gli orientali preferiscono un altro aspetto: l'archetipo è il Padre, il Cristo è la sua unica e vera immagine, l'uomo è stato creato "secondo immagine", cioè secondo il Cristo.

Inoltre i padri greci fanno una distinzione fra l' "immagine" e la "rassomiglianza": l'immagine è iniziale, la perfezione è nella rassomiglianza.

La vita spirituale quindi consiste nel passare dall'immagine alla rassomiglianza.

Alla domanda dove risiede l'immagine, rispondono diversamente.

I padri della tendenza alessandrina dicono: nella mente sola, nella parte suprema dell'anima.

Perciò la rassomiglianza con Dio diviene perfetta nella contemplazione.

Sotto questo aspetto è uguale per l'uomo e la donna.

Per gli antiocheni, l'uomo è immagine di Dio a causa della sua padronanza sul mondo, sulla natura irragionevole, sulle passioni.

Il peccato non distrugge l'immagine, ma la "copre" con "l'immagine del diavolo", "della bestia", "del Cesare" ( espressioni di Origene ).

Il bagno del battesimo o le lacrime della penitenza lavano e ripristinano l'immagine di Dio nel suo splendore primitivo.13

« Ogni uomo - scrive Diadoco di Fotica14 - è creato secondo l'immagine di Dio; il raggiungere la somiglianza divina è concesso a chi sottomette la sua libertà a Dio per mezzo di un grande amore.

Non apparteniamo più a noi stessi, quando siamo somiglianti a colui che, mediante l'amore, ci ha riconciliati con Dio ».

III - Dialogo con Dio

1. Preghiera e sue definizioni

La filosofia speculativa greca non riuscì a concepire e giustificare la relazione personale con Dio, poiché lo considerò come Essere assolutamente trascendente e quindi indifferente per il corso del mondo oppure come Essere immanente nel cosmo come una legge immutabile.

Le religioni antiche limitano spesso le relazioni con Dio a certi atti ufficiali.

Al contrario il cristianesimo è in ricerca di un dialogo vivo e permanente fra la persona umana libera e il Padre celeste.

Secondo la formula antica l'uomo si rivolge nella preghiera al Padre per mezzo del Figlio nello Spirito santo.15

Una grande parte degli scritti spirituali dell'Oriente sono trattati sulla preghiera, che è, secondo Teofano Recluso, « la respirazione dello Spirito », « il barometro della vita spirituale ».16

Negli scritti dei padri si possono raccogliere numerosissime definizioni della preghiera, le quali ne esprimono l'uno o l'altro aspetto.

Prevalgono però tre principali.

1) Ascensione della mente a Dio;17

2) Colloquio con Dio;18

3) Domanda delle cose convenienti a Dio.19

Se la terza definizione si può dire biblica, la prima proviene dalla filosofia greca e, per essere cristianizzata, ha avuto bisogno di due adattamenti importanti: è una elevazione per entrare in dialogo con Dio ( seconda definizione ); e questa elevazione della "mente" ( in greco nous ) o piuttosto del "cuore" non è un atto puramente intellettuale, ne un ragionamento sulle cose divine.

Su quest'aspetto insistono molto gli autori che parlano della contemplazione.

2. Gradi della preghiera

Essendo un atto vitale e personale, la preghiera coinvolge tutte le facoltà umane, ma non sempre nello stesso modo.

Secondo che prevale l'una o l'altra facoltà, gli orientali distinguono i gradi della preghiera in corrispondenza alla struttura antropologica della vita spirituale:

1) La preghiera corporale o vocale consiste soprattutto nella recita di testi sacri;

2) La preghiera mentale appare come uno sforzo dell'intelligenza a capire e ponderare le verità divine;

3) La preghiera del cuore è affettiva, quando la relazione con Dio è diventata un atteggiamento vitale sentito, una disposizione costante;

4) La preghiera spirituale è un grado eccezionale dell'orazione, quando l'attività dello Spirito che prega nel nostro cuore diventa così palese che le facoltà umane tacciono e sembrano quasi superate ( estasi ).20

3. La preghiera continua

Gli asceti orientali furono in ricerca di una soluzione soddisfacente alla domanda: come ubbidire al precetto dell'Apostolo: « pregate senza posa » ( 1 Ts 5,17 )?

Sono proposte diverse soluzioni.

I messaliani ( in greco euchitai, preganti ) rifiutavano ogni altro lavoro eccetto la preghiera.

Gli acemeti di Costantinopoli divisero la comunità monastica in tal modo che mentre gli uni lavoravano gli altri pregavano e viceversa.

Classica però divenne la soluzione di Origene accettata da tutti gli ortodossi:21 prega sempre chi congiunge la preghiera con le opere buone ( Ora et labora di s. Benedetto ).

Circa il problema della frequenza delle preghiere esplicite i monaci furono d'accordo che bisognava eseguirle il più spesso possibile, santificando ogni ora del giorno; da questo orientamento ebbe origine la celebrazione delle "ore canoniche".

Lo scopo delle preghiere frequenti è di pervenire ad uno stato di preghiera ( katastasis proseuches ), cioè ad una disposizione stabile, che in se stessa si possa già chiamare preghiera e dalla quale spontaneamente nascono gli atti di preghiera esplicita quando se ne offre l'occasione.

Evagrio Pontico ritiene che l'apice di questo stato sia la "preghiera pura", che suppone l'assenza delle forme o immagini sensibili nella mente, la dimenticanza del mondo, la visione della pura luce divina.22

Basilio, al contrario, non crede che l'uomo debba dimenticare tutte le cose create; basta conservare la memoria di Dio ( mneme Theou ) anche nel guardare le cose del mondo, che sono una "voce di Dio".

Questo ricordo eccita nell'anima un affetto di gratitudine perenne.23

I padri del deserto seppero apprezzare l'effetto psicologico delle preghiere brevi o giaculatorie per far nascere nell'animo un amore costante.

Una di queste divenne famosa nell'Oriente: la preghiera di Gesù: « Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore ».

Alla diffusione di questa preghiera contribuì largamente la pubblicazione della Philokalia ( v. sopra ) e, nei tempi più recenti, del libro popolare Racconti di un pellegrino russo.24

Nel valutare il senso di questa invocazione alcuni mettono accento sul nome di Gesù, « la virtù della presenza di Dio »; ma più tradizionalmente si mette in luce il suo significato "catanyctico", cioè lo sforzo di arrivare alla disposizione umile davanti a Dio, il senso del proprio peccato e la domanda di misericordia.

Gli esicasti unirono l'invocazione di Gesù con il "metodo psicofisico" che facilita la concentrazione per mezzo della respirazione e di un atteggiamento speciale del corpo.25

Ecco un passo caratteristico dei Racconti di un pellegrino russo: « Ed ora eccomi pellegrino, recitando senza posa la preghiera di Gesù che mi è più cara e più dolce di ogni altra cosa al mondo.

Talvolta percorro più di settanta verste in un giorno e non mi accorgo di camminare; sento soltanto che recito la preghiera.

Quando un freddo violento mi colpisce, recito la preghiera con maggior attenzione e ben presto mi sento caldo e confortato.

Se la fame si fa troppo insistente, invoco più spesso il nome di Gesù Cristo e non mi ricordo più di aver avuto fame.

Se mi sento male e la schiena o le gambe mi dolgono, mi concentro nella preghiera e non sento più dolore.

Quando qualcuno mi insulta, non penso che alla benefica preghiera di Gesù; immediatamente collera o pena svaniscono e dimentico tutto…

Per abitudine, non ho che un bisogno solo: recitare senza posa la preghiera, e quando lo faccio divento allegro.

Dio sa che cosa si compie in me… ma, grazie a Dio, comprendo chiaramente ora quel che significa la parola dell'Apostolo, che avevo udita un tempo: Pregate senza posa ».26

IV - La contemplazione

1. L'Oriente contemplativo

La chiesa orientale si dice "Maria" e identifica con "Marta" quella d'Occidente.

Secondo la legislazione di Giustiniano ( Nov. 133 ), la contemplazione è l'unico fine della vita monastica.

Il problema della contemplazione è il problema della conoscenza in genere.

La prima conoscenza è sensibile.

I greci, da un punto di vista psicologico, furono di natura "visuale".

Per loro, secondo il detto di Piotino, « è bello ciò che piace alla vista ».

Ma ben presto la filosofia denuncia l'insufficienza dei sensi, che ci offrono soltanto l'opinione ( doxa ).

La verità ( idea, logos ) si scopre con l'occhio dell'intelletto ( nous ); perciò quando l'intelletto contempla l'oggetto più nobile, cioè Dio, la contemplazione raggiunge la sua perfezione.

La rivelazione dell'AT è al contrario religione della parola di Dio, ascoltata e eseguita, e il suo documento principale è la Legge.

L'obiezione che si formula da queste considerazioni storiche è la seguente: l'idea della contemplazione non è forse un'eredità della filosofia greca, che sminuisce il significato delle buone opere?

La risposta a questa obiezione si trova nella constatazione dei profondi adattamenti che ha subito la contemplazione filosofica per potere essere ripresa come l'ideale della vita spirituale dei cristiani.27

2. L'essenza della contemplazione

La "vera gnosi" dei cristiani non è una contemplazione estetica: gli asceti non hanno mirato a sviluppare il senso della bellezza delle forme sensibili.

Non è neanche la "scienza semplice" ( psile gnosis ) che insieme alla dogmatica fu spesso disprezzata dagli asceti, i quali si dichiararono volentieri « ignoranti e analfabeti » ( At 4,13)28 o si finsero "pazzi per Cristo".29

La contemplazione è la conoscenza religiosa che scopre il logos theoteles, il senso "finale" delle cose, ciò per cui esse sono state fatte, la Provvidenza che si esprime negli eventi del mondo, il "senso spirituale" nascosto sotto la "lettera" della s. scrittura.

Esso non si trova "ragionando", ma quasi "palpando" per mezzo di un'intuizione30 dei "logoi" delle creature ( espressione di Origene ), della sapienza divina nascosta in ogni cosa ( Basilio ).

Condizioni indispensabili di questa contemplazione sono l'illuminazione divina e la purezza morale.

Gli asceti orientali esprimono questo pensiero per mezzo di una massima: « Praxis theorias anabasis », la pratica delle virtù è l'ascensione verso la contemplazione;31 o anche: l'amore conduce alla conoscenza.32

3. Gradi della contemplazione

La theoria è la "scienza degli esseri", perché tutto ciò che Dio ha creato è oggetto della contemplazione.

Il grado inferiore consiste nella "contemplazione naturale" ( theoria physike ), ossia nella visione di Dio per mezzo delle creature visibili, perché l'universo fu creato per essere scuola delle anime.33

Segue la "contemplazione delle cose invisibili", quando l'anima, superando le apparenze visibili, comincia a intravedere la lotta invisibile che si combatte nel mondo ( espressioni di Origene ).

La "contemplazione della Provvidenza" scopre i disegni di Dio, la sua volontà che opera nel mondo, e diviene la "contemplazione del giudizio", quando la Provvidenza appare come punizione per un peccato.

Il grado supremo della contemplazione è la "theologia", "la contemplazione della ss. Trinità".

In questa vita non può essere mai perfetta.

Non si può conoscere l'essenza di Dio.

Secondo Gregorio Palamas ( + 1359 ) ed i suoi seguaci si tratta della visione delle "energeiai", degli splendori della divinità che penetrano il mondo.

Gli autori siriaci preferiscono parlare della visione del "luogo di Dio", specificando che il luogo naturale di Dio è l'anima umana, creata a sua immagine e somiglianza.

4. La mistica della "luce" e delle "tenebre"

Queste due forme mistiche dipendono dall'influsso che la carità esercita nell'essenza della theoria.

La mistica della luce ( tendenza di Evagrio ) suppone che l'intelletto, dopo essere purificato per mezzo delle virtù, specialmente della carità, si semplifica, si libera dalla molteplicità dei concetti, diventa "nudo", non "ragiona" più, ma "vede" Dio.

La carità è quindi indispensabile, ma la visione si attinge per mezzo dell'intelletto.

Al contrario la mistica delle tenebre ( tendenza di Gregorio Nisseno e dello Pseudo-Dionigi ) suppone che Dio si trovi fuori delle leggi dell'intelligenza.

Per raggiungerlo bisogna uscire fuori dall'attività dell'intelletto ( ex-stasis ).

Soltanto l'amore quindi trasporta l'anima nelle braccia di Dio, nelle tenebre.

Gregorio Nisseno conosce ancora un terzo stato: l'epektasis,34 la visione di Dio infinito nell'infinito desiderio dell'anima.35

« Alle volte basta - scrive il Pseudo - Macario36 - che uno pieghi le ginocchia per pregare e subito il suo corpo si trova inondato dalla divina energia e l'anima gioisce della presenza del Signore come di quella dello Sposo.

Altre volte invece, dopo un giorno intero di impegni laboriosi o dispersivi, uno, in una breve ora di preghiera, trova il suo io interiore rapito nell'orazione e immerso nello sconfinato mare dell'eterno; con dolcezza grande la sua mente, assorta e sospesa, dimora in quella regione ineffabile.

In quel momento tacciono tutte le preoccupazioni esteriori, le forze mentali attratte dalle incommensurabili e inesprimibili realtà celesti, ricolme di stupore indicibile, riescono solo a formulare questa preghiera: Possa l'anima mia insieme alla preghiera emigrare all'altra sponda! ».

V - L'organo della contemplazione: il cuore puro

1. L'importanza del "cuore" nella spiritualità orientale

« La nozione del cuore - scrive B. Vyseslavcev37 - occupa un posto centrale nella mistica, nella religione e nella poesia di tutti i popoli ».

Numerosi autori russi affermano che la fede cristiana è semplicemente una « disposizione del cuore ».38

Tralasciando i problemi che pone questa terminologia, ci limitiamo ad elencare singoli aspetti di questa nozione:

a. Il cuore dice la "totalità" della persona umana, a differenza delle singole facoltà o dei singoli momenti.

b. Questa totalità del mio "io" nascosto si manifesta per mezzo dei "sentimenti" del cuore, cioè attraverso una conoscenza intuitiva e contemplativa.

Tali sentimenti possono considerarsi come veri a condizione che il cuore sia puro.

c. Spesso il "cuore" equivale alla "coscienza", voce dello Spirito,

d. Dal tempo di Origene si parla dei cinque "sensi spirituali", che esprimono i diversi aspetti dell'intuizione propria della mente o del cuore umano di fronte alla realtà spirituale.39

« La funzione del cuore - scrive Teofano Recluso40 - consiste nel sentire tutto ciò che tocca la nostra persona.

Di conseguenza, sempre e senza posa il cuore sente lo stato dell'anima e del corpo e nello stesso tempo le multiformi impressioni che producono le azioni particolari, spirituali e corporali, gli oggetti che ci circondano e che noi incontriamo, la nostra situazione esterna e, in maniera generale, il corso della vita…

Il cuore non può restare quindi neppure un minuto tranquillo; al contrario, è sempre in uno stato di agitazione e di allarme, sembra un barometro prima di una tempesta…

Ma il significato del cuore nell'economia della vita non consiste soltanto nel fatto che esso subisce le impressioni e dà testimonianza sullo stato rassicurante o inquietante della persona umana.

Il cuore conserva l'energia di tutte le forze dell'anima e del corpo.

Notate come presto si fa ciò che piace, mentre le mani cadono e i piedi restano come inchiodati alla terra, quando si deve fare ciò che al cuore non dice niente ».

« Nel cuore si concentra l'attività spirituale dell'uomo: le verità ivi ricevono il loro timbro, le buone disposizioni vi hanno radice, mentre opera del cuore è dare il gusto, rendere amabile ciò che si deve fare…

Quando il sentimento di dolcezza nella presenza della realtà spirituale si sveglia, questo è il segno che l'anima risorge dopo la morte del peccato.

Perciò la formazione del cuore ha tanta importanza, fin dal principio, nella vita spirituale ».41

2. La "sobrietà" del cuore

Mentre i messaliani ( setta del IV sec. di origine siriaca ) affermano che la malizia risiede "dentro il cuore", gli ortodossi credono che i pensieri malvagi vengono "dal di fuori", dai demoni.

Gli autori descrivono con fine osservazione psicologica gli stadi della progressiva penetrazione del pensiero malvagio ( logismos ) nel cuore e nell'attività umana.

Generalmente si distinguono cinque gradi.

1) prosbole, la prima suggestione al male;

2) syndyasmos, un "discorso" con la suggestione;

3) pale, lotta contro la tentazione;

4) synkatathesis, il consenso al peccato;

5) aichmalosia, pathe, la schiavitù, la passione.

Il vero peccato consiste soltanto nel consenso; però gli stadi precedenti turbano la tranquillità della vita spirituale.

Evitare le suggestioni al male è impossibile.

L'arte consiste nell'eliminare i "discorsi" interni con la loro malizia per mezzo della "sobrietà mentale" ( nepsis ), della custodia del cuore ( phylake kardias ) e dell'attenzione ( prosoche ): bisogna « uccidere il serpente appena mostra la testa », non permettergli di entrare nel paradiso del cuore.

Tutte queste espressioni si leggono spesso negli scritti degli autori di tendenza "esicasta".42

Si uccidono i pensieri malvagi introducendo nella mente i pensieri salutari, contrari alla tentazione, tratti dalla scrittura.

Questo metodo si chiama antirrhesis, contraddizione; il trattato di Evagrio Pontico Antirrheticos contiene l'elenco di tali pensieri.

È sufficiente anche l'invocazione di Gesù, poiché questo nome è « potente contro tutti i demoni ».

Per poter rifiutare i pensieri malvagi bisogna distinguerli dalle suggestioni salutari.

Il « discernimento degli spiriti » è un dono dello Spirito santo, ma anche frutto dell'esperienza.

Il principiante, incapace di questo discernimento ( diakrisis ), deve rivelare i suoi pensieri al padre spirituale.

Questa pratica di direzione si chiama exagoreusis, che è diversa dalla confessione sacramentale.

Per facilitare la diakrisis Evagrio propone un catalogo di otto "pensieri generici", sorgenti di ogni malizia:43

1) gastrimargia, gola;

2) pamela, fornicazione;

3) philargyria, avarizia;

4) lype, tristezza;

5) orge, collera;

6) akedia, accidia;

7) kenodoxia, vanagloria;

8) hyperephania, superbia.

In Oriente il catalogo evagriano divenne tradizionale, mentre in Occidente si trasformò nei "sette peccati capitali".

3. Apatheia

La parola viene dal vocabolario degli stoici ed esprime l'ideale di una vita tranquilla "secondo la ragione" ( logos ) e non "secondo le passioni" ( pathe ).

Per i monaci orientali l'apatheia fu sempre considerata come l'apice della purificazione del cuore, fondamento necessario per poter pregare bene.

Gli Occidentali non hanno accettato il termine, perché lo confondevano con l'insensibilità ( Girolamo ) o con l'impeccabilità ( Agostino ).

La vera apatheia cristiana non significa l'assenza della sensibilità o delle tribolazioni, non è l'immunità contro i logismoi, perché i pensieri malvagi si presentano ad ognuno.

È al contrario una forza dello spirito per resistere alle passioni.

Non si può avere questa forza senza l'osservanza dei comandamenti, senza la carità.

Gli stati di pace psicologica non sono infallibili e nessuno mai deve credersi sicuro.

L'apatheia dei monaci orientali non si deve confondere con un "quietismo", è piuttosto vicina all' "indifferenza" ignaziana, piena disponibilità dell'anima per sentire la voce di Dio.44

« Libero dalle passioni è - secondo Giovanni Climaco45 - chi, purificata la sua carne, da ogni macchia, distacca la mente da ogni legame con le creature e, sottomettendo ad essa la sua sensibilità, tiene la sua anima, vincendo ogni limite naturale, davanti a Dio sempre…

È libero dalle passioni chi sente verso, la, bontà quel fascino che i non liberi sentono per il vizio ».

VI - La cosmologia spirituale

1. Vita nel mondo - fuggire il mondo

Ne la filosofia ne le antiche religioni orientali hanno risolto il problema della relazione fra Dio e il mondo: o cadono nel dualismo ( il mondo spirituale è radicalmente opposto al mondo materiale ) o nel monismo ( Dio e il mondo sono una cosa sola: stoicismo, "religioni, cosmiche" panteistiche ).

Nella bibbia Dio si distingue chiaramente dal mondo, però l'universo creato dipende da lui.

Il mondo è inoltre il luogo dove Dio opera la salvezza.

Anche nel NT il mondo visibile è oggetto della sollecitudine paterna di Dio; ma in s. Giovanni e nelle lettere di s. Paolo prevale il senso peggiorativo del "mondo": le forze che resistono a Cristo.

Questo secondo senso largamente prevale nella letteratura ascetica dell'Oriente: le esortazioni alla "fuga dal mondo" sono numerosissime.46

Lapidariamente esprime questo spirito la massima: « Rigetta i beni terreni per avere i beni eterni ».47

Però gli asceti orientali si guardano bene dal predicare la fuga dal mondo in senso dualistico.

Quando oppongono il mondo materiale a quello spirituale, il temporaneo all'eterno, il silenzio monastico al chiasso della piazza pubblica, sono consapevoli che nessuna di queste categorie traduce il significato esatto dell'antagonismo ascetico fra "mondo" e Dio.

L'atteggiamento pratico dell'uomo verso le cose create è così vario come sono vari i gradi di perfezione.

Se l'inizio della conversione è caratterizzato dalla rinuncia perfetta a tutto ciò che non è Dio, il progresso spirituale si avvia verso la "gioia pasquale", verso la visione di Dio in tutto ciò che esiste.

Sotto questo aspetto non è giusto parlare di due tendenze nella spiritualità orientale ( la fuga del mondo - la spiritualità cosmica ), ma piuttosto di due stadi nell'evoluzione dinamica verso la perfezione.

2. Il mondo al servizio dell'uomo e il compito dell'uomo verso il mondo

Il pensiero cosmologico dei padri è da cercare specialmente nelle loro omelie sull'Hexahemeron, dove esaltano la bellezza e la bontà dell'universo creato.

L'unità fra l'uomo e il mondo si esprime sotto due aspetti:

1) il mondo è al servizio dell'uomo,

2) l'uomo esercita una missione nel mondo.

Il "servizio" che il mondo presta all'uomo, per gli Orientali, non è tanto l'utilità pratica, ma piuttosto per la contemplazione.

Il mondo riflette la sapienza divina, è quindi un grande spettacolo per le anime,48 guida la nostra mente verso l'Invisibile per mezzo delle cose visibili.

Gli ortodossi russi esprimono questa verità fondamentale per mezzo delle sviluppate dottrine "sofiologiche", "sofianiche" (V. Soloviev, S. Bulgakov, P. Florenskij…).49

Sulle icone la Sofia di Dio è rappresentata in forma di un angelo sul trono di questo mondo, che conduce quelli che lo trovano verso il Cristo, sapienza eterna, immagine del Padre invisibile.

Viene sottolineato anche l'altro aspetto: la responsabilità dell'uomo riguardo al mondo.

Egli deve coltivarlo, liberarlo dal male, purificarlo per mezzo dell'ascesi, divinizzarlo.

Dio ha fatto l'uomo come una meravigliosa "mescolanza" di spirito e di materia - dice Gregorio Nazianzeno - con questo scopo preciso: spiritualizzare la materia.50

Divinizzare il mondo è il compito dell'uomo spesso sottolineato da V. Soloviev.

Elementi essenziali della cosiddetta "gioia pasquale della chiesa orientale" sono ambedue gli aspetti, uniti insieme in ordine alla visione spirituale del mondo divinizzato; essi costituiscono ugualmente un programma dell'arte delle icone.

« In ogni angolo della terra crescono piante… - scrive Giovanni Crisostomo.51

E tutto è per te uomo.

Così come le arti sono per te, le città e i paesi sono per te, il sonno è per te, la morte è per te, la vita è per te.

Questo mondo, così grande, è per te.

E sarà per te anche domani, quando diventerà migliore.

Poiché senza dubbio diventerà migliore, e lo diventerà precisamente per te…

La provvidenza di Dio splende con più forza della luce di questo mondo ».

« Oh, le opere di Dio, come sono belle - scrive un pellegrino russo.52

Vi furono giorni e notti nei quali io letteralmente morivo per amore di Dio…

Oh, come il Cristo, in quei momenti, era presso di me!

Lo sentivo in me, lo sentivo in tutte le forme della natura.

Tutto sembrava dire: Cristo è in me!

Così dicevano i campi, gli alberi, le erbe, i fiori, le pietre, i fiumi, le montagne, le vallate, ogni creatura.

Tutto diventava il suo tempio, la sua dimora.

Non c'era un oggetto, piccolo o grande, puro o impuro, dove io non sentissi il mio Dio ».

3. Il culto delle icone

Gli orientali affermano volentieri che esiste una differenza essenziale fra una "pittura" religiosa ed una "icona".

La pittura rappresenta un santo nel suo "stato terrestre e corporale", l'icona deve dare testimonianza alla presenza di Dio nelle forme visibili.

Non è un puro caso che la prima opera di un iconografo sacro doveva essere l'icona della Trasfigurazione sul Monte Tabor, dove il corpo di Gesù « ci fece vedere, quel giorno, la misteriosa immagine della Trinità » ( liturgia bizantina ).

Per mostrare questo senso divino e nascosto l'iconografia orientale ricorre ad un molteplice simbolismo.

La composizione del quadro, la prospettiva, i colori, la luce, gli elementi decorativi, tutto riceve un senso dogmatico.

I difensori delle immagini sacre hanno dichiarato che non vi è una differenza essenziale fra i libri santi, la tradizione scritta, e la tradizione dipinta.

« Quello che la parola comunica all'orecchio, l'immagine lo mostra silenziosamente per mezzo della sua rappresentazione ».53

Cosi la lotta contro l'iconoclastia nei sec. VIII e IX si è trasformata in una difesa della dottrina ortodossa.

Ma le icone sono anche oggetto di culto nelle numerose funzioni liturgiche e nella vita privata.

Il culto delle immagini è una conseguenza dell'economia dell'incarnazione: come la nostra mente ascende all'invisibile per mezzo del visibile, così la grazia di Dio si comunica per mezzo delle immagini sacre.54 [ v. Immagine III ].

« Stavo un giorno - ricorda il filosofo russo I. Kirejevskij55 - nella cappella [ si tratta qui della chiesina della Madre di Dio Iberskaja, il più celebre santuario della vecchia Mosca ] e guardavo la miracolosa immagine della Madre di Dio e riflettevo sulla fede dei piccoli, del popolo che pregava intorno a me.

Alcuni tra le donne e i vecchi malati s'inginocchiavano, facevano segni di croce e si inchinavano profondamente.

Con una grande fiducia guardavo anch'io nei santi tratti del volto e a poco a poco il mistero della forza miracolosa si schiariva.

Sì, qui non c'è la sola tavola di legno con una pittura…

Per tutti i secoli l'icona si è imbevuta dei fiumi appassionati dei movimenti dei cuori, delle preghiere della gente infelice.

Doveva riempirsi anch'essa della forza, che ora esce da lei…

Si è fatta un organo vivo, un luogo d'incontro fra il Creatore e gli uomini…

Sono caduto sulle ginocchia anch'io e ho pregato devotamente ».

VII - La società umana

1. La solitudine e la vita comune

I libri spirituali dell'Oriente provengono quasi esclusivamente dall'ambiente monastico.

Ma questa circostanza non cambia il loro valore universalmente cristiano, perché, al giudizio dei padri, il monaco non è altro che un cristiano autentico, che osserva tutti i comandamenti del vangelo.56

La vita monastica in Oriente ha conservato fino ad oggi numerose forme di vita solitaria.57

Secondo il canone 4 del concilio di Calcedonia del 431,58 ogni monaco è obbligato a cercare la hesychia, la pace interiore necessaria per la preghiera perfetta.

Gli esicasti, grande corrente spirituale dell'Oriente, specialmente del Monte Athos a partire dal sec. XIV, sono persuasi che questa pace interiore non si possa ottenere se non per mezzo di una solitudine completa nella vita eremitica.59

La vita solitaria fu però severamente criticata da s. Basilio, il grande legislatore della vita cenobitica, ossia vita comune.60

Ai suoi occhi il solitario sembra vivere contro la natura umana, privo di tutti i sussidi necessari per la vita del corpo e dell'anima.

L'ideale, cui Basilio tende, è di ristabilire quella prima società cristiana di Gerusalemme, nella quale « la moltitudine dei fedeli aveva un cuore solo ed un'anima sola » ( At 4,32 ).61

« Io penso - scrive s. Basilio62 - che la vita in comune con parecchi fratelli ha, sotto diversi aspetti, maggiori vantaggi che la vita solitaria.

Prima di tutto, nessuno basta a se stesso quanto ai bisogni materiali e alle necessità del corpo.

Al contrario abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri per procurarci quanto ci manca.

Il piede per es. possiede la facoltà e l'azione che gli è propria, ma gli mancano le altre facoltà e le altre azioni.

Privato dell'aiuto delle altre membra, le sue forze saranno impotenti e insufficienti a conservargli l'esistenza o a procurargli ciò di cui ha bisogno.

Così è nella vita solitaria.

Ciò che abbiamo diventa inutile e ciò che ci manca non possiamo procurarcelo.

Difatti, Dio nostro Creatore ha deciso che noi abbiamo bisogno gli uni degli altri, come sta scritto ( 1 Cor 12,12-26 ), affinché siamo uniti gli uni agli altri ».

2. La carità

Le critiche mosse da s. Basilio contro gli eremiti li toccano soltanto parzialmente.

Anch'essi insistono sulla necessità d'essere uniti agli altri per mezzo della carità spirituale, che è « il fine della vita pratica », « la porta della conoscenza », la condizione della vita contemplativa e l'unica legge universale della convivenza umana.

Massimo Confessore crede che se sparisse la philautia, ossia l'amore perverso di se stesso, sparirebbe ogni differenza nel trattare gli altri uomini; le note caratteristiche dell'amore cristiano sono l'universalità, la perennità e l'uguaglianza.63

Il "cosmopolitismo" cristiano si esprime, negli scritti dei padri in due modi:

1) negativamente: il cristiano non è di casa in nessuna parte del mondo ( ciò ha dato origine alla xenia, xeniteia, vita in un paese straniero, praticata dai monaci orientali );

2) positivamente: tutto il mondo è la patria per il giusto; la pluralità del le lingue è conseguenza del peccato, la venuta dello Spirito ne dà la comprensione.64

Per sosottolineare la differenza fra l'amore umano, nato dal desiderio e dal bisogno e l'amore divino, comunicazione gratuita del bene proprio, la lingua greca distingue due termini: eros e agape.

L'eros umano non deve essere eliminato, come crede A. Nygren,65 ma perfezionato dal dono divino dell'agape per rendere capaci di una azione umano-divina.66

« L'uomo ama gli altri - scrive Massimo il Confessore67 - siano essi giusti o ingiusti, per queste cinque ragioni:

per amore di Dio, come l'uomo virtuoso ama tutti gli uomini ed è riamato anche da chi non è virtuoso;

per istinto naturale, come i genitori amano i figli e ne sono riamati;

per vanità, come chi è lodato e ama chi l'applaude;

per interesse, come il ricco è amato dai suoi clienti;

per sensualità, come chi serve il ventre ama l'imbanditore di festini.

Il primo amore è degno d'encomio, il secondo è amore intermedio, gli altri sono il frutto di movimenti passionali.

Se tu hai odio per qualcuno e per altri ne amore ne odio, amore moderato per qualcuno e intenso per altri, questa ineguaglianza t'insegna che sei ancora lontano dall'amore perfetto che accoglie gli esseri con eguale calore ».

3. La Chiesa

L'umanità divinizzata, restituita al suo stato "naturale", appare nella chiesa, che è il « cielo sulla terra » ( S. Bulgakov ).

Gli orientali non hanno una idea rigida della chiesa, ma piuttosto descrivono la sua vita ed i suoi singoli aspetti.

Per comprendere come gli orientali intendano il senso ecclesiale della vita spirituale sarà opportuno riferirsi ai testi degli scrittori cristiani siri o russi;68 per questi ultimi gli atteggiamenti che ogni cristiano deve nutrire verso la chiesa si possono riassumere in una parola difficilmente traducibile: tserkovnostj, senso della chiesa, desiderio di vivere in essa e con essa.

In questo contesto riprende attualità la questione se il fatto della separazione delle chiese porti con sé essenziali differenze nella spiritualità.

Troviamo due posizioni opposte: secondo V. Losskij, « siamo divenuti altri uomini »;69

I. Hausherr al contrario è del parere che l'Oriente e l'Occidente hanno vissuto a lungo in comunione e che tutti i principi fondamentali della vita spirituale furono stabiliti prima della separazione.70

Resta però il fatto che la vita spirituale, che è divino-umana, è vista in diverse prospettive a seconda dei vari contesti nei quali si "incarna": ne conseguono differenze di aspetti, di espressioni, di modi per avvicinare la realtà concreta e nello stesso tempo appare l'utilità delle comparazioni e degli incontri spirituali fra l'Occidente e l'Oriente.

« L'idea della messa - scrive Giovanni di Kronstadt (+ 1909)71 - consiste in questo: che tutti siano una cosa sola nel Cristo.

Bisogna portare tutti gli uomini nel cuore, bisogna pregare sinceramente per tutti…

Tutto sulla terra è un'immagine e un'ombra di quello che si fa in cielo.

Così anche la forma liturgica del servizio divino sulla terra è un'immagine del servizio divino del cielo;

la bellezza delle chiese è un'immagine della bellezza del tempio celeste;

le luci sono immagine della gloria inaccessibile di Dio nei cieli;

l'odore dolce dell'incenso è immagine dell'ineffabile profumo della santità;

il canto di quaggiù è un'eco del canto indicibile dei cori angelici di lassù…

Nella chiesa tutti i membri di Cristo sono uguali davanti a Dio: lo zar e il soldato, il ricco e il povero, il grande signore e l'uomo del popolo.

Dio non guarda la faccia ma il cuore; solo quel cuore, questo è l'uomo!

Che cosa possiamo ottenere da Dio per mezzo delle nostre forze unite? Tutto! ».

Sua descrizione Ecumenismo II,2
… e beltà di Dio Contemplazione III
… e il mondo Mondo V
… e il lavoro Lavoratore III,1

1 L'espressione ricorre spesso nelle introduzioni alle Regole monastiche, per es. quella di Nilo Sorskij (+ 1508), grande figura del monachesimo russo
2 T. Spidlik, L'autorità del libro per il monachesimo russo in Monachesimo orientale, Or. Chr. Anal. 153, Roma, Pont. Ist. Orientale 1958, 159-179
3 Ed. Costantinopoli 1861
4 C. De Clercq, Les textes juridiques dans les Pandectes de Nicon de la Montagne Noire, Venezia, S. Cong. per la Chiesa orientale 1942
5 Venezia 1784, ultima ed. greca Atene, Aster 1957-1963; piccolo riassunto italiano di G. Vannucci, La Filocalia. Testi di ascetica e mistica della chiesa orientale. Firenze, LEF 1963
6 Le livre des Prières, trad. I. Kéchichian, Sources chrétiennes (= SC). 79 (1961)
7 I. Kologrivof, Saggio 'sulla santità in Russia, Brescia, Queriniana 1955; S. Boishakoff, I mistici russi, Torino, SEI 1962; T. Spidiik, I grandi mistici russi, Roma, Città Nuova 1977
8 A l'image et a la ressemblence de Dieu, Parigi, AubierMontagne 1967, 136
9 Thomas a Kempis, Imitatio Christi III, 54: De diversis motibus naturae et gratiae
10 I. Hausherr, Direction spiriluelle en Orioni autrefois in Or. Chr. Anal. 144, Roma, Pont. Ist. Orientale 1955, 40s
11 T. Spidlik, La doctrine spirititene de Théophane le Reclus. Le Coeur et t'Esprit in Or. Chr. Anal. 172, Roma, Pont. Ist. Or. 1965, 196s
12 I. H. Dalmais-G. Bardy, Divinisation in DSp 3 (1957) 1376-1398; P. Galtier, Le saint Espriten nous d'apres les Pères grecs in Anal. Greg. 35, Roma, Pont. Univ. Greg. 1946; J. Gribomont, Esprit sanctificateur dans la spiritualité des Pères grecs in DSp 4, 2 (1961) 1257-1272
13 Numerosa bibl. sul tema in J. Kirchmeyer, Grecque (Eglise) in DSp 6 (1967) 821-822
14 Cap. gnostico 4, Sources chrétiennes [= SC] 5, 1966, 86
15 Origene, Sulla preghiera 15, PG 11, 464 D s.
16 T. Spidlik, La doctrine spirituelle de Théophane le Reclus, cit., 239s
17 Evagrio, De Orai. 35. PG 1173 D; Damasceno, De fide orthodoxa 24, PG 94, 1089 C
18 Evagrio, De orai. 3, col. 1168 D
19 Basilio, Hom. in mart. Julitfam 3, PG 31, 244 A
20 T. Spidlik, La doctrine spirituelle de Théo phane le Reclus, cit., 239s
21 Sulla preghiera 11, PG 11, 452
22 I. Hausherr, Par delà l'oraison pure… in RAM 13 (1932) 184-188; ristampato in Or. Chr. Anal. 176, Roma, Pont. Ist. Orientale 1966, 8-12
23 T. Spidlik, La Sophiologie de S. Basile in Or. Chr. Anal. 162, Roma, Pont. Ist. Orientale 1961
24 A cura di C. Carette, Assisi 1970
25 I. Hausherr, Noms du Christ et voies d'oraison in Or. Chr. Anal. 157, Roma, Pont. Ist. Orientale 1960; P. Adnès, Jésus (prióre a) in DSp 8, 1126-1150
26 Trad. di L. Bortolon, Milano, Vita e pensiero 1955, fine del primo racconto, 28-29
27 T. Spidlik, Grégoire de Nazianze. Introduction a l'elude de sa doctrine spirituelle in Or. Chr. Anal. 189, Roma, Pont. Ist. Orientale 1971
28 G. Oury, Idiota in DSp 7, 2 (1971) 1242s
29 T. Spidiik, « Fous pour le Christ ». En Orient in DSp 5 (19,64) 752-761
30 Massimo Confessore, Ad Thalassium, q. 32, PG 90, 372
31 Origene, In Lucani hom. 1,ed. Rauer, p. 9-10
32 Gregorio Naz., Carm. I, II, 10,v. 984, PG 37, 751
33 Basilio, Hom. in Hexahemeron 6, 1, PG 29, 117
34 P. Deseille, Epectase in DSp 4, 1 (1960) 785s
35 Contemplation, serie di articoli in DSp 2, 2 (1953) 1643s; I. Hausherr, Les lecons d'un contemplatif. Le Tratte de l'Oraison d'Evagre le Pontique, Parigi, Beauchesne 1960; T. Spidlik, La contemplazione nella spiritualità orientale in Encicl. delle religioni II, Firenze, Vallecchi 1970, 385-390
36 Omelie 8, S, PG 34, 528 A
37 Il cuore nella mistica cristiana e indiana (in russo), Parigi, YMCA Press 1929, 5
38 Th. Spàcil, Doctrina theologica Orientis separati de revelatione, fide, dogmate, I, in Or. Chr. Anal. 31, 2, Roma, Pont. Ist. Orientale 1933, 106s
39 T. Spidlik, Thè Heart in Russian Spiriìuality in Or. Chr. Anal. 196, Roma, Pont. Ist. Orientale 1973, 361-374
40 Che cosa è la vita spirituale (in russo). Mo sca, ed. del Monastero Pantelejmon 1989, 26
41 La via della salvezza (in russo), Mosca, ed. del Monastero Pantelejmon 1908, 238
42 P. Adnès, Hésychasme in DSp 7, 1 (1969) 381-399; T. Spidiik, Esicasmo in DES 1 (1975) 707-709
43 Le Traite pratique, ed. A. e C. Guillaumont, SC 170-171 (1971)
44 G. Bardy, Apatheia in DSp 1 (1937) 727-746; T. Spidlik, Apatheia in DER I (1974) 714-715
45 Scala Paradisi 30, PG 88, 1148
46 Z. Aiszeghy, Fuite du monde in DSp 5 (1964) 1575-1605
47 Per es. Efrem, De perfectione monachi, ed. Assermani II, 412 D
48 Basilio, In Hexahemeron 6, 1, PG 29, 117 A
49 B. Schuitze, Der Gegenwartige Streit um die Sophia… in Stimmen der Zeit 70 (1940) 318-324
50 Or. 45, 7, PG 36, 632 A
51 Sulla provvidenza 7, 31, SC 79, 127
52 Archimandrit Spiridion, Mes missions en Siberie, Parigi, Cerf 1950, 30
53 Basilio, Omelia sui quaranta martiri 2, PG 31,509 A
54 Numerosa bibl. in T. Spidlik-P. Miquel, Icòne in DSp 7, 2 (1971) 1224-1239; P. Evdokimov, La teologia della bellezza, Roma. Edizioni Paoline 1971
55 Citato nel N. Arsenjew, Dos heilige Moskau, Paderborn, F. Schoningh 1940, 98-99
56 I. Hausherr, Vocation chrétienne et vocation monastique selon les Pères in Ldics et vie chrétienne parfaite, Roma, Herder 1963, 33-115; ristampato in Or. Chr. Anal. 183, Roma, Pont. Ist. Orientale 1969, 403-485
57 C. Lianine, Erémitisme en Orient in DSp 4, 1 (1960) 936-953
58 Mansi VII, 360
59 I. Hausherr, L'Hésychasme. Elude de spiritualité in Or. Chr. Per. 22 (1956) 5-40, 247-285; rist. in Or. Chr. Anal. 176, Roma, Pont. Ist. Orientale 1966, 163-237
60 Grande 'Regola "1, PG 31, 928-933
61 D. Amand, L'ascese monastique de saint Basile, Maredsous, 1948, 118s
62 Grande Regola 7, PG 31 928
63 I. Hausherr, Philautie. De la tendresse pour soi a la charité selon saint Maxime le Confesseur in Or. Chr. Anal. 137, Roma, 'Pont. Ist. Orientale 1952
64 Gregorio Nazianzeno, Oc. 41, ffi, Ws 36. 449 C
65 Eros und Agape. Gestaltwandiungen der christlichen Liebe, Giitersioh, C. Bertelsmann 1930-1937
66 M. M. Laurent, Realismo et richesse de l'amour chrétien. Essai sur Eros et Agape, Roma 1961
67 Sulla carità II, 9-10, PG 90, 985
68 G. de Vries, Le sens ecctésial… chez les Syriens, jacobites et nestoriens in DSp 4, 1 (1960) 436-442; S. Tyszkiewicz, Le sens ecclésial… chez les Russes séparés, ibid., 442-450
69 Essai sur la théologie mystique de l'Eglise d'Orient, Parigi, Aubier 1944, 19; tr. it.: La teologia mistica della Chiesa d'Oriente. La visione di Dio, Bologna, II Mulino 1967
70 Dogme et spiritualité orientale in RAM 23 (1947) 3-42; rist. in Or. Chr. Anal. 183, Roma, Pont. Ist. Orientale 1969, 145-179
71 Dal libro russo Riflessioni sulla liturgia della Chiesa ortodossa, Mosca 1894, trad. in S. Tyszkiewicz-Th. Belpaire, Ecrits d'ascites russes, Namur, Soleil levant 1957, 18s