Guida delle scuole cristiane

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Appendice A

635a. L'esperienza fondata sulla dottrina costante e sugli esempi dei santi prova sufficientemente che, per far progredire coloro di cui siamo responsabili bisogna comportarsi con loro in modo fermo e dolce nello stesso tempo.

Molti maestri debbono ammettere, se non altro col comportamento verso i loro alunni, che non è facile conciliare questi due atteggiamenti.

Infatti se si usa il principio della fermezza assoluta e dell'autorità, sarà facile che questo atteggiamento divenga troppo duro ed insopportabile.

Anche se esso proviene da zelo, non è secondo quella saggezza di cui parla San Paolo, perché non tiene nel debito conto la fragilità della natura umana.

D'altra parte, se si ha troppo riguardo alla fragilità umana ed un'eccessiva comprensione, lasciando far loro ciò che vogliono, si avranno solo fanciulli viziati, sregolati e pieni di insubordinazione.

Che bisogna fare allora perché la fermezza non degeneri in durezza e la dolcezza non cada nella debolezza e nella permissività?

Per chiarire questa tematica di grande importanza, bisogna spendere alcune parole su alcuni punti fondamentali che riassumono quasi tutti gli atteggiamenti duri e autoritari nei quali si può cadere educando i ragazzi e altri da cui deriva, al contrario, tutto il permissivismo e il disordine.

635b. I motivi che rendono sgradevole e insopportabile agli alunni il comportamento di un maestro sono:

1. Usare castighi troppo duri ed una disciplina troppo severa, che deriva spesso da scarso buon senso e avvedutezza.

Spesso accade che gli alunni non abbiano sufficiente resistenza fisica e morale per sopportare pesi che li schiacciano.

2. Impartire ordini con parole dure e imperiose, soprattutto quando questo atteggiamento deriva da impazienza o collera.

3. Voler far eseguire per forza e subito ad un alunno qualcosa verso la quale non è disposto, senza dargli agio e tempo di riflettere.

4. Esigere allo stesso modo quanto è importante e quanto è di scarso rilievo.

5. Rifiutare per principio le motivazioni e le scuse degli alunni, senza nemmeno ascoltarle.

6. Infine, dimentico dei difetti personali, non riuscire a comprendere la fragilità degli alunni, esagerare i loro difetti nel rimproverarli e nel punirli, considerandoli oggetti insensibili e non esseri ragionevoli.

635c. I motivi che invece facilitano un comportamento negligente e fiacco da parte degli alunni sono:

1. Intervenire solo quando succedono episodi di grave disordine e tralasciare di farlo nelle piccole cose.

2. Trascurare di insistere sull'osservanza e sulla pratica dei principali doveri scolastici.

3. Tollerare facilmente che non eseguano quanto viene loro richiesto.

4. Per conservare la loro amicizia, mostrare troppo affetto e tenerezza; dare qualche preferenza ad alcuni con i quali si è più in intimità, cosa che non edifica affatto gli altri ed è causa di disordine.

5. Per naturale timidezza di carattere, parlare o rimproverare con tale fiacchezza e freddezza, da non far prestare alcuna attenzione agli alunni, che così non vi danno retta.

6. Dimenticare i propri doveri al riguardo dell'atteggiamento esteriore, che consiste soprattutto nell'avere quella serietà che induce al rispetto e al ritegno, sia parlando loro troppo spesso e con familiarità, sia non comportandosi con dignità.

635d. Da ciò si può dedurre in che cosa consista l'eccessiva durezza o la troppa accondiscendenza.

Tutti e due questi estremi debbono essere evitati per non essere troppo duri ne troppo molli.

In tal modo si sarà risoluti nell'ottenere lo scopo e dolci nei mezzi da impiegare, dimostrando sempre grande carità e zelo.

Bisogna perciò avere molta tenacia, senza far pensare agli alunni di vivere nell'impunità e di poter fare quello che vogliono, perché questa non sarebbe dolcezza.

Essa invece si mostra quando il maestro nel rimproverare, non è duro, non è spinto dalla collera o dall'impulsività, ma ha la severità di un padre, pieno di efficace tenerezza, la quale si vede anche quando rimprovera o punisce, essendovi spinto dalla necessità e dallo zelo per il bene comune.

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