Meditazioni per le domeniche dell'anno

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MD 65

XII domenica dopo Pentecoste
( Lc 10,23-37 )

Unione con i Confratelli

1 Oggi Gesù ci propone un esempio di carità.

È quello di un samaritano che, incontrando sulla sua strada un uomo mezzo morto, lo medica e lo affida ad un albergatore perché ne abbia cura fino alla sua completa guarigione ( Lc 10,30-35 ).

Il Salvatore ci racconta particolareggiatamente quanto fece quest'uomo caritatevole, per farci conoscere bene come dev'essere la carità che dobbiamo esercitare verso i nostri Fratelli ( Dt 6,5; Lv 19,18; Mc 12,29.31 ) e quanto dobbiamo essere uniti gli uni con gli altri.

È una delle cose che ci deve stare più a cuore, perché - come dice san Paolo - se non avete la carità, tutto il bene che potete fare non vi servirà a niente ( 1 Cor 13,3 ).

L'esperienza prova chiaramente la verità di questa affermazione.

Infatti, una Comunità senza carità e senza unione è un inferno: uno mormora da una parte; un altro sparla del suo Fratello a motivo di qualche noia che ha con lui; un altro si indispettisce contro qualcuno che l'ha infastidito; un altro si lamenta col Superiore dell'atteggiamento di certi Confratelli nei suoi riguardi; dovunque si sentono lamentele, mormorazioni e maldicenze; tutto questo provoca inevitabilmente turbamento e inquietudine.

L'unico rimedio a questi disordini è l'unione e la carità perché - afferma ancora san Paolo - la carità è paziente ( 1 Cor 13,4 ).

Questo santo Apostolo chiede anche che la pazienza, prodotta dalla carità, arrivi a sopportare tutto ( 1 Cor 13,7 ).

Chi dice tutto non eccettua nulla.

Se dunque possediamo la carità e l'unione con i Fratelli e siamo convinti che dobbiamo sopportare tutto da tutti, non è più permesso dire: da quello non posso sopportare nulla; non riesco a sopportare i difetti di quell'altro; bisogna che gli altri si adattino in qualche modo al mio umore o alla mia fragilità…

Chi parla così non sopporta certo tutto da tutti.

Riflettete a lungo su questa massima e mettetela in pratica con esattezza.

2 La carità è dolce ( 1 Cor 13,4 ): è la seconda qualità che san Paolo attribuisce a questa virtù.

Non è con i rimproveri, con le mormorazioni o con le lamentele, fatte magari ad alta voce, ovvero bisticciando con tutti, che diamo testimonianza di amore e di unione: è parlando in modo dolce e affabile, è umiliandoci, anche al di sotto dei propri fratelli.

Afferma il Saggio: una risposta gentile calma la collera, una parola dura eccita l'ira ( Pr 15,1 ).

Perciò Nostro Signore, nel discorso della montagna, dice ai suoi Apostoli: beati quelli che posseggono la dolcezza, perché possederanno la terra ( Mt 5,5 ), conquisteranno cioè tutti, perché riesce a possedere tutti chi possiede il cuore di tutti gli uomini.

In questo, riesce certamente meglio chi ha un temperamento dolce e moderato, perché riesce a penetrare a fondo nel cuore di quelli con cui si intrattiene e con i quali ha qualche rapporto, e insensibilmente li attira a sé e ottiene da essi tutto ciò che desidera.

È in questo modo che si conquistano i cuori e si ottiene da essi tutto ciò che vogliamo; è in questo modo che chi è nato con questa felice disposizione o che l'ha acquistata con l'aiuto della grazia, diventa come il maestro degli altri e li manovra come vuole.

Quanto è vantaggioso imparare e praticare bene questa lezione di Nostro Signore.

Imparate da me che sono mite e umile di cuore! ( Mt 11,29 )

Ma la dolcezza non ci procura solo questo vantaggio; ce n'è uno ancora più importante: per mezzo suo, si possono facilmente acquistare le virtù più sublimi.

È sempre per suo mezzo, che riusciamo a frenare le passioni e a impedire che ci sfuggano di mano; ed è per mezzo suo che arriveremo alla perfetta unione con i Confratelli.

Rivolgiamoci dunque ad essi sempre con dolcezza ed evitiamo di parlare se temiamo di non riuscirci.

3 La carità è benefica ( 1 Cor 13,4 ): è la terza qualità che san Paolo attribuisce alla carità ed è la caratteristica che contraddistingue la particolare bontà d'animo del Samaritano di cui parla il Vangelo.

Difatti egli incontrò un pover'uomo che i briganti avevano spogliato, coperto di piaghe e lasciato mezzo morto.

Egli ne ebbe compassione, gli fasciò le ferite, versandovi prima olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e per un po' di tempo si prese cura di lui.

Quando fu obbligato a partire, chiese all'albergatore di avere molta cura di lui, gli diede due denari d'argento, promettendogli che al suo ritorno gli avrebbe rifuso ciò che avrebbe speso di più ( Lc 10,34-35 ).

Ammirate la straordinaria carità di questo buon Samaritano: per gli Ebrei egli era uno straniero, perché essi consideravano i Samaritani come scismatici e si odiavano vicendevolmente.

Tuttavia egli fece quanto era in suo potere per quello sfortunato viaggiatore, difatti un sacerdote e un levita ebrei non lo guardarono neppure.

Egli fu caritatevole in modo disinteressato, perché dopo tutto quello che aveva fatto per lui, versò per lui il denaro all'albergatore e promise di pagargli, al suo ritorno, tutte le spese che avrebbe fatto per quell'uomo.

Che la carità sia disinteressata ( 1 Cor 13,5 ) è un'altra delle condizioni richieste da san Paolo, perché essa sia vera.

Tuttavia capita spesso, anche nelle Comunità, che si fa del bene ai fratelli per ricambiare i favori ricevuti o, al contrario, che rifiutiamo di far loro un piacere, o almeno lo facciamo poco volentieri, perché in essi c'è qualcosa che non ci piace o perché abbiamo ricevuto qualche fastidio o qualche dispiacere.

Ahimé! Quant'è umana questa carità!

Quanto è poco cristiana e come merita poco di essere definita benefica!

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