Discorsi sul Vecchio Testamento

Indice

Trattato del Vescovo Aurelio Agostino

Sul giodizio di Salomone nei confronti delle due meretrici

1 - Il sapiente giudizio di Salomone
2 - Le due donne simboleggiano la Sinagoga e la Chiesa
3 - La grazia del Vangelo non proviene dai giudei
4 - Il bene massimo: l'unità della Chiesa
5 - Anche il figlio del peccato, è dono di Dio
6 - Nella Chiesa il male è entrato in un secondo tempo
7 - Le due fasi della Chiesa
8 - Anteporre l'unità della Chiesa anche al proprio onore

1 - Il sapiente giudizio di Salomone

La Scrittura, nel Libro dei Re, ci riporta un mirabile giudizio di Salomone nei riguardi di due donne che litigavano per un bambino.

Si legge: Un giorno andarono dal re Salomone due donne di malavita e si presentarono dinanzi a lui.

Una di esse disse: "Ascoltami, signore! Io e questa donna abitavamo nella medesima casa; e io detti alla luce un figlio in casa.

E avvenne che tre giorni dopo che ebbi partorito, dette alla luce anche lei un figlio e stavamo insieme e non c'era nessuno con noi in casa, all'infuori di noi due.

Ora durante la notte il figlio di questa donna morì, perché nel dormire lo aveva soffocato.

Ella si alzò nel cuore della notte, prese il mio bambino dal mio fianco, e lo pose nel suo seno, poi mise in seno a me il suo figlio morto.

Mi levai la mattina per allattare mio figlio, ma lui era morto; ma fissandolo più attentamente a giorno chiaro, riconobbi che non era il figlio che io avevo dato alla luce".

L'altra donna invece diceva: "Non è così: il mio figlio è quello vivo e il tuo è quello morto".

Ma la prima replicava: "No, il tuo figlio è quello morto e il mio è quello vivo".

E litigavano davanti al re. Il re disse loro: "Tu dici: Il figlio mio è questo che vive, il figlio suo è morto; tu invece rispondi: No, il figlio mio vive e il figlio suo è morto".

Continuò il re: "Portatemi una spada". Gli portarono davanti una spada.

Il re allora comandò: "Dividete il bambino vivo in due parti e datene metà all'una e metà all'altra".

Allora la donna di cui era il bambino vivo, sentendosi commuovere fin nel più intimo delle viscere verso il suo figlio, disse al re: "No, per pietà, signore, date pure a lei il bambino ma non uccidetelo".

L'altra invece insisteva: "Non sia né per me né per te; sia diviso".

Ma il re sentenziò e disse alla prima donna che aveva parlato: "Datelo a lei e non uccidetelo, perché quella è sua madre". ( 1 Re 3,16-27 )

In questo giudizio risalta in modo mirabile la saggezza concessa al re per dono divino.

Non era giusto né opportuno sentenziare che madre del bambino fosse un'altra diversa da quella che in un certo senso di nuovo concepì il bambino quando si accorse che le era stato sottratto, di nuovo lo partorì quando lo difese dalla falsa madre, di nuovo lo diede alla luce non permettendo che venisse ucciso.

Pertanto, siccome i libri ispirati dell'Antico Testamento solitamente non solo esigono la fede nella realtà del fatto, ma fanno capire il mistero di una realtà futura, dobbiamo considerare questo passo della Scrittura per vedere se ci indica che in queste due donne è significato e figurato qualcosa.

2 - Le due donne simboleggiano la Sinagoga e la Chiesa

Considerandole a prima vista, le due donne rappresentano la Sinagoga e la Chiesa.

È dimostrato infatti che la Sinagoga, dormendo, cioè seguendo la luce della vita presente e non comprendendo che la verità si stava manifestando nelle parole del Signore, uccise Cristo, figlio suo, nato da giudei secondo la carne.

Per questo sta anche scritto: Sorgi, tu che dormi, risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà. ( Ef 5,14 )

Il fatto che le donne erano due e sole e che abitavano nella stessa casa, non senza ragionevolezza significa che, all'infuori della circoncisione e del prepuzio, in questo mondo non si è trovato nessun altro tipo di religione per cui, nella figura di una di queste donne, possa essere compreso l'unico genere di uomini circoncisi, unito sotto il culto e la legge di un unico Dio; nella figura invece della seconda donna possano essere compresi tutti i pagani non circoncisi, dediti al culto degli idoli.

Tutte e due erano meretrici.

Dice infatti l'Apostolo che tutti, giudei e greci, erano sotto il peccato. ( Rm 3,23 )

Ogni uomo infatti che, abbandonata l'eterna verità, si sollazza nelle sozzure terrene, commette fornicazione allontanandosi da Dio.

Quanto alla Chiesa, provenendo essa dalla fornicazione dei pagani, è chiaro che non ha ucciso Cristo.

Bisogna indagare ora come la Chiesa possa essere anche madre di Cristo.

Fa' attenzione al Vangelo e ascolta il Signore che afferma: Chiunque fa la volontà del Padre mio, questi è mia madre e fratello e sorella. ( Mt 12,50 )

La Chiesa dunque avrebbe dormito, lei non ha soffocato nessuno nel sonno ma [ l'altra ] poté porle accanto il morto e toglierle il vivo.

In che senso tutto questo? Non si può forse spiegare con lo stesso sacramento della circoncisione, che presso i giudei era ormai morto per il fatto che lo intendevano completamente in senso carnale?

Sacramento della circoncisione che non era vivo presso i giudei, i quali avevano ucciso Cristo che è la vita di ogni sacramento - poiché in Cristo va inteso in modo vivificante quanto presso i giudei viene celebrato in modo visibile -; sacramento della circoncisione, dunque, al quale, come a corpo esanime, alcuni giudei volevano attrarre i pagani che avevano creduto in Cristo, come si trova scritto negli Atti degli Apostoli, ( At 15,1 ) dicendo che non potevano salvarsi se non si circoncidevano.

Cercavano di attrarre a queste cose persone che ignoravano la legge, come se collocassero accanto a loro il figlio, morto nell'oscurità della notte.

Quell'opera di convincimento non sortì alcun effetto, se si eccettuano alcuni casi, quando il sonno della stoltezza sorprese qualche parte della Chiesa dei gentili.

Vediamo pertanto che l'Apostolo la scuote, quasi fosse addormentata, gridando: O stolti Galati, chi vi ha ammaliato? ( Gal 3,1 )

E poco dopo ripeteva: Siete così stolti che, avendo cominciato con lo Spirito, ora finite con la carne. ( Gal 3,3 )

Come per dire: Siete così stolti che, mentre prima avevate un'opera spirituale viva, poi, perduta questa, ne ricevete una, morta, di un altro.

Lo stesso Apostolo dice in un altro passo: Lo Spirito è vita per la giustizia. ( Rm 8,10 )

E altrove: Le aspirazioni della carne conducono alla morte. ( Rm 8, 6 )

Con queste raccomandazioni e altre simili quella madre veglia finché le si fa giorno, quando con il Verbo di Dio, cioè con Cristo, che sorgeva, cioè parlava in Paolo, viene illuminata l'oscurità della legge.

Ha illuminato la legge dicendo: Ditemi, voi che volete essere sotto la legge, non prestate attenzione alla legge?

Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli: uno dalla schiava e uno dalla donna libera.

Ma quello avuto dalla schiava nacque secondo la carne, mentre quello della donna libera nacque in virtù della promessa.

In ciò vi è un'allegoria: esse, infatti, sono le due alleanze: una, quella del monte Sinai, non genera che schiavi, ed è Agar.

Il Sinai infatti è un monte dell'Arabia e corrisponde alla Gerusalemme attuale, che si trova in schiavitù insieme con i suoi figli.

La Gerusalemme celeste, invece, è libera. ( Gal 4,21-26 )

Non fa meraviglia, perciò, se, per le opere morte, il morto si riferisce alla Gerusalemme terrena; e, per le opere spirituali, il vivo si riferisce alla Gerusalemme celeste.

Perché anche gli inferi sono giù: ad essi appartengono i morti; i cieli invece sono in alto: ad essi appartengono i vivi.

Con questa illuminazione, come a giorno fatto, la Chiesa comprende la grazia spirituale e allontana da sé l'opera carnale della legge, come il figlio morto dell'altra; e reclama per sé la fede viva - poiché il giusto vive di fede ( Rm 1,17 ) - che ha ottenuto nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e perciò la riconosce con certezza come il figlio nato da tre giorni e non vuole che le si porti via.

3 - La grazia del Vangelo non proviene dai giudei

Ora affermi pure essa che suo è il Vangelo, a sé dovuto e da sé generato.

Questo dicevano ai pagani in quella controversia coloro che, provenienti dai giudei e avendo le aspirazioni della carne, osavano chiamarsi cristiani.

Affermavano che il Vangelo era venuto come una conseguenza dovuta alla loro giustizia.

Ma non apparteneva ad essi ciò che non avevano saputo intendere spiritualmente.

Essi si chiamavano cristiani - gloriandosi di un nome che non era il loro, come la donna nei riguardi del figlio che non lei aveva partorito - e osavano anche insistervi mentre, avendo escluso il significato spirituale dalle opere della legge, avevano come tolto l'anima dal corpo della loro opera e, spegnendo lo spirito vivo della profezia, erano rimasti alle opere carnali senza vita, cioè senza un significato spirituale.

Queste opere volevano anche imporle ai pagani e togliere ad essi il nome cristiano, come il figlio vivo.

L'Apostolo li confutò affermando che tanto meno la grazia del Vangelo si deve a loro, quanto più essi la rivendicano come dovuta a sé e se ne gloriano come fosse loro in forza delle opere.

A chi lavora - dice - la mercede non è computata come regalo, ma come cosa dovuta.

Ma a chi non lavora, però crede in colui che giustifica l'empio, la fede gli è computata come giustizia. ( Rm 4,4-5 )

Perciò l'Apostolo li esclude anche dal numero di coloro che, provenienti dai giudei, avevano rettamente creduto e conservavano viva la grazia spirituale.

Afferma ancora che questo resto del popolo giudaico è stato salvato, mentre la moltitudine è andata perduta.

Così anche al presente - afferma - vi è un resto che si è salvato, scelto per grazia.

Ora, se è per grazia, non è per le opere, altrimenti la grazia non è più una grazia; ( Rm 11,5-6 ) di modo che sono stati esclusi dalla grazia coloro che rivendicano il dono del Vangelo come loro proprio, cioè dovuto e dato per le loro opere, come se la Sinagoga esclamasse: "È il figlio mio!". Ma mentiva.

Lo aveva avuto anche lei ma, dormendo sopra di lui, cioè nella sua superba saggezza, lo aveva ucciso.

L'altra invece, cioè la madre, vigilava e capiva che non per i suoi meriti, poiché è peccatrice, ma per grazia di Dio le era stato concesso un figlio, cioè l'opera della fede evangelica che desiderava nutrire nell'intimo del cuore.

Perciò la prima cercava la gloria degli uomini nel figlio dell'altra; questa mantenendo in vita il proprio figlio, nutriva un sentimento d'amore.

4 - Il bene massimo: l'unità della Chiesa

Il giudizio dato dal re nella disputa sorta tra le due donne ci insegna che dobbiamo combattere per la verità e allontanare l'ipocrisia, cioè la falsa madre, dal dono spirituale della Chiesa, cioè dal bambino vivo, figlio dell'altra; non dobbiamo tollerare che essa spadroneggi sulla grazia concessa ad altri, mentre non ha potuto conservare la sua.

Lo dobbiamo fare, difendendo e combattendo, non però fino al pericolo della divisione.

La sentenza del giudice infatti, quando questi comandò di dividere in due il bambino, aveva lo scopo non di spezzare l'unità del bambino, ma di provare l'amore della madre.

Il nome Salomone infatti, come viene interpretato dai latini, significa pacifico.

Il re pacifico non dilacera le membra che nella loro unità e concordia racchiudono uno spirito vitale.

Ma minacciando di farlo, scopre la madre vera e con la conseguente sentenza allontana la falsa.

Se dunque si fosse arrivati a questa prova, affinché non si rompa l'unità della grazia di Cristo, ci si insegna a dire: "Date a lei il bambino, purché viva".

La madre vera cerca non l'onore della madre ma la salvezza del figlio.

Dovunque il bambino sia, lo possederà più l'amore della madre vera che l'usurpazione della madre falsa.

5 - Anche il figlio del peccato, è dono di Dio

Ugualmente vedo che le due donne dimoranti in un'unica casa significano due categorie di uomini che sono nell'unica Chiesa: in uno di essi domina la finzione, nell'altro regna la vera carità.

Consideriamo queste due cose, l'amore e la finzione, proprio come fossero le due donne.

La finzione infatti cerca di imitare, ingannando, l'amore.

E perciò l'Apostolo mette in guardia da questa dicendo: L'amore senza finzione. ( Rm 12,9 )

Benché abitino infatti in un'unica casa - per tutto il tempo in cui quella rete, di cui parla il Vangelo, è gettata in mare e raccoglie insieme pesci buoni e cattivi fino a che non viene tratta a riva ( Mt 13,47-48 ) - tuttavia ciascuna compie la sua propria opera.

Ambedue furono meretrici, perché tutti coloro che si convertono alla grazia di Dio provengono dalla vanità del mondo e nessuno può, se è veritiero, gloriarsi di precedenti meriti di giustizia.

Il fatto che la meretrice si dà alla fornicazione, è opera sua; il fatto che ha un figlio, è opera di Dio.

Tutti gli uomini infatti traggono origine da un unico Dio creatore.

E non c'è da meravigliarsi che Dio operi il bene anche nei peccati degli uomini.

Infatti anche attraverso il delitto del traditore Giuda il Signore nostro ha operato la salvezza del genere umano.

Ma è importante il fatto che, quando il Signore ricava qualcosa di buono dal peccato di un uomo, generalmente colui che fa il peccato non lo vorrebbe.

Non solo perché, quando pecca, non pecca con la stessa intenzione con la quale Dio nella sua provvidenza opera la giustizia dal suo peccato - Giuda infatti tradì Cristo non con la stessa intenzione con la quale Cristo accettò di essere tradito -, ma anche perché la conseguenza del suo peccato lo rattrista anziché allietarlo, quando vede che è sfociato in qualcosa di buono che lui non avrebbe voluto.

Succede come quando uno, intenzionato a dare ad un nemico ammalato il veleno, sbaglia nel tipo di medicina e gli dà qualcosa di benefico al posto del veleno e l'ammalato guarisce per grazia di Dio, il quale ha voluto cambiare in salute l'azione delittuosa del suo nemico.

Quando quel malvagio viene a conoscenza della cosa, s'indispettisce della guarigione del suo nemico, riacquistata per opera sua.

Se invece una meretrice accetta volentieri il figlio che ha concepito e non se ne libera ricorrendo a qualche medicamento abortivo, a ciò spinta dalla libidine o dall'avidità di un infame compenso, con il pretesto che la maternità non si concilia con l'attività peccatrice della donna, quella passione che prima si riversava su molti ed ora si rivolge ad uno solo, al bambino, dono di Dio, non si chiamerà più passione ma amore.

Il figlio della meretrice perciò giustamente diventa grazia della peccatrice.

E l'uomo nuovo nato dall'antica vita disonesta diventa remissione dei peccati.

6 - Nella Chiesa il male è entrato in un secondo tempo

Il Signore, benché anche per far parte del numero dei discepoli scegliesse tutti dai peccatori, per primi elesse coloro che avrebbero perseverato nell'amore, poi il falso Giuda.

Non si trova scritto con quale ordine Giuda sia stato chiamato, è tuttavia noto che prima di lui sono stati chiamati i buoni e non per nulla è nominato per ultimo. ( Mt 10,2-4 )

E dopo l'ascensione del Signore, su tutti coloro che erano riuniti in un medesimo luogo scese lo Spirito Santo, mandato dall'alto secondo la promessa del Signore. ( At 2,1-4 )

Da costoro ha avuto inizio la Chiesa: erano buoni e amavano senza finzione.

Solo in un secondo tempo la finzione cominciò a serpeggiare nella Chiesa: e perciò l'amore partorì per primo.

Il frutto dell'amore è quindi maggiore di tre giorni e lo si può riconoscere nella continenza, nella giustizia e nell'attesa dei beni futuri.

La finzione invece, anche se ha partorito, cioè anche se si è allietata per un breve tempo per la remissione dei peccati, come vinta dal sonno delle passioni terrene, mentre, perduta la speranza dei premi celesti, ritorna con il cuore appesantito a confidare nei beni terreni, come se dormisse, soffoca la remissione che aveva meritato con la fede.

Tali uomini preferiscono godere del nome di giusti anziché della vera giustizia, e con la menzogna si sforzano di accreditare a sé la buona opera degli altri per mezzo di occulti inganni, come fece nel mezzo della notte quella donna nei riguardi del bambino vivo.

Non solo usurpano le opere buone degli altri, ma tentano di rinfacciare agli altri le proprie malefatte, come se mettessero loro accanto il proprio figlio morto.

7 - Le due fasi della Chiesa

Quando alla finzione sarà concesso tanto da potersi gloriare, senza che nessuno lo impedisca, del falso nome di giustizia e da potersi appropriare, per vana ostentazione del nome di madre, della spirituale opera viva, che essa non ha generato - anzi ha estinto sotto il peso di un profondo crudelissimo sonno quanto in se stessa una volta aveva generato - e da addebitare le sue azioni delittuose ai buoni e agli innocenti accusandoli?

Quando questa finzione regnerà, se non quando abbonderà l'iniquità, ( Mt 24,12 ) cioè quando le tenebre dei peccati prevarranno come in una notte oscura e si raffredderà la carità di molti, cioè quando la madre dell'opera spirituale si addormenterà come la madre del bambino vivo?

Tuttavia poiché la carità si raffredderà in maniera che arderà più fievolmente - non è detto che si estinguerà del tutto cosicché non ci sia più - per questo è detto che quella madre s'addormentò in maniera non da uccidere il figlio, ma da dare l'occasione agli inganni della finzione.

Ma destatasi dal sonno, vedendo che le si imputava la malvagità, che lei non ha commesso, proprio da coloro che la commettono, e accorgendosi che la finzione osa gloriarsi dell'opera spirituale della grazia che lei ha custodito, e che viene ritenuta operatrice di iniquità e la finzione invece viene chiamata madre di opere buone, chiede l'aiuto del giudice pacifico.

Infatti Salomone significa pacifico.

Abbiamo visto che costui emise due sentenze: la prima come di uno che non era a conoscenza della questione, l'altra come di uno che giudica con piena cognizione di causa.

Con la prima sollecita una gara di amore materno, con la seconda concede il premio alla vincitrice.

Nella prima la madre è messa alla prova, nella seconda gioisce.

Nella prima, piangendo, getta il suo seme, nella seconda raccoglie con gioia i suoi manipoli. ( Sal 126,6 )

Il fatto si riferisce ai due tempi della Chiesa che il Cristo Signore, giudice pacifico, guida: uno è l'attuale, l'altro è futuro.

In questo veniamo messi alla prova, in quello verremo premiati.

8 - Anteporre l'unità della Chiesa anche al proprio onore

Non c'è maggior prova d'amore nella Chiesa di Cristo che quando si disprezza anche l'onore, che ha tanta importanza presso gli uomini, perché le membra del bambino non vengano divise e la debolezza dei cristiani non venga dilaniata dalla rottura dell'unità.

Dice l'Apostolo di essersi comportato come una madre verso i suoi ancor troppo piccoli, ( 1 Ts 2,7 ) nei quali aveva compiuto la buona opera del Vangelo, non lui, ma la grazia di Dio con lui. ( 1 Cor 15,10 )

Quella meretrice infatti non poteva considerare niente di proprio se non i peccati: il dono della fecondità le veniva da Dio.

Tanto più si ama la grazia di chi dona quanto più grande è il castigo meritato.

Giustamente quindi il Signore disse della donna peccatrice: A chi più viene condonato, più ama. ( Lc 7,47 )

Dice pertanto l'apostolo Paolo: Mi sono fatto piccolo in mezzo a voi, come una madre che circonda d'affetto i suoi figli. ( 1 Ts 2,7 )

Ma quando si arriva al pericolo che il bambino venga diviso in due, mentre la finta madre rivendica per sé un falso onore ed è disposta a che sia divisa l'unità la vera madre disprezzi il suo onore, pur di vedere il figlio salvo e di conservarlo in vita, perché rivendicando più insistentemente l'onore dovuto al proprio corpo, non dia l'occasione alla finta madre di dividere le fragili membra con la spada dello scisma.

Dica pertanto la carità-madre: Date a lei il bambino. ( 1 Re 3,26 )

Purché Cristo, o per secondi fini o con sincerità, venga annunziato. ( Fil 1,18 )

In Mosè la carità grida: Signore, perdona loro o cancellami dal tuo libro. ( Es 32,32 )

Nei farisei invece la finzione dice: Se lo lasciamo andare, verranno i romani e ci distruggeranno la nazione e la città. ( Gv 11,48 )

Non volevano possedere la vera giustizia, ma il nome di giusti, e desideravano appropriarsi con inganno dell'onore dovuto ai giusti.

Tuttavia, regnando in essi, la finzione ha potuto sedersi sulla cattedra di Mosè, ( Mt 23,2 ) cosicché il Signore poté dire: Fate quello che dicono, ma non fate quello che fanno ( Mt 23,3 ) perché, pur avendo un falso onore, continuassero a nutrire i piccoli e i deboli con la verità delle Scritture.

La finzione infatti ha compiuto il misfatto che con il peso del suo dormire ha soffocato l'uomo nuovo che aveva ricevuto per dono di Dio; ma il latte della fede che ha non è suo.

Perché anche dopo ucciso il bambino, che significa la vita nuova, la finzione, già caduta nei cattivi costumi, ritiene tuttavia nella memoria, come il latte nel petto, le parole della fede e la dottrina di Cristo, che viene consegnata a tutti coloro che vengono alla Chiesa.

Da questo latte anche la falsa madre poteva offrire al bambino, che chiedeva di succhiare, il succo della vera fede.

Perciò la vera madre è tranquilla, anche quando nella Chiesa il suo bambino viene nutrito dai simulatori con il latte delle divine Scritture della fede cattolica; quando, evitata la divisione, l'unità è salva e con la definitiva sentenza del giudice, nella quale è prefigurato l'ultimo giudizio di Cristo, è stato messo alla prova l'amore che ha ceduto anche l'onore alla finzione per la salvezza del bambino e il rafforzamento dell'unità, affinché conservando la carità e il legame della grazia vivificante, goda il premio eterno della pia madre.

Indice