Discorso del Signore sulla montagna

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Libro II

7.25 - Significato di pane quotidiano

La quarta domanda è: Dacci oggi il nostro pane quotidiano. ( Mt 6,11 )

Il pane quotidiano è stato indicato in luogo di tutti gli utili che servono al sostentamento della vita fisica; ed esortando a suo riguardo dice: Non preoccupatevi del domani ( Mt 6,34 ) e per questo ha detto: Dacci oggi.

Ovvero è stato indicato in riferimento al corpo di Cristo che ogni giorno riceviamo o anche come cibo spirituale, di cui il Signore stesso dice: Procuratevi il cibo che non si corrompe; ( Gv 6,27 ) e ancora: Io sono il pane della vita che sono disceso dal cielo. ( Gv 6,41 )

Si può esaminare quale delle tre interpretazioni sia la più attendibile.

Infatti qualcuno potrebbe turbarsi sul fatto che preghiamo per ottenere cose necessarie a questa vita, come il vitto e il vestito, dato che il Signore dice: Non preoccupatevi di quel che mangerete e di come vestirete. ( Lc 12,22 )

Ma c'è il problema se un individuo non debba preoccuparsi del bene che chiede di ottenere con la preghiera, poiché la preghiera si deve innalzare con grande fervore dello spirito.

E proprio a questo tende l'esortazione di chiudere le camere da letto ( Mt 6,6 ) ed anche quest'altra: Chiedete prima il regno di Dio e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. ( Mt 6,33 )

Non ha detto: Cercate prima il regno di Dio e poi cercate queste cose, ma dice: Tutte queste cose vi saranno date in aggiunta, anche se non le chiedete.

Non so se si può risolvere in che senso si dica con criterio che uno non chieda quel che per ottenere prega Dio con grande fervore.

7.26 - Pane come sacramento

Trattiamo anche del sacramento del corpo del Signore affinché non muovano obiezioni i molti che nelle regioni d'Oriente non partecipano ogni giorno alla cena del Signore, sebbene questo pane è stato dichiarato quotidiano.

Facciano dunque silenzio e non difendano la propria opinione sull'argomento sia pure con l'autorità ecclesiastica, poiché lo fanno senza scandalo e non sono impediti di farlo da coloro che comandano nelle loro chiese e, anche se non obbediscono, non sono condannati.

Da ciò si evidenzia che in quelle regioni questo non è considerato pane quotidiano, perché sarebbero rei di un grave peccato coloro che non lo ricevono ogni giorno.

Ma affinché, come è stato premesso, non discutiamo di costoro in alcun senso, deve certamente sovvenire a coloro che riflettono che noi abbiamo ricevuto dal Signore la norma del pregare e che non si deve trasgredire né aggiungendo né togliendo.

Stando così le cose, chi osa dire che dobbiamo recitare soltanto una volta la preghiera del Signore o almeno, anche se una seconda e terza volta, fino a quell'ora in cui facciamo la comunione col corpo del Signore e che poi non si deve pregare così per il resto del giorno?

Infatti non potremmo più dire: dacci oggi quel che abbiamo già ricevuto.

Ovvero ci si potrà costringere a celebrare quel sacramento fino all'ultima parte del giorno?

7.27 - Pane come parola di Dio

Rimane dunque che lo intendiamo come pane spirituale, cioè come i comandamenti del Signore che ogni giorno si devono meditare e osservare.

Di essi infatti il Signore dice: Procuratevi il cibo che non si corrompe. ( Gv 6,27 )

Nel tempo appunto si considera quotidiano un tale cibo finché scorre questa vita posta nel divenire attraverso i giorni che vanno e vengono.

E veramente finché lo stato d'animo si avvicenda ora nei beni superiori, ora in quelli inferiori, cioè ora in quelli spirituali, ora in quelli carnali, come a chi ora si nutre di cibo, poi soffre la fame, ogni giorno è necessario il pane, affinché con esso si ristori chi ha fame e si riprenda chi non si regge in piedi.

Così dunque il nostro corpo in questa vita, prima della finale immunità dal bisogno, si ristora con il cibo perché avverte la dispersione di forze; allo stesso modo l'anima spirituale, poiché subisce mediante gli affetti terreni come una dispersione di forze dalla tensione a Dio, si ristora con il cibo dei comandamenti.

È stato suggerito: Dacci oggi, finché si dice l'oggi, ( Eb 3,13 ) cioè in questa vita che scorre nel tempo. Infatti dopo questa vita ci sazieremo in eterno di un cibo spirituale in modo tale che non s'intenda il pane quotidiano, perché allora non vi sarà lo scorrere del tempo, che fa succedere i giorni ai giorni, da cui prende significato l'ogni giorno.

Come infatti e stato detto: Oggi se ascolterete la sua voce, ( Sal 95,8 ) che l'Apostolo parafrasa nella Lettera agli Ebrei con: Finché si dice l'oggi, ( Mt 6, 11 ) così anche in questa accezione si deve interpretare il Dacci oggi.

Se qualcuno invece vuole intendere questa frase in relazione al necessario alimento del corpo o al sacramento del corpo del Signore, è conveniente che questi tre significati si intendano unitamente, cioè che chiediamo insieme il pane quotidiano, tanto quello necessario, come quello consacrato visibilmente e quello invisibile della parola di Dio.

8.28 - Remissione in ogni senso …

Segue la quinta domanda: E rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 )

È evidente che come debiti sono indicati i peccati o nel senso che ha indicato il Signore stesso: Non uscirai di lì finché non paghi l'ultimo spicciolo, ( Mt 5,26 ) o nel senso per cui egli ha considerato come debitori quelli sui quali fu informato che erano morti o per il crollo della torre o perché Pilato aveva mescolato il loro sangue a quello del sacrificio. ( Lc 13,1 )

Affermò infatti che gli uomini li ritenevano debitori oltre misura, cioè peccatori e aggiunse: In verità vi dico, se non farete penitenza, morirete allo stesso modo. ( Lc 13,5 )

Non con queste parole uno è invitato a condonare il denaro ai debitori, ma tutte le offese che l'altro ha commesso contro di lui.

Infatti a condonare il denaro siamo obbligati con il comando che è stato riportato precedentemente: Se qualcuno ti vuole chiamare in giudizio per toglierti il vestito, tu cedigli anche il mantello. ( Mt 5,40 )

E da queste parole non risulta necessario condonare il debito a ogni debitore di denaro, ma a colui che non volesse restituire al punto che voglia perfino intentare una lite.

Non conviene, dice l'Apostolo, che un servo del Signore intenti una lite. ( 2 Tm 2,24 )

Si deve quindi condonare a chi o perché di sua iniziativa o perché invitato non volesse restituire il denaro dovuto.

E per due motivi non vorrà restituire, o perché non ha, o perché è avaro e avido della roba d'altri.

L'uno e l'altro caso sono relativi a una povertà, poiché la prima è povertà di beni, la seconda povertà di spirito.

Chiunque dunque condona il debito a un tale individuo condona a un povero e compie un'opera di cristiana bontà perché persiste la norma che egli sia disposto a perdere ciò che gli è dovuto.

Infatti se del tutto con pacata moderazione farà in modo che gli sia restituito, non badando tanto alla restituzione del denaro, quanto a correggere l'uomo, al quale è senza dubbio dannoso avere di che restituire e non restituire, non solo non peccherà, ma avrà il grande vantaggio che l'altro non subisca un danno spirituale per il fatto che vuole volgere a proprio profitto il denaro altrui.

E questo è tanto più grave da non avere confronto.

Se ne conclude che anche in questa quinta domanda con cui chiediamo: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori ( Mt 6,12 ) non si tratta esplicitamente del denaro, ma di tutti i casi in cui qualcuno pecca contro di noi e quindi anche del denaro.

Perciò pecca contro di te chi ricusa di restituirti il denaro dovuto, quando ha di che restituirlo.

Se non rimetterai questo peccato, non potrai dire: Rimetti a noi come anche noi rimettiamo.

Se invece perdonerai, ti accorgi che colui, a cui si ordina di invocare con questa preghiera, è esortato anche a condonare il denaro.

8.29 - … perché chiediamo al Padre

Si può trattare anche il seguente assunto.

Poiché diciamo: Rimetti a noi come anche noi rimettiamo, ci dobbiamo render conto di avere agito contro questa norma se non rimettiamo a coloro che chiedono perdono, poiché vogliamo che dal Padre molto amorevolmente sia rimesso a noi quando gli chiediamo perdono.

Ma d'altra parte dal comandamento, con cui siamo obbligati a pregare per i nostri nemici, ( Mt 5,44 ) non siamo obbligati a pregare per coloro che chiedono perdono.

Infatti costoro non sono nemici. In nessun modo poi un individuo direbbe con sincerità che prega per colui che non ha perdonato.

Perciò si deve riconoscere che si devono rimettere tutti i peccati che vengono commessi contro di noi, se vogliamo che dal Padre ci siano rimesse le colpe che noi commettiamo.

Infatti sulla vendetta si è già parlato a sufficienza, come penso.

9.30 - Il significato di tentazione

La sesta domanda è: Non ci immettere nella tentazione. ( Mt 6,13 )

Alcuni manoscritti hanno: Indurre che ritengo abbia il medesimo significato; infatti dall'unico termine greco è stato tradotto l'uno e l'altro.

Molti poi nel pregare dicono: Non permettere che siamo indotti in tentazione, mostrando, cioè, in che senso sia stato usato l'indurre.

Infatti Dio non ci induce da se stesso, ma permette che vi sia indotto colui che per un ordinamento occultissimo e meriti avrà privato del suo aiuto.

Spesso anche per ragioni manifeste egli giudica uno degno fino a privarlo del suo aiuto e permettere che sia indotto in tentazione.

Una cosa è infatti essere indotto in tentazione e un'altra essere tentati.

Infatti senza la tentazione nessuno è adatto alla prova, tanto in se stesso, come si ha nella Scrittura: Chi non è stato tentato che cosa sa? ( Sir 34, 9. 11 ) quanto per l'altro, come dice l'Apostolo: E non avete disprezzato quella che era per voi una tentazione nella carne. ( Gal 4,14 )

Da questo fatto appunto li ha riconosciuti costanti, perché non furono distolti dalla carità a causa delle sofferenze capitate all'Apostolo nel fisico.

Infatti noi siamo noti a Dio prima di tutte le tentazioni perché egli sa tutto prima che avvenga.

9.31 - Analogia del concetto di tentazione

Quindi la frase che si ha nella Scrittura: Il Signore Dio vostro vi tenta per sapere se lo amate ( Dt 13,3 ) è stata espressa nel traslato da per sapere a per farvi sapere, come diciamo allegro un giorno che ci rende allegri e pigro il freddo perché ci rende pigri e altri innumerevoli modi di dire che si hanno tanto nel gergo abituale, come nel linguaggio dei letterati e nei libri della Sacra Scrittura.

Gli eretici, che sono contrari al Vecchio Testamento e non comprendendo questa locuzione, pensano che è bollato, per così dire, da un marchio d'ignoranza l'essere di cui è stato detto: Il Signore Dio vostro vi tenta, come se nel Vangelo del Signore non sia stato scritto: Lo diceva per tentarlo perché egli sapeva quel che stava per fare. ( Gv 6,6 )

Se infatti conosceva il cuore di colui che tentava, che cosa voleva conoscere tentando?

Ma senz'altro l'episodio è avvenuto, affinché colui che veniva tentato riflettesse su se stesso e riprovasse la sua sfiducia perché le turbe furono saziate col pane del Signore, mentre egli pensava che esse non avessero di che mangiare. ( Gv 6,7-13 )

9.32 - Tentazione contro i Manichei …

Quindi con quella preghiera non si chiede di non essere tentati, ma di non essere immessi nella tentazione, sulla fattispecie di un tale, a cui è indispensabile essere sottoposto all'esperimento del fuoco, e non chiede di non essere toccato col fuoco, ma di non rimanere bruciato.

Infatti la fornace prova gli oggetti del vasaio e la prova della sofferenza gli uomini virtuosi. ( Sir 27,6 )

Giuseppe difatti è stato tentato con la seduzione dell'adulterio, ma non è stato immesso nella tentazione. ( Gen 19 ,7-12 )

Susanna è stata tentata e neanche lei indotta o immessa nella tentazione ( Dn 13,19-23 ) e molti altri dell'uno e dell'altro sesso, ma soprattutto Giobbe.

Gli eretici, nemici del Vecchio Testamento, volendo con parole sacrileghe schernire la sua ammirevole costanza in Dio suo Signore, allegano a preferenza degli altri l'episodio che Satana chiese di tentarlo. ( Gb 1,9-12 )

Chiedono agli ignoranti, assolutamente incapaci di capire certe cose, in che modo è stato possibile a Satana di parlare con Dio.

Non riflettono, e non lo possono perché sono accecati dall'errore e dalla polemica, non riflettono dunque che Dio non occupa uno spazio con la dimensione del corpo sicché è in un luogo e non in un altro o per lo meno ha una parte qui e un'altra altrove, ma con infinita grandezza è in atto in ogni spazio, non diviso nelle parti ma tutto in ogni spazio.

E se intendono in senso letterale la frase: Il cielo è per me il trono e la terra lo sgabello dei miei piedi, ( Is 66,1 ) e se a questa posizione si riferisce anche il Signore con le parole: Non giurate né per il cielo perché è il trono di Dio, né per la terra perché è lo sgabello dei suoi piedi, ( Mt 5,34-35 ) che cosa v'è di strano se il diavolo, giunto sulla terra, si è fermato davanti ai piedi di Dio e ha detto qualche cosa in sua presenza? ( Gb 1,7 )

Quando infatti questi tali finiranno per capire che non v'è anima, quantunque perversa, che comunque in qualche modo può ragionare, nella cui coscienza Dio non parli?

Chi se non Dio ha scritto nel cuore degli uomini la legge naturale?

E di questa legge dice l'Apostolo: Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi pur non avendo la legge, sono legge a se stessi; dimostrano infatti che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della coscienza di essi e dei loro stessi ragionamenti che li accusano o anche li difendono nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini. ( Rm 2,14-16 )

Quindi ogni anima ragionevole, sia pure accecata dalla passione, tuttavia pensa e ragiona e tutto ciò che mediante il suo ragionamento è vero non si deve attribuire a lei, ma alla luce stessa della verità, dalla quale sia pure scarsamente nei limiti della sua capacità è illuminata, affinché nel pensare percepisca come vero qualche cosa.

Non c'è quindi da far meraviglie se si afferma che l'anima del diavolo, corrotta da un depravante pervertimento, ha udito dalla voce di Dio, cioè dalla voce della stessa verità tutto ciò che ha pensato su un uomo virtuoso, quando volle tentarlo; ( Gb 1,8; Gb 2,3 ) e invece tutto ciò che era falso si attribuisce a quel pervertimento da cui ha avuto l'appellativo di diavolo.

Tuttavia anche per mezzo di creatura fisicamente visibile spesso Dio ha parlato tanto ai buoni che ai cattivi secondo i meriti di ciascuno, come Signore e guida di tutti e loro ordinatore al fine; ha parlato anche per mezzo di angeli che si manifestarono in sembianze umane e per mezzo dei profeti che dicevano: Queste cose dice il Signore.

Che meraviglia quindi se si dice che Dio ha parlato col diavolo non certamente attraverso il pensiero, ma mediante una creatura ovviamente adattata allo scopo?

9.33 - … nel confronto col Nuovo Testamento

E non suppongano che è proprio di deferenza e quasi merito di virtù il fatto che Dio ha parlato con lui, perché ha parlato con uno spirito angelico, sebbene stolto e vizioso, come se parlasse con un'anima umana stolta e viziosa.

Oppure dicano essi stessi in che modo Dio ha parlato con quel ricco, di cui volle biasimare un vizio molto stolto con le parole: Stolto, questa notte l'anima ti sarà richiesta e di chi saranno le ricchezze che hai messo da parte? ( Lc 12,20 )

Evidentemente questo lo dice il Signore stesso nel Vangelo, al quale questi eretici, volere o no, chinano la testa.

Se poi si preoccupano del fatto che Satana chiede a Dio di tentare un uomo virtuoso, non io spiego perché sia avvenuto, ma sprono costoro a spiegare perché nel Vangelo sia stato detto dal Signore stesso ai discepoli: Ecco che Satana cerca di vagliarvi come il grano; ( Lc 22,31 ) e a Pietro: Ma io ho pregato affinché non venga meno la tua fede. ( Lc 22,32 )

Quando mi spiegano queste parole, unitamente spiegano a se stessi quel che chiedono da me.

Se poi non saranno capaci di spiegarlo, non osino censurare con sventatezza in un libro qualsiasi quel che senza ripugnanza leggono nel Vangelo.

9.34 - Varie provenienze della tentazione

Avvengono dunque le tentazioni ad opera di Satana, non per un suo potere, ma col permesso del Signore per punire gli uomini dei loro peccati o per provarli e addestrarli in riferimento alla bontà di Dio.

E importa molto in quale tentazione uno incorra.

Difatti Giuda, che vendé il Signore, ( Mt 26, 14-16.50 ) non è incorso nella medesima tentazione in cui è incorso Pietro che per paura negò il Signore. ( Mt 26,69-75 )

Vi sono anche delle tentazioni provenienti, così penso, dall'uomo, quando uno con buona intenzione ma nei limiti dell'umana debolezza sbaglia in qualche consiglio ovvero si adira col fratello nell'intento di correggerlo, ma un po' al di là di quel che richiede la serenità cristiana.

Di queste tentazioni dice l'Apostolo: Non vi sorprenda la tentazione se non quella umana; ed anche: Dio è fedele, perché non permette che siate tentati al di là di quel che potete, ma vi darà assieme alla tentazione anche il superamento affinché possiate sopportarla. ( 1 Cor 10,13 )

E con questo pensiero ha mostrato abbastanza che non dobbiamo pregare per non essere tentati, ma per non essere indotti in tentazione.

E vi siamo indotti, se si verificano di tale fatta che non riusciamo a superarle.

Ma poiché le tentazioni pericolose, in cui è dannoso essere immessi o indotti, hanno origine dalle prosperità o avversità nel tempo, non si fiacca dalla inquietudine delle avversità chi non si lascia allettare dall'attrattiva delle prosperità.

9.35 - La liberazione dal male

L'ultima e settima richiesta è: Ma liberaci dal male. ( Mt 6,13 )

Si deve infatti pregare non solo di non essere indotti al male, di cui siamo privi, e questo si chiede al sesto posto, ma di essere liberati da quello, al quale siamo stati indotti.

E quando questo avverrà, non rimarrà nulla di temibile e non si dovrà più temere alcuna tentazione.

Però non si deve sperare che questo possa avvenire in questa vita, finché portiamo in giro la soggezione alla morte, alla quale siamo stati indotti dalla suggestione del serpente; ( Gen 3, 4-5.13 ) tuttavia si deve sperare che avverrà, e questa è una speranza che non si sperimenta.

Parlando di essa l'Apostolo dice: Una speranza che si sperimenta non è speranza. ( Rm 8,24 )

Ma non si deve disperare della saggezza che anche in questa vita è stata concessa ai credenti figli di Dio.

Ed essa comporta che fuggiamo con prudentissima attenzione quel che dietro rivelazione del Signore capiremo di dover fuggire e che perseguiamo con ardentissima carità quel che dietro rivelazione del Signore capiremo di dover perseguire.

Così infatti deposto con la morte stessa il rimanente peso di questa soggezione alla morte, da parte di ogni componente dell'uomo al tempo opportuno sarà realizzata come fine la felicità, che è incominciata in questa vita e che per raggiungere definitivamente in seguito è impiegato attualmente ogni sforzo.

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