Discorso del Signore sulla montagna

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Libro II

10.36 - Anagogia delle tre prime richieste …

Ma si deve considerare e discutere le differenze delle sette richieste.

La nostra vita dunque si svolge attualmente nel tempo e si spera che sia eterna; inoltre i valori eterni sono anteriori per dignità, sebbene si passa ad essi dopo aver posto in atto quelli nel tempo.

Quindi il conseguimento delle tre prime richieste hanno inizio in questa vita che si svolge nel tempo; difatti la santificazione del nome di Dio ha cominciato a porsi in atto dalla venuta del Signore nella nostra umiltà; e la venuta del suo regno, in cui egli dovrà venire nello splendore, non si manifesterà dopo la fine ma alla fine del tempo; e il compimento della sua volontà come in cielo così in terra, sia che per cielo e terra intendi i virtuosi e i peccatori, o lo spirito e la carne, o il Signore e la Chiesa, o tutti insieme, si otterrà con il compimento della nostra felicità e quindi alla fine del tempo; tuttavia tutte e tre queste manifestazioni del Signore rimarranno in eterno.

Difatti la santificazione del nome di Dio è eterna, il suo regno non avrà fine ed è promessa la vita eterna per la nostra perfetta felicità.

Rimarranno quindi queste tre manifestazioni unite nel pieno compimento nella vita che ci è promessa.

10.37 - … e delle altre quattro

A me sembra che le altre quattro richieste appartengono alla vita nel tempo.

La prima è: Dacci oggi il nostro pane quotidiano. ( Mt 6,11 )

Per il fatto che è stato definito come pane quotidiano, sia che venga indicato il pane spirituale o quello nel sacramento o questo visibile del nutrimento, appartiene al tempo che ha chiamato l'oggi, non perché il cibo spirituale non è eterno, ma perché questo pane, che nella Scrittura è stato considerato quotidiano, viene mostrato all'anima tanto col suono delle parole come con i vari segni che si susseguono nel tempo.

Ma tutte queste cose certamente non vi saranno più, quando tutti potranno essere ammaestrati da Dio e non esprimeranno l'ineffabile luce della verità con un movimento del corpo, ma l'attingeranno con un puro atto del pensiero.

E probabilmente è stato considerato pane e non bevanda poiché il pane spezzandolo e masticandolo si muta in alimento, come i libri della Scrittura nutrono l'anima leggendoli e meditandoli; la bevanda al contrario sorseggiata, così com'è, passa nel corpo, sicché nel tempo la verità è pane, poiché è considerata pane quotidiano, nell'eternità invece è bevanda, perché non vi sarà bisogno del discutere e dialogare sul tipo dello spezzare e masticare, ma soltanto del sorso dell'autentica ed evidente verità.

Nel tempo i peccati ci sono rimessi e li rimettiamo e questa è la seconda delle altre quattro richieste.

Nell'eternità non vi sarà perdono dei peccati perché non ci saranno peccati.

E le tentazioni travagliano questa vita posta nel tempo; non vi saranno più, quando si avvererà quel pensiero: Li nasconderai nel segreto del tuo volto. ( Sal 31,21 )

E il male, da cui desideriamo di essere liberati, ed anche la liberazione dal male appartengono a questa vita che per la giustizia di Dio abbiamo meritato soggetta a morire e da cui per la sua misericordia saremo liberati.

11.38 - Confronto fra le invocazioni e i doni dello Spirito

A me sembra anche che il numero sette di richieste corrisponda al numero sette, da cui è derivato tutto il discorso.

Se infatti è timore di Dio quello con cui sono beati i poveri in spirito, poiché di essi è il regno dei cieli, chiediamo che negli uomini sia santificato il nome di Dio nel genuino timore che permane per sempre. ( Mt 5,3-9; Mt 6,9-13; Is 11,2-3 )

Se pietà è quella con cui sono beati i miti, perché essi avranno in eredità la vita eterna, chiediamo che venga il regno di Dio tanto in noi stessi, affinché diventiamo miti e non resistiamo a lui, come nello splendore della venuta del Signore dal cielo alla terra, di cui noi godremo e conseguiremo la gloria, perché egli dice: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno che vi è stato promesso fin dall'origine del mondo. ( Mt 25,34 )

Nel Signore infatti, dice il profeta, si glorierà la mia anima; ascoltino i miti e si rallegrino. ( Sal 34,3 )

Se è scienza, per cui sono beati quelli che piangono perché saranno consolati, preghiamo affinché sia fatta la sua volontà come in cielo così in terra perché non piangeremo più, quando con la definitiva pace dell'alto il corpo, in quanto terra, sarà in armonia con lo spirito in quanto cielo; infatti v'è nel tempo motivo di afflizione solo quando corpo e spirito si urtano fra di sé e ci costringono a dire: Vedo nelle mie membra un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente; ( Rm 7,13 ) e a confessare la nostra afflizione con voce di pianto: Me infelice, chi mi libererà da questo corpo di morte? ( Rm 7,24 )

Se è fortezza quella di cui sono beati coloro che hanno fame e sete della virtù perché saranno saziati, preghiamo che ci sia dato oggi il nostro pane quotidiano, affinché da esso sorretti e sostentati possiamo giungere alla piena sazietà.

Se è consiglio quello per cui sono beati i misericordiosi perché di essi si avrà misericordia, rimettiamo i debiti ai nostri debitori e preghiamo che a noi siano rimessi i nostri.

Se è intelletto quello di cui sono beati i puri di cuore perché vedranno Dio, preghiamo di non essere indotti in tentazione, affinché non abbiamo un cuore doppio non ordinandoci al vero bene a cui riferire tutte le nostre azioni, ma perseguendo insieme i beni del tempo e dell'eternità.

Infatti le tentazioni provenienti dalle cose, che sembrano agli uomini opprimenti e dannose, non hanno potere su di noi, se non lo hanno quelle che avvengono dalle lusinghe di quelle cose che gli uomini ritengono buone e fonti di gioia.

Se è sapienza quella per cui sono beati gli operatori di pace, perché saranno considerati figli di Dio, preghiamo di essere liberati dal male, perché tale liberazione ci renderà liberi, cioè figli di Dio, affinché con lo spirito di adozione invochiamo: Abba, Padre.

11.39 - Prevalenza della remissione dei peccati

Senza dubbio non si deve per trascuranza omettere che fra tutte le clausole con cui il Signore ci ha ordinato di pregare, ha giudicato di dover raccomandare soprattutto quella che attiene alla remissione dei peccati, perché in essa ha voluto che fossimo misericordiosi, unica decisione per sfuggire alle miserie della vita.

In nessuna altra clausola preghiamo in modo da stipulare quasi un accordo con Dio; diciamo infatti: Rimetti a noi come anche noi rimettiamo.

E se in questo accordo mentiamo, non v'è alcun significato di tutta la preghiera.

Egli dice appunto: Se infatti rimetterete agli uomini i loro peccati, anche il Padre vostro che è nei cieli li rimetterà a voi.

Se invece non rimetterete agli uomini, neanche il Padre vostro rimetterà a voi le vostre colpe. ( Mt 6,14-15 )

12.40 - Segretezza del digiuno

Segue il comando sul digiuno che riguarda anche esso la purificazione del cuore, di cui si tratta in questo brano.

Anche in questo impegno si deve evitare che s'insinuino l'ostentazione e il desiderio della lode umana che infetta di doppiezza il cuore e non permette che sia puro e schietto a intendere Dio.

Dice: Quando digiunate, non diventate tristi come gli ipocriti che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano.

In verità vi dico, hanno già ricevuto la loro ricompensa.

Invece quando voi digiunate, profumatevi la testa e lavatevi il viso per non far vedere agli uomini che digiunate, ma al Padre vostro che è nel segreto; e il Padre vostro, che vede nel segreto, vi ricompenserà. ( Mt 6,16-18 )

È evidente che con questi comandi ogni nostra intenzione è diretta alle gioie interiori, per non conformarci al mondo cercando la ricompensa al di fuori e per non perdere la promessa di una felicità tanto più compiuta e stabile, quanto più intima, con la quale Dio ci ha scelto a divenire conformi all'immagine del Figlio suo.

12.41 - Ostentazione anche nell'abito negletto

Nel brano citato si deve soprattutto notare che non soltanto nella magnificenza e sfarzo delle cose sensibili, ma anche nel desolato sudiciume degli abiti vi può essere la millanteria, e tanto più dannosa in quanto inganna col pretesto del servizio a Dio.

Chi dunque si distingue per una smodata raffinatezza dell'acconciatura e dell'abbigliamento e per la magnificenza delle altre cose è incolpato dalla realtà stessa di essere seguace degli sfarzi del mondo e non inganna nessuno con una illusoria apparenza di santità.

Se qualcuno invece, nel presentarsi come cristiano, attira lo sguardo degli uomini con l'inconsueto squallore e con gli abiti sudici, se lo fa volontariamente e non perché costretto dal bisogno, si può arguire dalle altre sue azioni se lo fa nel rifiuto di una superflua raffinatezza o per ambizione, perché il Signore ha comandato di guardarci dai lupi in pelame di pecora.

Dai loro frutti, egli dice: li riconoscerete. ( Mt 7,15-16 )

Quando incominceranno con determinate tentazioni ad essere tolte o impedite quelle prerogative che con quella copertura hanno conseguito o intendono conseguire, allora è inevitabile che appaia se è un lupo col pelame di pecora o una pecora col suo.

Non per questo il cristiano deve attirare lo sguardo con ornamenti superflui, perché anche gli imbroglioni spesso assumono un atteggiamento d'indispensabile riserbo per ingannare gli imprudenti, perché anche le pecore non devono deporre il proprio pelame, se talora se ne coprono i lupi.

12.42 - Pulitezza interiore

È abituale porsi il problema che cosa significhino le parole: Invece voi, quando digiunate, profumatevi il capo e lavatevi il viso per non far vedere alla gente che digiunate. ( Mt 6,17-18 )

Difatti, sebbene abitualmente ogni giorno ci laviamo il viso, non si potrebbe ragionevolmente comandare che dobbiamo stare col capo profumato quando digiuniamo.

E se tutti ammettono che la faccenda è molto sconveniente, si deve intendere che l'ingiunzione di profumarsi il capo e di lavarsi il viso è relativa all'uomo interiore.

Quindi il profumarsi il capo è relativo alla gioia e il lavarsi il viso alla pulizia e perciò si profuma chi gioisce nell'interiorità con un atto del pensiero.

Per questo convenientemente intendiamo per capo la facoltà che domina nell'anima, dalla quale è evidente che le altre sono dirette e regolate.

E compie questa opera chi non cerca la gioia all'esterno per godere carnalmente delle lodi della gente.

La carne infatti, poiché deve essere sottomessa, non può assolutamente essere il capo di tutto l'essere umano.

Nessuno ha avuto in odio la propria carne, ( Ef 5,29 ) dice l'Apostolo quando ingiunge che si deve amare la moglie, ma capo della donna è l'uomo e capo dell'uomo è Cristo. ( 1 Cor 11,3 )

Colui dunque, che secondo questo comando desidera avere il capo profumato, goda nell'interiorità durante il suo digiuno, per il fatto stesso che così digiunando si distoglie dai piaceri del mondo per essere sottomesso a Cristo.

Così laverà anche il viso, cioè renderà pulito il cuore, con cui vedrà Dio, poiché non si verifica l'offuscamento per la precarietà proveniente dalle sozzure, ma egli sarà sicuro e stabile, perché pulito e schietto.

Lavatevi, dice Isaia, purificatevi, togliete la cattiveria dalla vostra coscienza e dalla mia vista. ( Is 1,16 )

Quindi il nostro viso si deve lavare da quelle sozzure, da cui è offeso lo sguardo di Dio.

Difatti noi a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine. ( 2 Cor 3,18 )

12.43 - Generosità interiore

Spesso anche il pensiero dei bisogni relativi a questa vita ferisce e insudicia l'occhio interiore e generalmente offende di doppiezza il cuore.

Così quello che all'apparenza operiamo con bontà nel rapporto con gli altri, non lo operiamo con quel sentimento che il Signore ha voluto, cioè non perché li amiamo, ma perché vogliamo raggiungere per loro mezzo un certo profitto per il bisogno della vita presente.

Dobbiamo invece fare del bene ad essi per la loro eterna salvezza e non per un temporaneo profitto.

Pieghi dunque Dio il nostro cuore ai suoi insegnamenti e non verso la sete di guadagno. ( Sal 119,36 )

Infatti fine di questo comando è la carità che proviene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. ( 1 Tm 1,5 )

Chi invece provvede a un fratello a causa d'un proprio bisogno proveniente da questa vita, non provvede certamente in base alla carità, perché non provvede a lui che deve amare come se stesso, ma provvede a sé, o meglio neanche a sé, poiché in questo modo rende doppio il proprio cuore, dal quale è impedito di vedere Dio, sebbene solamente con questa visione si consegue la felicità certa e perenne.

13.44 - Il nostro tesoro è nel cielo

Quindi egli che insiste per rendere pulito il nostro cuore continua coerentemente e ordina dicendo: Non accumulate tesori sulla terra, dove la tignuola e il bisogno di mangiare li dilapidano e dove i ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né la tignuola né il bisogno di mangiare dilapidano e dove i ladri non scassinano e non rubano.

Dove è infatti il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore. ( Mt 6,19-21 )

Dunque se il cuore è sulla terra, cioè se uno con cuore simile compie un'azione per raggiungere un profitto sulla terra, come sarà pulito se si avvoltola per terra?

Se invece agisce in cielo, sarà pulito perché sono puliti tutti gli esseri del cielo.

Si deturpa infatti una cosa quando si mescola a un'altra di qualità inferiore, sebbene nel suo genere non sia turpe, perché anche dall'argento puro viene deturpato l'oro se si amalgamano.

Così la nostra anima spirituale è deturpata dalla avidità delle cose della terra, sebbene la terra nel suo genere e ordine sia bella.

In questo senso vorrei intendere il cielo non visibile, perché ogni corpo si deve considerare terra.

Infatti deve sottovalutare tutto il mondo chi si accumula un tesoro in cielo, quindi in quel cielo, di cui è detto: Il cielo del cielo al Signore, ( Sal 115,16 ) ossia nel firmamento dello spirito.

Infatti non dobbiamo destinare e stabilire il nostro tesoro e il nostro cuore in quel cielo che passerà, ma in quello che rimane per sempre, perché cielo e terra passeranno. ( Mt 24,35 )

13.45 - L'occhio simbolo dell'intenzione

E nel discorso rivela che ha impartito tutti questi ammaestramenti per la purificazione del cuore, quando dice: La lucerna del tuo corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre.

Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grandi saranno le tenebre? ( Mt 6,22-23 )

Il passo si deve interpretare in modo da farci comprendere che tutte le nostre azioni sono oneste e gradite alla presenza di Dio, se sono compiute col cuore schietto, ossia con l'intenzione verso l'alto nella finalità dell'amore perché pieno compimento della Legge è la carità. ( Rm 13,10 )

Per occhio nel passo dobbiamo ravvisare l'intenzione stessa con cui facciamo tutto ciò che facciamo.

E se essa sarà pura e retta e volta a raggiungere quel fine che si deve raggiungere, è indispensabile che siano buone tutte le nostre azioni che compiamo in riferimento ad essa.

E il Signore ha considerato l'intero corpo tutte queste azioni, nel senso con cui anche l'Apostolo afferma che sono nostre membra alcune azioni che egli condanna e che ingiunge di mortificare dicendo: Mortificate dunque le vostre membra che sono secondo la terra: fornicazione, impurità, avarizia e le altre simili. ( Col 3,5 )

13.46 - L'intenzione è luce dell'azione

Quindi non si deve considerare l'azione che si compie, ma con quale intento si compie.

E questa disposizione è luce in noi, poiché con essa ci si evidenzia che compiamo con un buon intento quel che compiamo, poiché tutto quello che si evidenzia è luce. ( Ef 5,13 )

Difatti le azioni stesse, che da noi si rapportano alla società umana, hanno un risultato incerto e perciò il Signore le ha definite tenebre.

Non so infatti, quando offro denaro a un povero che chiede, che cosa ne farà o che ne subirà; e può avvenire che con esso faccia o da esso subisca un male che io, nel dare, non ho voluto che si verificasse perché non ho dato con questo intento.

Quindi se ho compiuto con retta intenzione un'azione che, mentre la compivo, mi era nota e quindi è considerata luce, anche la mia azione ne è illuminata, qualunque risultato abbia avuto.

E questo risultato, appunto perché incerto e sconosciuto, è stato considerato tenebre.

Se poi ho agito con cattiva intenzione, anche la luce stessa è tenebre.

Si considera luce perché si è coscienti con quale intenzione si agisce, anche se si agisce con cattiva intenzione.

Ma la luce stessa è tenebre, perché la schietta intenzione non si volge all'alto, ma devia al basso e per la doppiezza del cuore quasi diffonde ombra.

Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grandi saranno le tenebre? ( Mt 6,23 )

Se l'intenzione del cuore, con cui fai quel che fai e ti è nota, si deturpa e acceca nell'avidità delle cose della terra e del tempo, a più forte ragione si deturpa e si rende oscura l'azione, anche se n'è incerto il risultato.

Difatti anche se giova all'altro quel che tu fai senza retta e pura intenzione, ti sarà addebitato come hai agito e non come ha giovato a lui.

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