La Genesi alla lettera

Indice

Libro XI

32.42 - La morte e la concupiscenza sopraggiunte dopo la trasgressione del precetto divino

Ai progenitori sopraggiunse la mortalità lo stesso giorno in cui compirono l'azione che Dio aveva proibita.

Poiché essi persero la loro condizione privilegiata conservata anche grazie al nutrimento dell'albero della vita, che avrebbe potuto preservarli dalle malattie e dal processo d'invecchiamento.

Nel loro corpo infatti - sebbene fosse ancora un corpo naturale ma destinato a trasformarsi in seguito in uno stato più perfetto - tuttavia nell'alimento dell'albero della vita veniva già simboleggiato il mistero che si attua negli angeli grazie al nutrimento spirituale fornito dalla Sapienza.

L'albero della vita era infatti il simbolo di quel nutrimento che nutre gli angeli e mediante la loro partecipazione all'eternità li preserva dalla corruzione.

Una volta dunque che [ i nostri progenitori ] ebbero perduta questa condizione, il loro corpo assunse la proprietà d'essere esposto alle malattie e destinato alla morte, che è insita anche nel corpo degli animali e per questo furono soggetti allo stesso movimento a causa del quale c'è negli animali il desiderio d'accoppiarsi in modo che a coloro che muoiono succedano altri che nascono.

Eppure anche nello stesso castigo l'anima razionale rivelò l'innata sua nobiltà quando si vergognò dell'impulso animale che provava nelle membra del suo corpo, e infuse in quell'impulso un senso di pudore, non solo perché in esso provava qualcosa [ d'indecente ] che non aveva provato mai prima d'allora, ma anche perché quell'impulso vergognoso proveniva dalla trasgressione del precetto.

Fu allora che l'uomo capì di qual grazia era rivestito prima, quando, pur essendo nudo, non provava alcun movimento indecente.

Fu allora che si avverò [ la parola del Salmista ]: Nella tua bontà, Signore, avevi dato stabilità alla mia gloria; ma tu hai voltato da me il tuo volto e io sono rimasto turbato. ( Sal 30,8 )

Così, dunque, a causa di quel turbamento i nostri progenitori s'affrettarono a procurarsi foglie di fico che intrecciarono per farsene cinture e, poiché avevano lasciato [ volontariamente ] ciò che doveva costituire la loro gloria, coprirono ciò che doveva costituire la loro vergogna.

Io non credo che, ricorrendo a quelle foglie, pensassero che fosse conveniente coprire con esse le loro membra che sentivano già il prurito della concupiscenza, ma nel loro stato di turbamento furono spinti a quell'atto da un impulso occulto, di modo che anche a loro insaputa esso fu un segno del loro castigo che, dopo essere stato provato, doveva convincerli del loro peccato, e, venendo narrato dalla Scrittura, avrebbe dato un insegnamento al lettore.

33.43 - In che modo Dio parlava ai progenitori

E udirono la voce di Dio, il Signore, che passeggiava nel paradiso verso sera. ( Gen 3,8 )

Proprio a quell'ora infatti era opportuno che [ i nostri progenitori ], i quali si erano allontanati dalla luce della verità, fossero visitati [ da Dio ].

Iddio era forse solito in precedenza conversare con loro interiormente in modi esprimibili o piuttosto inesprimibili [ con parole umane ], come parla anche agli angeli illuminando le loro menti con la sua verità immutabile, in cui la loro intelligenza conosce simultaneamente tutto ciò che avviene non simultaneamente nel corso del tempo.

Forse, dico, Dio parlava con loro allo stesso modo, sebbene non partecipassero della Sapienza divina nella stessa misura che la partecipano gli angeli, ma tuttavia nella misura consentita all'uomo e in proporzione, quanto si voglia minore ma sempre nella stessa maniera, Dio li visitava e conversava con loro.

Forse Dio parlava con loro in un altro modo, come quello in cui Dio si serve delle creature o nell'estasi dello spirito con immagini corporali, o nei sensi corporei con qualche oggetto fatto presente per essere visto o far sentire la sua voce nella nube mediante i suoi angeli.

Allora però, quando [ i nostri progenitori ] udirono la voce di Dio che passeggiava nel paradiso all'imbrunire, si trattò di un'apparizione visibile effettuata mediante una creatura, poiché non dobbiamo credere che la sostanza invisibile e presente dappertutto nella sua totalità, qual è quella del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, apparisse ai loro sensi corporei movendosi nello spazio e nel tempo.

33.44 - La vergogna dei progenitori

Adamo e sua moglie si nascosero allora dalla faccia di Dio, il Signore, in mezzo agli alberi del paradiso. ( Gen 3,8 )

Allorché Dio volge via il suo volto dall'intimo dell'uomo e questi rimane turbato, non dobbiamo stupirci che l'uomo compia delle azioni simili a quelle d'un pazzo a causa di una grande vergogna e paura.

Adamo ed Eva, spinti anche da un occulto istinto, che non li lasciava in pace, compirono delle azioni di cui non comprendevano il significato ma che sarebbero state comprese dai loro discendenti per i quali sono stati narrati dalla Scrittura.

34.45 - Dio interroga, cioè rimprovera Adamo

Dio, il Signore, chiamò poi Adamo e gli chiese: "Dove sei?". ( Gen 3,9 )

Questa domanda è formulata da Colui che rimprovera, non da uno che ignora.

Naturalmente riveste anche un significato particolare il fatto che, allo stesso modo che il precetto fu dato all'uomo perché per suo mezzo arrivasse alla donna, così l'uomo fu il primo ad essere interrogato; poiché il precetto emanato dal Signore arrivò alla donna per mezzo dell'uomo, il peccato al contrario derivò dal demonio e per mezzo della donna arrivò all'uomo.

Questi fatti sono pieni di significati simbolici intesi non dalle persone in cui si compirono i fatti ma dall'onnipotente Sapienza di Dio che agiva per mezzo di esse.

Ora però non si tratta di svelare quei significati ma di affermare la realtà dei fatti.

34.46 - Si esamina la risposta di Adamo

Adamo allora rispose: Ho udito la tua voce nel paradiso e ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto. ( Gen 3,10 )

È assai probabile che Dio fosse solito apparire ai primi due esseri umani sotto forma umana mediante una creatura adatta a tale effetto.

Egli tuttavia, elevando la loro attenzione alle cose celesti, non permise mai ad essi di accorgersi della loro nudità se non dopo che, in seguito al peccato, provarono nelle loro membra l'impulso di cui ebbero vergogna conforme alla legge delle membra che è castigo del peccato.

Essi dunque, provarono il turbamento che di solito provano gli uomini sotto lo sguardo degli altri; la passione che li turbava, come castigo del peccato, li spingeva a desiderare di sfuggire allo sguardo di Colui al quale non può sfuggire nulla e di nascondere il loro corpo a Colui che scruta i cuori.

Ma che c'è di strano se coloro i quali, per la loro superbia, desiderano essere come dèi, vaneggiarono nei loro ragionamenti e il loro cuore stolto si ottenebrò?

Nella loro prosperità affermarono d'essere sapienti, ma quando Dio volse via da loro la sua faccia, essi diventarono stolti. ( Rm 1,21-22 )

Poiché, se avevano già vergogna di se stessi alla presenza l'uno dell'altro - e per questo s'erano procurati delle cinture - molto maggior paura sentivano, anche se coperti da esse, d'esser visti da Colui che, mosso da una specie di condiscendenza familiare, prendeva, al fine di vederli, l'aspetto d'una creatura visibile con occhi simili a quelli umani.

Se infatti Dio appariva in quel modo affinché essi conversassero - per così dire - con lui come con un altro uomo, come fece Abramo presso la quercia di Mambre, ( Gen 18,1 ) dopo il peccato si sentivano oppressi di vergogna proprio a causa di quella specie d'amicizia, che dava loro confidenza prima del peccato.

Essi inoltre non osavano più mostrare a quegli occhi la nudità che offendeva anche i loro stessi occhi.

35.47 - La scusa di Adamo piena di superbia

Il Signore, dunque, volendo poi interrogare i colpevoli, come si usa nei tribunali, prima d'irrogare loro un castigo più grave di quello per cui erano già costretti a vergognarsi, chiese: Chi t'ha fatto conoscere ch'eri nudo, se non il fatto d'aver mangiato dell'unico albero di cui ti avevo ordinato di non mangiare? ( Gen 3,11 )

Ecco il peccato per cui la morte, concepita conforme alla sentenza di Dio che l'aveva comminata con questo castigo, indusse i progenitori a guardar le membra con la concupiscenza appena che - come dice la Scrittura - s'aprirono i loro occhi e ne seguì un sentimento di vergogna.

E Adamo rispose: La donna che mi hai dato per compagna, mi ha dato un frutto dell'albero e io ne ho mangiato. ( Gen 3,12 )

Quale superbia! Disse forse: "Ho peccato"? Adamo ha la deformità della confusione, ma gli manca l'umiltà della confessione.

Questi particolari sono riferiti dalla Scrittura perché le stesse interrogazioni furono fatte appunto per essere tramandate per iscritto fedelmente a nostro insegnamento, poiché se fossero state tramandate in modo menzognero, non ci sarebbero state d'insegnamento.

Esse mirano a farci riflettere su quale [ grave ] malattia sia la superbia di cui sono malati oggi gli uomini che si sforzano di attribuire al Creatore qualsiasi male che hanno potuto fare.

La donna - rispose - che hai data con me, cioè che mi hai data perché mi fosse compagna, è stata essa a darmi un frutto dell'albero e io ne ho mangiato, come se la donna gli fosse stata data per questo e non piuttosto perché ubbidisse a suo marito e ambedue ubbidissero a Dio!

35.48 - Nemmeno Eva, rimproverata da Dio, confessa il peccato

Allora Dio, il Signore, disse alla donna: "Perché hai fatto ciò?".

La donna rispose: "Il serpente mi ha sedotta e io ho mangiato". ( Gen 3,13 )

Neppure lei confessa il peccato ma lo fa ricadere su l'altro al quale, sebbene il senso di lei sia differente da quello di Adamo, è uguale nella superbia.

Da essi tuttavia nacque - ma non l'imitò - uno che, pur essendo stato provato da innumerevoli sventure, disse e dirà sino alla fine del mondo: Ho detto: "Abbi pietà di me, Signore; guarisci l'anima mia, poiché ho peccato contro di te". ( Sal 41,5 )

Sarebbe stato preferibile che essi fossero così! Ma il Signore non aveva ancora schiacciato la testa dei peccatori. ( Sal 129,4 )

Sarebbero dovuti sopravvenire ancora affanni, dolori, morte e ogni specie di tribolazioni di questo mondo e la grazia di Dio con cui, al momento opportuno, egli viene in aiuto agli uomini ai quali mostra con l'afflizione che non devono presumere di se stessi.

Il serpente - disse la donna - mi ha sedotta e io ho mangiato, come se l'istigazione di qualcuno dovesse esser preferita al precetto di Dio!

36.49 - Il serpente non viene né interrogato né rimproverato ma è maledetto

E Dio, il Signore, disse al serpente: "Poiché hai fatto ciò, sarai maledetto più di tutti gli animali e di tutte le bestie selvatiche esistenti sulla terra.

Dovrai procedere sul tuo petto e con il tuo ventre e dovrai mangiare terra per tutti i giorni della tua vita.

Io porrò ostilità tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua.

Essa cercherà di colpire la tua testa e tu cercherai di colpire il suo calcagno". ( Gen 3,14-15 )

Tutta questa sentenza ha un suo senso figurato, e l'attendibilità dell'agiografo e la veridicità del racconto esigono da noi di non dubitare che sia stata [ realmente ] pronunciata.

Dio, il Signore, disse al serpente sono le sole parole dell'agiografo e devono essere intese in senso proprio.

È quindi vero che così fu detto al serpente.

Le altre parole sono di Dio; è lasciata al lettore la libertà di [ interpretarle e ] vedere se devono essere intese in senso proprio o in senso figurato, come abbiamo detto al principio di questo libro.

Se pertanto non fu chiesto al serpente perché aveva compiuto quell'azione, è evidente che il serpente non aveva agito per un impulso della propria natura e volontà ma ad agire - servendosi di lui e per mezzo di lui e in lui - era stato il diavolo, già destinato al fuoco eterno a causa del suo peccato d'empietà e di superbia.

Orbene, le parole rivolte al serpente e allo stesso tempo a colui che aveva agito per mezzo del serpente, hanno senza dubbio un senso figurato.

In esse infatti viene descritto il tentatore quale sarebbe stato per il genere umano, poiché il genere umano cominciò a propagarsi quando fu pronunciata questa sentenza apparentemente contro il serpente ma di fatto contro il diavolo.

In qual modo quindi si debbano intendere queste parole, pronunciate in senso figurato, lo abbiamo spiegato - nella misura in cui siamo stati capaci - nei due libri su La Genesi difesa contro i Manichei, già pubblicata;12 se poi potremo dare in qualche altra opera spiegazioni più precise ed appropriate lo faremo con l'aiuto di Dio.

Per adesso tuttavia la nostra attenzione non dev'essere distolta senza necessità verso un lavoro differente da quello che abbiamo intrapreso.

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12 De Gn c. Man. 2, 17, 26-18,28