La Genesi alla lettera

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Libro XI

37.50 - Il castigo della donna: esser soggetta al marito

Alla donna poi disse: "Renderò assai numerose le tue sofferenze e le tue doglie; con dolore partorirai i figli e la tua passione ti spingerà verso tuo marito, ma egli avrà il dominio su di te". ( Gen 3,16 )

Anche queste parole rivolte da Dio alla donna è molto più appropriato intenderle in un senso figurato e profetico.

La donna tuttavia non aveva ancora partorito e inoltre le doglie e i travagli del parto derivano unicamente da questo corpo destinato alla morte - che fu concepita a causa della trasgressione del precetto - e le sue membra erano senza dubbio ancora quelle di un corpo naturale ma che, se l'uomo non avesse peccato, era destinato a non morire e a vivere in un altro stato più felice, finché dopo una vita intemerata avrebbe meritato d'essere trasformato in un corpo più perfetto, come abbiamo già fatto vedere più sopra in parecchi passi.

Questo castigo può quindi essere inteso in senso letterale, anche se rimane da vedere come possa essere intesa in senso proprio la frase: La tua passione ti volgerà verso tuo marito ma egli avrà il dominio su di te.

Poiché non dobbiamo credere che [ la donna ] anche prima del peccato fosse stata creata in modo da non essere sottomessa a suo marito e da non volgersi verso di lui nel servirlo.

Tuttavia possiamo pensare con ragione che una tale soggezione, di cui qui si parla, sia una condizione simile alla schiavitù, anziché un legame di dilezione, e così anch'essa - per cui gli uomini divennero in seguito schiavi di altri uomini - si dimostra derivante dal castigo del peccato.

L'Apostolo infatti dice: Siate a servizio gli uni degli altri, ( Gal 5,13 ) ma non avrebbe detto affatto: "Dominate gli uni su gli altri".

Gli sposi possono rendersi reciproci servizi mossi dalla carità, ma l'Apostolo non permette alla donna di avere il dominio sull'uomo. ( 1 Tm 2,12 )

La sentenza pronunciata da Dio conferì questo potere piuttosto all'uomo, ma a far sì che la donna meritasse d'aver come capo e signore il proprio marito non fu la sua natura ma il suo peccato; se però quest'ordine non fosse mantenuto, la natura si corromperebbe di più e aumenterebbe il peccato.

38.51 - Quale fu il castigo di Adamo e perché questi chiamò "vita" la moglie

Al marito della donna allora Dio disse: Poiché hai dato ascolto alle parole di tua moglie e hai mangiato dell'unico albero che ti avevo proibito di mangiare, maledetta sarà la terra nei tuoi lavori; con dolore ne trarrai nutrimento tutti i giorni della tua vita; spine e rovi produrrà per te e mangerai l'erba dei campi.

Con il sudore del tuo volto dovrai mangiare il tuo pane finché non tornerai alla terra da cui sei stato tratto, poiché tu sei terra e alla terra ritornerai. ( Gen 3,17-19 )

Chi non sa che queste sono le fatiche del genere umano sulla terra?

È inoltre certo che non sarebbe stato così, qualora l'uomo avesse conservato la felicità che godeva nel paradiso; non dobbiamo quindi esitare a intendere queste parole anzitutto in senso proprio.

Dobbiamo tuttavia salvaguardare e considerare attentamente il senso profetico che ha di mira, soprattutto in questo passo, la parola di Dio.

Poiché non è senza motivo che lo stesso Adamo, in virtù di una mirabile ispirazione, chiamò allora sua moglie con il nome di "Vita", soggiungendo anche: poiché essa è la madre di tutti i viventi. ( Gen 3,20 )

Queste parole infatti non sono dell'agiografo che narra o afferma, ma sono da intendere quali parole dello stesso uomo.

Dicendo: poiché è la madre di tutti i viventi indicò in un certo modo il motivo per cui aveva imposto quel nome, perché cioè l'aveva chiamata "Vita".

39.52 - Significato simbolico delle tuniche di pelle

Dio, il Signore, fece poi per Adamo e sua moglie tuniche di pelle e li rivestì. ( Gen 3,21 )

Anche questa azione fu compiuta perché avesse un significato simbolico, ma nondimeno fu un fatto reale, allo stesso modo che le parole furono pronunciate perché avessero un significato simbolico ma tuttavia furono pronunciate realmente.

Come ho già detto altre volte, e non mi stanco di ripetere, al narratore di eventi effettivamente accaduti si richiede che narri i fatti realmente accaduti e le parole realmente pronunciate.

Ora, allo stesso modo che nel considerare i fatti s'indaga che cosa accadde e qual è il suo significato, così anche nel considerare che cosa fu detto e qual è il suo senso.

Sia che un'espressione riferita dallo storico sia stata detta in un senso figurato o in senso proprio, tuttavia il fatto che è stata detta non dev'essere considerato come un'espressione figurata.

39.53 - Le parole di Gen 3,22 sono la condanna dell'orgoglio

E Dio disse: "Ecco che Adamo è divenuto come uno di noi; poiché conosce il bene e il male. ( Gen 3,22 )

Ora, poiché queste parole, quale che ne sia il significato e il modo in cui furono dette, fu Dio che le disse, non può intendersi diversamente se nell'espressione: Uno di noi il plurale non lo si prende in rapporto alla Trinità, nel medesimo senso in cui era stato detto: Facciamo l'uomo ( Gen 1,26 ) e anche come il Signore si riferisse a se stesso e al Padre nell'espressione Verremo e prenderemo dimora in lui. ( Gv 14,23 )

Dio replicò dunque alla superba ambizione di Adamo mostrandogli il risultato di quanto aveva bramato per suggestione del serpente che aveva detto: Voi sarete come dèi. ( Gen 3,24 )

Ecco - disse Dio - che Adamo è diventato come uno di noi.

Queste sono le parole che disse Dio, non tanto per farsi beffe di Adamo, quanto per distogliere dalla superbia gli altri esseri umani per i quali sono state tramandate dalla Scrittura.

Adamo - disse Dio - è diventato come uno di noi, poiché conosce il bene e il male.

Che cos'altro dobbiamo vedere in questa frase se non un esempio che ci è stato proposto per inculcarci timore, in quanto Adamo non solo non divenne come voleva divenire ma non seppe mantenersi neppure nello stato in cui era stato creato?

40.54 - Adamo espulso dal paradiso

E ora - disse Dio - bisogna impedirgli di stendere la mano e prendere dall'albero della vita, di mangiarne e così vivere per sempre.

Dio, il Signore, lo scacciò dal paradiso di delizie perché lavorasse la terra da cui era stato tratto. ( Gen 3,22-23 )

Le parole della prima frase furono dette da Dio ma poi viene raccontato il fatto che fu la conseguenza di ciò che era stato detto.

L'uomo rimase privo non solo della vita che avrebbe ricevuto con gli angeli, se avesse osservato il precetto, ma anche della vita che menava nel paradiso ove il suo corpo godeva d'una condizione privilegiata di felicità e perciò dovette essere allontanato in ogni modo dall'albero della vita, e questo non solo perché quell'albero manteneva il suo corpo in quello stato di felicità grazie alla virtù invisibile di una realtà visibile, ma anche perché esso era anche un sacramento dell'invisibile sapienza.

L'uomo dunque doveva essere allontanato da quell'albero sia perché ormai egli era destinato alla morte, sia anche perché era - diciamo così - scomunicato [ dal paradiso ] allo stesso modo che anche nel paradiso di quaggiù, che è la Chiesa, talvolta alcuni fedeli vengono allontanati dai sacramenti visibili dell'altare a norma della disciplina ecclesiastica.

40.55 - Il paradiso terrestre e quello spirituale

[ Dio ] scacciò Adamo e lo collocò nella parte opposta al paradiso di delizie. ( Gen 3,24 )

Anche quest'azione fu compiuta realmente, ma aveva anche lo scopo di simboleggiare un'altra realtà giacché prefigurava l'uomo peccatore vivente nello stato di miseria opposto al paradiso, che rappresentava anche la felicità nel senso spirituale.

[ Dio inoltre ] collocò i cherubini e la spada di fiamma e roteante per custodire la via all'albero della vita. ( Gen 3,24 )

Anche ciò dobbiamo credere che accadde nel paradiso visibile con l'intervento delle potenze celesti sicché mediante il ministero degli angeli vi fu posto una specie di bastione di fuoco.

Non dobbiamo però dubitare che ciò fu fatto non senza un motivo, dal momento che aveva un significato simbolico anche riguardo al paradiso spirituale.

41.56 - Opinioni sulla natura del primo peccato: a) brama intempestiva della conoscenza

Non ignoro poi che certi esegeti pensano che i nostri progenitori avrebbero avuto fretta di soddisfare il loro desiderio di conoscere il bene e il male e avrebbero desiderato d'avere prima del tempo conveniente ciò che era loro serbato più tardi per un'occasione più opportuna; quegli esegeti pensano inoltre che il tentatore l'indusse ad offendere Dio appropriandosi, prima del tempo, d'un bene non ancora destinato a loro.

Così i progenitori, dopo essere stati espulsi dal paradiso e condannati, furono privati dei vantaggi d'un bene, di cui avrebbero potuto godere, se si fossero avvicinati a tempo debito, come voleva Dio.

Se questi esegeti preferissero intendere quell'albero non in senso proprio, cioè nel senso d'un vero albero con veri frutti, ma in senso figurato, dovrebbero offrire una soluzione conforme alla retta fede e alla ragione.

41.57 - b) ridicolo far consistere il primo peccato nella prematura unione maritale

Alcuni esegeti hanno anche pensato che la prima coppia umana anticipò, con una specie di furto, le nozze e si unì nell'amplesso coniugale prima di essere stata unita in matrimonio dal suo Creatore, amplesso di cui sarebbe stato simbolo il nome di "albero" che era stato loro vietato di toccare fino al tempo opportuno per accoppiarsi.

Come se dovessimo credere che, se fossero stati creati in un'età per cui dovessero aspettare il completo sviluppo della pubertà, o come se la loro unione non fosse permessa appena possibile mentre, se non fosse stata possibile, non sarebbe certamente dovuta avvenire.

O forse la sposa doveva essere consegnata dal padre e bisognava aspettare la solennità delle promesse pronunciate dagli sposi, il banchetto con una folla d'invitati, la stima della dote e la stesura del contratto matrimoniale?

Tutto ciò è ridicolo e prescinde anche dal senso letterale dei fatti narrati, che abbiamo intrapreso a difendere e che abbiamo difeso nella misura che Dio ha voluto concederci.

42.58 - Eva intermediaria del peccato di Adamo

Ma c'è un problema più difficile. Se Adamo era già spirituale quanto all'anima intellettiva, seppure non ancora quanto al corpo, in che modo avrebbe potuto prestar fede alle parole del serpente, che cioè Dio aveva proibito di mangiare del frutto dell'albero perché egli sapeva che, se lo avessero fatto, sarebbero divenuti come dèi mediante la conoscenza del bene e del male?

Come se il Creatore avesse voluto rifiutare per gelosia un sì gran bene alla sua creatura!

Sarebbe strano se un uomo, dotato d'intelligenza spirituale, avesse potuto prestar fede a una siffatta insinuazione!

O bisognerebbe forse dire che precisamente Adamo non avrebbe prestato fede [ al serpente ] e perciò gli fu avvicinata [ dal serpente ] la donna ch'era meno intelligente e forse viveva ancora secondo il senso della carne e non secondo l'inclinazione dello spirito, e questo sarebbe il motivo per cui l'Apostolo non le attribuisce d'essere immagine di Dio?

Dice infatti: L'uomo non ha bisogno di coprirsi il capo, perché è immagine e gloria di Dio; la donna invece è [ solo ] gloria dell'uomo, ( 1 Cor 11,7 ) non nel senso che lo spirito della donna non possa ricevere la stessa immagine, poiché l'Apostolo, riguardo a questa grazia, dice che noi non siamo né maschi né femmine, ( Gal 3,27-28 ) ma forse nel senso che la donna non aveva ricevuto ancora questa prerogativa che si ottiene con la conoscenza di Dio e che avrebbe ricevuta un po' alla volta sotto la guida e l'insegnamento dell'uomo.

Non senza ragione infatti l'Apostolo dice: Poiché prima è stato creato Adamo e poi Eva; inoltre non fu Adamo a lasciarsi ingannare, ma fu la donna che si lasciò ingannare e disubbidì all'ordine di Dio; ( 1 Tm 2,13-14 ) in altre parole fu per mezzo della donna che si rese trasgressore [ del precetto divino ] anche l'uomo.

D'altra parte l'Apostolo chiama trasgressore anche l'uomo, quando dice: Con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di Colui che doveva venire, ( Rm 5,14 ) tuttavia non dice che fu ingannato.

Infatti, interrogato da Dio, Adamo non rispose: "La donna che mi hai dato per compagna mi ha ingannato ed io ho mangiato", ma: Essa mi ha dato del frutto dell'albero e io ho mangiato; la donna al contrario dice: Il serpente mi ha ingannata. ( Gen 3,12-13 )

42.59 - Anche Salomone pervertito dall'amore delle sue donne

Allo stesso modo si può forse pensare che Salomone, un personaggio di sì straordinaria sapienza, credesse che ci fosse un qualche vantaggio nell'adorare gli idoli?

Ma egli non ebbe la forza di resistere all'amore delle donne che lo trascinavano a questa empietà e fece quel che sapeva non doversi fare per non contristare quelle ch'erano l'oggetto del suo amore mortifero, per le quali si struggeva e si pervertiva. ( 1 Re 11,4 )

Così pure fu il caso di Adamo. Dopo che sua moglie, essendo stata ingannata, ebbe mangiato del frutto e ne ebbe dato a lui perché ne mangiassero insieme, egli non volle contristarla, poiché pensava che senza il suo conforto ella potesse struggersi di dolore se si fosse sentita estraniata dal suo cuore e finisse per morire a causa di quella discordanza.

Per la verità egli non fu sopraffatto dalla concupiscenza carnale che non aveva ancora provata, dato che la legge delle membra non si opponeva alla legge dello spirito, ma fu vittima d'una specie di benevolenza che è propria dell'amicizia, a causa della quale molto spesso accade che si offende Dio per evitare di rendersi nemico un amico.

Che non avrebbe dovuto agire in quel modo lo dimostra il risultato che fu la giusta sentenza pronunciata da Dio [ contro di lui ].

42.60 - Adamo fu ingannato come Eva ma in modo diverso

Anch'egli dunque fu ingannato sebbene in un altro modo.

Ma io penso che non potesse affatto essere ingannato con l'astuzia del serpente con cui fu ingannata la donna.

L'Apostolo chiama in senso proprio "inganno" quello per cui fu creduto vero, pur essendo falso, ciò che veniva consigliato, come [ l'insinuazione ] che Dio avrebbe proibito di toccare quell'albero perché sapeva che, se lo avessero toccato, sarebbero divenuti simili a dèi, come se rifiutasse per gelosia la divinità a coloro ch'egli aveva creati come uomini.

Ma, anche se per orgoglio dello spirito - che non sarebbe potuto sfuggire a Dio che scruta i cuori - l'uomo, vedendo che la donna non era morta per aver mangiato il frutto, si lasciò indurre da un desiderio disordinato a farne l'esperienza, come abbiamo spiegato più sopra.

Io tuttavia penso che Adamo, se già era dotato d'intelligenza spirituale, non poteva credere affatto che Dio avesse proibito loro per gelosia di mangiare il frutto di quell'albero.

Ma perché dilungarci su questo argomento? I nostri progenitori furono indotti a commettere quel peccato nel modo che potevano commetterlo persone dotate delle caratteristiche loro proprie.

Il fatto ci è stato tramandato dalla Scrittura come era opportuno che fosse letto da tutti, sebbene fosse inteso solo da pochi nel senso che sarebbe necessario.

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