Manuale sulla fede, speranza e carità

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29.109 - Le anime dei defunti prima della risurrezione

Il tempo frapposto tra la morte dell'uomo e la risurrezione finale trattiene le anime in dimore misteriose, a seconda che ciascuna abbia meritato quiete o afflizione, in rapporto a quel che ha ottenuto in sorte finché viveva nella carne.

29.110 - Sacrifici ed elemosine in suffragio di tutti i defunti battezzati

Non si deve nemmeno negare che le anime dei defunti ricevono sollievo dalla pietà dei propri cari che sono in vita, quando viene offerto per loro il sacrificio del Mediatore o si fanno elemosine nella Chiesa.

Tutto questo però giova a quanti in vita hanno acquisito meriti che consentissero in seguito di ricavarne vantaggio.

C'è infatti un tipo di condotta non così buono da non richiedere questi suffragi dopo la morte, né così cattivo da non ricavarne giovamento dopo la morte; ve n'è poi uno talmente buono da non richiederne e viceversa uno talmente cattivo da non potersene avvantaggiare, una volta lasciata questa vita.

È in questa vita perciò che si acquista ogni merito, che consente a ciascuno di ricavarne sollievo o oppressione.

Nessuno però s'illuda di guadagnarsi presso Dio, al momento della morte, quanto ha trascurato quaggiù.

Quindi tutte le pratiche solitamente raccomandate dalla Chiesa a favore dei defunti non sono contrarie all'affermazione dell'Apostolo: Tutti dovremo comparire davanti al tribunale di Dio, ciascuno per ricevere la ricompensa per quanto ha fatto finché era nel corpo, sia in bene che in male; ( 2 Cor 5,10; Rm 14,10 ) anche il merito di potersi giovare di queste cose, infatti, ciascuno se l'è procurato finché viveva nel corpo.

Ma non tutti se ne giovano: e perché mai, se non perché ciascuno ha condotto, finché era nel corpo, una vita diversa?

Ora, dal momento che vengono offerti sia i sacrifici dell'altare sia di qualunque altra elemosina, essi rendono grazie per chi è veramente buono; intercedono per chi non è veramente buono; per chi poi è veramente cattivo, non potendo in alcun modo aiutare i morti, cercano in qualche modo di consolare i vivi.

Per quanti poi se ne giovano, il giovamento comporta o la piena remissione o almeno la possibilità di una condanna più tollerabile.

29.111 - Due città dopo la risurrezione

Ma dopo la risurrezione, una volta attuato un giudizio universale e integrale, esisteranno due diverse città, quella di Cristo e quella del diavolo, quella dei buoni e quella dei cattivi, entrambe comunque composte di Angeli e di uomini.

I primi non potranno avere alcuna volontà di peccare, i secondi non potranno averne alcuna possibilità, senza essere in condizione di morire; i primi vivendo veramente e felicemente nella vita eterna, i secondi perseverando infelicemente, senza poter morire, nella morte eterna; gli uni e gli altri senza fine.

Tuttavia i primi, nella beatitudine, resteranno in uno stato più o meno eminente, mentre gli altri, nell'infelicità, in uno stato più o meno tollerabile.

29.112 - I misericordiosi che non credono all'eternità delle pene

Invano pertanto molti, anzi moltissimi, sono portati dal loro sentimento umano a provare misericordia per quelli che sono condannati ad una pena eterna e a supplizi interminabili, non credendo quindi che avverrà proprio così: evidentemente non senza sconfessare le divine Scritture, ma provando in rapporto alle proprie emozioni a smussarne alcuni punti fermi, piegando ad una interpretazione più debole quelle affermazioni che essi ritengono pronunziate in modo più intimidatorio che veritiero.

Infatti, essi dicono, Dio non dimenticherà la misericordia, e non soffocherà nella sua collera le sue misericordie. ( Sal 77,10 )

Questo lo si legge, è vero, in un salmo santo; ma viene inteso senza esitazione come riferito a coloro che sono detti vasi di misericordia, ( Rm 9,23 ) poiché anche questi sono liberati dalla miseria non per i propri meriti, bensì per la misericordia di Dio.

Oppure, ritenendo che ci si riferisca a tutti, non per questo si deve necessariamente supporre che abbia fine la condanna di coloro dei quali è stato detto: E se ne andranno, questi al supplizio eterno, perché poi, allo stesso modo, non si pensi che un giorno avrà fine anche la felicità di coloro dei quali è stato detto: e i giusti alla vita eterna. ( Mt 25,46 )

Pensino semmai, se ciò li appaga, che le pene dei dannati sono in qualche modo attenuate secondo intervalli di tempo determinati.

Anche in questo caso, allora, è possibile comprendere che perdura su di loro la collera di Dio, ( Gv 3,36 ) cioè la condanna vera e propria ( si parla infatti di collera di Dio, non di turbamento dello spirito divino ), senza però che Egli soffochi nella sua collera, beninteso una collera che perdura, le sue misericordie, in quanto non pone fine al castigo eterno, ma frappone un alleggerimento agli spasimi; il Salmo infatti non dice: " Per mettere fine alla sua collera ", oppure: " Dopo la sua collera ", bensì: Nella sua collera.

Ed anche se questa fosse da sola la minima immaginabile quaggiù, in realtà perdere il regno di Dio, essere esiliato dalla città di Dio, allontanato dalla vita divina, privato di quella sua dolcezza che in così grande misura Dio nasconde a coloro che lo temono, ma che ha accordato pienamente a quanti sperano in Lui, ( Sal 31,20 ) sono una pena tanto grande, che non ci possono essere tormenti di sorta, a noi noti, paragonabili ad essa, se quella pena è eterna e questi invece durano tutt'al più per molti secoli.

29.113 - Eterne, anche se differenziate, la pena e la beatitudine

Quella morte perpetua dei dannati, che consiste nell'allontanamento dalla vita di Dio, perdurerà dunque senza fine e sarà comune a tutti, quali che siano le congetture degli uomini intorno alla diversità delle pene, all'alleggerimento o all'interruzione delle sofferenze, in rapporto alle proprie emozioni umane; ugualmente perdurerà la vita eterna comune a tutti i santi, quale che possa essere il diverso grado di gloria che armonicamente rifulge in loro.

30.114 - La buona speranza dei credenti nasce dalla fede

Da questa professione di fede, sinteticamente contenuta nel Simbolo e che, intesa in senso materiale, è il latte dei piccoli, ( 1 Cor 3,1-2 ) mentre in realtà, se interpretata attentamente secondo lo spirito, è il cibo dei forti, nasce la buona speranza dei credenti, alla quale s'accompagna la santa carità.

Ma di tutto quel che si deve credere per fede, riguarda la speranza soltanto quanto è racchiuso nella preghiera del Signore.

Come attesta infatti il linguaggio divino, maledetto sia chiunque ripone la speranza nell'uomo; ( Ger 17,5 ) perciò viene incatenato a questa maledizione anche chi ripone la speranza in se stesso.

Dobbiamo dunque chiedere soltanto a Dio o il bene che speriamo di compiere o quel che speriamo di conseguire per le opere buone.

30.115 - Le invocazioni del Padre nostro riportate da Matteo

Ebbene nell'evangelista Matteo la preghiera del Signore sembra contenere sette invocazioni, ( Mt 6,9-13 ) in tre delle quali si richiedono beni eterni, mentre nelle altre quattro beni temporali, tuttavia indispensabili per conseguire beni eterni.

Dicendo infatti: Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra ( Mt 6,9-10 ) ( ed alcuni, non arbitrariamente, hanno compreso nello spirito e nel corpo ), si tratta di beni da mantenere in modo assolutamente interminabile: avuto inizio su questa terra, essi s'accrescono in noi in proporzione al nostro progredire; conseguito poi il loro compimento, che si deve sperare nell'altra vita, saranno posseduti per sempre.

Dicendo poi: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male, ( Mt 6,11-13 ) chi non vede che ciò riguarda i bisogni della vita presente?

Perciò in quella vita eterna, in cui speriamo di essere per sempre, la santificazione del nome di Dio, il suo regno e la sua volontà perdureranno nel nostro spirito e nel nostro corpo in modo compiuto e immortale.

Il pane quotidiano poi è chiamato così perché in questa vita è necessario, nella misura in cui dev'essere dispensato all'anima ed al corpo, intendendolo sia in senso spirituale, sia in senso materiale, sia in entrambi i sensi.

Qui, dove commettiamo peccati, c'è anche la richiesta della remissione; qui ci sono le tentazioni che ci adescano, inducendoci a peccare; qui insomma si trova quel male da cui desideriamo esser liberati; là invece non c'è nulla di tutto questo.

30.116 - Analoghe le invocazioni riportate da Luca

L'evangelista Luca, invece, nella preghiera del Signore non ha incluso sette invocazioni, bensì cinque, ( Lc 11,2-4 ) senza però essersi in realtà discostato dall'altro, indicandoci anzi con questa sua sintesi il modo d'intenderle tutte e sette.

Il nome di Dio è certamente santificato nello spirito, mentre il suo regno giungerà con la risurrezione della carne.

Mostrando dunque che la terza richiesta è in un certo senso una ripetizione delle due precedenti, Luca l'ha fatta comprendere meglio, tralasciandola.

Aggiunge quindi le altre tre, che riguardano il pane quotidiano, la remissione dei peccati, la tentazione da evitare.

Quanto poi all'affermazione, riportata alla fine, ma liberaci dal male, ( Mt 6,13 ) non l'ha riportata, per farci comprendere che si riferisce alle parole precedenti sulla tentazione.

Per questo ha detto: Ma liberaci, anziché: " E liberaci ", come per mostrare che si tratta di un'unica richiesta ( " non voler questo, ma quest'altro " ), perché ognuno sappia che è liberato dal male in quanto non è indotto in tentazione.

31.117 - Il primato della carità

Consideriamo infine la carità, che l'Apostolo definisce maggiore di queste due, ( 1 Cor 13,13 ) cioè della fede e della speranza: quanto più essa è presente in qualcuno, tanto più questi è migliore.

Quando infatti si chiede di chiunque se sia un uomo buono, non si chiede che cosa creda o in che cosa speri, ma che cosa egli ami.

Infatti chi ama rettamente, senza dubbio crede e spera rettamente; chi invece non ama, crede vanamente, anche se quanto crede è vero, e spera vanamente, anche se s'insegna che le cose in cui spera riguardano la vera felicità, a meno che l'oggetto della fede e della speranza sia tale che a colui che lo chiede possa essere concesso il dono di amarlo.

E benché sia impossibile sperare senza amare, è possibile tuttavia non amare ciò senza di cui è impossibile raggiungere quanto si spera.

È così quando si spera nella vita eterna ( e chi non l'ama? ) e non si ama la giustizia, senza la quale nessuno la raggiunge.

Ma è proprio la fede di Cristo, raccomandata dall'Apostolo, che opera per mezzo dell'amore, ( Gal 5,6 ) e quel che ancora non possiede nell'amore, chiede di riceverlo, cerca di trovarlo, bussa perché le sia aperto. ( Mt 7,7 )

La fede infatti consegue quel che la legge comanda: senza il dono di Dio, cioè senza lo Spirito Santo, per mezzo del quale la carità si diffonde nei nostri cuori, ( Rm 5,5 ) la legge potrà comandare, ma non aiutare, rendendo per di più prevaricatore chi non potrà giustificarsi per l'ignoranza.

Dove non c'è la carità di Dio, infatti, è la passione della carne a regnare.

31.118 - I quattro stadi attraverso i quali Dio ha chiamato a sé il suo popolo

Vivere invece secondo la carne, nelle più profonde tenebre dell'ignoranza, senza alcuna resistenza della ragione, è lo stadio originario dell'uomo.

Successivamente, quando grazie alla legge è stata acquisita la conoscenza del peccato, ( Rm 7,7 ) mancando ancora l'aiuto dello Spirito divino, chi vuole vivere secondo la legge viene vinto e pecca coscientemente, sottomettendosi alla schiavitù del peccato ( esser vinto da qualcuno significa infatti essere suo schiavo ( 2 Pt 2,19 ) ); la conoscenza del comandamento in effetti fa in modo che il peccato produca ogni concupiscenza e si compia, per la prevaricazione che vi si è assommata, quel che sta scritto: È sopraggiunta la legge, perché abbondasse il peccato. ( Rm 5,20 )

È questo il secondo stadio dell'uomo.

Se invece Dio si è rivolto verso di noi, perché si creda che è Egli stesso che aiuta a portare a compimento i suoi comandamenti, e l'uomo ha cominciato ad agire grazie allo Spirito di Dio, allora egli ha desideri contrari alla carne per la forza superiore della carità; ( Gal 5,17 ) e così, benché ci sia ancora qualcosa da parte dell'uomo che s'oppone all'uomo, finché non è stata risanata tutta la sua infermità, il giusto può nondimeno vivere di fede, ( Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38 ) e vivere giustamente, in quanto non cede alla cattiva concupiscenza, prevalendo il gusto della giustizia.

È questo il terzo stadio: la buona speranza dell'uomo; e per chi riesce ad avanzare in esso con religiosa perseveranza, da ultimo resta la pace, che dopo questa vita sarà colmata nella quiete dello spirito e quindi anche nella risurrezione della carne.

Di questi quattro diversi stadi, il primo è anteriore alla Legge, il secondo è sotto la Legge, il terzo sotto la grazia, il quarto nella pace piena e compiuta.

Il popolo di Dio è stato ordinato secondo questi intervalli di tempo, come è piaciuto a Dio, che tutto dispone con misura, calcolo e peso. ( Sap 11,21 )

Esso visse anzitutto prima della Legge; in un secondo tempo sotto la Legge, data per mezzo di Mosè; quindi sotto la grazia, data per mezzo della prima venuta del Mediatore. ( Gv 1,17 )

Questa grazia certamente non mancò nemmeno prima a coloro ai quali doveva essere concessa, anche se in forma adombrata e nascosta secondo l'economia temporale.

Nessun giusto fra gli uomini antichi infatti avrebbe potuto trovare la salvezza all'infuori della fede in Cristo, o comunque non sarebbero giunte sino a noi profezie più o meno esplicite attraverso il loro ministero, se Cristo fosse restato sconosciuto anche a quelli.

31.119 - Ma ciò che conta è la grazia della rigenerazione

Quale che sia poi uno dei quattro stadi ( o, in un certo senso, età ) in cui la grazia della rigenerazione abbia potuto trovare ciascun uomo, qui gli sono rimessi tutti quanti i peccati passati, e quella colpa contratta con la nascita viene dissolta con la rinascita.

È talmente vero che lo Spirito soffia dove vuole, ( Gv 3,8 ) che alcuni non hanno conosciuto quella seconda condizione di schiavitù sotto la Legge, cominciando invece ad avere l'aiuto divino insieme al suo comandamento.

31.120 - La morte è inoffensiva per chi è stato rigenerato con il battesimo

Prima che l'uomo sia in grado di accogliere il comandamento, egli vive necessariamente secondo la carne.

Quando invece è stato ormai compenetrato dal sacramento della rigenerazione, non gli nuocerà minimamente il dover lasciare in quel momento questa vita.

Per questo infatti Cristo è morto ed è risorto: per essere il Signore dei morti e dei vivi ( Rm 14,9 ) e il regno della morte non catturerà colui per il quale è morto chi è libero fra i morti.

32.121 - La carità di Dio e del prossimo, culmine di ogni comandamento, nel secolo presente e in quello futuro

Tutti i comandamenti divini insomma si riferiscono alla carità, di cui l'Apostolo dice: Ma il fine del comandamento è la carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. ( 1 Tm 1,5 )

Pertanto il fine di ogni comandamento è la carità; ogni comandamento, in altri termini, si riferisce alla carità.

Ciò che quindi si compie, vuoi per timore della pena, vuoi per una qualche intenzione carnale, senza riferirsi alla carità diffusa dallo Spirito Santo nei nostri cuori, ( Rm 5,5 ) nonostante l'apparenza, non si compie ancora come si dovrebbe.

Senza dubbio questa carità riguarda Dio e il prossimo, e certamente da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti; ( Mt 22,40 ) aggiungi il Vangelo, aggiungi gli Apostoli: non ha altra origine infatti questa parola che dice: Il fine del comandamento è la carità, e ancora: Dio è carità. ( 1 Gv 4,8 )

Tutte le cose che Dio comanda, dunque, come ad esempio: Non commettere adulterio, ( Mt 5,27; Rm 13,9 ) ed anche quelle che non ordina, ma che sono oggetto di una raccomandazione spirituale, come ad esempio: È cosa buona per l'uomo non toccare donna, ( 1 Cor 7,1 ) sono compiute rettamente, quando si riferiscono all'amore di Dio e all'amore del prossimo in vista di Dio, sia nel secolo presente che in quello futuro; all'amore di Dio ora per fede, allora per la visione e allo stesso amore del prossimo ora per fede.

Noi non conosciamo, infatti, in quanto mortali, i cuori dei mortali.

Allora invece il Signore illuminerà i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori, e ciascuno avrà da Dio la sua lode. ( 1 Cor 4,5 )

Infatti il prossimo loderà e prediligerà nel prossimo ciò che Dio stesso illuminerà, perché non resti nascosto.

La passione quindi diminuisce con l'accrescersi della carità, finché questa non raggiunga una dimensione tale rispetto a cui non potrebbe essercene una più grande: Nessuno infatti ha una carità più grande di questa: dare la vita per i propri amici. ( Gv 15,13 )

Chi poi potrà descrivere la grandezza della carità quando non ci sarà più alcuna passione da superare, se non altro reprimendola?

Infatti l'integrità sarà assoluta, quando non ci sarà più l'assalto della morte.

33.122 - Conclusione

Ma è ora finalmente di porre termine a questo scritto, che tu stesso vedrai se è necessario chiamare o considerare Manuale.

Quanto a me tuttavia, ritenendo che non debba essere sottovalutata la tua ricerca di Cristo, riponendo fede e speranza nel bene che, con l'aiuto del nostro Redentore, può venire da te, pieno di grandissimo amore verso di te, che sei tra le sue membra, ho scritto per te, come ho saputo fare, questo libro intorno alla fede, alla speranza e alla carità, e mi auguro che l'utilità sia pari alla lunghezza.

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