La storia della Chiesa

Indice

§ 78. Forze politiche ecclesiastiche

La Chiesa nazionale

1. La radice più significativa dell'evo moderno, quella che reca in germe tutta l'evoluzione avvenire, è l'idea nazionalistica, quel misterioso, prodigiosamente fecondo, ma anche tragicamente eversivo egoismo comunitario dei popoli nella loro moderna organizzazione della vita.

Abbiamo già avuto modo d'incontrarlo in diverse forme iniziali.

Ma solo a partire dal « risveglio dei popoli » nel tardo Medioevo può essere usato in senso vero il concetto di « nazionale », anche se per lungo tempo ancora non presenta quel carattere separatista che nei secoli moderni farà di esso una maledizione.

Abbiamo a che fare ora con lo Stato che sta per diventare autonomo e con la sua idea.

Lo stretto legame fra Chiesa e Stato nel Medioevo, e soprattutto l'enorme potenza finanziaria della Chiesa e il desiderio di impedire a Roma di usufruire di queste ricchezze e di impiegarle per sé, condussero i prìncipi, a partire dalla fine del secolo XIII, a cercar di avere a propria disposizione, oltre la forza politica, anche le chiese del loro territorio e i rispettivi possedimenti.

Da allora fino al secolo XIX la chiesa di stato ( o nazionale ) fu la grande antagonista del papato.

In continua lotta con questo avversario, il papato dovette affermare il nucleo centrale del suo programma: la più stretta unione possibile dei popoli e delle chiese con Roma.

Poiché la chiesa di stato ebbe un ruolo determinante nella vittoria della Riforma e nell'attuazione della Controriforma, è indispensabile conoscerne il sorgere e le caratteristiche per poter comprendere la storia della Chiesa dell'età moderna.

2. a) La chiesa di stato, considerata nella prospettiva della storia della Chiesa, è un movimento antitetico all'opera di accentramento compiuta dal papato nell'alto Medioevo; un'espressione del tramonto dell'universalismo della Chiesa, del crescente particolarismo, del laicismo che va rafforzandosi e dell'incipiente, crescente e mutevole - spesso perniciosissima - dipendenza del papato dagli Stati in via di formazione.

Ciò che appare tragico è vedere come il papato stesso collabori a questa formazione mediante la lotta contro l'imperatore, poi contro le idee democratiche dell'era conciliare: collabori mediante i concordati con i prìncipi, poi mediante privilegi di vario genere concessi continuamente ai sovrani nazionali.

I movimenti delle chiese nazionali - anche laddove intervennero in modo massiccio in questioni ecclesiastiche - poterono spesso appellarsi ai rapporti basilari caratteristici del primo Medioevo ( § 35; § 38 ).

Ma la funzione di tali condizioni si era mutata nel frattempo.

Ciò che allora era estraneo a Roma, ora assumeva una tendenza anti-romana; ciò che allora, a poco a poco almeno, era integrato in un certo senso in una concezione ecclesiastico-universale dei prìncipi, manifestava ora una tendenza decisamente centrifuga e il papato lo doveva difendere contro le tendenze particolaristiche dei sovrani nazionali laici ( e anche religiosi ).

b) Alla testa di questo processo, nella nostra epoca, non era naturalmente la massa del popolo, bensì i sovrani nazionali e i loro « moderni » ministri.

Fondamento teoretico e nello stesso tempo forza propulsiva del movimento fu l'antica idea dello Stato, richiamata in vita, dapprima attraverso il rinato diritto romano e poi attraverso il Rinascimento.

Come il Rinascimento era nato da una tendenza « nazionale », così la sua diffusione nei paesi transalpini portò con sé anche la tendenza allo sviluppo dell'elemento prettamente nazionale, a concentrare tutte le forze del paese in una unità politica e quindi ad accentuarne l'autonomia.

Il malcontento delle diverse classi sociali per lo sfruttamento finanziario operato dalla curia romana e il risvegliarsi della coscienza nazionale, anche tra le file del clero, costituivano dei potenti alleati; la Riforma non ancora attuata e le situazioni concrete invocanti una riforma ( per esempio nei monasteri che si opponevano al rinnovamento )44 offrivano al potere secolare sia l'occasione sia la giustificazione per ingerirsi negli affari della Chiesa, anzi talvolta lo costringevano quasi a intervenire.

c) Ricordiamo alcuni strumenti che, in mano al sovrano nazionale, dovevano servire a questa concentrazione anche delle « forze » della Chiesa: influsso sulla provvisione dei posti vacanti ( specialmente delle « alte » prebende, cioè delle diocesi e delle abbazie ), fino all'assegnazione autonoma, tassazione delle chiese, dei monasteri, del clero.

A servizio diretto di queste aspirazioni furono escogitati in Francia e in Spagna due mezzi giuridici:

1) il placet che controllava e impediva l'entrata in un paese dei decreti papali relativi a pagamenti o a provvisioni di cariche vacanti;

2) l'« appel camme d'abus »: ossia l'appello dalla sentenza di un tribunale ecclesiastico ad un tribunale laico ( ove è evidente e fatale il sovvertimento in corso, anzi l'inversione delle forze ).

Tappe particolarmente importanti di questo processo sono lo scisma d'Occidente e l'epoca del conciliarismo.

3. L'isolamento tutto particolare della Spagna e la continua necessità ( fino alla liberazione in seguito alla conquista di Granada nel 1492 ) di lottare contro i Mori, aveva assai presto creato un fronte comune politico-ecclesiastico, che diede un'impronta profonda alla coscienza della nazione.

Di conseguenza il potere religioso si mise ben presto alle dipendenze del potere politico, del cui appoggio armato esso aveva bisogno.

La situazione era qui materialmente identica a quella del regno dei Franchi del primo Medioevo, al tempo di Bonifacio ( § 38,II ), con la sola differenza che la disponibilità di forze ausiliarie era meglio organizzata.

Il decisivo indirizzo in tal senso si ebbe durante il regno di Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona, entrambi zelanti per la riforma e dal cui matrimonio ( 1469 ) scaturì l'unità politica della Spagna.

Loro collaboratori furono i predicatori di penitenza e il cardinale Ximenes ( § 76,IV ).

Il concordato del 1482 riconobbe ai sovrani un largo controllo sull'assegnazione delle alte cariche ecclesiastiche.

Nella nuova permanente Inquisizione statale-ecclesiastica, rigidamente accentrata ( in modo speciale contro gli Ebrei e i Mori convertiti, ma ricaduti, Marranos § 72,III,4a ) essi si procurarono quello strumento terribile che facilitò la realizzazione di desideri di riforma sia politica sia ecclesiastica.45

Questo mezzo, vale a dire l'Inquisizione, era senz'altro da condannarsi ( § 56,III ); il risultato generale, però, di tutti gli sforzi, fu notevole e di grande importanza: una vera riforma politico-ecclesiastico-scientifica sotto la guida della coppia reale, anche se nel suo operare rimangono purtroppo visibili i limiti del pensiero contemporaneo e della tradizione nazionale.

Questo lavoro preparò l'humus dal quale dovevano germogliare le gigantesche forze di sostegno per la Riforma cattolica e la Controriforma: i gesuiti, santa Teresa d'Avila, la Spagna di Carlo V e Filippo II.

4. In Francia il movimento in questione risale a Filippo IV e ai suoi legisti ( § 63,4b ) ed è strettamente legato all'idea conciliare, che era nettamente a servizio della chiesa nazionale francese ( e così rimarrà fino alla fine del secolo XIX ).

Base giuridica ne divenne la Prammatica Sanzione di Bourges dell'anno 1438 ( basata sui decreti conciliari di Basilea ) e, dopo il suo annullamento ( teorico ), il concordato del 1516; influsso praticamente illimitato del rè sulla provvisione delle diocesi e delle abbazie, forte ipoteca sui tribunali ecclesiastici.

5. In Inghilterra si affermò una chiesa di stato analoga al gallicanesimo ( da cui derivò, come da un modello, una forte influenza ).

6. a) In Germania era impossibile un analogo sviluppo unitario, data la molteplicità dei principati autonomi.

Qui la chiesa territoriale46 dominava però sovrana.

Lo stesso vale per lo sviluppo delle città libere dell'impero.

Si può dire che in generale il consiglio cittadino, nel tardo Medioevo, cercasse di sfruttare tutte le possibilità per poter dominare in misura più ampia anche gli affari ecclesiastici della città.

L'occasione si presentò molto propizia e fu debitamente colta, nel periodo di maggiore indebolimento del potere pontificio, nello scisma, durante e dopo i concili di riforma.

Il programma: trattenere nel territorio le rendite ecclesiastiche, avere in mano le forze del clero, ridurre l'influenza dei visitatori ecclesiastici stranieri e la loro giurisdizione.

b) Un esempio classico è offerto dal potere ecclesiastico raggiunto dal duca di Kleve.

Il papa gli accordò dei privilegi tali che divenne poi proverbiale il detto, trasformatesi in seguito in una concezione giuridica generale: il duca di Kleve è papa nel suo paese.

In stretta unione con questo sviluppo si trova, in maniera significativa e nefasta per il cristianesimo, un promovimento, a prevalente ( ma non esclusivo ) fondo politico, di forze religiose ed ecclesiastiche indigene, per esempio il moltiplicarsi e l'organizzazione dei pellegrinaggi.

Se ne avvertì l'insidia latente solo al momento della Riforma.

7. Ora conosciamo il processo di formazione dei fondamenti ecclesiastici, politici e intellettuali dell'evo moderno: esso era già in movimento a partire dal secolo XIII.

Il risultato è un complesso straordinariamente molteplice di correnti, un'epoca piena di stridenti contrasti che, attraverso lunghi e persistenti attriti, dovevano inevitabilmente portare un po' alla volta tutto l'organismo ad una straordinaria eccitabilità, e infine addirittura ad infiammazioni morbose.

L'epoca è ricca di possibilità.

Malgrado però il felice albore di una rinascita salutata con giubilo, essa è tutt'altro che sicura di sé e tranquilla: attende piuttosto, quasi visibilmente, l'avvenimento, la scossa che dovrà spingerla alla realizzazione di quelle possibilità.

Questa non è affatto un'interpretazione inaccettabile e a posteriori: a prescindere dagli avvenimenti già ricordati e anche dagli altri che incontreremo, dalle idee, dai progetti e dalle esigenze espresse, dalle opere politiche, artistiche, letterarie, religiose, ecclesiastiche e scientifiche, l'idea viene esplicitamente espressa sia prima che dopo il 1517.

8. Sia all'inizio che al termine di questo processo evolutivo ( immediatamente prima che scoppiasse la Riforma ) troviamo due documenti che, indipendentemente l'uno dall'altro, sembrano quasi essere un programma riassuntivo della riforma ecclesiastica necessaria al capo della Chiesa, con illustrazioni, richieste e proposte contenenti proprio quanto fu poi realizzato dal concilio tridentino come riforma della Chiesa.

Ci riferiamo sia ai progetti di riforma del cardinale Domenico Capranica ( nato a Capranica presso Palestrina e che svolse la sua attività soprattutto a Roma ) del 1450, sia a quelli di Tommaso Giustiniani e Vincenzo Quirini del 1513.

Il cardinale Capranica fu uomo versatile e santo; dopo essere stato per due volte candidato al papato, morì nel 1458, poco prima di venir eletto papa in conclave; e quella fu una delle ore tragiche della storia dei papi, accanto alla morte immatura di Adriano VI e di Marcello II nel secolo successivo.

Il « venerabile » Giustiniani, proveniente dalla migliore società di Venezia, fu una personalità particolarmente affascinante, che faceva parte del circolo veneziano di riforma sostenuto soprattutto da laici ( al quale, oltre al Quirini, già ambasciatore della Repubblica, apparteneva il grande Gaspare Contarmi ), fu coltissimo umanista, eremita a Camaldoli ( e riformò poi quella congregazione ); anche lui può esser definito un uomo santo, che seppe vivere sino alla fine con grande naturalezza la sua pietà mistico-umanistica.

Il suo amico Quirini lo seguì a Camaldoli.

Il programma di riforma, fatto pervenire da questi due eremiti a papa Leone X, in occasione del V Concilio Lateranense, fu il « programma di riforma più grandioso e al tempo stesso più radicale dell'era conciliare » ( Jedin ).

Sia in questo programma che in quello del cardinale Capranica, c'imbattiamo in una concezione altamente religiosa e pastorale del compito della Riforma;47 andando ben oltre la pura estirpazione dei mali esterni che caratterizzavano il « corso degli affari » della Curia ( dalla concessione fiscale di benefici e dall'inflazione di dispense, pregne di germi morbosi intaccanti la religione ), essi si sospinsero fino alla responsabilità pastorale del papa, al quale veniva chiesto conto delle anime dei perduti.

Naturalmente, questi due progetti, all'inizio e al termine del nostro processo, ebbero lo stesso insuccesso degli altri, sorti nel frattempo.

Ma questo, alla metà del secolo XV, non si poteva certo prevedere.

Poiché purtroppo le gigantesche forze che si erano risvegliate non mantennero un equilibrato rapporto reciproco, anziché lasciar prevedere qualcosa di costruttivo, i segni premonitori, dal punto di vista ecclesiastico, religioso e, nei loro ultimi effetti, anche culturale, non annunciavano che tempesta.

E la tempesta si scatenò: la Riforma di Lutero.

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44 Sia per il poco fervore degli interessati, sia in conseguenza di privilegi concessi da Roma.
45 È eloquente a tale proposito che Isabella e Fetdinando abbiano ottenuto l'esplicita rinunzia del papa al diritto di appello: la giurisdizione pontificia si era talvolta opposta al rigorismo spagnolo.
46 Tra le sue radici va ricordata l'istituzione, fatale, della chiesa privata ( § 34,IV ).
47 Tra le molte proposte che finalmente avrebbero dovuto garantire un clero solido ( quindi anche sottoposto ad esame), era anche la seguente: non poteva ricevere gli ordini superiori chi non avesse letto l'intera Bibbia; per i laici (!) doveva esser tradotta nella lingua nazionale.
Giustiniani, il grecista, sostenne in modo straordinario l'uso della lingua nazionale.
- Lo scandalo dei conventuali rilassati lo opprimeva tanto che egli avanzò la proposta di lasciarli cadere in estinzione.