Summa Teologica - I

Indice

La presenza della Trinità nel mondo

Questo insegnamento sulla Trinità tutta impegnata nell'opera creatrice e restauratrice ci situa ancora alla radice di una dottrina della presenza di Dio nel mondo, che Tommaso condivide con i più grandi mistici, ma che egli esprime con una forza insospettabile e di cui dà le ragioni con la sua abituale giustezza e precisione.

Riferendosi direttamente ad un versetto del Prologo di Giovanni ( Gv 1,3 ), di cui conosce non meno di sei differenti esegesi, e che seguendo sant'Agostino legge nel seguente modo: « Ciò che fu fatto era vita in lui »,146 vede preesistere in Dio non soltanto le creature spirituali ma tutta la creazione: « Se si considerano le cose in quanto sono nel Verbo, esse non sono solamente viventi, ma sono la Vita.

Infatti le loro « idee », che esistono spiritualmente nella sapienza di Dio e mediante le quali le cose sono state fatte dal Verbo stesso, sono vita ».147

La creazione artistica permette qui un nuovo paragone: prima della sua esecuzione, l'opera propriamente parlando non è inesistente perché esiste già nel pensiero dell'artista, tuttavia essa non è puramente e semplicemente la vita, poiché l'intelligenza dell'artista non si identifica con il suo essere.

Al contrario, in Dio non vi è niente che non sia Dio e la sua intelligenza si identifica con la sua vita e con la sua essenza.

« Perciò tutto ciò che è in Dio non solo vive ma è la vita stessa … ed è per questo che la creatura in Dio si identifica all'essenza creatrice ( creatura in Deo est creatrix essentia ).

Così, in quanto sono nel Verbo, le cose sono vita ».

Questa è una dottrina costante che Tommaso sostiene sempre con lo stesso riferimento al Prologo giovanneo: « Le cose preesistono in Dio secondo il modo del Verbo stesso.

Esso consiste nell'essere uno, semplice, immateriale, nel non essere soltanto vivente ma la Vita stessa, giacché il Verbo è il suo essere ».148

É dunque in questo modo che vi è presenza della creazione in Dio, ma il contrario non è meno vero: c'è un'« esistenza di Dio nelle cose » .149

Questo è un luogo privilegiato per comprendere come una presa di posizione in apparenza semplicemente filosofica esige immediatamente la sua traduzione teologica e il suo prolungamento mistico.

Tommaso trae il suo punto di partenza da una delle sue posizioni più nette: Dio solo è l'essere per essenza e la sua essenza è il suo essere stesso ( Ipsum esse subsistens ); ne segue quindi che, in ogni altro esistente, l'essere non può che essere creato e ricevuto da Dio, il quale lo produce come suo proprio effetto.

Secondo un'immagine fisica prediletta: « essendo Dio l'essere stesso per essenza, è necessario che l'essere creato sia il suo proprio effetto, come bruciare è l'effetto proprio del fuoco ».

Questa dipendenza nell'essere di tutte le cose nei confronti di Dio non si verifica soltanto nella loro creazione, nel momento in cui cominciano ad esistere, ma dura per tutto il tempo che esse sussistono.

Un paragone molto eloquente permette di capire ciò molto facilmente: non fa giorno se non quando il sole diffonde nell'aria la sua luce; se il sole scompare, non si ha più luce né giorno.

Il parallelo con Dio che dà l'essere impone la conclusione: « Fintantoché dunque una cosa ha l'essere, è necessario che Dio le sia presente, e ciò conformemente al modo in cui essa possiede l'essere.

L'essere poi è in ogni essere ciò che vi è di più intimo e di più profondamente radicato, poiché gioca nei confronti di tutto ciò che è in esso il ruolo di forma, di principio determinatore …

Occorre dunque concludere necessariamente che Dio è in tutte le cose e nel modo più intimo ».150

Tommaso insiste su questo punto con una forza un po' sorprendente,151 ma ci troviamo in un luogo di affermazioni paradossali.

Contrariamente a quanto succederebbe per una realtà materiale, questa presenza di Dio nelle cose non equivale a un imprigionamento: le cose non contengono Dio; è il contrario che è vero: « le cose spirituali contengono ciò in cui esse sono, così l'anima contiene il corpo.

Quindi anche Dio è nelle cose come contenente le cose ».152

Avendo precisato ciò, Tommaso non teme di aggiungere: « Dio è in tutti gli esseri e interamente in ciascuno, così come l'anima è tutt'intera in ciascuna parte del corpo ».153

L'affermazione di partenza è dunque arricchita e precisata: dato che il conosciuto si trova nel conoscente e l'amato nell'amante, ne consegue che, secondo l'intelligenza e la volontà, « le cose sono in Dio molto più che Dio nelle cose ».154

Non è quindi se non per analogia con il mondo materiale che si dice che Dio si trova in tutte le cose.

Questi paragoni sono tuttavia delicati da maneggiare; Tommaso non lo ignora e, dal momento in cui incontra il panteismo,155 rigetta l'eredità dello stoicismo antico che considerava Dio come l'anima del mondo.

Questo antropomorfismo relativamente grossolano non solo non è sufficiente a rendere conto in modo soddisfacente dell'immanenza di Dio alla sua creazione, ma fallisce anche completamente nel preservare la sua trascendenza.156

Ora, Tommaso conserva simultaneamente l'una e l'altra e, ancora meglio, si impegna a valorizzare il modo profondamente differenziato in cui Dio è presente nella sua creazione, aprendo così alla contemplazione prospettive inesauribili.

In un celebre testo scritto mentre era giovane teologo, Tommaso distingue tre modi in cui si può dire che Dio esiste nella creazione.157

Il primo si verifica in tutta la creazione, animata o inanimata; il secondo al contrario non lo si incontra che negli esseri spirituali capaci di ricevere la grazia e dunque di accedere a Dio in un modo personale; quanto al terzo, esso si realizza soltanto in Cristo, che l'unione ipostatica situa al vertice della creazione: « La prima [ presenza ] si realizza per semplice similitudine, cioè nella misura in cui si trova nella creatura una somiglianza della divina bontà [ questo corrisponde a ciò che abbiamo caratterizzato qui sopra come « vestigio »], senza che essa raggiunga Dio considerato nella sua sostanza.

Questo modo di congiunzione [ tra Dio e la sua creatura ] lo si incontra in tutte le creature nelle quali Dio si trova per la sua essenza, la sua presenza e la sua potenza ».

I teologi parlano in questo caso di una « presenza di immensità ».

Tommaso spiega ciò molto chiaramente nella Somma,158 ma ha pure un testo ancora più esplicito, che risale alla fine della sua carriera: « Si dice comunemente che Dio è in ogni realtà per la sua essenza, presenza e potenza.

Per comprendere ciò, bisogna sapere che qualcuno è detto essere per la sua potenza in tutti coloro che gli sono sottomessi, così come il re è detto essere in tutto il regno che gli è sottomesso, senza tuttavia esservi con la sua presenza né con la sua essenza.

Per la sua presenza, qualcuno è detto essere in tutte le realtà che sono al suo cospetto, così come il re è detto essere presente nel suo palazzo.

Invece qualcuno è detto essere per la sua essenza nelle realtà in cui è la sua sostanza, così come il re è [ nella sua propria individualità ] in un solo determinato luogo.

Noi affermiamo che Dio è dappertutto nel mondo per la sua potenza, poiché tutte le cose sono sottomesse al suo potere - Se salgo in cielo, là tu sei ( … ), se prendo le ali dell'aurora per abitare all'estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra ( Sal 139,8 ) -.

Dio è anche dappertutto per la sua presenza, poiché tutto ciò che è nel mondo è nudo e scoperto agli occhi suoi ( Eb 4,13 ).

Infine Dio è dappertutto per la sua essenza, poiché la sua essenza costituisce ciò che vi è di più intimo in tutte le realtà …

Ora, Dio crea e conserva tutte le cose secondo l'atto d'essere di ogni realtà.

E dato che l'atto d'essere forma ciò che vi è di più intimo in ogni realtà, è chiaro che Dio è in tutte le realtà per la sua essenza, mediante la quale le crea ».159

Noi purtroppo non possediamo il commento di Tommaso al Salmo 139, ma ciò che conosciamo della sua riflessione sul libro di Giobbe mostra bene com'egli sia lontano dal vedere in questo Dio che ha tutto al suo cospetto, e scruta le reni e i cuori, il giudice spietato a cui lo si è a volte ridotto; Tommaso, molto diversamente, vede Dio in questa immagine come colui che conduce l'uomo « sul cammino dell'eternità ».160

C'è infatti un secondo modo in cui Dio si fa presente alla sua creatura; esso si verifica « quando la creatura raggiunge Dio stesso considerato nella sua sostanza e non nella sua semplice somiglianza, e questo mediante la sua operazione.

É quanto succede quando qualcuno aderisce con la fede alla stessa Verità prima, e con la carità alla sovrana Bontà.

Tale è dunque il secondo modo, secondo il quale Dio è specialmente nei santi mediante la grazia ».

Con questa scarna formula Tommaso evoca qui la dottrina dell'inabitazione divina che, pur dando origine a eruditi commenti, conserva in lui una semplicità tutta giovannea: « Se uno mi ama …, noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui » ( Gv 14,23 ).

Il contesto qui è molto chiaro: non si tratta dei santi canonizzati ma proprio di tutti i cristiani che vivono secondo le virtù teologali.

Questa precisazione è sufficiente per mettere in risalto l'incommensurabile differenza tra la presenza di immensità del Dio creatore in tutte le cose, anche materiali, e la presenza che egli riserva a coloro che lo amano perché per primo li ha amati: « al di fuori della grazia, non esiste una perfezione aggiunta alla sostanza che introduca Dio in un essere a titolo di oggetto conosciuto e amato.

Solo la grazia fonda un modo particolare d'essere di Dio nelle cose ».161

Circa il terzo tipo di presenza di Dio nel mondo, Tommaso lo menziona qui molto brevemente: « Eppure c'è un altro modo singolare di esistenza di Dio nell'uomo: mediante l'unione ».

Così com'è, questa semplice parola ha qualcosa di enigmatico, Tommaso però l'ha spiegata nel testo delle Sentenze che ci serve da canovaccio: « La creatura raggiunge Dio stesso non solo mediante la sua operazione, ma anche nel suo proprio essere.

Quest'ultimo bisogna intenderlo non dell'atto che costituisce l'essenza divina - poiché la creatura non può mutarsi nella natura divina - ma dell'atto che costituisce l'ipostasi o la persona alla cui unione la creatura è elevata.

É l'ultimo modo [ di presenza ], quello secondo il quale Dio è in Cristo tramite l'unione [ ipostatica ] ».

Con una formula più semplice possiamo dire che è la venuta del Verbo nella carne che realizza questo terzo modo di presenza nella sua creazione.

Noi incontriamo qui la questione, celebre tra i teologi, sul motivo dell'incarnazione: Perché Dio si è fatto uomo? …

Partendo dal principio che questo genere di questioni può avere una risposta soltanto dalla Scrittura, Tommaso vi risponde dicendo che Dio probabilmente non si sarebbe incarnato se l'uomo non avesse peccato, ma ammette che esiste a riguardo una diversità di opinioni possibili: « Alcuni dicono che anche se l'uomo non avesse peccato, il Figlio di Dio si sarebbe incarnato; altri affermano il contrario.

Quest'ultima opinione sembra preferibile.

Infatti, le cose che dipendono dalla sola volontà di Dio e sulle quali le creature non hanno nessun diritto, non possono esserci note se non nella misura in cui Dio vuole manifestarcele e ce le trasmette mediante la Sacra Scrittura.

Ora, il motivo che la Sacra Scrittura dà dappertutto dell'incarnazione, è il peccato del primo uomo.

Sembra dunque più probabile ( convenientius ) che questo mistero sia stato voluto da Dio come rimedio al peccato, sicché senza il peccato non ci sarebbe stata l'incarnazione.

Tuttavia bisogna ammettere che la potenza di Dio non si limita a questo e che, anche senza il peccato, Dio avrebbe potuto incarnarsi ».162

L'ardore della controversia con gli scotisti aveva indotto i tomisti ad esacerbare un po' questa risposta del Maestro.

Non si prestava così molta attenzione alla sua moderazione ( sembra preferibile ) e al fatto che non faceva altro che sottolineare la sua maggiore « convenienza »,163 lasciando aperte altre possibilità.

Infatti, quando in un quadro più ampio si interroga sulla convenienza dell'incarnazione, egli situa in primo piano piuttosto una ragione di ordine metafisico e, seguendo Dionigi, spiega: « La natura di Dio è la bontà.

Di conseguenza, tutto ciò che è essenziale al bene conviene a Dio.

Ora è proprio dell'essenza del bene il comunicarsi …

Si addice dunque al Bene supremo di comunicarsi alla sua creatura in modo sommo.

E questa sovrana comunicazione si realizza quando Dio si unisce alla natura creata in modo tale da formare una sola persona da queste tre realtà: il Verbo, l'anima, la carne, così come afferma sant'Agostino …

La convenienza dell'incarnazione appare dunque con chiarezza ».164

In questo modo, la venuta del Verbo nella carne non è più causata soltanto dalla felix culpa - che a volte è difficile dissociare da un certo antropocentrismo - ma Cristo appare anche come il vertice e il coronamento di un universo interamente retto dalla comunicazione dell'Essere e del Bene divini, secondo le tre grandi modalità che abbiamo ricordato165

Solo così completiamo la visione della meravigliosa gradazione che Tommaso introduce circa la presenza di Dio nel mondo, anche se è evidente che il secondo e il terzo modo di presenza non sono in continuità naturale con il primo.

Se questo deve esistere affinché la grazia possa essere « innestata » su di esso, c'è tra di essi l'alterità radicale della natura, ridotta alle sue possibilità, e della grazia che proviene dalla pura liberalità divina.

Ed è per questo che non è possibile concepirli in un modo rigorosamente simmetrico.166

L'ordine discendente dei doni naturali non tollera nessun intermediario tra l'azione di Dio e la sua creatura quando si tratta di comunicare l'essere; invece l'ordine ascendente, che è quello del ritorno della creatura verso Dio, non solo accetta alcune mediazioni ma le esige necessariamente, come nel caso dell'umanità di Cristo e del dono della grazia dello Spirito Santo.

Cristo si trova infatti all'esatta congiunzione dei due ordini di mediazione, discendente e ascendente, e perciò - Tommaso lo spiega commentando un versetto un po' ermetico del Siracide ( Sir 1,7 ) che parla dei « fiumi che ritornano alla loro fonte » - la circolarità trova in lui la sua realizzazione più perfetta e la sua più bella espressione: « È il mistero dell'incarnazione che è significato da questo ritorno dei fiumi verso la loro fonte …

Questi fiumi sono in effetti i beni naturali di cui Dio ha colmato le creature: l'essere, la vita, l'intelligenza .., e la fonte dalla quale essi provengono è Dio …

Mentre poi si trovano dispersi in tutta la creazione, questi beni si trovano riuniti nell'uomo perché costui è come l'orizzonte, il limite in cui si congiungono la natura corporale e quella spirituale; trovandosi come al centro, egli è partecipe sia dei beni spirituali che di quelli temporali …

Per questo quando la natura umana fu unita a Dio tramite il mistero dell'incarnazione, tutti i fiumi dei beni naturali ritornarono alla loro fonte ».167

Indice

146 «Quod factum est in ipso vita erat»; oltre Agostino, Tommaso cita Origene, Ilario, Crisostomo, i manichei e una omelia anonima; gli esegeti attuali leggono piuttosto: «Senza di lui niente fu. Di ogni essere egli era la vita», ma non dobbiamo qui addentrarci in questa discussione; ci è sufficiente mettere in evidenza il punto di partenza di Tommaso.
147 In Ioannem 1, lect. 2, n. 91; si sa che i mistici riprendono volentieri questo linguaggio, cf. per esempio ANGELUS SILESIUS, Le pèlerin chérubique, I 73 («Sagesses chrétiennes»), Paris 1994, p. 48: «Prima di essere qualsiasi cosa, io ero la vita di Dio.
Per questo Egli si è anche donato totalmente a me».
148 SCG IV 13, n. 3494; cf. Depot., q. 3, a. 16 ad 24; I, q. 39, a. 8; q. 4, a. 2: «poiché Dio è la prima causa efficiente delle cose, le perfezioni di tutte le cose devono preesistere in Dio secondo un modo superiore». Tommaso è qui molto vicino a SANT.AGOSTINO, La Genesi alla lettera, V 15, 33: NBA 9/2, pp. 265-267; BA 48, pp. 419-420; Omelie sul Vangelo di San Giovanni 37, 8: NBA 24/1, pp. 77 1-773; BA 73A, pp. 231-235, e forse ancora di più a SANT.ANSELMO, Monologion 36, ed. F.S. SCHMITT, Edinburgh 1946, t. I, p. 55. Per i problemi metafisici che si pongono qui, rinviamo a J.-H. NICOLAs, Synthèse dogmatique. Complément: De l’univers à la Trinité, Fribourg-Paris 1993, pp. 34-42
149 Cf. I, q. 8, totalmente dedicata a questo tema.
150 I, q. 8, a. 1: «Oportet quod Deus sit in omnibus rebus, et intime»; si vedrà qui I, q. 3: «Sulla semplicità di Dio», e soprattutto l.a. 4 per l'affermazione secondo cui in Dio l'essenza è identicamente il suo atto di essere (esse); per quanto riguarda il fatto che l’esse sia la forma di ogni essente ricordiamo la formula così forte: «l'essere è l'attualità di tutte le cose e delle stesse forme» (ipsum esse est actualitas omnium rerum et etiam ipsarumformarum, I, q. 4, a. 1 ad 3; cf. Depot. q. 7, a. 2 ad 9: esse est actualitas omnium actuum et propter hoc est perfectio omnium perfectionum).
Etienne Gilson si è molto impegnato per rimettere in primo piano questo insegnamento, cf. in modo particolare Le Thomisme,Paris 19866, inizio del cap. III, pp. 99-112.
151 Poiché egli arriva fino al punto di concedere che Dio si trova anche nei demoni, almeno in quanto essi sono delle realtà esistenti (a. 2 ad 4).
A maggior ragione egli sarà nei peccatori di cui l.atto stesso di peccare non ha altra realtà fisica se non quella che gli presta Dio ad ogni istante.
152 I, q. 8, a. 1 ad 2.
153 I, q. 8, a. 2 ad 3.
154 I, q. 8, a. 3 ad 3: «Magis res sunt in Deo quam Deus in rebus».
155 I, q.3, a. 8.
156 Cf. J.-H. NICOLAS, Transcendance et immanence de Dien, ST 10 (1981) 337-349.
157 Sent. I, d. 37, q. 1, a.2.
158 I, q. 8, a. 3: «Dio è in tutto per la sua potenza, perché tutto gli è sottomesso; è in tutto per la sua presenza, perché tutto è allo scoperto e come nudo dinanzi ai suoi occhi; è in tutto per la sua essenza, perché è presente a tutto come causa universale dell.essere»; occorre vedere in questo articolo il modo in cui queste tre parole rifiutano altrettanti errori opposti: potenza mira a quello dei manichei che pretendevano sottrarre le cose corporali e visibili all.influenza del Dio buono per sottometterle al Dio cattivo che nel loro sistema gli è prospiciente; presenza vuole scartare quello di Avveroè e di altri che, pur ammettendo che tutto è sottomesso alla potenza divina, pretendevano che essa non si occupa di queste umili realtà materiali (cf. I, q. 22, a. 2); essenza rettifica la posizione di Avicenna che, pur ammettendo la divina provvidenza su tutte le cose, negava che la creazione sia stata effettuata senza intermediari (cf. I, q. 45, a. 5).
159 In Ioannem 1, lect. 5, n. 134.
160 Sal 139,24; si può ampliare con J.-P. TORRELL, Dieu qui es-tu?, Paris 1974, pp. 170-175.
161 I, q. 8, a. 3 ad 4; per maggiori dettagli su questo passaggio, cf. lo studio esaustivo di J. PRADES, «Deus specialiter est in sanctis per gratiam».
El misterio de la inhabitaciòn de la Trinidad en los escritos de santo Tomàs («Analecta gregoriana 261»), Roma 1993
162 III, q. 1, a. 3; il passaggio parallelo delle Sentenze III, d. 1, q. 1, a. 3 sembrava più favorevole a quest.ultima opinione: «Altri dicono che, siccome mediante l'incarnazione del Figlio di Dio non si è prodotta soltanto la liberazione dal peccato ma anche la glorificazione (excitatio) della natura umana e il coronamento di tutto l'universo, l'incarnazione avrebbe potuto verificarsi per queste ragioni anche senza il peccato.
E questo può essere sostenuto con probabilità»; cf. anche In Iam ad 1 Tm. 1, 15, lect. 4, n. 40; per questa questione, un tempo molto discussa, rinviamo allo studio completo di H. BOUESSÉ, Le Sauveur da Monde, I, La piace du Christ dans le plan de Dieu, Chambéry-Leysse 1951. Cf. anche lo splendido articolo, che non si può non seguire in tutti i suoi dettagli, di M. CORBIN, La Parole devenue chair.
Lecture de la première qaestion de la Tertia Pars de la Somme theologique de Thomas d’Aquin, RSPT 67 (1978) 5-40, ripreso in L’inouï de Dieu. Six études christologiques, Paris 1980, pp. 109-158 (a p. 112, l.autore impiega un «no» che non si trova nel testo del commento a Timoteo; dunque bisogna leggere piuttosto: «questa questione non è di una grande importanza»).
163 Per il significato dell.argomento di convenienza, rinviamo all.illuminante studio preliminare di G. NARCISSE, Les enjeux épistémologiques de l’argument de convenance selon saint Thomas d’Aquin, in Ordo sapientiae et amoris, pp. 143-167.
164 III, q. 1, a. 1.
165 Sebbene tratti della questione senza uno speciale rapporto al nostro tema, si può rinviare qui allo studio più ampio di TH.R. POTVIN, The Theology of the Primacy of Christ According to St. Thomas Aquinas and its Scriptural Foundations, «Studia Friburgensia» n.s. 50, Fribourg (Svizzera) 1973.
166 Tommaso spiega ciò precisamente a proposito dell'unione ipostatica ( III, q. 6, a. 1 ad 1): «Si può considerare un duplice rapporto tra la creatura e Dio.
Il primo consiste nel fatto che le creature sono causate da Dio e dipendono da lui come dal principio del loro essere; e in base a questo, in virtù dell'infinità della sua potenza, Dio raggiunge immediatamente tutte le cose causandole e conservandole. In tal modo Dio è immediatamente in tutte le cose per la sua essenza, la sua presenza e la sua potenza.
Il secondo rapporto consiste nel fatto che le cose si riconducono a Dio come al loro fine; in tal modo, si trovano degli intermediari tra la creatura e Dio, poiché le creature inferiori ritornano a Dio mediante le superiori, come afferma Dionigi ne La Gerarchia celeste (4, 3); è a questo rapporto e in quest'ordine che appartiene l'assunzione della natura umana da parte del Verbo di Dio che è il termine di questa assunzione, e che è in tal modo unito alla carne mediante l'anima».
167 Sent. III, Prol.; decisamente nello stesso senso, SCG IV 55, n. 3937: «Dato che l.uomo è in un certo senso il compimento delle creature, poiché le presuppone tutte nell'ordine naturale della sua generazione era del tutto giusto che fosse unito al primo principio affinché la perfezione dell’universo fosse completata mediante una specie di cerchio».