Summa Teologica - I-II

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Articolo 4 - Se sia possibile perdere la beatitudine raggiunta

I, q. 64, a. 2; q. 94, a. 1; In 1 Sent., d. 8, q. 3, a. 2; In 4 Sent., d. 49, q. 1, a. 1, sol. 4; C. G., III, c. 62; Comp. Theol., p. 1, c. 166; p. 2, c. 9; In Ioan., c. 10, lect. 5

Pare che la beatitudine possa essere perduta.

Infatti:

1. La beatitudine è una perfezione.

Ma ogni perfezione si trova nel soggetto perfettibile secondo la natura di questo.

Siccome dunque l'uomo è mutevole per natura, sembra che la beatitudine sia partecipata dall'uomo come cosa mutevole.

Sembra quindi che l'uomo possa perdere la beatitudine.

2. La beatitudine consiste in un'operazione dell'intelletto, il quale è soggetto alla volontà.

Ma la volontà può sempre determinarsi a cose opposte.

Sembra dunque che possa desistere dall'operazione che dà la beatitudine: e così l'uomo cessa di essere beato.

3. Il fine deve corrispondere al principio.

Ma la beatitudine dell'uomo ha un principio: poiché l'uomo non sempre è stato felice.

Quindi la beatitudine deve avere una fine.

In contrario:

Il Vangelo [ Mt 25,46 ] assicura che i giusti « andranno alla vita eterna »; la quale, come si è spiegato [ a. 2, s.c. ], è la beatitudine dei santi.

Ma ciò che è eterno non può venir meno.

Quindi la beatitudine non può essere perduta.

Dimostrazione:

Se parliamo della beatitudine imperfetta, raggiungibile in questa vita, allora diciamo che è possibile perderla.

E ciò è evidente per la felicità della vita contemplativa, che si perde o con la dimenticanza, come quando viene meno la scienza in seguito a una malattia, oppure a causa di certe occupazioni che distraggono completamente dalla contemplazione.

Ed è pure evidente per la felicità della vita attiva: poiché la volontà dell'uomo può cambiare, passando dalla virtù, i cui atti principalmente costituiscono la felicità, al vizio.

Tuttavia se la virtù rimane integra le vicende esterne possono certamente turbare questa beatitudine con l'impedire non poche azioni virtuose, ma non possono totalmente distruggerla, poiché rimane ancora l'esercizio della virtù, quando un uomo sopporta lodevolmente le avversità.

- E proprio perché la felicità di questa vita è precaria, e ciò contro la nozione stessa di beatitudine, il Filosofo [ Ethic. 1,10 ] afferma che alcuni sono beati in questa vita non già in senso assoluto, ma « come uomini », la cui natura è soggetta al mutamento.

Se invece parliamo della beatitudine perfetta promessa dopo la vita presente, allora va ricordato che Origene [ Peri Arch. 1,5 ], seguendo l'errore di alcuni platonici, affermò che l'uomo può ricadere nella miseria dopo l'ultima beatitudine.

Ma si dimostra agevolmente che ciò è falso per due ragioni.

Primo, partendo dalla stessa nozione generica di felicità.

Essendo infatti la felicità un bene perfetto e sufficiente, è necessario che sazi il desiderio ed escluda ogni male.

Ma per natura l'uomo desidera di conservare il bene che possiede e di ottenere la sicurezza di non perderlo: altrimenti il timore o la certezza di perderlo gli procureranno necessariamente una pena.

Quindi per la vera beatitudine si richiede che l'uomo abbia la convinzione certa di non dover mai perdere il bene che possiede.

E se questa convinzione è vera, è chiaro che non perderà mai la beatitudine.

Se invece è falsa, già è un male avere tale convinzione: infatti il falso è il male dell'intelletto, come il vero ne è il bene, al dire di Aristotele [ Ethic. 6,2 ].

Quindi l'uomo non sarà perfettamente beato se in lui si trova un male qualsiasi.

Secondo, la medesima conclusione nasce dall'analisi del concetto specifico della beatitudine.

Sopra [ q. 3, a. 8 ] infatti abbiamo spiegato che la perfetta beatitudine dell'uomo consiste nella visione dell'essenza di Dio.

Ora, è impossibile che chi vede l'essenza divina non voglia più vederla.

Poiché ogni bene posseduto che uno vuol perdere o è insufficiente, per cui al suo posto se ne cerca uno che sia più completo, oppure è accompagnato da qualche inconveniente che lo rende fastidioso.

Ma la visione dell'essenza divina riempie l'anima di ogni bene, unendola alla fonte di ogni bontà, poiché sta scritto [ Sal 17,15 ]: « Mi sazierò della tua gloria »; e altrove [ Sap 7,11 ]: « Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni », cioè insieme con la contemplazione della [ divina ] sapienza.

E neppure è accompagnata da inconvenienti, poiché sta scritto [ Sap 8,16 ] a proposito della contemplazione della sapienza: « La sua compagnia non dà amarezza, né dolore la sua convivenza ».

Così dunque è evidente che un beato non può di volontà propria abbandonare la beatitudine.

- E neppure può perderla per sottrazione da parte di Dio.

Essendo infatti tale sottrazione una pena, è impossibile che essa provenga da Dio, giusto giudice, senza una colpa; nella quale colpa non può cadere chi vede l'essenza di Dio, poiché da questa visione deriva necessariamente la rettitudine della volontà, come si è già spiegato [ q. 4, a. 4 ].

- E neppure la può sottrarre un'altra causa qualsiasi.

Poiché la mente che è unita a Dio viene elevata al disopra di tutte le altre realtà, per cui nessun agente la può escludere da tale unione.

È quindi insostenibile che attraverso varie vicissitudini temporali l'uomo possa passare dalla beatitudine alla miseria, e viceversa: poiché tali vicissitudini possono alterare soltanto le realtà soggette al tempo e al moto.

Analisi delle obiezioni:

1. La beatitudine è la perfezione assoluta che esclude ogni difetto in chi la possiede.

Perciò questi viene a possederla senza mutabilità alcuna, in forza della virtù divina, che solleva l'uomo alla partecipazione dell'eternità al disopra di ogni mutamento.

2. La volontà è indeterminata rispetto ai mezzi ordinati al fine, ma in rapporto all'ultimo fine è determinata da una necessità naturale.

E ciò appare evidente dal fatto che l'uomo non può non desiderare di essere felice.

3. Che la beatitudine abbia un inizio dipende dalla condizione del soggetto che ne partecipa; che invece non abbia fine dipende dalla condizione del bene la cui partecipazione rende beati.

Quindi l'inizio della beatitudine dipende da una causa e la sua indefettibilità da un'altra.

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